Giovanni Cardone Marzo 2022
Fino al 26 Giugno 2022 si potrà ammirare presso il Castello di Rivoli Torino la mostra A. B. O. THEATRON. L’Arte o la Vita a cura di Coordinamento e sviluppo curatoriale di Andrea Viliani, Concept Carolyn Christov-Bakargiev e Achille Bonito Oliva. Questa mostra nasce grazie al Centro di Ricerca del Castello di Rivoli che indaga sulla figura di uno dei più importanti storici dell’arte, critici e curatori contemporanei Achille Bonito Oliva. Come afferma Andrea Viliani Responsabile e Curatore del CRRI “È stata una continua scoperta e un grande privilegio dedicarmi in questi due anni allo studio di un archivio ancora inedito quale quello che ricostruisce gli oltre sessant’anni di attività critica ed espositiva di Achille Bonito Oliva. La nostra mostra è una pietra miliare nell’ambito della programmazione del Castello di Rivoli e del suo CRRI dedicata ai più grandi curatori del XX secolo” Mentre il Direttore del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev dice: “Achille Bonito Oliva inaugura una figura di curatore particolarmente espressivo, istrionico, sperimentale, al contempo enciclopedico e comportamentale compagno di strada degli artisti, in netto contrasto con le figure dei critici d’arte tradizionali che, prima di lui e della sua generazione, realizzavano mostre basate su presunti criteri scientifici di selezione e interpretazione. Achille è narcisista ma non vanitoso, una creatura straordinaria e intelligentissima.” Tra i capolavori in mostra figura l’opera Primo piano labbra del 1965 di Pino Pascali presente nella prima mostra del curatore alla Libreria-Galleria Guida a Napoli nel 1966. In mostra anche il capolavoro Lo Spirato (1968-73) di Luciano Fabro presente in Contemporanea nel 1973, oltre a una serie di importanti opere della Transavanguardia tra le quali Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro del 1977 di Mimmo Paladino, Cani con la lingua a spasso del 1980 di Enzo Cucchi, Sinfonia incompiuta del 1980 di Sandro Chia,
Il cerchio di Milarepa del1982 di Francesco Clemente e Testa dell’artista cosmico a Torino (1984-85) di Nicola De Maria. In mostra anche La Luna del 1968 di Fabio Mauri esposto in Vitalità del negativo, 1970; Metrocubo d’Infinito del 1966 di Michelangelo Pistoletto e Articolazione totale del 1962 di Francesco Lo Savio esposti in Minimalia nel 1997-99, nonché TV-Buddha Duchamp-Beuys del 1989 di Nam June Paik presente nella mostra Tribù dell’Arte, 2001. Di particolare interesse anche Fountain (1917-64) di Marcel Duchamp. A partire dalla sua formazione e attività nell’ambito della poesia visiva e delle cosiddette “Neoavanguardie” linguistiche e letterarie della fine degli anni Sessanta, nei suoi successivi progetti Bonito Oliva ha posto in relazione tra loro alcuni dei più importanti artisti della seconda metà del XX secolo contribuendo a definire linee di ricerca radicali quali, alla fine degli anni Settanta, quelle afferibili alla Transavanguardia italiana, ponendole in relazione dialettica con le ricerche del decennio precedente, fra cui l’Arte povera e l’Arte concettuale, e sostenendo riletture raffinate ed eterodosse quale quella del Manierismo italiano e europeo. Con il suo libro del 1976 L’ideologia del traditore. Arte, maniera e manierismo, Bonito Oliva ha analizzato come, dopo il Rinascimento, il Manierismo abbia attuato un passaggio dal principio della creazione a quello della citazione, quale risposta da parte dell’artista alla crisi della sua epoca: l’artista ha perso la sua centralità rinascimentale ed è diventato una figura laterale. Questo ricorda la figura del traditore che guarda il mondo, e non lo accetta, vorrebbe cambiarlo ma può agire solo nello spazio della riserva mentale. Un simile principio corrisponde alla crisi ideologica, economica, politica e sociale della fine degli anni Settanta del XX secolo, e che Bonito Oliva pone quindi alla base anche della sua teorizzazione della Transavanguardia nel 1979.
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla Transavanguardia e sulla figura di Achille Bonito Oliva che divenne seminario universitario apro il saggio dicendo : Achille Bonito Oliva è stato un fine intellettuale dei nostri giorni, nonché uno massimi curatori e storici e critici d’arte che ha saputo raccontare l’arte nella sua essenza. Egli è stato allievo di Filiberto Menna in seguito aderisce al Gruppo ’63 un movimento che fu definito di neoavanguardia per differenziarlo dalle avanguardie storiche del Novecento, costituito a Palermo nell'ottobre del 1963 da alcuni giovani intellettuali fortemente critici nei confronti delle opere letterarie ancora legate a modelli tradizionali tipici degli anni cinquanta. Con “Il territorio magico” del 1971 si concentra su artisti eretici quali, Gino De Dominicis e Vettor Pisani. Ma nel 1976 arriverà “L’ideologia del traditore” che prepara il terreno alla Transavanguardia. Gino De Dominicis fece della riservatezza, dell'isolamento e del mistero sulla sua persona un tratto distintivo. Tuttavia è possibile riconoscere delle tematiche e dei caratteri ricorrenti in tutta la sua attività artistica la questione dell'immortalità del corpo, il mistero della creazione, il demoniaco, le tradizioni occulte, la nascita dell'universo, il senso ultimo ed il significato stesso della materia e dell'esistenza delle cose la creazione artistica come pratica anti-entropica, ovvero capace di arrestare l'irreversibilità del tempo un sistema di pensiero radicato nella Storia, in particolare sui Sumeri e l'epopea di Gilgamesh, il mitologico signore della città mesopotamica di Uruk e la figura mitologica di Urvasi la dea indiana della bellezza il tema dell'invisibilità e del raggiungimento di obiettivi impossibili; - il superamento della gravità, dichiarando: “Così come il disegno e la pittura, la mia "scultura" non è condizionata dalla forza di gravità”; - la visione dell'artista come un prestigiatore: “Un pittore è come un prestigiatore che con i suoi giochi deve riuscire a sorprendere se stesso. E in questo sta la complessità”. Ricorse spesso a elementi archeotipici alchemici e religiosi come la croce, la piramide, le stelle, le figure geometriche. Riteneva che l'arte non fosse comunicazione, ma creazione, magia e mistero, considerando perfino lo spettatore superfluo rispetto all'opera. All’inaugurazione della Biennale veneziana del 1972, De Dominicis espone tre oggetti sotto il titolo Seconda soluzione di immortalità ‘l’universo è immobile’. Sono tre opere già esposte ovvero il Cubo invisibile del 1967, rappresentato da un quadrato disegnato per terra la Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzo del 1968 e una pietra Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra. Paolo Rosa, un giovane Down, osserva i tre oggetti seduto su una sedia, di fronte in opposizione agli spettatori.
