Giovanni Cardone Marzo 2022
 
Fino al 10 Aprile 2022 si potrà ammirare presso la Galleria Area24 Space di Napoli la mostra 9 Artisti  Italiani . Questa collettiva vuole raccontare la diversità degli artisti in mostra ma che in comune il costante impegno nel campo delle arti visive che li ha portati a raggiungere un evidente successo di pubblico e di critica. I lavori esposti, ricchi di significati e di valori, tutti realizzati con tecniche raffinate, formano un unicum di notevole spessore che ha la capacità di attirare lo spettatore ed instaurare una sorta di transfert emotivo che invita al dialogo e alla riflessione.Area24 Space col gusto e la sensibilità di sempre, è felice di presentare un’esposizione dal taglio intelligente e dal progetto sostenibili, inoltre, gli artisti presenti descriveranno  le proprie opere sottolineando sia gli aspetti tecnici sia gli aspetti contenutistici. In una mia ricerca storiografica e scientifica su questi nove artisti che hanno una cifra nazionale ed internazionale analizzando la loro opera apro questo mio saggio dicendo : In anni di sempre più rutilante trasformazione, sotto tutti i profili, da quello sociale e politico a quello scientifico e tecnologico, l’arte più che mai si deve interrogare su se stessa: sul proprio ruolo, sulla propria funzione, ma anche e soprattutto sul proprio linguaggio. Poiché è proprio attraverso le sue forme, la sua estetica, la sua sintassi, i suoi stili e stilemi, che l’arte può entrare, più o meno, in rapporto con la realtà circostante, con la storia, con la vita degli uomini che la fanno e che ne fruiscono. Un rapporto che può e forse deve essere ambivalente: un viaggio di andata e ritorno. L’arte deve subire l’influenza della realtà e del suo divenire, ma deve anche, al tempo stesso, influenzarla e influenzarne, in qualche modo, le trasformazioni. O almeno deve provarci. Non solo lavorando sulle idee, e dunque sulla percezione, sull’interpretazione della realtà, ma anche sulla sua progettazione. Ma perché questo possa accadere occorre che l’arte contemporanea diventi strumento più forte e più duttile al tempo stesso, da una parte recuperando e rinsaldando le proprie radici e dall’altra aprendosi alla molteplicità delle sue (quasi) infinite possibilità espressive  ed altrettanto (quasi) infinite concezioni estetiche attuali. Solo così l’arte può entrare efficacemente in rapporto dialettico con una realtà così articolata, stratificata, sfaccettata e complessa come quella contemporanea. Nel corso degli ultimi 150 anni il succedersi delle scoperte scientifiche e tecnologiche ha impresso alla storia dei mutamenti vertiginosamente rapidi e radicali. Allo stesso modo negli ultimi 150 anni il succedersi delle invenzioni e delle trasformazioni sul versante artistico, col succedersi inesorabile e travolgente delle Avanguardie, è stato altrettanto vertiginoso. Ed è ovvio che tra le due cose ci sia un rapporto più o meno diretto di causa-effetto, o per lo meno di osmosi o di contagio. Ora il mondo in cui oggi viviamo è l’inquieto, stratificato, caotico e contraddittorio risultato di tutte queste trasformazioni. E l’arte che può entrare in rapporto con questo mondo non può che essere un’arte capace di raccogliere e sintetizzare l’inquieta, stratificata, caotica e contraddittoria eredità delle Avanguardie e degli ultimi 150 anni di arte contemporanea. E forse anche oltre, poiché in effetti negli ultimi 150 anni, tra un’Avanguardia e l’altra non sono mancati momenti di “Ritorno all’ordine” in cui si è guardato indietro con occhi nuovi alla tradizione pittorica più antica. E anche questi momenti fanno parte del retaggio della Contemporaneità e hanno contribuito a forgiarne le forme. E questa è la linea che abbiamo seguito in questi ultimi anni nel selezionare opere ed artisti: opere ed artisti che fossero in grado non solo di recuperare e reinventare il retaggio delle grandi Avanguardie storiche, ma anche e soprattutto di sintetizzare e contaminare stili e linguaggi, trovando punti di contatto inediti e suggestivi. Penso al Trattato di semiotica generale del 1975 di Umberto Eco dedica una parte al linguaggio estetico, definendolo come quel particolare processo comunicativo significativo in cui non si ha solo il mero passaggio di informazioni, ma anche la sollecitazione nel destinatario dell’elaborazione di una risposta interpretativa. Due sono le principali caratteristiche del testo estetico secondo Eco: l’ambiguità e l’autoriflessività.
