Giovanni Cardone Luglio 2023
Fino al 30 Luglio 2023 si potrà ammirare a Palazzo d'Avalos di Procida la Mostra Collettiva ‘Segni D’Arte’ Ideata e Curata da Ivan Guidone. Con il patrocinio del Comune di Procida e di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022. L’esposizione ha ricevuto il patrocinio dell’A.N.S. Associazione Nazionale Sociologi Campania e dello Sportello Antiviolenza Selene di Giuliano e Qualiano. Interverranno all’evento il Sindaco Raimondo Ambrosino e del Delegato alla Cultura Michele Assante del Leccese, seguirà una performance artistica che omaggia le tradizioni procidane: l’indossatrice Aquilina Di Maio vestirà per l’occasione il tradizionale abito settecentesco della “Graziella” finemente ornato con ricami in oro, mentre la poetessa Rachele Lubrano leggerà alcuni brani tratti dell’omonimo romanzo dello scrittore francese Alphonse de Lamartine. Seguirà il reading poetico dello scrittore procidano Vincenzo Ambrosino che interpreterà sia componimenti personali che quelli di due importanti poeti contemporanei: Antonio Spagnuolo e Giovanni Ronzoni. L’ex cittadella carceraria cinquecentesca oggi prestigiosa sede di importanti eventi culturali in collaborazione con il Museo Madre di Napoli. In una mia ricerca storiografica e antropologica sull’Isola di Procida apro il mio saggio dicendo : Senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco  di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Spesso ignoriamo che, proprio nel sapere collettivo dei nostri progenitori,si nascondevano verità incontrovertibili acquisite più che dallo studio, dall’esperienza, e che in alcune di queste possono essere rintracciate oggi basi e fondamenti scientifici allora sconosciuti che ci hanno permesso di sopravvivere e di arrivare fin qui. Posso dire che storicamente l’isola di Procida è di origine vulcanica ed è situata tra Ischia ed il promontorio di Miseno ed è posta al limite occidentale del golfo di Napoli. Il rilievo più elevato è rappresentato dalla collina di Terra Murata sovrastata da un borgo fortificato di origine medioevale. L’isola si trova a una distanza minima dalla terraferma  detto Canale di Procida, ovvero è collegata da un piccolo ponte alla vicina isola di Vivara. Le sue coste, in alcune zone basse e sabbiose, altrove a picco sul mare, danno vita a diverse baie e promontori che offrono riparo alla piccola navigazione e hanno permesso la nascita di ben tre porticcioli sui versanti settentrionale, orientale e meridionale dell’isola. Dal punto di vista geologico, l’isola è completamente di origine vulcanica, nata dalle eruzioni di almeno quattro diversi vulcani oggi completamente spenti e in gran parte sommersi. Per modalità di formazione e morfologia, l’isola di Procida si avvicina dunque moltissimo alla zona dei Campi Flegrei, di cui fa geologicamente parte. L’isola è infatti formata principalmente da tufo giallo e per il resto da tufo grigio, con tracce di altri materiali vulcanici quali, ad esempio basalti.
Il legame con i vulcani sottomarini è ricordato da Plinio, secondo il quale il nome deriverebbe dal verbo greco prochyo, in latino profundo: l’isola sarebbe stata infatti profusa, messa fuori, sollevata dal fondo del mare o dalle profondità della Terra. In precedenza Dionigi di Alicarnasso, nel suo Archeologia Romana volle far derivare il nome da quello di una nutrice di Enea, da lui qui sepolta quando vi approdò. Secondo il mito greco qui avvenne inoltre la lotta tra i giganti e gli dei , e come Tifeo e Alcioneo  finirono rispettivamente sotto il Vesuvio e Ischia, così Mimante fu posto sotto l’isola di Procida. Recenti ritrovamenti archeologici sulla vicina isola di Vivara un tempo collegata a Procida fanno ritenere che l’isola fosse già abitata intorno al XVI – XV secolo a.C., probabilmente da coloni Micenei. Sicuramente, intorno al secolo VIII a. C .