E’ subito scandalo, e nei giorni successivi al posto di Paolo c’è una bambina. Questo non ferma la Procura di Venezia: la sala viene definitivamente chiusa e l’artista viene accusato di sottrazione di incapace. Verrà assolto “perché il fatto non sussiste” soltanto nell’aprile del 1973. Molti anni dopo, nel 1986, De Dominicis progetta una scultura che raffiguri il personaggio della sua opera seduto come a Venezia. L’idea ritorna tra il 1996 e il 1998 quando l’artista pensa di collocare la statua in uno dei belvedere lungo la strada tra Firenze e Fiesole, a fronteggiare idealmente il David di Michelangelo: in una grande civiltà c’è spazio per tutti, c’è bellezza per tutti. Però quel che rimane è una fotografia che documenta l’azione veneziana. Nella foto una signora fissa il ragazzo incredula togliendosi gli occhiali e al di là di qualunque interpretazione si impone con la sua verità l’immagine di quel gesto maleducato. Vettor Pisani vede nel labirinto un analogo del reale, secondo una cultura ermetica ed esoterica che appartiene ai tre artisti ai quali dedica la propria opera Duchamp, Klein, Beuys che formano con lui un sistema basato sull'ermetico numero quattro. Il suo metodo consiste nell'appropriarsi di elementi desunti da altri artisti e dalla storia dell'arte, reinventandoli: crea mediante la citazione, mettendo sotto analisi non il mondo, ma il linguaggio. È morto suicida tramite impiccagione nel 2011 nella sua abitazione nel quartiere Testaccio a Roma all'età di 77 anni. Julien Benda è stato un filosofo e scrittore francese. Nel famoso trattato La Trahison des Clercs "Il tradimento degli intellettuali" del 1927 lamentò polemicamente la tendenza degli intellettuali francesi e tedeschi, nel XIX e XX secolo, a tradire la loro posizione universalista, il valore della giustizia e la democrazia, e dedicarsi invece sempre più a "passioni politiche" come la lotta di classe, il nazionalismo e il razzismo. Jean-Francois Lyotard nel 1980 scriverà La condizione postmoderna decretando la fine delle Metanarrazioni, del metafisico. Con la crisi energetica, la fine del boom economico e il terrorismo si rivaluta l?individuo a scapito della collettività. A sgretolarsi è la tradizione occidentale. A. B. Oliva trova un parallelismo con il cinquecento dove a sgretolarsi fu il Rinascimento.
L’artista Manierista si collocò allora in una lateralità che evitava il conflitto e cita lateralmente la prospettiva rinascimentale. Emblemi di questa nuova condizione sono Don Chisciotte e Benvenito Cellini, Don Chisciotte perché oscilla fra realtà e irrealtà come il Manierismo oscilla fra Rinascimento (ragione) e Barocco (immaginazione). Come il manierista, anche Cellini deve piegarsi alle leggi di corte e al nomadismo, in una competizione continua nell’errare permanente per valorizzare la propria opera. Questi principi saranno sempre alla base del pensiero di Oliva che nel 1980 teorizza la Transavanguardia con il volume edito da G.Politi. Appoggiato da Flash Art seleziona Sandro Chia, Francesco Clemente, Mimmo Paladino, Nicola De Maria, Enzo Cucchi come prosecuzione del concettuale. Caratteristiche della Transavanguardia saranno la “nuova soggettività”, simbolo dell’individualismo che caratterizza gli anni ‘80, usciti dai vincoli dell’ideologia e un nomadismo artistico che non ha più direzioni obbligate. Spesso l’arte nelle crisi ha praticato la trasgressione mascherandola con la convenzionalità del linguaggio (manierismo). Poi sarà la “transavanguardia fredda” (neo - oggettualismo). Nel 1993 A. B. O. dirigerà la Biennale di Venezia (Punti cardinali dell’arte) che aprirà ai paesi emergenti, ma anche a forme discutibili di neo – concettuale con l’invadenza di Flash Art. Da quel momento il rapporto fra l’arte italiana e la Biennale entrerà in crisi. La punta dell’iceberg della militanza sarà Renato Barilli. La summa del suo pensiero è contenuta in “Tra presenza e assenza” dell’81 in cui si constata che non si deve più contrapporre “moderno” e “contemporaneo”, ma usare il suffisso “post” perché la nuova realtà si colloca altrove rispetto a quella che precede. Teorizza l?area della “presenza” di matrice nordamericana in cui si esaminano gli effetti delle nuove tecnologie, contrapposta a un?area dell’”assenza” di interesse circa il ruolo delle nuove tecnologie. In accordo con M. McLuhan di cui ricordiamo le teorie dei media caldi e freddi, il villaggio globale, il medium che è il messaggio. Barilli afferma che i Paesi emergenti passeranno dalla civiltà pre-industriale direttamente alla post-industriale e si passerà per la globalizzazione a una civiltà neo-arcaica e neo-medievale. Analogamente procede Gianni Vattimo con il “pensiero debole”, sostituendo, al culto delle classi compatte al loro interno, i valori di società minori (giovani, studenti, donne) leggere e sparse secondo la figura del “rizoma”, fusto diramato e senza un centro. Tutto ciò sarà alla base del pensiero di Barilli negli anni ‘70 quando Arte Povera, Land Art e Concettuale portano alla smaterializzazione del linguaggio e alla crisi del bidimensionale. Altra metafora sono i “buchi neri” che rappresentano una forza centripeta che non permette di uscire. Con il titolo di “La ripetizione differente” da Gilles Deleuze nel ‘74 Barilli allestirà una mostra in cui alcuni Baj, Adami, Nespolo presenteranno loro d’après, altri useranno mezzi extra artistici come i poveristi Paolini, Kounellis, Fabro oppure Salvo e Ontani saranno poi al centro dei Nuovi-Nuovi. Il rapporto sarà conflittuale con la Transavanguardia e con gli Anacronisti di Maurizio Calvesi. Nel ‘84 Barilli fonda il Nuovo Futurismo con Gianni Cella, Romolo Pallotta, Claudio Ragni, Marco Lodola e altri. Nel ‘90, ultima edizione della Biennale in cui l’arte giovanile italiana ha spazio, dirige “Aperto” in cui compare un Jeff Koons ancora poco conosciuto. Dagli anni ‘80 l’America diventa protagonista nell?arte contemporanea. Ci sarà un ritorno alla pittura con David Salle, Robert Longo, Julian Schnabel ma prevarrà il graffitismo dei giovani emarginati che si riappropriano della città con Basquiat e Keith Haring.
