Giovanni Cardone Luglio 2022
Fino al 7 Settembre 2022 si potrà ammirare presso i Musei del Novecento e di San Marco di Firenze la mostra di Giulio Paolini Quando è il presente?, a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti . Giulio Paolini possiamo dire che tra  i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento, è il protagonista di un progetto espositivo inedito, che riunisce opere della sua produzione più recente. Il titolo della mostra, tratto da una lettera scritta nel 1922 da Rainer Maria Rilkea a Lou Andreas Salomè costituisce lo spunto da cui Giulio Paolini traccia una propria meditazione sul tempo e sulla nostra impossibilità di afferrarlo, combinando gli interrogativi sul ruolo dell’arte e la figura dell’artista con quelli sull’esistenza e il suo fluire. I lavori presenti in mostra, al centro di un percorso ideato dallo stesso artista, dialogano con l’architettura rinascimentale delle sale al piano terra del Museo Novecento, invitandoci a compiere un viaggio all’interno delle sue ultime riflessioni sul significato della creazione artistica e sulle sue molteplici implicazioni. Con la peculiare raffinatezza che caratterizza da sempre la sua opera, Paolini ci introduce in una dimensione ‘altra’, toccando corde fra le più nascoste e vibranti dell’animo umano. Come in un incessante gioco di specchi, l’osservatore con il proprio bagaglio di aspirazioni, timori, passioni è chiamato direttamente in causa dal dispiegarsi di disegni, collage, installazioni, che ridefiniscono lo spazio e il nostro ‘incedere’ al suo interno. “L’arte accade”, è solito ricordare Paolini, citando Whistler nelle parole di Jorge Luis Borges. La meraviglia dell’arte, il suo incondizionato manifestarsi, accomunano idealmente l’artista e l’osservatore, chiamati a partecipare ad un’incessante ricerca di senso, in un gioco di rimandi spesso venato di ironia. Le opere non veicolano riflessioni sulla cronaca e la mondanità, sulla nostra società tormentata, sui fatti e misfatti della globalizzazione: in esse si manifesta l’incontro stupito dell’artista con l’arte stessa, un processo che si colloca nel nostro tempo ma che è, inevitabilmente, al di fuori di esso, superando ogni contingenza, in quanto appartenente ad una dimensione metafisica. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Giulio Paolini apro il mi saggio dicendo:  Nato a Genova il 5 novembre 1940, ma trasferitosi due anni dopo a Bergamo, dal 1952 Giulio Paolini si stabilisce con la famiglia a Torino. Terminati gli studi grafici, nel settembre 1960 realizza il suo primo quadro, Disegno geometrico , per poi partecipare l’anno successivo al “XII Premio Lissone” su invito di Guido Le Noci, titolare dalla Galleria Apollinaire di Milano. Da quel momento fino al 1964 non si profilano ulteriori occasioni espositive: la sua produzione rimane pertanto un laboratorio privato e del tutto sconosciuto. La svolta giunge solo nel 1963 quando, venuto a sapere dell’indisponibilità di Le Noci ad appoggiare il suo lavoro, Paolini si reca a Roma per cercare fortuna da Guido Montana, direttore della rivista “Arte Oggi”, il quale, oltre ad offrirgli la possibilità di pubblicare il suo primo scritto, gli propone di entrare a far parte del Gruppo Uno (proposta però subito declinata) e lo mette in contatto col mondo artistico romano. Paolini conosce così Plinio De Martiis, titolare della galleria La Tartaruga, per il cui spazio espositivo concepisce una personale, rimasta tuttavia allo stato di progetto (Ipotesi per una mostra, 1963  Fallita la collaborazione con De Martiis, l’artista, grazie all’intermediazione dell’amico Aldo Mondino, si reca da Gian Tomaso Liverani e nella sua galleria (La Salita) tiene la sua prima personale nell’ottobre 1964. Da qui, la successiva occasione di esporre una serie di opere su carta alla collettiva 12 giorni La Salita grande vendita, organizzata dallo stesso Liverani. Inaugurata il 19 dicembre 1964, la mostra propone “12 giorni di clamorose offerte - 200 articoli a un prezzo straordinario. Il 5 gennaio alle ore 9,30 verrà sorteggiato un quadro d’autore! Solo 100 biglietti sono in vendita. Affrettatevi!”.