Procida fu abitata da coloni Calcidesi dell’isola di Eubea; a questi subentrarono in seguito i Greci di Cuma, la cui presenza è confermata sia da rilevamenti archeologici che dalla toponomastica di diversi luoghi dell’isola. Durante la dominazione romana, Procida divenne sede di ville e di insediamenti sparsi sul territorio; sembra comunque che in questa epoca non esistesse un vero e proprio centro abitato: l’isola fu più probabilmente luogo di villeggiatura dei patrizi romani e di coltura della vite. Giovenale, nella terza delle sue Satire , ne parla come di un luogo atto ad un soggiorno solitario e tranquillo. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, l’isola subì le devastazioni dei Vandali e dei Goti; non cadde invece mai in mano longobarda, rimanendo sempre sotto la giurisdizione del duca bizantino (poi autonomo) di Napoli, nel territorio della Contea di Miseno. In quest’epoca l’isola cominciava intanto a mutare radicalmente la sua composizione demografica, divenendo luogo di rifugio per le popolazioni in fuga dalle devastazioni dovute all’invasione longobarda prima e, in seguito, alle scorrerie dei pirati saraceni. In particolare, sembra che l’isola abbia accolto le ultime popolazioni in fuga dal porto di Miseno, distrutto dai Saraceni nell’850. Tuttavia, un documento databile tra il 592 e il 602 riguardante un tributo in vino lascia intuire come già in questa epoca esistesse sull’isola un insediamento stabile. Mutava radicalmente anche l’aspetto dell’isola: al tipico insediamento “diffuso” di epoca romana faceva posto un borgo fortificato tipico dell’età medievale. La popolazione si rifugiò infatti sul promontorio della Terra, naturalmente difeso da pareti a picco sul mare e in seguito più volte fortificato, mutando così il nome prima in Terra Casata e poi in quello odierno di Terra Murata. Con la conquista normanna del meridione d’Italia, Procida sperimentò anche il dominio feudale; l’isola, con annessa una parte di terraferma (il Monte di Miseno, poi detto Monte di Procida), venne assoggettata alla famiglia di origine salernitana dei Da Procida (che dall’isola presero il nome), che controllarono l’isola per oltre due secoli. Di questa famiglia l’esponente di maggior spicco fu sicuramente Giovanni Da Procida, terzo (III) con questo nome, consigliere di Federico II di Svevia e animatore della rivolta dei Vespri Siciliani . Durante la guerra del Vespro l’isola fu infatti controllata dalla flotta del re aragonese di Sicilia ben 14 anni, dal 1286 al 1299, pur subendo diversi assedi da parte degli angioini di Napoli, che riuscirono a rientrare a Procida solo quando, dopo la morte di Giovanni da Procida, il suo figlio secondogenito, Tommaso da Procida, passò nel campo angioino.
Nel 1339, comunque, l’ultimo discendente dei Da Procida vendette il feudo con l’isola d’Ischia alla famiglia napoletana dei Cossa, famiglia di ammiragli fedele alla dinastia francese dei D’Angiò, allora regnante su Napoli. Dei Cossa, esponente di maggior rilievo fu Baldassarre Cossa , eletto antipapa nel 1410 con il nome di Giovanni XXIII. In quest’epoca l’economia dell’isola rimaneva sempre prevalentemente legata all’agricoltura, con una lenta crescita delle attività legate alla pesca. Durante la dominazione di Carlo V a Napoli l’isola fu confiscata all’ultimo Cossa e concessa in feudo alla famiglia dei d’Avalos d’Aquino d’Aragona (1529) fedele alla casa d’Asburgo. Il primo feudatario fu appunto Alfonso d’Avalos , marchese del Vasto e generale di Carlo V, cugino di Fernando Francesco d’Avalos. Continuavano intanto anche in quest’epoca le scorrerie dei pirati saraceni, accentuate ulteriormente dalla lotta tra gli Ottomani e l’impero spagnolo. Molto documentata e cruenta in particolare fu l’incursione del 1534, ad opera del pirata Khayr al Din, detto il Barbarossa , conclusasi con devastazioni e con un gran numero di Procidani deportati come schiavi, e che volle poi ripetere l’impresa nel 1544. Il suo successore, Dragut , fece sì che l’isola fosse nuovamente devastata nel 1548, nel 1552, nel 1558 e nel 1562. Un’ulteriore incursione barbaresca è documentata nel 1585. Testimonianze di questo periodo sono le torri di avvistamento sul mare , diventate in seguito il simbolo dell’isola , una seconda cinta muraria attorno al borgo della Terra Murata e l’inizio della costruzione nel 1563 del Castello D’Avalos, ad opera degli architetti Giovan Battista Cavagna e Benvenuto Tortelli. Un