Giovanni Cardone Luglio 2023
Fino al 22 Ottobre 2023 si potrà ammirare Galleria d’Italia Milano – Museo di Intesa Sanpaolo la mostra Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura a cura di Luca Massimo Barbero. Con oltre 70 opere generalmente non esposte nella sede milanese, tra le quali le più recenti acquisizioni della Collezione Intesa Sanpaolo, questo percorso dedicato all’arte italiana e all’arte contemporanea internazionale si incentrerà sul dialogo tra le diverse ricerche scultoree di alcuni dei maggiori protagonisti del XX Secolo in confronto ad importanti approfondimenti intorno alla pittura del Secondo Dopoguerra. Ulteriore, fondamentale contributo all’allestimento, proviene dalle opere selezionate dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati, oggi parte del patrimonio artistico gestito da Intesa Sanpaolo. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla pittura e sulla scultura del Novecento apro il mio saggio dicendo: L'avanguardia sembra essere intorno a noi. Continuamente nella quotidianità ricorrono espressioni come “strumento all'avanguardia”, “tecnologia all'avanguardia”, “pura avanguardia”, usati per identificare qualcosa di innovativo, in grado di rompere con la tradizione e di anticipare idee e metodologie che avranno uno sviluppo futuro. Ma cosa si vuole veramente rappresentare con queste formule? Quanto di esse oggi fa riferimento al significato originario del termine “avanguardia” e quanto invece si collega a un concetto ormai inflazionato e persino quasi stereotipato di uno dei fenomeni più importanti della cultura moderna? Ci si è mai fermati a considerare l'eventualità che in realtà si tratti solamente di un'entità astratta? Il concetto di avanguardia è emerso come fenomeno nuovo che diversifica il XX secolo dagli altri periodi della storia e della cultura. I primi trent'anni del Novecento hanno visto la nascita dei movimenti artistici definiti “avanguardie storiche”, ovvero gruppi di artisti e letterati che hanno elaborato una poetica comune del loro operare artistico. Dato il carattere progressivo e spesso provocatorio delle opere prodotte da queste correnti, il termine “avanguardia” ha rappresentato nel sentire comune un qualcosa di ardito, rivoluzionario e innovativo dal punto di vista dello stile e della tecnica, che rompeva gli schemi della tradizione consolidata e dell'accademismo. La nozione di avanguardia si è sviluppata a partire dagli anni Venti dell'Ottocento, grazie ad un gruppo di utopisti vicini al teorico politico francese Claude-Henri de Saint-Simon (1760–1825), che la identificarono come una proiezione ideale sul piano artistico degli obiettivi dell'umanità. Dalla Francia l'espressione si diffuse ben presto in tutto il panorama culturale europeo: le idee dei cosiddetti “movimenti d'avanguardia” divennero uno degli emblemi più significativi dell'estetica della modernità. Storicamente vi è stata una netta prevalenza nell'utilizzo di questo termine nel campo delle arti visive e della letteratura: sono numerosi infatti i riferimenti che accompagnano il ricorrere a questa espressione nella critica scritta e orale, rinviando al significato simbolico dell'immagine in esso contenuta. “Avanguardia” è tuttora utilizzato come parola-contenitore per una serie di fattori quali innovazione, esplorazione, estremizzazione degli atteggiamenti, rottura, antagonismo, rifiuto e anticipazione dei gusti e delle conoscenze, tutte caratteristiche sviluppatesi nel corso del Novecento ma derivanti in realtà da tendenze politico-culturali ottocentesche. La diffusione del concetto fu così ampia che apparve subito chiaro come esso potesse perdere la propria portata iniziale, acquisendo invece numerose implicazioni critiche. Attualmente va riconosciuto che il suo utilizzo è abusato da critici, giornalisti e soprattutto artisti, con il conseguente rischio di tramutarlo sempre più un concetto astratto e inflazionato. Parlando di avanguardia si intende in genere un movimento artistico o letterario che nasce dall'attività di un gruppo di persone e che ricerca in modo programmatico (ovvero tramite manifesti, dichiarazioni teoriche, riviste, conferenze o iniziative anche clamorose e provocatorie) nuove forme espressive, in contrasto con i modelli estetici tradizionalmente riconosciuti. Più comunemente con questa definizione si fa riferimento ai movimenti artistici e letterari di fine Ottocento e inizio Novecento che, dopo la crisi del Romanticismo, rinnovarono il panorama culturale dell'epoca, ponendo al centro della propria attività la sperimentazione, con lo scopo di staccarsi dalla tradizione accademica, considerata ormai anacronistica e obsoleta. Nel XX secolo vi è stato un vivace susseguirsi di fenomeni artistici, differenti ma pur sempre correlati fra loro, che proponevano nuove forme espressive in sintonia con il continuo (e soprattutto rapido) mutare dei tempi. Le varie avanguardie hanno ognuna riletto a proprio modo, con varie accentuazioni e livelli di priorità, le funzioni, i compiti e le strategie di una pratica artistica innovativa ed oppositiva. Come ricorda Mario De Micheli, «i movimenti avanguardistici rappresentano nella cultura contemporanea un taglio drammatico, una rottura che segna il destino di tutta la civiltà artistico-letteraria del Novecento». La nozione di avanguardia sottintende una visione progressista della storia, dell'umanità e della stessa arte, che si evolverà in rotture successive tramite scontri e rivoluzioni. Gli autori di questa generazione volevano cambiare il presente e le loro battaglie culturali diedero una nuova impronta a tutta l'arte e letteratura del secolo. Con le avanguardie vennero messi in discussione non solo il valore, ma addirittura il concetto stesso di arte: quest'ultima deve sì riuscire a sconvolgere e a scuotere gli animi con le proprie opere, ma la funzione dell'artista e del letterato diventerà anche quella di sapersi costruire una vita “esteticamente soddisfacente”, dominata dall'arte nella sua totalità. Per realizzare ciò le avanguardie storiche fecero dello sperimentalismo il loro orientamento metodologico: esse erano composte da gruppi eterogenei di persone a volte anche in aperta polemica tra loro, ma dal confronto e dal contrasto si poteva generare una notevole spinta creativa. Vi potevano essere divergenze anche all'interno degli stessi movimenti (celebre è ad esempio la querelle tra Breton e Dalí per motivi economici), ma gli autori sceglievano di operare in gruppo per abbattere ogni barriera esistente fra le varie forme d'arte. Ecco quindi che dopo anni di chiusura dell'arte e della letteratura in un mondo autonomo e quasi impenetrabile