Nell’ East Village Mark Kostabi mentre forse ci sarà una revisione della famosa Scuola di New York di Oldemburg, Warhol saranno Jeff Koons, Meyer Vaisman. Leo Steinberg che polemizzerà con Clement Greenberg dicendo che il critico di fronte a una novità può applicare gli schemi del passato o cercarne di nuovi. Greenberg per Steinberg passa dalla prospettiva alla piattezza ma sempre con visione verticale. Steinberg invece elabora il concetto di “planarità” che esalta la superficie, l’accumulo materico di Rauschemberg. Altra avversaria di Greenberg è Rosalind Krauss con L’originalità dell’avanguardia saggi del 1977 del 1984. Rifiuta la storia come processo, ma la accetta come struttura insieme di ruoli consolidati che perpetuano le relazioni di potere. Krauss elabora i concetto di ”griglia” e ”indice”. Griglia è alla base delle avanguardie novecentesche Mondrian, Malevic, Ad Reinhardt, Robert Ryman, Jasper Johns per rivendicare l’autonomia dell’arte e il suo distacco dalla metafisica. Indice invece ‘Benjamin’ passa dal simbolico all’indicale sulla base di un rapporto fisico con il referente (fotografia, ombra, impronta ). Tutto il concettuale da Duchamp alla performance alla Body Art segue questo percorso tautologico. Di Arthur Danto ‘La trasfigurazione del banale’ e delle sue tesi abbiamo già parlato durante le lezioni. Le Brillo Boxes di Warhol diventano opera d’arte perché, entrando nel contesto dell’arte, mutano il proprio statuto ontologico, le proprie qualità relazionali cioè le relazioni che legano la cosa a elementi non percepibili dall’occhio. Quindi le Brillo Boxes come oggetto reale ‘NON’ hanno le stesse proprietà relazionali delle Brillo Boxes diventate opere d’arte. Dunque la teoria, la conoscenza sono indispensabili allo spettatore che desideri entrare nel mondo dell’arte non essendo possibile cogliere l’arte solo attraverso i sensi e la percezione. La teorizzazione da parte di A. B. O. della Transavanguardia : La nascita convenzionale della Transavanguardia italiana può essere rintracciata tra l’ottobre e il novembre del 1979, anno in cui Achille Bonito Oliva pubblicò sulle pagine della rivista d’arte contemporanea Flash Art un articolo in cui comparve per la prima volta il termine “Transavanguardia”. Prima di essere citati congiuntamente all’interno dell’intervento di Bonito Oliva i cinque artisti protagonisti del movimento Sandro Chia, Nicola De Maria, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Paladino, non avevano mai avuto occasione di lavorare insieme come gruppo. L’articolo in questione ebbe la funzione di legittimarne l’unione, giacché tutti e cinque provenivano da percorsi artistici differenti, anche se affini. Tuttavia, prima della pubblicazione dell'articolo sulla rivista Flash Art, alcuni di loro avevano partecipato a delle mostre all’interno delle medesime gallerie, come per esempio la galleria Emilio Mazzoli di Modena, dove tra la fine del 1978 ed il 1979 si era formato il duo Chia-Cucchi con l’apporto dello stesso Achille Bonito Oliva, e dove in seguito esposero anche Clemente e Paladino. Il critico fu di fondamentale importanza per l’istituzione del gruppo, e la prassi seguita da Bonito Oliva può essere identificata come uno dei primi interventi di propaganda e orientamento di un movimento, tant’è che all’articolo pubblicato su “Flash Art”, che dato il grande successo riscontrato venne tradotto in diverse lingue, viene conferito il valore di manifesto . L’articolo, che venne intitolato La Transavanguardia Italiana, aveva un layout particolare, differente dagli altri contributi pubblicati sulla medesima rivista: il font impiegato era eccentrico, l’impaginazione era confusionale . Le venti immagini selezionate da Achille Bonito Oliva, poi, erano disposte in modo disordinato e asimmetrico, tanto che trovare un filo conduttore tra esse apparve un’impresa ardua. Quindi, le caratteristiche dell’articolo, la cui impaginazione era stata studiata dall’artista neoespressionista polacco Januz Haka personaggio eclettico e artisticamente apolide erano tutt’altro che sobrie e spiccava un carattere “lirico-decorativo” come sottolineato da Billo nel volume Figure della Transavanguardia. È curioso constatare come in realtà l’articolo-manifesto redatto da Achille Bonito Oliva fosse il risultato di una moltitudine di interventi dello stesso, già pubblicati in altre occasioni, semplicemente riassemblati: di fatto molti testi erano già apparsi nel periodo in cui si stava affermando l’arte concettuale e performativa, proprio quando ancora nessuno aveva sentito parlare dei trans-avanguardisti. Dunque, alla luce di ciò risulta molto complicato definire una datazione precisa per la nascita del movimento. A riprova di questo complesso inquadramento temporale è necessario considerare le due mostre tenute in contemporanea alla pubblicazione dell’articolo su Flash Art.
In questa congiunzione di eventi vi fu una probabile premeditazione del critico, intento a rendere identificabile il gruppo in modo da poterlo posizionare anche all’interno dei meccanismi del mercato artistico. Le due mostre appena citate sono Opere fatte ad arte inaugurata il 4 novembre 1979 ad Acireale e allestita presso il Palazzo di Città, e la mostra Le Stanze a Genazzano, inaugurata il 30 novembre dello stesso anno presso il Castello Colonna, realizzata per mettere a confronto gli artisti della Transavanguardia con gli artisti dell’Arte Povera di Germano Celant. Un ulteriore aspetto che tradisce la prassi strategica di Bonito Oliva è la citazione nella prima pubblicazione dell’articolo di ulteriori due artisti oltre ai cinque precedentemente nominati, Remo Salvadori e Marco Bagnoli, nomi che scomparvero subito dopo da ogni iniziativa del gruppo. Ciò tradisce, secondo Livio Billo, anche, un particolare meccanismo di selezione adoperato dal critico . Achille Bonito Oliva tramite il suo articolo, contrapponendo l’Arte Povera di Germano Celant alla sua Transavanguardia, aveva cercato di mettere in mostra le caratteristiche del movimento, che prendeva le distanze dall’arte degli anni Sessanta e Settanta. Con la Transavanguardia il critico promosse il “ritorno alla pittura” legittimando una libertà espressiva che può essere letta come un “ritorno del rimosso”, ovvero la ripresa di una “irriverente nostalgia” che si esplicitava in una “pittura sgargiante" dai “tratti perturbanti, che riaffioravano da un passato premoderno, anti-teorico e de-politicizzato” afferma lo stesso critico d’arte Livio Billo nel suo testo Figure della Transavanguardia. “L’arte finalmente ritorna ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto, inteso come ‘lavoro dentro’, come escavo continuo dentro la sostanza della pittura”. Così aveva affermato il critico nella prima pagina dell’articolo sulla rivista “Flash Art”, proprio a sottolineare l’idea di ritorno al figurativo, al gesto primo del fare arte. Infatti, continuò affermando come l’arte di quel momento aveva come linfa vitale la volontà di “ritrovare dentro di sé il piacere ed il pericolo di tenere le mani in pasta, rigorosamente, nella materia dell’immaginario, fatta di derive e sgomentate, di approssimazioni e mai di approdi definitivi.” Probabilmente la notorietà dell’articolo redatto da Bonito Oliva su Flash Art portò alla considerazione della Transavanguardia in un’inconciliabile dialettica con l’Arte Povera, incarnazione, secondo il critico d’arte, di “un passato repressivo e moralista” . Bonito Oliva, infatti, riporta Denis Viva, pose subito i “suoi” cinque artisti in opposizione generazionale con gli artisti dell’Arte Povera. All’interno dell’articolo su Flash Art si notava già l’effetto dirompente della Transavanguardia ed il suo distaccamento dall’arte fino ad allora in auge . Le iniziative e le mostre del gruppo furono quasi tutte sotto la curatela del critico Achille Bonito Oliva; infatti, quest’ultimo non mancò mai a nessuna rassegna del movimento. Inizialmente, come affermato in precedenza, il gruppo venne esposto in contrapposizione all’Arte Povera e al contempo come contro-altare delle neoavanguardie. Il lavoro del critico fu fondamentale, a lui si deve anche la promozione del movimento all’estero, dove grazie alla diffusione delle traduzioni dei testi riguardanti il gruppo redatti dal critico, la Transavanguardia acquistò una notorietà diffusa. A supporto del lavoro militante del critico vi era il consenso per le opere degli artisti, che ben presto riuscirono a conquistare fama internazionale nei mercati esteri, come viene riportato da Denis Viva all’interno del volume La critica a effetto: rileggendo la trans-avanguardia del 1979 . La Transavanguardia, invero, ebbe eco in diverse nazioni del mondo, soprattutto in paesi come l’Argentina e la Germania. Tuttavia, non ebbe successo negli Stati Uniti, dove a garantirsi affermazione furono le singole personalità e non il gruppo in quanto tale. Qui la Transavanguardia provocò non poche critiche, provenienti soprattutto dalle figure che orbitavano intorno alla rivista americana October. Oltreoceano, infatti, il progetto di Bonito Oliva, fu protagonista di diversi dibattiti. I critici della rivista October assimilavano la Transavanguardia a un “ventaglio di proposte filo-pittoriche che giungevano, copiose, dalle varie scene artistiche nazionali” .