La prima viene definita come violazione delle regole del codice quando, “anziché produrre puro disordine, essa attira l’attenzione del destinatario e lo pone in situazione di “orgasmo interpretativo”. Il destinatario è stimolato a interrogare le flessibilità e le potenzialità del testo che interpreta come quelle del codice a cui fa riferimento.” L’ambiguità estetica gioca sia sull’espressione sia sul contenuto. In questo modo il testo attira l’attenzione sulla propria organizzazione interna, “semiotica”, e diventa anche autoriflessivo. Ambiguità e autoriflessività però non si concentrano solo sull’espressione e sul contenuto, ma il lavoro estetico si esercita anche sui livelli “inferiori” del piano estetico, ovvero il modo in cui si è utilizzato il materiale . Infatti nel godimento estetico la materia ha una funzione importante perché è stata resa “semioticamente rilevante” . Il testo estetico spinge in continuazione a riconsiderare i codici e le loro possibilità, pertanto impone una riconsiderazione dell’intero linguaggio su cui si basa. “Esso tiene la semiosi in allenamento» e stimola il sospetto che l’organizzazione e l’impostazione del mondo cui siamo abituati non siano definitivi. Il linguaggio estetico è basato su una dialettica di accettazione e ripudio dei codici dell’emittente e di proposta e controllo dei codici del destinatario” . Il destinatario non conosce le regole dell’autore e tenta di tirarle fuori dai dati dell’esperienza estetica che sta vivendo, esperienza caratterizzata da «una dialettica tra fedeltà e libertà. Da un lato il destinatario è sfidato dall’ambiguità dell’oggetto, dall’altro è regolato dalla sua organizzazione contestuale. In questo movimento il destinatario elabora e irrobustisce due tipi di conoscenza, una sulle possibilità combinatorie dei codici cui si riferisce e l’altra sulle circostanze e i codici di periodi artistici che ignorava. Così una definizione semiotica dell’opera d’arte spiega perché nel corso della comunicazione estetica abbia luogo un’esperienza che non può essere né prevista né completamente determinata, e perché questa esperienza “aperta” venga resa possibile da qualcosa che deve essere strutturato a ciascuno dei suoi livelli» . Eco delinea una figura di destinatario che assume delle caratteristiche ben precise: «deve intervenire a colmare i vuoti semantici, a ridurre la molteplicità dei sensi, a scegliere i propri percorsi di lettura, a considerarne molti a un tempo anche se mutuamente incompatibili e a rileggere lo stesso testo più volte, ogni volta controllando presupposizioni contraddittorie» . Il destinatario è quindi un collaboratore responsabile e il lavoro dell’autore del testo estetico deve tener conto di molte cose: il testo estetico deve essere strutturato a ogni livello seguendo dei codici conosciuti, cercando di violare alcune regole per innovarlo e per attirare attenzione su di sé, in modo da garantire quel giusto equilibrio dei meccanismi noto-ignoto che rende l’esperienza estetica tale. Quindi di fondamentale importanza nel processo di significazione è quindi il codice inteso non solo come lessico, ma anche come grammatica. Senza regole precise il contenuto e il messaggio del testo estetico non sarebbero veicolati e non passerebbero al destinatario. Il codice non è uno schema fisso e immutabile, anzi, muta continuamente perché la produzione e l’interpretazione di qualsiasi tipo di testo necessitano di una plus-codifica che determina un arricchimento dell’universo dei codici. La produzione di testi estetici richiede fatica perché oltre a creare i segni, l’autore deve creare anche delle funzioni segni che siano accettabili e comprensibili. L’autore o gli autori come in questa mostra attraverso il loro linguaggio visivo ci presentano un personale modo di vedere il mondo, ma affinché tutti possano rispecchiarsi nelle