come reazione al rifiuto borghese verso ciò che non veniva considerato utile, l'avanguardia puntava a smitizzare la sacralità delle arti, cercando di porle in diretto contatto con la realtà. Essa divenne un fattore unitario e globale: vennero definiti autori d'avanguardia tutti quegli artisti, scrittori, compositori, pensatori il cui lavoro non solo si poneva in opposizione ai comuni canali di commercializzazione culturale, ma che spesso conteneva anche uno spessore sociale o politico. Il loro atteggiamento estremista e provocatorio rigettava la tradizione e tutto ciò che la rappresentava: si iniziarono a mettere in discussione i modelli accademici, rifiutando i canoni e i generi convenzionali, e prefiggendosi invece di ricercare nuove vie espressive e nuovi soggetti estetici. L'avanguardia mise in discussione l'estetica fin dal suo esordio: la sua sarà un'estetica del disturbo, che sollecita lo stimolo interpretativo e che vede frammentato il proprio fascino in favore di un sconvolgimento del pubblico. Vengono rovesciate le aspettative del gusto borghese, si sconvolge lo spettatore e ci si concentra particolarmente sia sul momento della ricezione dell'opera che sul messaggio che questa intende veicolare. I movimenti d'avanguardia diventano espressione della crisi della società borghese, i cui valori sono ormai intaccati nella loro storica assolutezza e le cui certezze progressiste sono messe continuamente in discussione. Le avanguardie hanno sempre puntato al rinnovamento del linguaggio artistico e letterario, promuovendo una trasformazione radicale dei principi etici e conoscitivi accettati e difesi da quella che era considerata la cultura ufficiale detentrice dei valori “sani”. “Épater le bourgeois”  diventa la regola: gli autori d'avanguardia vogliono scardinare i codici culturali correnti, il gusto ormai consolidato e i mezzi espressivi abituali, per favorire piuttosto un’evoluzione sul piano formale e su quello ideologico, puntando a un cambiamento globale di forma e tecnica.
Al concetto di avanguardia è spesso associata una simbologia particolare: oltre alla volontà di innovazione, esso implica anche l'idea di lotta, di combattimento, di rivoluzione, ma soprattutto di azione collettiva, perpetrata da un gruppo che si scontra con il pensiero convenzionale. L'avanguardia è sempre ideologica in modo dichiarato, perché opera sulla materia secondo una visione della realtà e delle cose che viene fornita a priori come guida e metodologia da seguire. La sua natura è estetico-politica, rifiuta di essere collocata in un ambito separato e specializzato dell'arte, preferendo la realtà nel suo insieme e operando attivamente per trasformarla. Le avanguardie agiscono dal “particolare” al “generale”: sembrano interessarsi esclusivamente a una parte, ma in verità la utilizzano come chiave per la ristrutturazione del tutto. Con l'avanguardia l'antiestetico assume una funzione anticipatrice nei confronti del moderno nella sua totalità; essa rappresenta la volontà di estetizzare globalmente la realtà, trasformandola in opera d'arte (o in antiarte) totale, imprimendo un improvviso e radicale cambio di direzione in campo estetico e sociale. Per gli artisti e i letterati diventa necessario fornire una nuova visione della realtà, fondare una nuova epistemologia e creare un programma totalizzante che unisca sperimentazione artistica e critica ideologica della società borghese, estremismo formale e coscienza politica, affinché la pratica artistica assuma allo stesso tempo un profondo significato sociale, culturale e politico. Gli anni che seguirono la seconda guerra mondiale furono caratterizzati in campo artistico da un generale senso di sfiducia nei confronti di una civiltà che aveva procurato così tanta morte e distruzione. La crisi del rapporto tra arte e società, già avvertita dalle avanguardie, riesplose insieme al malessere sociale, provocando il disorientamento della classe intellettuale: gli artisti non sentivano più la necessità di trasmettere qualcosa alle generazioni future, non credevano più nei valori della società del tempo e capirono di dover iniziare a definire un nuovo concetto di modernità. Nacque in loro la volontà di cambiare, di sperimentare modi sempre nuovi di espressione, di mettere in discussione tutto ciò che appariva consolidato e accettato dalla massa, in un generale atteggiamento di rottura con i percorsi tradizionali dell'arte. Si aprì la via a una pluralità di ricerche: le avanguardie storiche avevano già posto il problema dell'astrazione e l'esperienza informale europea aveva iniziato a risolvere la questione della rappresentazione della realtà, ma ora si ricercava un rapporto nuovo tra l'artista, i materiali con cui lavora, il gesto creativo e l'opera.     Ecco perché potrebbe sembrare oziosa la ragione per cui ho pensato forse, di mutare la datazione tradizionale del periodo artistico più recente , che parte in genere dal secondo dopoguerra,  cioè  dal 1945:  considerando quindi gli anni delle guerra quasi una coda , o una logica conseguenza degli sviluppi del decennio precedente, se non, quasi, un’interruzione nel flusso degli eventi artistici. Se in parte sono vere tutte e tre queste cose , è anche vero che per ragioni magari contingenti, il periodo bellico, più ancora della vittoria finale americana, è stato quello che ha determinato lo spostamento della capitale internazionale dell’arte da Parigi a New York ed ha rappresentato un importante momento di incubazione di esperienze che sono esplose nel periodo immediatamente successivo, come la grande fase internazionale dell’ Informale. In questo periodo siamo nei primi anni quaranta dove un gruppo di artisti e fotografi europei andarono in esilio in America ed in particolar modo a New York . Da tante fotografie dell’epoca si evince che erano di nazionalità francese iniziando dal capo storico del Surrealismo Andrè Breton , gli artisti Masson , Tanguy , Ernest, Duchamp  e Matta tra loro è presente anche Piet Mondrian che avrebbe vissuto gli ultimi anni nella città di New York lascandovi l’eredità della sua complessa speculazione sullo spazio e sulla superficie pittorica. Inoltre erano tornati in America anche come emigranti altri esponenti della cultura surrel-dada , oppure astratta e costruttovista , come Man Ray, Laslò Monholy – Nagy, e Hans Hofmann, un artista tedesco sottovalutato ma che la sua influenza fu determinante per la nuova generazione degli artisti americani. Altri artisti arrivarono in America come l’armeno Gorky e l’olandase De Koorning ma nel contempo molti di loro furono influenzati anche da Mirò, Picasso ed arrivarono anche gli echi di Kandiskij.