Come già anticipato precedentemente, il lavoro degli artisti della Transavanguardia si focalizzava sul recupero della libertà d’espressione, dando forma a un’arte personale, in cui tornava ad essere centrale la manualità della creazione artistica declinata nell’impiego della pittura, della scultura e del disegno. Con la Transavanguardia si assistette a una ripresa degli stili del passato letti in chiave individuale e soggettiva. Inizialmente, il movimento si pose in netta contrapposizione con le neoavanguardie, ritenute dai transavanguardisti inadeguate nel contesto della “presente situazione storica”, adottando un “nichilismo attivo” che va a riprendere quello di Nietzsche “Nichilismo significa la situazione nella quale l’uomo rotola via dal centro verso la X”, così Giovanni Vattimo lo definiva all’interno del suo volume La fine della modernità, riporta all’interno del testo L’arte oltre il Duemila Achille Bonito Oliva. Questa posizione consisteva nel distaccarsi da qualsiasi ancoraggio, cercando di investigare ogni aspetto possibile della cultura. Il passato al quale attinge l’artista della Transavanguardia corrisponde a un passato vicino, al passato delle neoavanguardie, e della storia dell’arte europea. La caratteristica del movimento è quella di riprendere gli stili del passato pur non creando con essi alcun legame e identificazione. Anche il concetto di “figurativo”, centrale nell’ideologia transavanguardista, va a significare non una ripresa frontale dei modelli del passato, piuttosto, la ricerca del “figurabile” nell’immagine. I trans-avanguardisti lavorano nella consapevolezza di agire all’interno di una società di massa, cercando di rapportarsi equamente con la tradizione alta delle avanguardie e con l’arte dell’industria culturale. Il fulcro del loro lavoro non è più, come accennato precedentemente, la sperimentazione artistica con l’uso dei materiali e delle tecniche compositive più disparate, bensì l’elaborazione formale e la pratica creativa. Gli artisti realizzano intrecci stilistici e la loro arte è così caratterizzata da “un’ottica frammentaria e felicemente precaria”. Ciò che tentano di fare, non è effettuare un recupero delle tendenze stilistiche in chiave nostalgica, ma riprendere gli stili del passato macinandoli tra loro, cercando di attingere al maggior numero di possibilità espressive, riporta sempre Achille Bonito Oliva all’interno del volume L’arte oltre il Duemila . Tornarono così ad essere nuovamente utilizzati quei termini che prima erano stati oscurati, come “manualità”, “pittura” e “opulenza” e al contempo il gesto artistico divenne un segno di liberazione per l’artista, afferma invece Denis Viva . I trans-avanguardisti, quindi, afferma Bonito Oliva all’interno del catalogo della mostra Avanguardia Transavanguardia privilegiavano una ricerca personale, non di gruppo, ponendosi fuori da qualsiasi tipo di omologazione internazionale. Il lavoro di questi artisti, dunque, con prorompenza orientato verso il recupero del gesto pittorico, era supportato da una nuova e diversa mentalità, legata alle emozioni dello stesso artista, che trovava valore all’interno dei suoi procedimenti artistici . Gli artisti della Transavanguardia cercarono di investigare tutti i campi della cultura. Secondo quanto affermato da Achille Bonito Oliva, nel catalogo della mostra del 1982 Transavanguardia Italia America, “l’artista della Transavanguardia opera nel ritrovamento di una salutare incertezza, fuori dalla superstizione di riferimenti ancorati ad una sicura tradizione”. Nell’ottica del critico, l’artista trans-avanguardista è propriamente un nichilista. L’arte dei trans-avanguardisti viene svincolata anche dal fine sociale e morale, e non più considerata neanche come un bene materiale. Il fulcro dell’atto artistico diviene la “trasgressione” dell’artista nel fare arte, il quale si affida semplicemente alla propria energia mentale. Dunque, sostiene Bonito Oliva “il recupero di una totalità esistenziale diventa il principio motore dell’attività estetica”. La produttività dell’artista rimase esclusivamente legata alla volontà interiore dello stesso, svincolato da legami esterni e il suo lavoro artistico si espresse quindi su un piano orizzontale, in cui l’artista andava ad investigare la propria fantasia. La Transavanguardia considerava il linguaggio “come uno strumento di transizione, di passaggio da un’opera all’altra, da uno stile all’altro” , continua il critico fondatore del gruppo. La Transavanguardia si caratterizzò, infatti, per il suo essere nomade linguisticamente; gli artisti operavano utilizzando linguaggi diversi del passato, allontanandosi dunque dal darwinismo linguistico che aveva caratterizzato le avanguardie storiche. La ricerca artistica dei trans-avanguardisti differiva totalmente anche da quelle pratiche artistiche che avevano il proprio fulcro nella ricerca concettuale e sull’idea di progresso. La Transavanguardia, come affermato precedentemente, cercò di ridare importanza e autorevolezza alla pittura, ripristinando quindi la manualità del gesto artistico. Il recupero degli stili del passato, poi, si concretizzava in una sorta di nomadismo ricercato e transitorio. L’atto creativo operava trasversalmente andando ad indagare ogni contraddizione ed ogni luogo comune, tentando di mettere un punto alle incessanti sperimentazioni fino ad allora diffuse. Da sottolineare, inoltre, come nonostante gli artisti fossero stati ricompresi all’interno di un gruppo ufficialmente legittimato, essi agivano in totale autonomia, la loro ricerca era personale e non influenzata dagli altri membri.
