Tanti anni fa uno di questi pescatori era cieco, di corporatura salcigna, sodo e fulvo come un ancorotto roso dalla ruggine. Sagginato di pelame com'era, sulla carnagione cerea aveva quella specie di cruschello che sogliono avere gli uomini di quel pelo. Egli non vedeva affatto, ma gli occhi aveva intatti, bianchi smaltati e d'onice lucente, come sogliono vedersi sui freddi visi delle statue di Barberia. Il cieco fissava di continuo il mare e pareva lo scorgesse nella lontananza che aveva un tremito sui denti” (Lorenzo Viani, Il nano e la statua nera).
 
Non ci si poteva attendere di più: lo scrittore Lorenzo Viani ha incrociato il pittore Lorenzo Viani. Il dipinto che ne scaturisce si fa immagine, anzi icona di vita vissuta in Versilia, al tempo dei Carducci, Giusti , Puccini, D'Annunzio, Ungaretti, Malaparte, Repaci, Cancogni, Montale, Pascoli, Carrà, per dire solo dei più celebri. E il toscano rude ch'era in Giosuè lo si ritrova pari pari in Viani, anarchico fin nel DNA, incisore alla maniera di Rouault, scrittore fine e godevolissimo alla maniera di Camilleri, ricco nel linguaggio del vernacolo viareggino bagnato nel gergo marinaro.
Il dipinto di Viani, comunque, cui si vuole fare esatto riferimento è, per l'appunto, La preghiera del cieco (1921). L'opera segna una pausa, se così si può dire, nell'esistenza piuttosto burrascosa dell'artista.
In sintesi molto succinta, è il caso di aggiungere che Viani ripete a suo modo il cliché classico del grand tour a ritroso verso la città dell'arte del tempo: Parigi. Così, alla stregua di Modigliani, Boldini, De Chirico, Severini, Campigli, De Pisis, Savinio, Tozzi e altri, fa la sua esperienza artistica parigina tra grame condizioni di vita. Qui incontra fuggevolmente anche Picasso e ha l'opportunità di visitare una retrospettiva di Van Gogh. Carico di suggestioni pittoriche come non poteva non succedere dopo una permanenza di quasi un anno in questa città, ritorna nella sua Versilia, rapito forse dal ricordo delle notti passate al ”Casone”, in compagnia di habitués di vagabondaggio, malviventi e, al caso, di liberi pensatori, nonché, alla maniera di Rouault, dei più poveri e derelitti. Viani si dedica, pur tra qualche acciacco, alla xilografia e alla pittura, con esiti dal sapore espressionistico, ma con una forte accentuazione di originalità; e non disdegna di ispirarsi alle tradizioni e alle vicende locali come in Girovaghi (1907), Naviganti (1908), Famiglia di poveri(1909), Veglia funebre (1910), Cieco(1912),Verso il paese lontano (1913), I poveri in parlatoio (1913), Il Volto santo (1914), Suonatore d' organetto(1914), Le vedove del mare (1915), La benedizione dei morti del mare (1915), La vedova(1920), I derelitti (1929), Lavoratori del marmo in Versilia (1933), Paranze sul mare; Apuane,anziano cavatore; Il marito lontano; Addio, si parte; Zingari, Guardando il mare.
Basterebbero i titoli di queste opere per disegnare la mappa della personalità di Lorenzo Viani, artista che meriterebbe una fama ben più grande di quella che gli viene riconosciuta e riservata. Vi sono segnate le ”tappe” della sua evoluzione di artista della sgorbia, del pennello e della penna, nonché i ”percorsi” della sua ispirazione, che prendono i nomi: a) attenzione alle condizioni dei déplacés, b) accesa sensibilità verso le lusinghe della ”libertà” intesa come insofferenza verso ogni forma di prepotenza e arbitrio, c) forte vicinanza alle classi sociali più sfruttate e più deboli e, poi, sul piano più squisitamente artistico, d) geniale capacità espressiva, tracciata a foschi contrasti cromatici sulle sfumature più prossime alle tinte scure, e) predilezione per i temi della lontananza, del viaggio (partenze, lutti, miseria), dei lavoratori, delle vicende legate ai ”lavoratori del mare” e, in genere, di tutte le ”minoranze”.
 
Tornando alla Preghiera del cieco, l'opera centrale e sintomatica dell'arte vianiana, la scena è tutta occupata da un personaggio solitario posto in un luogo deserto, la spiaggia di Viareggio, mentre due barche veleggiano lontano. Ciò che colpisce è la postura del personaggio, sorpreso in un atteggiamento di riverente preghiera. Il suo sguardo è rivolto verso il cielo, le mani aperte e supplicanti. Tutto è come compreso in un'aura di religiosa sintesi tanto che nella mente riecheggia l'accorata raccomandazione dell'evangelista Matteo: «Quando preghi entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Pur rappresentata in uno scenario aperto e verosimilmente inondato dal sole, l'immagine del cieco orante riecheggia il ”chiuso della sua stanza” ove si muovono solo le ombre della sua disperata esistenza. L'opera appare letteralmente intrisa di contagi con l'arte che era stata di Millet, Van Gogh, Rouault e delle successive frange espressioniste e di Munch, in particolare, per il quale l'angoscia esistenziale esplode nell'assordante disperazione dell'”urlo”.
 