Ecco perché nasce il dripping grazie al giovane Pollock, egli fu influenzato in parte dai colori di Marx Ernest. Bisognerà attendere il 1947 prima che questo procedimento diventi per lui abituale,  con le dirompenti conseguenze che lo hanno reso celebre. Definiamo con il termine onnicomprensivo di ‘Informale’ tutta una serie di esperienze verificatesi negli Stati Uniti e in Europa tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni sessanta. E’evidente che, nello spazio di tempo di un quindicennio , in una situazione tanto articolata e vasta quanto quella intercontinentale  presa in esame , non ha quasi senso parlare di ‘un’ solo ‘movimento artistico’ ; ed evidente che le sfaccettature sono tante e molteplici da risultare in alcuni casi incomprensibili tra loro. Dobbiamo pensare che in questo periodo vennero battezzate numerose etichette che solo oggi comprendiamo lo stesso temine: Action Painting e Abstract Expressionism in America , ovvero: ‘Pittura Materica o gestuale’ in Italia ‘Tachisme’ in Francia ecc….E’ ovvio in questo senso , che non solo il termine ‘Informale’, come verrà qui usato , ha un suo valore  ‘riassuntivo’ rispetto a queste esperienze diverse limitiamoci per ora a constatare delle differenze che sono solo fondamentalmente di orientamento e di scelta puramente formale dividendo tra gestuale , materica e segnica . Possiamo dire che l’Informale risolve il suo approccio all’arte apparentemente in modo formale con un ritorno al quadro, alla pittura,  e alla scultura. Questo ritorno alla pittura consiste quindi nel coprire la superficie della tela con materie colorate questa distinzione tradizionale tra fondo e figura e tra forma  e spazio che era sopravvissuta in linea di massima in ogni caso tutto è cambiato c’è quasi un’aggressione al quadro ed inoltre la pittura ‘veloce’ come l’informale  richiedeva  una trasformazione tra ‘forma e dinamica’ tutto diviene un movimento tralasciando la staticità che c’era nella tradizione astratta. La pittura è un’attività ‘autografica’ , quindi quasi una ‘scrittura’ , privata del pittore , determinata nel tempo ( che coincide col tempo, in genere veloce , di esecuzione del quadro ) , una pulsione interna che viene espressa attraverso il gesto oppure attraverso una sequenza di gesti. Alla base c’è il gesto questa è la novità della nuova ‘pittura’ che si evince in primis dal gesto, ma anche dal concetto di ‘improvvisazione’ come avviene anche nella musica ‘jazz’. Poiché la superficie del dipinto si presenta come un insieme in cui non sono realmente distinguibili figura e sfondo , il disegno, quando compare , non si presenta come contorno di una campitura ben delineata , ma come ‘struttura di segni’, che innerva la superficie del dipinto , così come il colore non riempie nessuna forma, ma si contrappone liberamente ad altri colori , facendosi esso stesso disegno , figura’, o superficie , o tutte e tre le cose contemporamente. In effetti tutti i residui di illusionismo spaziale che è dato di cogliere sono dovuti alla libera contrapposizione dei colori tra loro. Dato che la superficie è alla base del nuovo percorso comunicativo dell’artista e nel contempo si denota una differenza tra l’astrazione e la pittura informale alla base, c’è un linguaggio lirico di ascendenza espressionista. Negli Stati Uniti si inizia ha definire un tipo di pittura ‘Espressionismo astratto’ , come quella di De Kooning che cerca di percorrere sia il linguaggio figurativo e astratto la stessa cosa avviene in Europa dove si afferma il gesto e l’improvvisazione. Molti sono gli esempi l’informale figurativo è una pittura che procede con larghe stesure di superficie , in cui il disegno interviene spesso come una struttura ulteriore , che ricopre la superficie ‘a griglia’ . La gabbia dei segni non è necessariamente astratta , pur opponendosi alla nozione di ‘forma’ . Anche la linea paradossalmente si fa superficie. Appaiono quindi , a volto, delle ‘figure’ : quasi dei graffiti infantili, come nei quadri di Dubuffet , di De Kooning e di  Antonio Saura.  In Italia per la maggioranza degli artisti , l’Astrazione e l’Informale sono punti di arrivo , dopo un tentativo di percorrere a tappe forzate un percorso di aggiornamento , altrove più scontato , attraverso una figurazione neocubista o picassiana , e una fase di iniziazione /sperimentazione su nuovi materiali della pittura , spesso basata su suggerimenti provenienti dalla Francia o dall’America . Questo premessa non deve tuttavia far pensare a una situazione povera e provinciale.  