L’evento, dall’evidente componente ludica, vede come protagonisti principali, non tanto le opere esposte sui banchi di vendita prestati dalla Standa, quanto gli spettatori medesimi, disposti a partecipare alla vendita e all’estrazione del premio finale. Tra gli artisti invitati, Paolini presenta la seconda serie dei cosiddetti “Disegni”  del 1964. Sotto il vetro del banco vendita, i “disegni” appaiono chiusi in quanto piegati in quattro e annunciati dalla scritta “Disegni Giulio Paolini L1000”. Ricorda l’artista: “ciascun esemplare fu messo in vendita - ma non fui io a farlo in galleria - al prezzo della banconota che conteneva, in modo che l’eventuale acquirente si vedesse rimborsato subito della cifra pagata” (Giulio Paolini) . L’anno successivo, grazie all’intermediazione di Carla Lonzi che aveva visitato la personale del 1964 a La Salita, Paolini intraprende la collaborazione con Luciano Pistoi, titolare della Galleria Notizie di Torino. Da allora fino ai primi anni Sessanta, Pistoi sarà il suo principale mercante e gli farà da tramite per la conoscenza di autori, collezionisti e frequentatori della Galleria Notizie quali Mario Merz, Saverio Vertone, Ippolito Simonis e Anna Piva, futura moglie dell’artista. L’11 novembre 1966 Pistoi accoglie la prima personale torinese di Paolini, poco dopo averlo invitato a partecipare alla mostra Accardi, Castellani, Paolini, Pistoletto, Twombly (28 maggio-15 giugno 1965). Alla collettiva, Paolini presenta tre quadri del 1965 nonché un esemplare su carta dello stesso anno. Sebbene ad oggi non sia possibile identificare con certezza quel “disegno”, è ipotizzabile che fosse legato al tema concettuale della fotografia così da risultare affine alle tre tele esposte54. Di particolare rilievo la presenza alla mostra di Enrico Castellani che, di lì a poco, introdurrà Paolini alla Galleria dell’Ariete di Milano. Da qui, la sua prima personale milanese nell’aprile 1966, costituita da nove opere di grande formato e da “sei disegni”55. Anche in questo caso, gli esemplari su carta risultano di dubbia identificazione: si suppone però, data la rispettiva provenienza, che alcuni fossero connessi al tema iconografico-concettuale della riga millimetrata sviluppato a partire da quell’anno  Nel 1967 l’attività su carta rimane invece del tutto privata, sebbene Paolini presenti alla Libreria Stampatori di Ippolito Simonis della quale realizza alcune varianti su fogli bianchi da disegno che segue la prima , anch’essa “studiata” su carta . Da ricordare inoltre le due importanti personali dello stesso anno, rispettivamente alla Galleria Stein (8 novembre) e, in precedenza, alla Galleria del Leone di Venezia (7 agosto) dove però espone solo opere di grande formato. La mostra veneziana segna l’inizio della collaborazione con Germano Celant che Paolini aveva conosciuto grazie a Carla Lonzi e dal quale sarà invitato a partecipare, nell’ottobre di quell’anno, a Arte Povera Im-spazio e successivamente alle mostre dedicate al movimento nascente dell’Arte Povera in cui sarà così cooptato. Il 1968 è invece l’anno della prima personale interamente dedicata alle opere su carta che si inaugura il 22 febbraio a Roma, presso la Libreria dell’Oca. Luisa Laureati, titolare di quello spazio, attribuisce al critico Giorgio de Marchis la paternità dell’idea della mostra, mentre l’artista la assegna alla stessa gallerista . Sta di fatto che la personale si inserisce a pieno all’interno del programma espositivo della Libreria inaugurato nel 1967 proprio con un’esposizione di Disegni di Novelli. Paolini espone per l’occasione trentadue esemplari su carta: sebbene destinati alla vendita, a fine mostra, come egli ricorda, solo due risulteranno acquistati . La peculiarità dell’evento risiede non tanto nella quantità e nel genere di opere presentate, ma soprattutto nella modalità d’allestimento. “Essendo una libreria”, spiega l’artista, “lo spazio a disposizione era completamente occupato da numerosi scaffali che non permettevano di sospendere a parete i collages. Come dice Giulio Paolini : Decisi allora di inserirli, ad uno ad uno, in tasche di plastica trasparente che portai a Roma da Torino, per poi appenderli con delle pinzette a quegli scaffali. L’allestimento così ottenuto, non avvalendosi né di cornici né di passe-partouts, dava l’impressione di volatilità: le buste trasparenti pendevano qua e là come se fossero siparietti davanti ai libri”. Se è verosimile il ricordo dell’artista e della gallerista, per cui la scelta di non incorniciare i collages fosse stata dettata da impedimenti ambientali nonché economici61, è opportuno al contempo constatare che l’inserimento di un’opera entro una busta di plastica trasparente richiama alla memoria il quadro presentato da