Tuttavia, ciò che li accumunava era l’atteggiamento e la filosofia artistica in cui credevano, non le loro personali ricerche linguistiche, piuttosto eterogenee. Achille Bonito Oliva, all’interno del catalogo della mostra “Avanguardia Transavanguardia” afferma quanto segue in riferimento alla produzione dei “suoi” artisti: “persistenza ed emergenza sono i caratteri della nuova immagine, intesi come possibilità da una parte di riprendere i procedimenti tradizionali dell’arte, la felicità costante che la sorregge, e dall’altra di effettuare scarti e differenze rispetto agli esiti precedenti. L’arte dell’ultima generazione riscopre il piacere di una aperta inattualità, fatta anche dal recupero dei linguaggi, posizioni e metodologie appartenenti al passato” . L’artista con la sua visione progressiva dell’arte e non più progressista, si allontana dalla partecipazione sociale con l’utilizzo di nuovi materiali, non ricerca il contatto con l’esterno, ma ciò che gli sta più a cuore è “tornare sui propri passi” . Per Bonito Oliva, l’artista trans-avanguardista ha un modo di lavorare che va alla ricerca di una “liberazione vitale e mentale dell’apparato individuale. Un nuovo fare arte che trasgredisce la mentalità di considerare l’arte come bene materiale, e nello stesso tempo supera la morale pubblica che vuole un’arte per la società: l’arte come comunicazione.”. Gli artisti trans-avanguardisti avevano quindi ribaltato la concezione dell’arte dei decenni precedenti, l’idea di un’arte il cui processo era indirizzato verso un percorso astratto concettuale . La pratica degli artisti di Bonito Oliva non era mai ripetitiva, i soggetti delle loro opere, le loro immagini erano sempre diversi. L’opera creata dai membri di questo gruppo derivava da una relazione irripetibile dell’artista con i suoi mezzi espressivi. Secondo Bonito Oliva sono due le caratteristiche preminenti delle opere realizzate dai trans-avanguardisti e sono la “descrizione” e la “decorazione”: “Descrizione è il portato di una tensione che tende a presentarsi nel tono dell’affabulazione, di una cordiale esplicitezza che vuole catturare l’attenzione esterna a sé. La decorazione è il segno di uno stile che trova nell’astrazione e nella ripetizione di motivi leggeri il modo di creare un campo di fascinazione e di indeterminazione che non vuole imporre il proprio senso” . Il lavoro dei trans-avanguardisti si compose di immagini strettamente legate alla sensibilità dell’artista. L’opera d’arte si concretizzò come risultato di giochi di colore, aperta alla materia, all’astratto e al contempo al figurativo. Ciò che interessa all’artista non è più la perfezione esecutiva, “l’opera diventa il luogo di una rappresentazione opulenta che non gioca più al risparmio ma allo spreco, che non riconosce più una riserva privilegiata a cui attingere” afferma Bonito Oliva e continua sostenendo come l’invenzione non sia “esplicita, eclatante e platealmente linguistica, ma trova il suo momento di originalità nell’evidenziamento di latenze sentimentali, culturali, concettuali condensate sotto tali accostamenti e contiguità” . L’opera trans-avanguardista si compose di un’organicità di elementi, anche frammentari e contrastanti come “caldo e freddo, metrico e astratto, diurno e notturno, in un attraversamento simultaneo e compenetrato” . Le opere si privarono della loro tradizionale compostezza, diventando il connubio di forze di origine diversa. L’attenzione dell’artista trans-avanguardista verso la sua opera consisteva proprio nella “disattenzione” verso quest’ultima e veniva ideata svolgendo un lavoro di affrancamento dai tradizionali fini artistici e dalle ricerche di compostezza formale. La ricerca artistica ebbe come risultato una progressione del linguaggio e la nascita di assonanze e associazioni visive.
Dunque, la comprensione dell’opera divenne quasi impossibile, prendendo così diverse direzioni, “dove astratto e figurativo, avanguardia e tradizione vivono l’intreccio di molti incontri.” Gli stili ripresi dagli artisti della Transavanguardia apparivano come degli objet trouve , svincolati da qualsiasi rimando storico e metaforico. La sfrontatezza con la quale si impose nel mercato la Transavanguardia le fornì la supremazia nel corso degli anni Ottanta, al contrario di altri gruppi che avevano bisogno di relazionarsi al passato per legittimarsi, essa non aveva timore di essere etichettata come reazionaria. In questi anni la Transavanguardia fu l’unico movimento ad ottenere un grande successo, tale notorietà non la avevano infatti avuta gli altri gruppi nati negli stessi anni, come il gruppo dei Nuovi-nuovi di Renato Barilli o l’Anacronismo di Maurizio Calvesi. Probabilmente ciò avvenne a causa della minore aggressività da parte delle personalità fondatrici di creare un punto di rottura con il passato, che invece aveva avuto Bonito Oliva. Di fatti al contrario degli artisti del gruppo dei Nuovi-nuovi come Luigi Ontani e Salvo, i quali erano già attivi precedentemente alla nascita del movimento, il passato degli artisti trans-avanguardisti viene come cancellato dal critico e la Transavanguardia si mostra in modo eclatante come un nuovo movimento . In un’intervista rilasciata da Achille Bonito Oliva a Giancarlo Politi, il critico affermava come la Transavanguardia fosse composta da un gruppo di artisti, “ognuno portatore di una propria poetica, di una linea linguistica e personale, tutta giocata sulle differenze”. Secondo il critico la Transavanguardia italiana è riuscita ad “aprire una breccia creando una disinibizione, una libertà di operare a ventaglio” . Risulta interessante per avere una visione maggiormente completa del movimento e dei suoi protagonisti fare un focus riguardi ai diversi componenti del gruppo. Tra le figure della Transavanguardia italiana ricordiamo in primis Sandro Chia uno degli artisti rappresentativi del gruppo, che ha cercato di operare impiegando un vasto ventaglio di stili, servendosi sempre di una tecnica impeccabile. A metà degli anni Settanta, come ricorda Renato Barilli nel testo Prima e dopo il duemila, “coltiva la cauta uscita dal concettuale affidata alla poetica del ‘disegnino’; poi rompe gli indugi, dilata le immagini, e le spinge verso un provocante infantilismo-brutalismo, forse raccogliendo per primo, tra gli italiani, qualche influsso dell’ormai scatenato clima dei Nuovi Selvaggi Tedeschi ” . La sua idea di arte che ricerca dentro di sé i dettami della propria esistenza è rappresentativa della Transavanguardia. Il suo scopo era infatti quello di realizzare un’opera che non puntasse più alla novità, come accadeva in passato, bensì alle diverse capacità e maniere per arrivare alla costituzione dell’immagine. Le personalità da cui prende spunto per il suo lavoro sono diverse, ricordiamo personalità come Picasso, De Chirico, Chagall, Cezanne e tra gli altri. Per l’artista “l’immagine è sempre sostenuta dalla necessità del titolo”, così lo ricordò Achille Bonito Oliva nell’articolo “Transavanguardia” su “Art e Dossier”. L’opera di Chia si offre, quindi, allo sguardo sia come “sostanza pittorica che come forma mentale” . Un’altra delle principali figure del gruppo che ricordiamo è Francesco Clemente . Quest’ultimo ha operato con una moltitudine di tecniche, effettuando uno spostamento progressivo dello stile, utilizzando pittura, fotografia, affresco, mosaico e disegno. Egli riprende l’idea di un’arte nomade, anch’essa rappresentativa del gruppo, giocando allo stesso tempo con la ripetizione e differenza dell’immagine. Egli era un elegante cultore di immagini, come ricordava Barilli: “le sue immagini si incarnano preziose, con sicuro possesso della superficie, attente per un verso ad occuparla in modo fermo, ma anche a tracciare la partizione tra un dentro e un fuori, un una ben scandita dialettica tra i corpi e lo sfondo, affidato questo a stesure compatte, vibranti.”L’immagine di Clemente non punta a creare associazioni con la realtà anzi, egli utilizza l’opulenza che nasce proprio da questo allontanamento delle sue immagini dalla verosimiglianza. La sua immagine non si rapporta volutamente con il mondo ma nasce da sé e si confronta solo con sé stessa creando un gioco tra figurazione e decorazione. Spesso, Infatti, l’artista si è confrontato con la rappresentazione di catastrofi, “che comportano un cortocircuito nella normalità, una produzione di movimento dentro il silenzio imparziale del linguaggio” afferma Renato Barilli ne suo testo Prima e dopo il 2000.