In effetti l’Italia vive, nell’immediato dopoguerra , un’intensa stagione creativa , che la porta in pochi anni a un dialogo intenso e alla pari con altri paesi europei. Come si è detto , molti dei futuri pittorici informali attraversano, durante e subito dopo la guerra , una fase figurativa : alcuni come Morlotti , non la lasceranno mai, dando vita a un curioso ‘linguaggio ibrido’. Artisti provenienti dal clima della scuola romana , come Afro e gli scultori Leoncillo e Mirko che era il fratello di Afro, dopo una fase ‘figurativa e neocubista’ , affogheranno sempre più le loro suggestioni figurative in linguaggio astratto e, in seguito , informale , che tocca il suo apice creativo tra la metà degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta . Artisti origine o formazione veneziana , come Vedova o Turcato daranno una visione nuova all’ informale in Italia. Lo stesso succederà in seguito con Lucio Fontana con i suoi concetti spaziali e Alberto Burri che nella sua arte la materia diviene la sua pittura . Emilio Vedova proviene da una famiglia operaia e si forma come pittore prevalentemente autodidatta. Tenta svariati mestieri: in fabbrica, presso un fotografo, da un restauratore. A metà degli anni Trenta inizia a disegnare e a dipingere con grande intensità, privilegiando, come soggetti, prospettive, architetture, figure e molti autoritratti. Nel 1936-37 è ospite di uno zio a Roma dove frequenta la ‘Scuola Libera di Nudo’ di Amedeo Bocchi, quindi trascorre un periodo a Firenze frequentando con poca assiduità una scuola libera. Nel 1942 espone tre quadri al Premio Bergamo e aderisce al gruppo milanese ‘Corrente’. Il movimento di Corrente si preparò tra 1934 e 1937 e si costituì intorno alla rivista Vita giovanile -poi Corrente di vita giovanile e infine ‘Corrente- edita’ a Milano nel gennaio 1938 da Ernesto Treccani: fu punto di incontro per Renato Birolli, Renato Guttuso, Bruno Cassinari, Aligi Sassu, Giuseppe Migneco, Arnaldo Badodi, Ennio Morlotti, Italo Valenti, Emilio Vedova. In seno al movimento, gli artisti adirono a una fitta comunicazione (nuovo fu lo stretto contatto con la critica) e a un certo grado di organizzazione. Al di là dell´entusiasmo per il Picasso di Guernica, fu assunta a modello la pittura di Van Gogh, Gauguin, Ensor e degli espressionisti tedeschi, ricca di accesa emotività. La tendenza fu di proporre alla cultura un forte rinnovamento, con il sostegno di filosofi, poeti e letterati, da Banfi a Ungaretti a Vittorini. I giovani della generazione che succedeva a quella dei metafisici esprimevano la volontà di riunirsi alla tradizione europea. L´opposizione al ‘neoclassicismo novecentesco’ e ufficiale, per ritrovare la libertà dell´arte, avvenne mediante accentuazioni espressioniste verificabili in incrementi nella libertà di ‘ductus’ e nelle tensioni e problematiche germinanti nell´opera. Il movimento significò la costituzione di una vera ‘militanza politica’ d´opposizione al regime, allo scopo di riconquistare l´indipendenza ideologica. La rivista fu soppressa nel maggio 1940 ma l´azione proseguì con edizioni d´arte e letteratura e un´attività espositiva che, iniziata presso la ‘Bottega di Corrente’ in via Spiga 9, diretta da Duilio Morosini, trovò il sostegno del collezionista Alberto della Ragione. Il gruppo espresso dalla mostra nazionale del dicembre 1939 a Milano, dal coevo Premio Bergamo (che vide partecipare all´edizione del 1942 -con la Crocefissione di Guttuso- tutti gli artisti di Corrente) e nelle stesse ‘Gallerie di Corrente’ che ospitarono le personali di molti artisti del gruppo e varie rassegne di gruppo, negli anni tra 1939 e 1943, risulta assai allargato. Si considerano, accanto ai citati, i nomi di Broggini, Cantatore, Cherchi, Fontana, Grosso, Lanaro, Levi, Mafai, Mantica, Manzù, Mucchi, Paganin, Panciera, Pirandello, Ponti, Prampolini, Scipione, Tomea, e ancora, Bo, Ferrata, Lattuada, Gatto, Malipiero, G.Labò, Quasimodo, Rebora, Sereni. Nel 1944 il gruppo di Corrente era disperso. Molti dei suoi componenti animarono le file della Resistenza. Birolli e Guttuso documentarono nei loro cicli grafici, con il secco ´disegno realista´, la crudeltà della guerra. La maggior parte degli autori portò a nuovi sviluppi la propria attività creativa nel dopoguerra. Un´ampia rassegna rievocativa del movimento di ´Corrente´ in tutti i suoi aspetti è stata allestita a Palazzo Reale di Milano nel 1985.L'anno seguente Vedova tiene una mostra di disegni alla galleria La Spiga, subito chiusa dalla polizia segreta fascista. Negli anni 1944-45 partecipa attivamente alla Resistenza e nei lavori di questi anni si nota già un segno più vigoroso. Nel 1946 firma a Milano il ‘Manifesto del realismo’ (Oltre Guernica) ed è a Venezia tra i fondatori della ‘Nuova secessione italiana’, poi ‘Fronte nuovo delle arti’. Inizia la partecipazione ad una serie di mostre collettive internazionali, tra