miglioramento delle condizioni di vita nell’isola si ebbe tuttavia solo dopo la battaglia di Lepanto che ridusse di molto le attività della marina ottomana nel Mediterraneo occidentale, permettendo, finalmente, la nascita nell’isola di un’economia legata alla marineria. Nel XVII secolo l’isola venne occupata dalla flotta francese comandata da Tommaso Francesco di Savoia, sullo sfondo delle vicende legate alla rivolta di Masaniello e della nascita della seguente Repubblica. Con l’avvento dei Borbone nel Regno di Napoli, nel 1734, si aveva intanto un ulteriore miglioramento delle condizioni socio economiche dell’isola, dovuto anche all’estinzione della feudalità nel 1744 per opera di Carlo III, che inserì Procida tra i beni allodiali della corona, facendone una sua riserva di caccia. In questo periodo la marineria procidana si avvia verso il suo periodo di massimo splendore, accostando a questa anche una fiorente attività cantieristica: fino a tutto il secolo successivo, vengono varati nell’isola bastimenti e brigantini che affrontano la navigazione oceanica; verso la metà del XIX secolo circa un terzo di tutti i “legni” di grande cabotaggio del meridione d’Italia proviene da cantieri procidani . La popolazione ascende fino ad un massimo di circa 16000 persone sul finire del XVIII secolo, ovvero circa una volta e mezza la popolazione attuale. Nel 1799 Procida prende parte alle sommosse che portano alla proclamazione della Repubblica Napoletana; con il ritorno dei Borbone, pochi mesi dopo, dodici Procidani, tra i più influenti e in vista dell’isola, vengono impiccati per questo nella stessa piazza dove era stato issato l’albero della libertà. Negli anni successivi (e in particolare nel “decennio francese”), l’isola vede diverse volte la guerra passare sul suo territorio con pesanti scontri e devastazioni, a causa della sua basilare posizione strategica nella guerra sul mare, contesa tra Francesi e Inglesi; le cronache riportano che nel solo 1809 circa 4000 persone abbandonarono l’isola al seguito delle navi inglesi sconfitte al termine della sesta coalizione antifrancese. Anche per questi motivi, nel 1860 la caduta dei Borbone e l’unificazione italiana vengono accolte favorevolmente dalla popolazione. Il XX secolo vede la crisi irreversibile della cantieristica procidana, sotto la concorrenza dei grandi agglomerati industriali: l’ultimo grande brigantino procidano viene varato nel 1891. Nel 1907 inoltre, Procida, a seguito di un referendum, perde il suo territorio di terraferma, che diventa un comune autonomo denominato Monte di Procida. Nel 1957 l’isola viene raggiunta dal primo acquedotto sottomarino d’Europa, mentre negli ultimi decenni, la popolazione, fino agli anni Trenta decrescente, comincia lentamente a risalire. L’economia rimane in gran parte legata alla marineria accanto alla crescita, negli ultimi anni, dell’industria turistica, che esploderà fragorosamente nel 2022, grazie alla proclamazione di Procida capitale della cultura. Questa rassegna di arti visive vuole essere un dialogo tra l’arte contemporanea e le tradizioni da non dimenticare personaggi come : “Graziella” di Alphonse de Lamartine fino ad “Arturo” di Elsa Morante, passando per quello di “Mario il Postino” di Massimo Troisi. Tra le figure legate ‘ profondamente’ all’Isola di Procida c’è Elsa Morante che nel panorama letterario del secondo dopo guerra tiranneggiato dalla scuola neo realista, il romanzo L‘Isola di Arturo di Elsa Morante, insignito del Premio Strega nel 1957, è definibile un caso letterario. Lo scrittore romano difatti si discosta dalla tendenza più in voga per regalarci un romanzo, il secondo dei quattro che scriverà, che ci conduce in un mondo fantastico il mondo di Arturo Gerace un ragazzino che racconterà un periodo della sua vita, l‘adolescenza, trascorso sull‘isola di Procida, nel golfo di Napoli. La lontananza dal mondo neo realista, le alienerà per lungo tempo i favori della critica. Alfonso Berardinelli riassume bene coloro che furono la causa del misconoscimento del valore delle sue opere: i critici italiani che prediligevano la letteratura sperimentale, quelli marxisti che invece giudicavano la letteratura come mezzo politico e in ultimo “gli scienziati della letteratura” coloro che ritennero che la facile fruibilità e la diffusione dei suoi libri fosse un difetto piuttosto che un pregio. Nel periodo dell‘uscita del romanzo fu Pier Paolo Pasolini una delle poche voci