La Preghiera del cieco non è, tuttavia, una supplica muta perché Viani, da par suo, la rende loquace:
 
                            ? In fondali angusti
                            Ti ho cercato.
                                   Oceani di croci e passioni,
                                   sotto le increspate onde.
                                   Come un palombaro cieco.
                                   Ma non sei giunto
                                   ad indicare la via.
                                   Seduto qui
                                   ad elemosinare tuoi sguardi
                                   prego, in fondo,
                                   che il mio cuore
                                   si scontri col tuo cuore.
                                   È un'epifania della tua presenza
                                   che, inconsolabile, aspetto
.
 
Allo sconforto iniziale, per le mancate risposte alle tante domande d'aiuto, si schiude infine lo spiraglio della speranza: può apparire un assioma palingenetico; ma non è così. È, al contrario, la vena ispiratrice dell'artista, che balena, di là dalle sempre angosciate raffigurazioni pittoriche e testimonianze scritte, illuminando per un attimo l'universo umano.
Ed è pur sempre il medesimo tratto caratteristico che si ritrova in tutte le figurazioni sacre, che, centrate, sul momento della preghiera, ”aprono” non solo - fideisticamente - sulla dimensione trascendentale della ”salvezza”, ma anche - laicamente - sulla destinazione finale dell'esistenza umana. Del resto, non c'è di che stupirsi se, persino un fisico della levatura di Stephen Hawking ebbe sorprendentemente ad affermare, guardando oltre i ”buchi neri” e gli ”universi infiniti”, che «l'universo non sarebbe un granché se non fosse la casa delle persone che abbiamo amato», una battuta non proprio in linea con il suo pensiero scientifico.
 
A contrasto con la Preghiera del cieco e a conforto (forse) della tesi testé ventilata, si possono richiamare alcune opere-capolavoro della pittura classica, ove la preghiera, appunto, è - tra questi dipinti - il comune denominatore, momento intensissimo di confidenza e colloquio con l'”Assoluto”.
 
Si prenda, ad esempio, il Compianto sul Cristo morto del Perugino. La scena è tra le più drammatiche; ma, tralasciando per necessità la descrizione iconografica del dipinto, si fissi lo sguardo su una delle pie donne in preghiera. Davanti al corpo esanime del Cristo, le mani giunte, lei conserva uno sguardo sereno, al pari di quello della Madonna pur pieno di pathos. La pia donna, in silenzio, al contrario del gesto compiuto dalla Maddalena che alza le mani al cielo sgomenta, si racchiude in sé stessa, in silenzio, nell'atto tante volte raccomandato e compiuto dal Maestro.
 
Nella fin troppo nota Creazione di Eva, Michelangelo dalla costola di Adamo fa sortire una bellissima e umanissima donna, che, come suo primo atto - anche lei a mani giunte, primaria figura orante - non trova di meglio che offrire al dirimpettaio e suo possente Creatore la propria preghiera di lode. Sullo sfondo di un paesaggio, esso stesso fresco di creazione, Eva riempie la scena pronunciando le prime parole umane a mo' di accorata devozione. Non occorre porre l'accento qui sulla circostanza geniale messa a punto da Michelangelo: quella di Eva (e non di Adamo che, appena creato, rivolge al Signore dell'Universo solo uno sguardo benevolente) è la primissima azione di creatura umana. È una dichiarazione di devozione, atto primigenio di tutte le successive ”dichiarazioni”, da quelle più sublimi dell'amore materno a quelle comprese nell'universo sentimentale tipicamente femminile.
 
Infine e per significare quanto l'atto della preghiera abbia caratterizzato la pittura classica di tutti i tempi, si può citare il San Francesco in preghiera di Caravaggio. In questa tela il Santo di Assisi, come il cieco di Lorenzo Viani, è prostrato in ginocchio, lo sguardo rivolto alle pagine aperte del libro sacro: la meditazione della Parola come preghiera in sé, in cui la mente chiama a soccorso il cuore per aprirsi alle profondità del mistero e alle scaturigini della fede, per un esito di grazia mai scontato, sempre combattuto, nel rapporto uomo-Altro, uomo-Essere, uomo-Assoluto, uomo-Dio, con l'uomo che cammina su tutte le latitudini del mondo.
 maggio 2018
Luigi Musacchio