loro opere. E pur sembra strano il linguaggio dell’arte contemporanea si fa con tutto e questa sua caratteristica è una conseguenza della sensazione del precario che avvolge, ormai da un secolo, il nostro tempo e le sue creazioni. Con l’avvento della modernità con la trasformazione delle città in cui tutto è più vicino e allo stesso tempo più distante, in cui non ci si conosce più reciprocamente e in cui non esiste più un nucleo identitario, l’ansia ha raggiunto il suo apice e ha preparato l’entrata in scena del dubbio. Mentre la civiltà rurale non consentiva di scegliere mai e l’esistenza era, in un certo senso, determinata in modo univoco, con la modernità questo mondo di certezze ha iniziato a vacillare, ma è con la contemporaneità che è andato completamente in frantumi: siamo continuamente posti di fronte a delle scelte e non c’è una via di uscita o delle istruzioni per l’uso. Lo stesso accade nell’arte. Le grandi opere delle civiltà passate sono forme che restano e che sembrano esprimere delle verità tranquillizzanti che ponevano come riferimento la centralità dell’uomo nell’universo e non facevano altro che affermarla e conservarla.. Oggi l’uomo le sue idee e le sue creazioni tendono a girare come schegge senza ragione apparente. Secondo Rosalind E. Krauss, “l’artista d’avanguardia ha assunto molti volti durante il primo secolo della sua esistenza: rivoluzionario, dandy, anarchico, esteta, tecnologico, mistico. Ha intonato una quantità di credo molto diversi. Vi fu un’unica invariante, sembra, nei discorsi dell’avanguardia: il tema dell’originalità .” Il termine originalità ha diverse sfaccettature e indica sia una sorta di rivolta contro la tradizione, sia qualcosa di “più di un rigetto o una dissoluzione del passato. L’originalità avanguardistica è concepita come un’origine in senso proprio, un inizio a partire da niente, una nascita.” E l’artista appare preservato “dalla contaminazione della tradizione grazie a una sorta di ingenuità originaria.” Ma, come fa notare la critica d’arte americana, se facciamo dipendere la nozione di avanguardia da quella di originalità, “la pratica effettiva dell’arte d’avanguardia tende a rivelare che questa “originalità” è un’ipotesi di lavoro che emerge su un fondo di ripetizione e di ricorrenza.” Permane quindi un legame con la tradizione, ma «forse è questo sentimento di un inizio, di una nuova partenza, di un grado zero», che ha portato tutti questi artisti a lavorare con elementi già presenti, utilizzandoli ogni volta come se li avessero scoperti per la prima volta e il fatto di averli riscoperti era per loro un atto di originalità. Pur essendo diverse le une dalle altre, le avanguardie di inizio secolo hanno contribuito al completo stravolgimento del concetto di arte: dal primato dell’opera d’arte si è passati, non tanto gradualmente, al primato dell’idea e poi al primato dell’artista, all’importanza determinante della firma per il riconoscimento ontologico dell’opera stessa. Nonostante le diversità tra questi nove artisti che però sono accomunati, dal linguaggio dell’arte dal loro attivismo esasperato,dalla messa in discussione del limite tra oggettività e soggettività questi sono solo alcuni degli elementi fondamentali della nascita di questa mostra. Tutto si trasforma in sostanze differenti ovvero : acqua, aria, terra, fuoco che rivelano così la loro essenza primordiale rievocando una dimensione archetipica e cosmogonica. E sul rapporto intenso e fecondo tra luce e spazio si giocano sostanzialmente tutte le opere dei nove artisti in questa mostra. Tutto può accadere. Tutto sta per accadere. Il Tempo è sospeso, come un attimo prima dell’uragano. O un attimo dopo. Un istante che si dilata a dismisura. Prima, fuori, oltre il Tempo. Lo spazio del quadro cattura, condensa, sospende il Tempo. E tutto si fa Mito gesto, segno, e pensiero.