Tra i temi stilistici più utilizzati da Francesco Clemente all’interno delle sue opere, troviamo il buffo, il comico, il grottesco che portano alla caratterizzazione delle sue forme. Ricordiamo anche la presenza del tenero, dell’eros e del barbaro che non mancano mai nei suoi lavori . Altro componente del gruppo è Enzo Cucchi . Achille Bonito Oliva descrive come segue l’operato dell’artista sulle pagine del periodico Art e Dossier: “Nell’opera di Enzo Cucchi l’immagine è il fuoco che determina la temperatura dell’opera, che porta a combustione molti materiali e tecniche diverse per approdare alla fine all’abbaglio di un’apparizione lampante e lacerante, che fonda il suo particolare erotismo, conseguenza di un desiderio retto da un’altra economia rispetto a quella del quotidiano”. Nella sua opera l’immaginario esprime tutta la sua carica di totalità, egli rappresenta tutto ciò che supera la fenomenologia del vivente. Le sue tele sono caratterizzate da giochi di colori in cui viene allargato il campo dell’iconografia del quotidiano. Secondo lui l’arte ha bisogno: “di una catastrofe che azzera l’esistente e lo riduce nella cordialità di reperti rovinosi da manipolare successivamente con gli attrezzi di un’opera che ormai si muove liberamente tra pittura e scultura. Nelle sue opere attua una combustione dell’immagine che diventa così priva di qualsiasi regola, la sua arte non conosce neanche le leggi di gravità.” La sua opera è narrativa, spesso si possono trovare infatti accanto ai disegni piccole scritte e piccoli grafismi. Le sue opere trasmettono immagini fantastiche che sono strettamente legate ai principali interessi dell’artista come lo spazio, la storia, il tempo, ripresi da fonti mitologiche, di storia dell’arte, di letteratura e di filosofia . Nicola De Maria invece, utilizzando un linguaggio astratto esce dalla cornice del quadro per invadere l’architettura del vissuto. La caratteristica del suo operare è la concavità, una curvatura che coinvolge lo sguardo e anche l’esperienza sensoriale dello spettatore. Il colore è uno degli elementi fondamentali delle sue opere che si concretizzano come interventi cromatici multipli. Il colore, tuttavia non è mai dirompente, aggressivo, ma rimanda a una nostalgia della totalità. L’artista come ricorda Bonito Oliva all’interno dell’’articolo “Transavanguardia”, “ è artefice di una costruzione di moralità, un’architettura dipinta coinvolgente”. Il mezzo principale con il quale l’artista si esprime è la pittura e, la sua primigenia produzione era infatti contraddistinta dall’impiego della matita, del pastello, dei colori a olio e degli acquarelli. Oltre alle opere su tela ha realizzato, inoltre, dipinti murali che svelano tutta la spiritualità e il lirismo dell’artista . Per quanto riguarda invece Mimmo Paladino , quest’ultimo riprende dai dettami della Transavanguardia il nomadismo culturale e l’eclettismo stilistico. Il mezzo preferito dell’artista era il disegno, le sue opere erano invece realizzate realizzate con la tecnica tradizionale dell’olio su tela hanno il potere di riuscire a suggestionare gli spettatori. La scelta dei soggetti delle sue tele è il risultato di un’ampia conoscenza delle fonti archeologiche e mitologiche così come dell’arte egizia, etrusca, greco-romana e romanica. L’artista sceglieva infatti per le sue opere oggetti scolpiti, con crani di animali, attribuendo così alle sue tele significati metaforici. Nella stagione del Postmodernismo Francesca Alinovi si dedica in particolare a Graffitismo ed Enfatismo Seconda metà ’80: riscontriamo più maturità e l?utilizzo di materiali diversi oltre la pittura, plastica, tecnologia e ironia. Molti per convenienza restano legati al trio Barilli, B.Oliva, Celant. Celant nell’84 rivaluta l’Arte Povera e stabilisce una coesistenza con la Transavanguardia. Saranno più indipendenti Francesco Poli, Giorgio Bonomi, Maria Campitelli. Nell?86 Corrado Levi cura a Milano Il cangiante che coniuga lo spirito dell?Est Village a quello di De Pisis . Edoardo Di Mauro cura Ge Mi To, mostra sulle Nuove Tendenze Dellavedova, Zanichelli, David, a Torino lo spazio VSV e l?itinerante Nuove tendenze in Italia. A Milano sono gli spazi dell?ex Brown Boveri che vengono utilizzati soprattutto per performance e happening e lo Spazio di via Lazzaro Palazzi di Luciano Fabro (post poverista e neo concettuale). A Genova Luca Vitone, Marco Lavagetto ecc. si ricollegano al situazionismo. Gli ‘80 vedono l?inizio della globalizzazione, l’esplodere della speculazione con la Transavanguardia che è anche facilmente collocabile e meno ermetica, la ripresa dell’Arte Povera con Celant regista.