cui la Biennale di Venezia nel 1948 e nel 1950, la Biennale di San Paolo nel 1951, ancora la Biennale veneziana nel 1952, Documenta di Kassel nel 1955. A rassegne come la Biennale di Venezia e Documenta di Kassel parteciperà in diverse altre edizioni. Si associa al ‘Gruppo degli Otto’ (1951), promosso da Lionello Venturi, dal quale si dissocia due anni più tardi con una dichiarazione pubblica nel corso del convegno ‘Alta Cultura’ alla Fondazione Giorgio Cini. Crea collages materici e assemblages e lavora in ambito informale con un'intensa gestualità sulla scala cromatica dei bianchi e dei neri, con inserimento dei rossi. Realizza il Ciclo della protesta e il Ciclo della natura. Nel 1954 partecipa alla II Biennale di S. Paolo del Brasile e gli viene conferito un premio che gli permette di trascorrere tre mesi in Brasile. Qui viene fortemente colpito dalla realtà delle zone interne del Sudamerica e dal Carnevale di Rio. Nel 1956 ha luogo la prima personale in Germania, a Monaco. Nel 1958 inizia un intenso lavoro litografico e ottiene il Premio Lissone. L'anno seguente espone il primo Scontro di situazioni, un ciclo con tele disposte ad angolo, all'interno della mostra Vitalità nell'arte, allestita nel veneziano Palazzo Grassi e curata da Carlo Scarpa. Nel 1960 viene insignito del Gran Premio per la pittura alla XXX Biennale di Venezia, assegnatogli da una giuria internazionale di soli esperti. Dai primi anni Sessanta lavora ai Plurimi, realizzazioni polimateriche ampiamente articolate nello spazio ed estensibili, esposti in una prima mostra alla ‘Galleria Marlborough’ di Roma e presentati da Giulio Carlo Argan. Diverse università americane lo invitano a tenere delle ‘lectures’ sui suoi Plurimi. Avvia una serie di esperienze didattiche alla Sommerakademie für bildende Künste di Salisburgo, dal 1965, e all'Accademia di Venezia, dal 1975. Costantemente rivolto all'innovazione nella ricerca, crea lastre in vetro in collaborazione con la fornace muranese di Venini, Spazio-plurimo-luce, lavora ai cicli di Lacerazioni e Frammenti, realizza i Dischi e i Cerchi, inoltre collabora con Luigi Nono alle scenografie di Intolleranza '60 e Prometeo. La sua forte volontà creatrice si manifesta anche nella produzione incisoria attraverso sperimentazioni sulle varie tecniche. Tra le ultime mostre personali si ricordano quelle alla Galleria Civica d'Arte Contemporanea di Torino nel 1996, al Castello di Rivoli nel 1998, alla Galleria Salvatore e Caroline Ala di Milano nel 2001. Muore a Venezia il 25 ottobre 2006. Mentre Alberto Burri  è l’artista italiano che insieme a Emilio Vedova ad aver dato il maggior contributo italiano al panorama artistico internazionale di questo secondo dopoguerra. La sua ricerca artistica è spaziata dalla pittura alla scultura avendo come unico fine l’indagine sulle qualità espressive della materia. Ciò gli fa occupare a pieno titolo un posto di primissimo piano in quella tendenza che viene definita ‘informale’. Nato a Città di Castello in Umbria, segue gli studi di medicina e si laurea nel 1940. Arruolatosi come ufficiale medico, viene fatto prigioniero a Tunisi dagli inglesi nel 1943. L’anno successivo viene trasferito dagli americani in un campo di prigionia in Texas. Qui inizia la sua attività artistica. Tornato in Italia abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Sin dall’inizio la sua ricerca si svolge nell’ambito di un linguaggio astratto con opere che non concedono assolutamente nulla al figurativo in senso tradizionale. Le prime opere che lo pongono all’attenzione della critica appartengono alla serie delle ‘muffe’, dei ‘catrami’ e dei ‘gobbi’. Questa opere, che esegue tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta, conservano un carattere essenzialmente pittorico, in quanto sono costruite secondo la logica del quadro. Le immagini, ovviamente astratte, sono ottenute, oltre che con colori ad olio, con smalti sintetici, catrame e pietra pomice. Nella serie dei ‘gobbi’ introduce la modellazione della superficie di supporto con una struttura di legno, dando al quadro un aspetto plastico più evidente. Alla prima metà degli anni Cinquanta appartiene la sua serie più famosa: quella dei ‘sacchi’. Sulla tela uniformemente tinta di rosso o di nero incolla dei sacchi di iuta. Questi sacchi hanno sempre un aspetto ‘povero’: sono logori e pieni di rammenti e cuciture. Al loro apparire fecero notevole scandalo: ma la loro forza espressiva, in linea con il clima culturale del momento dominato dal pessimismo esistenzialistico, ne fecero presto dei ‘classici’ dell’arte. Con alcune mostre tenute da Burri in America tra il 1953 e il 1955 avviene la sua definitiva consacrazione a livello internazionale.