Paolini al Premio Lissone nel 1961 e le sue varianti dello stesso anno , dove il plexiglas trasparente avvolge/contiene una tela vergine sospesa mediante fili di cotone entro un telaio vuoto. Non solo: la busta trattenuta agli scaffali con le pinzette sembra trasformare ogni esemplare in un oggetto “impacchettato”, messo in vetrina e pronto per essere venduto come se fosse un libro, oltre a porsi in continuità con alcuni lavori su carta del 1967-68 nei quali uno o più negativi fotografici sono trattenuti al foglio di supporto per mezzo di un fermaglio metallico . Non essendo stato pubblicato un catalogo sulla mostra né esistendo alcuna documentazione d’archivio che ne permetta l’esatta ricostruzione, non è possibile individuare con certezza i collages esposti. L’unica testimonianza in merito è quella di Giorgio De Marchis che in una recensione su “L’Espresso” parla di una “serie di ‘soli’ e ‘lune’, elementi di immagine strappati da qualche paesaggio pubblicitario e incollati al centro del foglio bianco, altri spazi altre immagini”, nonché di “una fotografia di Jasper Johns sotto un foglio trasparente su cui sono incollate qua e là le stelle della famosa ‘bandiera americana’ ricondotte a significati celestiali”. Seguendo le brevi e sommarie descrizioni delineate nell’articolo, si suppone che alcuni degli esemplari esposti possano essere quelli qui schedati che, datati ante 1969, presentano i motivi iconografici ivi accennati . Tra il 1968 e il 1969 non si registrano ulteriori esposizioni in cui siano presenti opere su carta, nonostante Paolini intraprenda una vasta attività espositiva che comprende non solo quattro personali (rispettivamente: alla Galleria Notizie, alla Galleria De Nieubourg di Milano, allo Studio La Tartaruga di Roma e alla Galleria del Leone di Venezia), ma anche importanti collettive quali Arte Povera a Bologna e Trieste, Arte povera più azioni povere ad Amalfi e Campo Urbano a Como. In questa mostra Giulio Paolini mette in campo una sua visione duale tra il Museo del Novecento e quello di San Marco dove l’artista come vedremo nella sala cinema del museo viene proiettatala registrazione video di Teorema, balletto ispirato all’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini, messo in scena al Teatro del Maggio Musicale di Firenze dal 28 aprile al 6 maggio 1999. Cogliendo la “sfida all’impossibilità del racconto” offerta dal testo pasoliniano, Giulio Paolini aveva realizzato una scenografia essenziale, il cui rigore geometrico dialoga con la fisicità di danzatori vestiti in abiti contemporanei.  Con l’installazione La pittura abbandonata del 1985,presente all’interno di una delle sale al piano terra del museo, viene rappresentata la figura scontornata di una giovane donna. È la silhouette capovolta dell’Arianna addormentata, la cui iconografia affonda le proprie radici nella statuaria classica divenendo nei secoli fonte di ispirazione per artisti e letterati. La figura appare riversa sulla riva del lago di Nemi, che trae il suo nome da un bosco sacro anticamente dedicato al culto di Diana, divinità del pantheon romano usualmente assimilata alla greca Artemide. Proprio per mano di quest’ultima, secondo una versione del mito, Arianna sarebbe stata uccisa. La rappresentazione del piccolo invaso, che prende le forme di una tavolozza, si lega quindi alle vicende che hanno avuto per protagonista la giovane, il cui braccio sembra sorreggere il grande telaio addossato alla parete, con un angolo poggiato a terra. In alto, all’estremità superiore, la struttura in legno è avvolta dal lembo di una lunga tela preparata che ricade sul pavimento. Come un grande quadro “abbandonato”, l’opera ci pone di fronte all’enigma di una ‘visione’ tradita così come fu Arianna nel mito: tradita e abbandonata da Teseo dopo averlo aiutato ad uscire dal labirinto in seguito all’uccisione del Minotauro. “L’arte – suggerisce Paolini – è imitazione di un modello non dato. L’arte è l’imitazione dell’arte e non dice, perché non sa, a che cosa vuol aderire, quale sia appunto il modello da scoprire». L’opera conserva quindi «la materia intatta e ancora segreta del suo divenire”, rendendo vano qualsiasi tentativo di interpretarla e di ricondurla ad un modello. Le opere presentate al Museo Novecento vengono integrate da un collage su cavalletto esposto presso il Convento di San Marco, da sempre ritenuto dallo stesso artista il suo museo ideale. Noli me tanger del 2022, il lavoro ispirato all’omonimo affresco di Beato Angelico, ci pone di fronte al vuoto che scaturisce dalla ricerca di un contatto costantemente mancato, dando vita ad un confronto con la luminosa e leggera perfezione della pittura del frate domenicano, ricercato da Paolini sin dagli inizi della sua carriera.