Le opera di Luigi Auriemma ci prendono per mano e ci conducono attraverso un percorso intimo, che parte dallo spirito interiore fino alla contemplazione dell’Universo. Dall’infinitamente piccolo, immateriale, impalpabile, quella yuch  che vola dentro di noi con ali leggere, dall’introspezione nella nostra anima più profonda, fino all’infinitamente vasto dei grandi gangli cosmici che ci conducono a scoprire nell’informe magma della vita, eppure carico di vita, nel caos primigenio di cui ci parlano gli antichi miti, gli albori di un giorno nuovo. La  nascita una nuova creazione, di un Uni-verso che perennemente si dirige nel segno e nel senso di una Volontà ordinatrice, un kosmoV, ordine - armonia un ordine armonico oppure un’armonia ordinata, si attua in una perenne gestazione universale alla ricerca della materia, ma non della materialità, presente in ogni atto creativo.  
Le opere di Antonio Barbagallo  ovvero, la sua pittura appare violenta ed emotiva attraverso il gesto e il segno. Un colore sfumato ed “atmosferico” steso con morbide velature a pennello o con tenui tocchi nel contempo si contrappone a sciabolate di colori, impressi selvaggiamente sulla tela a colpi di spatola. L’artista appare sicuro del fatto suo, coerente, riconoscibile, si può individuare e definire negli anni un percorso, un’evoluzione e una maturazione di uno stile. E questo ci costringerebbe ad un discorso critico ed una profonda analisi sull’opera di Antonio Barbagallo.  Coincidentia Oppositorum nell’opera di Prisco De Vivo che è una ridda ubriacante di ossimori, di coerenti contraddizioni: sono immobili tempeste, sono lampi di tenebra fatti di materia spirituale, sono funambolici giochi da tavolo di disequilibrato equilibrio, criptiche rivelazioni di un caos ordinato, superfici tridimensionali di levigata scabrosità, arcaiche narrazioni contemporanee, apollinee composizioni dionisiache, ricche, colte e preziose opere di semplice e disarmante povertà.
La forza primigenia e raffinata che promana da queste opere derivano proprio dall'innata capacità dell’artista di conciliare gli opposti. Affascinano le opere di Pina Della Rossa che per la loro attualità trasmettono non solo bellezza e pulizia, che è raro, ma anche la robusta presenza di un ‘simbolismo’ di maniera che subito rapisce e coinvolge.