La sua ricerca sui sacchi dura solo un quinquennio. Dal 1955 in poi si dedica a nuove sperimentazioni che coinvolgono nuovi materiali. Inizialmente sostituisce i sacchi con indumenti quali stoffe e camicie. La sua ricerca è in sostanza ancora tesa alla sublimazione poetica dei rifiuti: degli oggetti usati e logorati ne evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi dell’esistenza non solo umana ma potremmo dire cosmica. Dal 1957 in poi, con la serie delle ‘combustioni’, compie una svolta significativa nella sua arte, introducendo il ‘fuoco’ tra i suoi strumenti artistici. Con la fiamma brucia legni o plastiche con i quali poi realizza i suoi quadri. In questo caso l’usura che segna i materiali non è più quella della ‘vita’, ma di un’energia che ha un valore quasi metaforico primordiale – il fuoco – che accelera la corrosione della materia. Nella sua poetica è sempre presente, quindi, il concetto di ‘consunzione’ che raggiunge il suo maggior afflato cosmico con la serie dei ‘cretti’ che inizia dagli anni Settanta in poi. In queste opere, realizzate con una mistura di caolino, vinavil e pigmento fissata su cellotex, raggiunge il massimo di purezza e di espressività. Le opere, realizzate o in bianco o in nero, hanno l’aspetto della terra essiccata. Anche qui agisce un processo di consunzione che colpisce la terra, vista anch’essa come elemento primordiale, dopo che la scomparsa dell’acqua la devitalizza lasciandola come residuo solido di una vita definitivamente scomparsa dall’intero cosmo. Nell’opera di Burri l’arte interviene sempre ‘dopo’. Dopo che i materiali dell’arte sono già stati ‘usati’ e consumati. Essi ci parlano di un ricordo e ci sollecitano a pensare a tutto ciò che è avvenuto nella vita precedente di quei materiali prima che essi fossero definitivamente fissati nell’immobilità dell’opera d’arte. La poetica di Burri, più che il suo stile, hanno creato influenze enormi in tutta l’arte seguente. La sua opera ha radicalmente rimesso in discussione il concetto di arte, e del suo rapporto con la vita. La crisi della razionalità moderna, in cui regnava il caos, venne rappresentata da un'arte vissuta come esperienza; l'opera non nasce da un progetto stabilito a priori, ma da un processo di improvvisazione realizzato per prove ed errori. Gli artisti si trovarono nuovamente di fronte alle dinamiche del mondo in cui vivevano: iniziarono a interrogarsi sia sulle problematiche più generali dell'uomo che sui postulati fondamentali dell'arte. L'opera non venne più semplicemente collocata nello spazio, ma ne divenne un elemento qualificante mentre continuava l'interesse per l'abbattimento dei limiti fisici dell'opera, che spesso sfociava in episodi nuovi come l'happening e la performance. Il superamento delle avanguardie artistiche della prima metà del Novecento avvenne con la creazione di un nuovo linguaggio che progressivamente si allontanò dalla figuratività tradizionale; l'interesse fu sempre più rivolto agli elementi della pittura piuttosto che al soggetto, e la forma e le tecniche assunsero un ruolo determinante. L'evento decisivo che trasformò le avanguardie in quello che ancora oggi rappresentano simbolicamente fu paradossalmente la loro dissoluzione a causa della crisi europea emersa durante la seconda guerra mondiale. Costretti all'esilio, gli artisti europei (principalmente espressionisti e surrealisti) formarono una sorta di comunità bohème negli Stati Uniti, che da quel momento rappresenteranno il nuovo baricentro mondiale dell'arte. Il processo di revisione delle istanze artistiche della prima metà del secolo venne ben accolto dai giovani artisti emergenti locali, in ribellione dal realismo sociale imperante; essi iniziarono a mettere in discussione il portato storico delle avanguardie attraverso la sperimentazione di mezzi e tecniche nuovi, rivolgendo la propria attenzione verso la pittura di superficie e recuperando la lezione di Astrattismo, Surrealismo e Dada. Tra l'artista e la tela si instaurava un rapporto emotivo, dato che essa funge da cassa di risonanza per le problematiche esistenziali: i quadri, fattisi di dimensioni sempre maggiori, privati di ogni illusione di profondità e prospettiva, diventano i luoghi dove scaricare la potenzialità del gesto, del segno e del colore. Questo tipo di pittura, che richiedeva un forte impegno gestuale da parte dell'artista, venne definita dal critico statunitense Harnold Rosenberg “Action Painting” (pittura d'azione). Più genericamente, la produzione artistica di quegli anni è stata classificata come “Espressionismo Astratto”, etichetta che comprende tutti quegli artisti che operarono a New York nell'immediato dopoguerra, con caratteristiche che rimandano sia all'intensità emotiva degli espressionisti tedeschi che all'estetica anti-figurativa di Futurismo e Cubismo, con l'aggiunta di una componente di anarchica e idiosincratica ribellione. Franz Kline, Willem De Kooning, Arshile Gorky, Robert Motherwell, William Congdon, Mark Rothko e Jackson Pollock rappresentarono la continuazione (con qualche adattamento) delle avanguardie storiche europee in suolo statunitense. Gran parte dell'arte della seconda metà del Novecento sarà all'insegna di Duchamp: New Dada e Nouveau Réalisme raccolsero e svilupparono l'eredità dell'assemblaggio fortuito di materiali nati in ambito extra artistico, eliminando la bidimensionalità del quadro a favore del suo coinvolgimento spaziale. Vennero negati i concetti tradizionali dell'estetica, la tecnica venne abbandonata e fu decretata la supremazia del gesto. Gli artisti cercarono di porre fine all'estraniamento della cultura di massa a cui era giunta la pittura astratta; provocazioni e giochi mentali obbligavano lo spettatore a riflettere sulla realtà e sulle proprie aspettative artistiche. Secondo Jackson Pollock , autore dei dripping la tecnica basata sullo sgocciolamento di pittura sulla tela e primo artista in grado di esprimere con un linguaggio nuovo tutte le contraddizioni della società capitalista avviata a trasformarsi in società dei consumi, il quadro era il risultato di un evento, sempre più legato alla vita privata dell'artista, sintomo di un'equivalenza tra arte e vita. «La tecnica è solo un modo per arrivare a un'idea». Da questo momento in poi le opere vennero generate dall'incontro di varie discipline: musica, danza, cinema e fotografia abbattevano i confini dei propri linguaggi, anche coinvolgendo direttamente il pubblico nella realizzazione dell'opera. Nel 1961 avvenne il primo happening della storia