Nelle opere esposte nelle due sedi ritroviamo le indagini sul ruolo dell’artista e sugli strumenti del fare arte che hanno caratterizzato gran parte della produzione di Paolini. La riflessione, tuttavia, sembra oggi guidata da una più profonda meditazione sull’esaurirsi della vita, in un racconto che si svolge sulle note leggere di una malinconica melodia. Come suggerito dal titolo stesso, Quando è il presente?,la mostra ci appare come un invito a sondare la nostra incapacità di cogliere la vita nella sua essenza, potendola afferrare solo nel suo divenire. In questo percorso, necessariamente individuale pur nella sua universalità, Paolini ci fa immergere in uno spazio costellato di richiami al crepuscolo della vita, agli interrogativi che accompagnano l’inarrestabile scorrere dei giorni, alle relazioni con noi stessi, con gli altri, con ciò che ci ha preceduto e che deve ancora accadere che segnano il nostro passaggio su questa terra: un passaggio scandito da istanti infiniti, in cui si annida, nonostante tutto, l’eternità.
Biografia di Giulio Paolini
Nato a Genova nel 1940, vive e lavora a Torino. Appena ventenne perviene alla definizione di uno stile del tutto originale, come rivela Disegno geometrico, tela dipinta di bianco su cui viene tracciata una squadratura ad inchiostro. L’opera, realizzata nel 1960, viene considerata dallo stesso artista un punto di riferimento permanente nella sua produzione. Inizia infatti a delinearsi la sua riflessione sullo spazio della rappresentazione e sullo statuto dell’opera d’arte. I lavori di Paolini chiamano in causa gli strumenti del fare artistico, la figura dell’autore e il suo rapporto con l’opera e con l’osservatore, in una ricerca che trae nutrimento dalla storia stessa dell’arte: dalla nascita della prospettiva rinascimentale alla sopravvivenza del mito nell’iconografia, fino al perpetuarsi dei modelli classici.  Alla fine degli anni Sessanta prende parte alle manifestazioni del movimento dell’Arte povera, attestandosi su una posizione di tendenziale autonomia. Svincolandosi da qualsiasi condizionamento della cultura dominante, negli anni della contestazione e dell’impegno si fa portavoce di un’arte lontana dalle rivendicazioni sociali e politiche, soffermandosi sull’enigma della visione, sull’inafferrabile relazione tra arte e oggetto, sulle sfuggenti definizioni di tempo e spazio. Paolini si interroga sul valore stesso della creazione e della rappresentazione, esplicitando la propria indagine in sofisticate costruzioni formali e concettuali. La prospettiva, il tema del doppio, la teatralità della messa in scena caratterizzano la sua produzione matura, in cui si depositano e rivivono innumerevoli riferimenti di carattere artistico, letterario e filosofico. Come ricorda Maddalena Disch: «Tra le principali caratteristiche del suo modo operativo figurano la citazione, la duplicazione e la frammentazione, impiegati come espedienti per inscenare la distanza rispetto a un modello compiuto e per fare dell’opera un “teatro dell’evocazione”. A questi procedimenti visivi che attingono a un vasto repertorio di riferimenti letterari, mitologici e filosofici, evocati attraverso la riproduzione fotografica, il collage e il calco in gesso, fanno da pendant allestimenti articolati e compositi, imperniati su dinamiche additive (serialità, ripetizione, giustapposizione), centrifughe (esplosione e dispersione a partire dal centro) oppure centripete (concentrazione, sovrapposizione, incastro)». Protagonista di importanti mostre in gallerie e musei di tutto il mondo, fin dagli esordi ha inoltre associato alla pratica artistica una ricerca di tipo letterario, come rivelano le emblematiche riflessioni raccolte in diversi libri, tra cui Idem (1975), Contemplator enim (1991), Lezione di pittura, Black Out e Giro di Boa (1992-1998), La verità in quattro righe e novantacinque voci (1996), Quattro passi. Nel museo senza muse (2006), Dall’Atlante al Vuoto in ordine alfabetico (2010) e L’autore che credeva di esistere (2012).
 
 
 
Museo del Novecento e Museo San Marco Firenze
Giulio Paolini Quando è il presente?
dal 18 Marzo 2022 al 7 Settembre 2022
dal Martedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 20.00
Giovedì Chiuso
Museo San Marco dal Lunedì al Venerdì dalle ore 8.15 alle ore 13.20
Sabato e Domenica dalle ore  8.15 alle ore 16.50
 
Per le foto Courtesy  Fondazione Anna e Giulio Paolini Torino
Foto di Giulio Paolini Crediti Alessandro Cinquemani