Per non dimenticare inoltre la ricchezza dei particolari e la correttezza cromatica del manufatto. Poi si nota la personalità dell’artista nel creare un linguaggio poetico ed infine la dolcezza nell’accostare alla stessa opera la propria tensione interiore. Sì, è vero, sullo sfondo, c’è tutta la contemporaneità dell’oggi tumultuoso e veloce dove invece noi tutti avremmo tanto bisogno di concrete pause per una seria riflessione interiore. Le opere di Giuseppe Di Guida rifiutano stereotipi e schematismi estetici per dare spazio alla fantasia e alla sperimentazione, anche sul piano tecnico. Traduce in pittura una sensibilità acuta e vibratile, spesso impalpabile. Nel suo lavoro combina tecniche e materiali con vivace spirito creativo, il cui risultato è un codice narrativo personale che punta a materializzare sulla tela attraverso colori, materia e scomposizioni, l’io profondo dell’artista è allegro ma sempre e comunque irrequieto. Egli inventa le sue tecniche e modella o inserisce la materia lasciando sempre la sua impronta personale. Le opere di Luigi Pagano raccontano la sua dimensione onirica tra sogno e realtà ma questa apparente distonia quella che è una opposizione, e forse una contraddizione, trova la sua sintesi nel segno e nel gesto. Altro aspetto della sua pittura è quello di inglobare accenti lirici con la rubricazione di un intimo diario, “un simbolo di speranza”, verso nuovi orizzonti che la vita a volte ci prospetta. Nella sua dimensione poetica l’artista, non è vincolato dall’iconografia, ma rimanendo se stesso e ripercorrendo il suo linguaggio egli immagina e trasporta su tela la visione che ha dentro di sé: ovvero un segno creativo è un’idea assoluta senza retorica e senza striature di colore fatto di segno e gesti essenziali, profondi, intensi e perciò ‘spirituali’. Nelle opere di Enzo Palumbo si evidenzia  l’ebbrezza cromatica che sono formati da elementi visivi che creano composizioni armoniche come un magma in movimento è uno dei principali veicoli di comunicazione visiva delle sue emozioni, del suo inconscio, rendendo lo stesso quasi afferrabile. Alla fine tutte le forme le sapienti composizioni, tutti i piani sovrapposti,  gli sguardi abbassati e tutte le umane presenze, tutti gli interni appena accennati, evocati da tagli di luce, da rapidi segni, pennellate, ampie spatolate di colore. Alla fine tutte le complesse e allusive architetture visive che sorreggono le opere di Enzo Palumbo sono liquefatte in una luce vibrante di puro colore. E la pittura si è fatta essenza. La presenza raffigurata si è rivelata per quello che era: assenza sublime.  Le opere di Felix Policastro creano nel fruitore una fitta rete di apporti e di ricezioni, un'osmosi costante di concetti che riportano alle eterne e dialettiche forze che dominano l'esistenza di ogni essere umano: la gioia e il dolore, la calma e la passione, il buio e la luce, la vita e la morte. Tutto questo fa parte del mondo ideato Felix Policastro dove la pittura diventa metafora visiva di un mondo contemporaneo dove la rappresentazione è importante perché mette a nudo l’ ‘Io’ dell’artista, ma nel contempo tende ad evidenziare il messaggio di questa opera che racconta l’uomo contemporaneo.  Le opere di Stefania Sabatino sono pluralità, che va di pari passo con la variabile disseminazione di segni, immagini, figure mescolati in magma che trova proprio nella complessità la sua giustificazione operativa. Per produrre questo effetto di spessore l’artista adotta una tecnica particolare, con materiali diversi magistralmente amalgamati, talora rappresi talaltra distesi, e sovrapposti. Tutto questo lo si può definire l’incontro- scontro tra essere e divenire dove il segno ed il colore per alcuni aspetti sono alle base del linguaggio dove l’artista si rifà  principalmente al segno e al gesto che gli permettono di dare forza al suo messaggio. Espongono : Luigi Auriemma, Antonio Barbagallo, Prisco De Vivo, Pina Della Rossa , Giuseppe Di Guida, Luigi Pagano, Enzo Palumbo, Felix Policastro, Stefania Sabatino.
 
Luigi Auriemma, artista e poeta nato a Napoli nel 1961, dove si è formato e diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti. È fondatore e coordinatore della rivista d’arte LEONARDA. Al centro della sua ricerca è la riduzione della pittura, ma anche il dialogo tra opposti come la trasparenza del vetro e l’opacità degli altri materiali, come la vernice industriale con cui scrive parole sui suoi vetri. La parola assume un ruolo sempre più importante, da segno diventa una proposta di lettura dell’opera, come in è_cri_t (2010) o in C_END_RE (2013). Tra le esposizioni collettive e personali più importanti ricordiamo “Corpus Carsico”, Certosa di San Giacomo (Capri), “Per-formare una collezione”, Museo MADRE (Napoli), “Cryptica”, Museo del Sottosuolo (Napoli), “D_I_O_GENE”, MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), “C_END_RE” al Museo del Sottosuolo (Napoli), “Ipotesi arte giovane” Flash Art Milano. Sue opere sono inserite in collezioni pubbliche e private.