dell'arte, “Yard”, organizzato da Kaprow alla Reuben Gallery di New York: l'autore si ispirava alla vita quotidiana e gli spettatori furono chiamati a partecipare attivamente alla realizzazione dell'opera, diventandone i veri protagonisti. La caratteristica principale divenne l'eliminazione del pubblico in quanto tale, separato dall'opera e dall'artista, a favore di una sua totale integrazione nel sistema. Lo scopo era quello di ricondurre l'arte nel flusso della vita e proprio il termine latino “fluxus” verrà utilizzato per identificare la neonata corrente artistica che cercava di togliere l'arte dai supporti fisici come cavalletto e cornice, per reinserirla nel quotidiano. Gli happening e le performance riuscirono a teatralizzare la produzione e la fruizione dell'arte, portandola fuori dagli spazi canonici, nelle strade, in mezzo alla natura. Il corpo e l'azione dell'artista divennero parte integrante dell'opera e «i linguaggi delle arti si mescolarono nella dimensione performativa». In questo modo non vi sarà più un modo univoco di guardare l'opera, bensì una pluralità di sguardi potenzialmente infinita. Attraverso l'eliminazione dei limiti spazio-temporali tra artista, opera d'arte e spettatori avvenne il passaggio dall'epoca moderna a quella contemporanea: l'osservatore sarà sempre più coinvolto nell'opera che ha di fronte a sé e il suo giudizio non sarà più quello di un attore esterno, ma di un partecipante all'opera stessa. Mentre Espressionismo Astratto e Informale europeo dilagavano, generando una ripetizione di generi e stili, a partire dagli anni Sessanta iniziarono a nascere i movimenti che gli si contrapponevano. Le nuove correnti tendevano a recuperare le diverse eredità delle avanguardie storiche, portandone però a uno stadio più analitico e radicale le tecniche e le premesse. Si iniziò a giocare sull'ambiguità tra il modello e la sua interpretazione, scegliendo tecniche meccaniche di riproduzione atte a rendere l'immagine il più oggettiva possibile. Le case del tempo si riempirono di oggetti nuovi come frigoriferi, lavatrici, aspirapolvere, cibi in scatola e bevande confezionate, i nuovi status symbol dell'era moderna. Gli aspetti produttivi della società dei consumi divennero gli elementi iconografici delle opere d'arte, capaci di agire sull'inconscio collettivo: con l'avvento della Pop Art l'immagine pubblicitaria proporrà in modo ripetitivo una figurazione semplice, desunta dal quotidiano e dai mezzi di comunicazione di massa (fumetti, rotocalchi, televisione). Servendosi di tecniche dell'industria e della produzione commerciale, come la stampa serigrafica, la fotografia e la grafica pubblicitaria, gli artisti pop svilupparono una visione cinica e ironica della società, quasi una presa d'atto dell'omologazione tra consumi e realtà. Le loro opere non volevano esprimere giudizi o dare ammonimenti, ma soltanto essere testimoni del proprio tempo, diversamente dall'atteggiamento impegnato degli happening. La Pop Art si proponeva come il primo movimento artistico che prendeva in considerazione la rivoluzione dei media, ma senza condannarla, anzi utilizzandola a proprio vantaggio. Esplorando il gusto popolare e il kitsch, spesso venivano rappresentati dei personaggi culto, come i divi del cinema, i cantanti e i politici. Nessuno meglio di Andy Warhol rappresentò lo spirito del tempo; fu il più grande esponente di questa corrente, in grado di mettere in risalto l'aspetto decadente e devitalizzato della realtà tramite un mezzo oggettivante come la fotografia. Sarà nella sua opera che emergeranno le implicazioni dell'arte d'avanguardia con la cultura di massa e della dimensione simbolica della società con quella economica il consumismo venne esorcizzato attraverso la ripetizione seriale delle immagini e la trasformazione cromatica della serigrafia. Warhol era amante della vita mondana, si interessava ai giornali e alle star del cinema, che considerava delle vere e proprie immagini viventi; gli premeva esplorare come il mondo della comunicazione si trasformasse intorno a lui, senza però mai prendere una distanza critica o una posizione etica. Partendo dalla banalità, dipingeva la quotidianità e ciò che diventava oggetto di adorazione collettiva, togliendo ai volti dei divi ogni segno del tempo e tramutandoli in icone eterne. Gli anni Sessanta e Settanta furono anche e soprattutto l'epoca delle lotte sociali e delle contestazioni politiche, che ovviamente ebbero delle ripercussioni sull'ambiente culturale del tempo. L'arte si fece portavoce della lotta politica, rifiutando le convenzioni estetiche borghesi e il formalismo che caratterizzava il modernismo: dal movimento Internazionale situazionista nato nel 1958 e dall'Arte concettuale, si ebbero le prime risposte alla crisi sociale. La protesta si rivolse alla mercificazione dell'arte: si diffusero le performance, eventi unici e irripetibili dove i protagonisti erano gli artisti e il pubblico presente, e dove l'azione era totalmente incentrata sul corpo umano. Nacque la Body Art, le cui espressioni più provocatorie e scandalose furono quelle dell'Aktionismus viennese: impegnati a scandalizzare il pubblico e ad eliminare i tabù della società, gli esponenti del gruppo oltre che infrangere le regole dell'arte, violavano quelle civiche, venendo spesso arrestati per atti osceni in luogo pubblico a causa delle loro azioni blasfeme e provocatorie, al confine tra sado-masochismo e autolesionismo. In questi anni l'artista cercava di riaffermare un vero e proprio rapporto con lo spettatore: l'arte degli anni Sessanta ebbe una flessione ideologica, si voleva ridefinire l'idea di arte e di artisticità in un'atmosfera di continuo cambiamento e sperimentalismo. L'enorme successo di Espressionismo Astratto e Pop Art favorì la nascita di tendenze contrapposte, che sì riprendevano caratteristiche pop come la serialità e la mancanza di soggettivismo, ma che criticavano invece il suo aspetto commerciale e consumista; poiché queste nuove correnti sviluppavano l'eredità delle avanguardie storiche, vennero spesso definite “neoavanguardie”. In esse l'attenzione non era tanto verso l'opera come risultato finito, ma verso l'analisi del metodo, dell'idea e dell'atteggiamento mentale e fisico del suo processo di realizzazione; il dissenso ideologico si trasformò in aperta protesta contro il sistema commerciale e contro la riduzione delle opere a semplice merce. Le opere rifuggivano sia i luoghi tipici dell'arte come musei e gallerie, sia gli allestimenti e i materiali tradizionali. L'allargamento