Avanza la crisi. Il neoconcettuale formalmente impeccabile è vuoto di contenuti, la pittura è tronfia e decorativa. Flash Art e G. Politi prendono in mano il circuito dell’arte ( Ipotesi Arte Giovane alla Fabbrica del Vapore di Milano) e Politi diventa l’arbitro della situazione artistica. Francesco Bonami, Massimiliano Gioni, Andrea Bellini, che cominceranno qui un prestigioso cammino di critici, passano per la sede della rivista a New York. Attorno agli anni Zero Politi si ridimensiona, da Exibart escono coloro che andranno a costituire Artribune e la comparsa di queste riviste on-line amplierà la possibilità di un libero confronto. La Biennale del ‘93 decreterà l’involuzione dell’arte italiana. Nel ‘92-‘93 Jeffrey Deitch organizzerà una mostra itinerante in Italia ) con tutti i nomi del post concettuale e altri in ascesa Damien Hirst, Martin Kippenberger e Jeff Koons. Nel catalogo dirà che la gente è interessata dall’altra gente e quindi ogni generazione reinventa un figurativo, ma oggi il figurativo è probabile che deva sempre più tenere conto del post human cyborg che cambia anche le interazioni umane. Ci sarà una condizione post-umana? I vari post human Corrado Bonomi, Antonella Mazzoni e Silvano Tessarollo vengono pesantemente discriminati in Italia e resteranno in Germania. Qui invece emergeranno Vanessa Beecroft , M.Cattelan e Francesco Vezzoli. Nell’attività di Achille Bonito Oliva la parte fondamentale è stata la scrittura critica e quella espositiva, l’invenzione curatoriale e la provocazione intellettuale costituiscono un unicum dinamico caratterizzato dalla costante relazione fra parola e immagine, comportamento e comunicazione, e dall’attenzione alla crescente trasversalità nomadica dell’arte, come della vita. Attraverso la presentazione di una molteplicità di materiali d’archivio (cataloghi, libri d’artista, inviti, brochure, cartelle stampa, progetti e immagini di allestimento, corrispondenze private, registrazioni di trasmissioni televisive, documentazioni fotografiche e video e un’ampia parte della biblioteca personale, provenienti dall’Archivio di Bonito Oliva e da altri Archivi istituzionali e privati) A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita intende celebrare l’importanza di Bonito Oliva anche per l’affermazione del ruolo del curatore nell’ambito dell’arte contemporanea e, più in generale, mira a costituire il composito ritratto di una figura di intellettuale propositivo che ha superato le limitazioni delle strutture accademiche e ridefinito i campi e gli strumenti d’indagine della curatela nell’ambito della riflessione e produzione artistica contemporanea, divenendo una delle figure cardine della storia dell’arte del XX e XXI secolo. Ripercorrendo la vasta attività curatoriale, teorica e comportamentale di Bonito Oliva la mostra A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita è articolata su tre livelli fra loro interconnessi, ognuno dei quali corrisponde a un importante aspetto del poliedrico operato del critico e del curatore: La curatela delle mostre ricostruzione delle principali mostre tematiche, selezionate dal curatore stesso. Le mostre ricostruite in questa sezione sono: Amore mio, 1970; Vitalità del negativo, 1970; Contemporanea, 1973-74; per la Transavanguardia Opere Fatte ad Arte, 1979; Le Stanze, 1979; Aperto ’80, 1980 e Avanguardia Transavanguardia, 1982; nonché Ubi Fluxus ibi motus, 1990; Punti Cardinali dell’Arte – XLV Biennale di Venezia, Biennale di Venezia, 1993; Minimalia, 1997; Le Tribù dell’Arte, 2001. L’enciclopedica scrittura saggistica e lo spazio privato affidata alle sue più importanti pubblicazioni così come a un vasto materiale inedito. L’espressione comportamentale e lo spazio pubblico attività per la radio, il cinema e, soprattutto, la televisione, ma anche i progetti per giornali e riviste, le onorificenze e gli strumenti atti a definire un vero e proprio culto della propria personalità, che ne definiscono la dimensione autonoma di personaggio pubblico. Infine per l’occasione la maison Gucci ha appositamente realizzato le divise destinate agli “angeli custodi” della mostra, cioè il personale del Museo che accoglie i visitatori nelle sale e custodisce le opere esposte nel “teatro” della mostra. Come dei giardinieri di un parco immaginario, gli abiti verde salvia dei custodi, chiamati “jardiniers du théatre”, segnalano il percorso della mostra in un accompagnamento creativo che ribalta il tradizionale rapporto tra museo e sponsor.
Qui il main sponsor collabora alla scena della mostra, valorizzando i lavoratori essenziali, ma spesso invisibili, del mondo dell’arte. Il progetto prende spunto dalla sfilata di febbraio 2020 quando Alessandro Michele, direttore creativo di GUCCI, e il suo team, indossavano uniformi mostrando al pubblico il lavoro di backstage del défilé in occasione della presentazione della collezione “The Ritual”. In occasione della mostra sarà edito dal Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e Skira un catalogo scientifico introdotto da un saggio di Carolyn Christov-Bakargiev e da un’intervista fra Achille Bonito Oliva e Hans Ulrich Obrist. Saranno inoltre pubblicati saggi inediti di Marcella Beccaria, Andrea Viliani, Cecilia Casorati, Laura Cherubini, Clarissa Ricci, Stefano Chiodi, Andrea Cortellessa, Carlo Falciani e Paola Marino. Integreranno nel volume, schede dedicate alle mostre principali curate da Bonito Oliva e un’estesa bio-bibliografia e cronologia ragionate.