 
Antonio Barbagallo, nato a Nola nel 1955, vive e lavora a Napoli. La sua ricerca si muove nel solco dell’astratto informale, sul recupero del passato e dei suoi frammenti e sperimentando con una forte matericità, con l’uso di impasti terrosi e pigmenti e con tecniche più moderne di elaborazione elettronica dell’immagine. Collabora a lungo con Framart Studio, iniziando una serie di mostre personali e internazionali che lo vedono accanto ad artisti come Klein, Nagasawa, Oppenheim, Vettor Pisani. Tra le mostre più importanti ricordiamo nel 2003 la Biennale del Mediterraneo a Pertosa (a cura di Andrea Iovino) e “Struttura-Oggetto” presso la Reggia di Caserta e il Belvedere di S. Leucio, nel 2011 la 54° Biennale di Venezia, nel 2017 e nel 2019 espone al PAN. Nel 2020 realizza “Il grande mare che avremmo traversato”, virtualproject e virtualexibition, inoltre tra il 2020 e il 2021 porta a compimento in Puglia “Semita aspera”, un’opera monumentale in cemento armato e pietre.
 
Prisco De Vivo, pittore, scultore, designer, poeta, nato a San Giuseppe Vesuviano nel 1971. È attivo dall’inizio degli anni ’90, dal ’98 collabora con la Galleria Mimmo Scognamiglio di Napoli che porta il suo lavoro ad Arte Fiera, Art-Cologne e Art-Brussels. La sua produzione si articola in cicli, i primi incentrati sull’inquietudine umana, con una ricerca che si esprime in una dimensione concettuale. In quelli più recenti, come Spose 2004-2006, Poetesse 2008-2009, Apparizioni 2011-2012, Volti di donna 2008-2013, Fiori luminosi 2014 si concentra sulla figura femminile vista come un’immagine tragica e metafisica. Nel 2014 inaugura Lucis – Art Studio Gallery, a Quadrelle (AV), all’interno del Parco Regionale del Partenio.
 
 
 
Pina Della Rossa, artista visiva e docente di Storia dell’Arte, attiva dagli anni ’80. I suoi medium vanno dalla fotografia, al video, alla pittura all’installazione. Nella sua ricerca, di matrice concettuale, introduce una riflessione sul rapporto tra Identità e Corpo, Memoria e Materia, e va oltre la scientificità dell’applicazione fotografica. La sua produzione è caratterizzata anche dall’impegno sociale, con progetti incentrati su temi come la lotta alla violenza. Nei suoi puzzle la sua opera si libera di ogni costrizione formale ed esplode nello spazio. Le sue opere sono inserite in collezioni pubbliche e private, tra cui: MUSEO MADRE – Napoli; MUSEO NAZIONALE, Thebes – Grecia; MUSEO ALLOTROPYA, Antikyra – Grecia; MOBIUS Gallery, Massachusetts-USA. Nel 2016 è stata inserita nell’ATLANTE dell’ARTE CONTEMPORANEA a Napoli e in Campania, Loredana Troise (a.v.), a cura di Vincenzo Trione. Ha esposto presso numerosi musei e gallerie nazionali e internazionali, accanto ad artisti, come: Araki, Nagasawa, Oppenheim, Vettor Pisani, Spoerri. Tra le
più importanti ricordiamo “Segni permanenti”, Museo Macro – Roma; “Dopo la battaglia” PAN – Napoli; “Selectedworks”, Galleria  AREA24 Space-Napoli, che in particolare ne segue gli sviluppi artistici.