delle tecniche portò alla contaminazione con altri ambiti creativi: la qualità artistica dell'opera non era più legata alla manualità, ma all'inventiva e al messaggio dell'artista. Sconfinando dalla nozione di opera legata ai supporti tradizionali, nacquero le esperienze dell'Arte Povera, del Minimalismo, degli Earth Works, della Land Art e della Body Art, che affermarono una nuova dimensione estetica e una dilatazione spazio-temporale dell'oggetto artistico. L'attenzione alla struttura interna dei segni, in relazione con quanto elaborato dalle avanguardie storiche, si manifestò tramite l'Arte Concettuale, la pittura analitica e, in misura diversa, l'iperrealismo. In questi anni si perseguiva l'idea di una riflessione concettuale del linguaggio; la pittura, ancora molto presente, dialogava con l'ambiente e veniva accostata ai nuovi media elettronici. Nel monumentale spazio di ingresso nel museo i visitatori saranno accolti dalla grande opera in marmo bianco Femme Paysage di Jean Hans Arp del 1966, a rappresentare l’ampia raccolta di sculture della Collezione Henraux oggi confluita in Intesa Sanpaolo. Arp apre, come una sorta di punto focale, all’allestimento dedicato all’artista Bruno De Toffoli, autore firmatario di uno dei Manifesti dello Spazialismo, movimento espressione della ricerca plastica e strettamente legato a Lucio Fontana. Sarà questa una rara occasione di approfondimento per vedere riunite le nove sculture di questo Artista meno noto al grande pubblico e mai esposte in un così serrato confronto. Un allestimento con radici cronologiche che partono dai grandi Maestri della scultura del XX Secolo destinati a segnare la produzione figurativa delle arti plastiche italiane. Sarà così possibile ammirare nelle prime sale, tre grandi artisti del Novecento come Arturo Martini con La Pisana, Marino Marini con la Pomona e Giacomo Manzù con il Grande Cardinale Seduto, opere raramente esposte insieme e qui riunite come emblematiche delle radici della scultura italiana. Un momento completamente inedito sarà la sala dedicata a Fausto Melotti nella quale verrà mostrato per la prima volta al pubblico un importante corpus fittile del Maestro, protagonista anche della scultura ceramica, attraverso un particolare allestimento che presenterà 19 opere rappresentative dei suoi contenitori e vasi ceramici tra cui quattro importanti Korai. Interessante il dialogo tra l’opera Coppia in filo di rame già esposta nel percorso permanente delle Gallerie d’Italia e un’altra opera, anch’essa in filo di rame, proveniente dalla collezione Luigi e Peppino Agrati. Grazie al confluire delle varie raccolte ci sarà una sala interamente dedicata a Lucio Fontana come evidente rimando al tema dello Spazialismo. Di questo Maestro, figura centrale dell’arte contemporanea del XX Secolo e riconosciuta internazionalmente, si esporranno importanti opere tra cui il grande Concetto spaziale. Attese del 1965. Qui riuniti per dare continuità alla tradizione moderna e contemporanea della scultura in ceramica vi saranno alcuni piatti denominati Antica Savona, creazioni fittili spazialiste e l’importante nucleo delle tre Nature in bronzo e terracotta. Particolarmente significativa sarà la sala dedicata all’azzeramento e alla monocromia nell’arte contemporanea internazionale dei primissimi anni Sessanta, il cui perno sarà la scultura Complex Form di Sol LeWitt, recentemente entrata nelle Collezioni Intesa Sanpaolo. In questo spazio il pubblico troverà un confronto armonico tra un maestro del minimalismo americano come Robert Ryman e protagonisti della ricerca italiana come Piero Manzoni, Alberto Burri, Toti Scialoja e Enrico Castellani presente con il monumentale lavoro Superficie bianca 35 del 1966. Nelle due sezioni successive sarà invece possibile indicare in modo preciso, seppur sintetico, alcune ricerche legate all’astrazione e al segno della pittura alla fine degli anni Cinquanta. Emblematici di quella ricerca sono artisti come Carla Accardi con l’opera Senza Titolo, Giulio Turcato e Antonio Sanfilippo con Superficie 45/C/63. Si presenta al pubblico un importante dipinto di Corrado Cagli, Il flauto di canna, che rappresenta la continuità del grande pittore aprendo le sperimentazioni degli anni Sessanta. L’opera introdurrà idealmente al nucleo di sculture di Pietro Consagra, tra cui Bifrontale malachite, dedicate al tema della ricerca sulle Pietre e sui Marmi che l’Artista conduce negli anni Settanta e Ottanta del Novecento e che, tramite l’utilizzo delle preziose e seducenti materie, esemplifica con queste opere quella scultura frontale di cui egli è teorico e scultore. Il percorso espositivo prevede nel passaggio verso il “Cantiere del ’900” un ideale cannocchiale tematico e visivo con opere di artisti che, partendo dall’astrazione classica, giungono nel Secondo dopoguerra ad una pittura sempre più minimale e procedurale. È il caso di un’artista come Bice Lazzari qui presente con Misura 9, Mario Nigro con un’astrazione pittorica prossima alla pittura analitica e di concetto come Roman Opalka che procede giorno per giorno alla stesura numerica componendo queste grandi e rarissime tele che sono alla soglia del monocromo. Alcuni studi qui esposti accenneranno alle modalità poetiche ed esecutive di Sol LeWitt. Di questo Maestro americano sarà l’accenno dell’importante scultura Three Cubes (Straight) del 1969, appena giunta nelle Collezioni Intesa Sanpaolo, ad assumere quasi l’aspetto di una scala architettonica entrando nello spazio di “Cantiere del 900”, la cui prospettiva costituita da profili cubici inquadrerà il punto di arrivo di questo percorso rappresentato dalla recente acquisizione Abstraktes Bild del 1984 di Gerhard Richter.
Il percorso espositivo sarà dunque una nuova occasione di approfondimento e valorizzazione dei numerosi temi, autori, movimenti presenti nelle Collezioni Intesa Sanpaolo. Il museo di Milano, insieme a quelli di Napoli, Torino e Vicenza, è parte del progetto museale Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo guidato da Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici della Banca.
Galleria d’Italia Milano – Museo di Intesa Sanpaolo
Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura
dal 26 Maggio 2023 al 22 Ottobre 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 9.30 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 9.30 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso 
 
Foto Allestimento Mostra Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura
credit © Roberto Serra