Achille Bonito Oliva (Caggiano, 1939) è uno dei più importanti critici d’arte e curatori del XX e XXI secolo. Nel 1961 si laurea in Giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli, dedicandosi successivamente a studi artistici, filosofici e storici. Nell’ambito della sua formazione come poeta visivo – coeva alle ricerche di Gruppo 63 e Operativo 64 – pubblica i libri Made in Mater (1967), Fiction Poems (1968), 5 Mappe del 1965 (1971). Nel 1966 cura la sua prima mostra, una doppia personale dedicata a Pino Pascali e Renato Mambor (Libreria-Galleria Guida, Napoli), e nel 1968 è tra i giovani critici che partecipano agli incontri dell’Assemblea che accompagna la mostra Arte povera più Azioni povere agli Antichi Arsenali di Amalfi. Dal 1969 al 1971 è Vice Direttore dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, nonché Assistente ordinario (1971) e Professore ordinario (1976) di Storia dell’Arte Medievale e Moderna presso l’Università degli Studi di Salerno. Nel 1968 si trasferisce a Roma, dove collabora con l’Università La Sapienza, diventandovi nel 1982 Professore associato di Istituzioni di Storia dell’Arte alla Facoltà di Architettura e insegnandovi, dal 1984, Storia dell’Arte Contemporanea. Nel 1970 è segretario generale della sua prima grande mostra tematica, Amore mio (Palazzo Ricci, Montepulciano) e cura Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70 (Palazzo delle Esposizioni, Roma), progetto che segna l’avvio della sua collaborazione con gli Incontri Internazionali d’Arte. Nel 1971 cura la partecipazione italiana alla VII Biennale de Paris (di cui nel 1985 co-curerà anche la XIII edizione) e Pérsona (BITEF Belgrade International Theater Festival, Belgrado). Nel 1973 cura la mostra La delicata scacchiera, Marcel Duchamp 1902- 1968 e la Sezione Arte della mostra Contemporanea (Parcheggio di Villa Borghese, Roma), da lui ideata nel complesso delle sue nove sezioni. Nel 1978 coordina la sezione Sei stazioni per artenatura. La natura dell’arte alla Biennale di Venezia, per la quale nel 1980 co-cura le mostre L’arte degli anni settanta e (con Harald Szeemann) Aperto ‘80. L’anno prima, sulla rivista “Flash Art”, aveva pubblicato l’articolo La Trans-Avanguardia italiana, teorizzando il movimento quale superamento delle posizioni ideologiche e delle matrici concettuali del decennio precedente, riportando così al centro, dopo il “noi” comunitario, il soggetto individuale e aprendosi a una pratica di nomadismo e meticciato che travalica le contrapposizioni stesse di avanguardia-tradizione, invenzione-citazione, astratto-figurativo, globale-locale. Sempre nel 1979 cura al Palazzo di Città di Acireale la mostra Opere fatte ad arte, la prima presentazione pubblica del gruppo di artisti riuniti sotto la definizione di Transavanguardia – Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino –, presenti anche alla mostra Le Stanze (Castello Colonna, Genazzano, 1979-80), in un confronto dal vivo con le ricerche dell’Arte Povera, che si allarga al contesto europeo e nordamericano nel 1982 con la mostra Avanguardia Transavanguardia 1968/77 (Mura Aureliane, Roma). Ormai divenuto non solo interprete di quel “ritorno al disegno, alla pittura e alla scultura” che caratterizzerà il decennio, ma un vero e proprio personaggio pubblico, nel 1990, con il patrocinio della XLIV Biennale di Venezia, cura Ubi Fluxus ibi motus 1990-1962 (Ex-Granai della Repubblica, Venezia) e nel 1993 è nominato Direttore Arti Visive della XLV Biennale di Venezia, intitolata Punti cardinali dell’arte, a testimonianza di un metodo transnazionale e multidisciplinare che si diffonde su molteplici sedi con una curatela plurale. Nel 1995 si avviano a Napoli le commissioni a sua cura delle Stazioni dell’arte, nel 1996 è responsabile per l’Europa occidentale alla XXIII Biennale di São Paulo, nel 1998 è Presidente di Dak’Art 1998 e nel 2001 cura la I Biennale di Valencia. Tra le altre mostre collettive da lui curate, negli stessi anni, Minimalia. Da Giacomo Balla a… (Palazzo Querini Dubois, Venezia, 1997/Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1998; ripresentata nel 1990-2000 al PS1 Contemporary Art Center, New York), Le Tribù dell’Arte (Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2001) e Eurasia. Dissolvenze geografiche dell’arte (MART-Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, 2008). Nel 2001 aveva curato inoltre Transavanguardia italiana (Shanghai Art Museum, Shanghai), a cui sono seguite La Transavanguardia italiana (Fundación Proa, Buenos Aires, 2003; Museo de Arte Contemporáneo, Santiago del Cile, 2003; Museo de Arte Moderno, Città del Messico, 2003-04) e La transavanguardia italiana (Palazzo Reale, Milano, 2011-12). Nel 2003 è stato inoltre fra gli autori del catalogo, a cura di Ida Gianelli, che accompagnava la mostra Transavanguardia al Castello di Rivoli. Molteplici le mostre personali a sua cura fra cui, nel 2010, Gino De Dominicis. L’immortale, mostra inaugurale del MAXXIMuseo delle Arti del XXI secolo di Roma. Parallelamente all’attività espositiva i volumi e i saggi critici di cui è autore si definiscono – a partire da Il territorio magico. Comportamenti alternativi dell’arte, pubblicato nel 1971 – come un’ininterrotta sequenza di pubblicazioni che, nel loro complesso, configurano una visione enciclopedica e un’indagine multidisciplinare e transgenerazionale del sapere, non solo contemporaneo. Fra essi: Critica in atto, 1972; Arte e sistema dell’arte. Opera, pubblico, critica, mercato, 1975;L’ideologia del traditore. Arte, maniera, manierismo, 1976;Le avanguardie diverse. Europa/America, 1976; Vita di Marcel Duchamp, 1976 (a cui seguirà nel 1978 Mercante del segno. Scritti di Marcel Duchamp); Autocritico automobile. Attraverso le avanguardie, 1977; Passo dello strabismo. Sulle arti, 1978; Arcimboldo (con Roland Barthes), 1978; Paolo Mussat Sartor. 1968-1978. Arte e artisti in Italia, 1979; Labirinto, 1979; Autonomia e creatività della critica, 1980; La Transavanguardia italiana, 1980 (a cui seguirà nel 1982 La Transavanguardia internazionale); Il sogno dell’arte. Tra avanguardia e transavanguardia, 1981; Manuale di volo. Dal mito greco all’arte moderna, dalle avanguardie storiche alla transavanguardia, 1982; Critica ad Arte. Panorama della Post-Critica, 1983; Dialoghi d’artista. Incontri con l’arte contemporanea 1970-1984, 1984; Minori Maniere. Dal Cinquecento alla Transavanguardia, 1985; Progetto Dolce. Nuove forme dell’arte italiana, 1986; Antipatia. L’arte contemporanea, 1987; Superarte, 1988; Il tallone di Achille. Sull’arte contemporanea, 1988; Artae, 1991; Conversation Pieces, 1993; L’arte e le sue voci.L’arte è un“dimenticare a memoria”, 1996; Oggetti di turno. Dall’arte alla critica, 1997; Gratis. A bordo dell’arte, 2000; Estetiche della globalizzazione, 2001; I fuochi dello sguardo. Musei che reclamano attenzione, 2004; Lezione di boxe. Dieci round sull’arte contemporanea, 2004; ABO. La Repubblica delle Arti, 2005. È autore inoltre dei volumi enciclopedici L’arte fino al 2000 (1991) e L’arte oltre il 2000 (2002), mentre nel 2008 cura l’Enciclopedia della parola. Dialoghi d’artista 1968-2008 e, nel 2011, si avvia la pubblicazione a sua cura dell’Enciclopedia delle arti contemporanee. Tra le trasmissioni televisive ideate e condotte da Bonito Oliva Autoritratto dell’arte contemporanea (RAI 3, 1992- 96), lo speciale Totòmodo, l’arte spiegata anche ai bambini (RAI 3, 1995), A B. O Collaudi d’arte (RAI 1, 2000-01), A.B.O.RDO DELL’ ARTE e Il giorno della creazione (Cult Network/Sky, 2004-05), Fuori quadro (RAI 3, 2014-15). Tra le riviste a cui ha collaborato “Alfabeta2”, “Casabella”, “Domus”, “Flash Art”, “Corriere della Sera”, “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giorno”, “La Repubblica”, “L’Espresso”, “Modo”.
Bonito Oliva stesso è stato creatore di premi e riconoscimenti, mentre fra quelli ricevuti si segnalano il conferimento del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese (1992), la Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte (2004) e quello di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2010).
Castello di Rivoli – Torino
A.B. O. THEATRON. L’Arte o la Vita
dal 25 Giugno 2021 al 26 Giugno 2022
dal Giovedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 19.00