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Giuseppe Di Guida, nato a Lusciano nel 1955. Dal 2015 promuove e cura incursioni d’arte nei luoghi dell’ex Manicomio di Aversa, dove nasce il Museo della Follia, sigla identitaria che accompagna il suo lavoro nel sociale. La sua ricerca ha una forte matrice concettuale e si concentra sulla critica dei sistemi di potere e del capitalismo che ha depauperato e mercificato l’uomo e i suoi valori. Numerose sono le mostre personali e collettive che l’artista ha promosso a partire da “Disegno Campania” 1988 a cura di Enrico Crispolti, tenutasi a Morcone (BN) e “La provincia e l’impero” a cura di M. Crescentini, Trentola, Orvieto, Paliano, del1989, “I colori del libro” Palazzo ducale di Lusciano, Galassia Gutemberg Napoli 1998.
Luigi Pagano, nato a Scafati nel 1963, diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Fin dagli anni ’80 la sua ricerca pittorica è rivolta a una visione osmotica tra natura rivelata e natura nascosta. Tra medium sempre diversi, dai catrami, alle combustioni su lamiera alle più recenti tele la materia trova sempre la sua dimensione. I suoi lavori sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private italiane ed estere tra cui (in permanenza) Chiesa di San Lio a Venezia, il Museo Stauròs di San Gabriele, il Music und Theater di Monaco di Baviera, Collezione permanente Museo Frac, Baronissi (SA), Museo di Arte Moderna di Hangzou (Cina), Museo del Novecento, Castel Sant’Elmo, Napoli. È tra i trenta artisti italiani che hanno illustrato i Lezionari della Chiesa Cattolica Italiana.
 
 
Enzo Palumbo si avvicina all’arte negli anni ’70 quando al Liceo Artistico ha l’opportunità di studiare con docenti come Mario Persico, tra i fondatori del gruppo ’58. Intraprende viaggi all’estero, dove può vedere le opere dei grandi dell’arte moderna come Dalì, Picasso, Kandinsky, Klee e acquisisce consapevolezza artistica. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove oggi svolge l’attività di docente e inizia la sua produzione, sperimentando con varie tecniche. Dell’attività espositiva si ricorda: “Di natura personale” Campanile di Saviano Napoli, 2017, “Del tuono del lampo ed altre metamorfosi” PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) 2018, Installazione permanente “Tracce di rissa” presso la Metropolitana di Scampia a cura della Fondazione PLART.
 
Felix Policastro nato nel 1961 in Venezuela. Vive e lavora nella piana del Vesuvio. La sua ricerca artistica è nel segno del “progetto divino”, il tentativo, cioè, di instaurare un rapporto intellettuale tra uomo e natura. La mostra personale del 1990 “Pluvia”, esposta a Napoli nella sede Consolato del Venezuela e “Alcabala” nel 1992 a Toulouse in Francia, fissano un momento importante nella sua ricerca artistica: qui inizia un percorso che vede nuovi strumenti e forme di astrazione arcaica in cui si interroga sulla necessità dell’arte nella società contemporanea. Nel giugno del 2010 presenta “NOTEXT” negli spazi del Museo Plart di Napoli, è presente alla 54 Biennale di Venezia.
 
Stefania Sabatino, artista partenopea, docente di Disegno e Storia dell’Arte e laureata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. La sua ricerca artistica si articola tra pittura, design, installazione, performance e video arte. Nei suoi lavori scompone il soggetto umano andando a scrutarne ogni dettaglio, deformandolo, esasperandolo, astraendolo. Importante è anche la linea del disegno, che non funge solo da contorno ma è anche segno, ha una sua gestualità, evidenzia pieni e vuoti, volumi e spazi. Le sue opere sono in molte collezioni, tra cui la Pinacoteca Provinciale di Salerno, Museo “Stanislao Kuckiewicz” Castel di Sangro, Museo Mineralogico Campano di Vico Equense, Collezione Villa Aprile ad Ercolano Napoli, Collezione “Segni” Torino.
 
 
Galleria Area24 Space - Napoli
9 Artisti Italiani
dal 11 Marzo 2022 al 10 Aprile 2022
Solo per appuntamento. Festivi chiuso
Tel. 3396495904