isolate che ammise fin da subito il valore del libro e a cui si devono ancora oggi una serie di giudizi tra i più illuminanti sul lavoro del romanziere romano. Proprio nello stesso anno dell‘uscita del libro Pasolini recensisce il romanzo in questo modo: La presenza dell‘Isola è lì a dimostrare che una seconda fase del realismo del dopo guerra si sta iniziando, evidentemente, al di qua dello stato di emergenza in cui è nato. Pasolini inoltre metterà in evidenza il continuo colloquio tra l‘Isola e i romanzi naturalisti e veristi, riconoscendo alla Morante la riassunzione di forme che solo apparentemente erano superate, ma che in realtà, dentro il neorealismo stesso si erano tramandate, quale tradizione recente  e il formarsi di nuovi tipi di “evasività”, ineluttabili in ogni situazione letteraria normale. L‘opera della Morante indica i modi non la necessità della poesia. Aggiungerei che nel romanzo la presenza di diversi registri consente di far emergere aspetti della realtà, che non sarebbero potuti facilmente rientrare nelle maglie strette dei romanzi canonici di scuola realista. Distaccandosi da una serie di dictat della tendenza neorealista, potremmo dire impegnata, la Morante ci consente di dare uno sguardo sulla realtà da una prospettiva più complessa. A prima vista il romanzo sembra essere un romanzo di formazione, o meglio un tardo romanzo di formazione seguendo Franco Moretti. Esso non apparterebbe in tutto e per tutto alla categoria di Bildungsroman, se cataloghiamo sotto questa etichetta, spesso vaga, la tradizione romanzesca che ha come capo stipite il Wilhelm Meister di Geothe come fa lo studioso. Se proprio ci si volesse rifare a tali griglie interpretativa andrebbe detto che L‘isola di Arturo si colloca al confine tra un tardo romanzo di formazione e un romanzo modernista. Ad un primo sguardo, una serie di elementi ci inducono a ritenere di trovarci di fronte ad un romanzo di formazione: le avventure di un ragazzo, la narrazione di un narratore che ormai ha raggiunto la maturità, le disillusioni a cui è sottoposto il protagonista, il primo amore contrastato, il denaro che il giovane non possiede e di cui non ha bisogno fin tanto che non inizia ad entrare nell‘età adulta, ovvero quando inizia il suo processo di socializzazione, la svolta finale con l‘abbandono dell‘isola. Pur avendo presenti questi punti di vicinanza tematica tra l‘opera della Morante e le categorie eventualmente di Tardo romanzo di formazione e di quella di Bildugsroman. Confrontare il romanzo con tali categorie cercando di dimostrare, a secondo dei casi, l‘appartenenza o la lontananza da esse ha costantemente limitato la critica per lungo tempo. Ciò che si perde in tale approccio è la possibilità di fare emergere proprio quella forma ibrida, che la Morante ci regala, con tutto ciò che ne consegue. La ricerca dei modelli, la ricerca di filiazione, di ambedue gli approcci limitano l‘ampiezza del messaggio del romanzo, la ricerca di una forma di interdiscorsività tra questi testi svincola da tali discussioni, per lasciare spazio ad una lettura del testo più serena. A guardar bene il romanzo è un continuo ripescaggio di materiali dai generi letterari più in voga in Italia tra il diciannovesimo e l‘inizio del ventesimo secolo, molti di essi fanno capolino nel testo in alcune descrizioni di personaggi, situazioni e luoghi. Lo stesso Pasolini lo diceva come abbiamo visto, ma che proprio sul punto in cui pare che stia venendo fuori una figura, un ambiente, una situazione stereotipizzate appartenenti ad una tradizione canonizzata delle più illustri, qualcosa sgrana l‘immagine, ne intacca la nettezza. Sono proprio questi momenti potremmo definirli di sgranatura (e non quelli di allineamento ad una data tradizione), che lasciano emergere la presenza dell‘altro di cui si esplicita la prospettiva differente, focalizzata sulle incongruenze della realtà e non sulle armoniose vicende che si succedono nel mondo fantastico di un‘adolescente in crescita.  Come viene raccontato storicamente che durante la sua giovinezza, Lamartine compì un viaggio in Italia, soffermandosi in particolare a Napoli e visitando le isole del golfo del capoluogo campano: era il 1811 circa. Arrivato a Procida, Lamartine s’innamorò della gente del posto, semplice e allegra. E s’innamorò di una ragazza del luogo, figlia di un pescatore. Il nome della ragazza dovrebbe essere Antonella Jacomino. Che ricambiò l’amore del francese. Ma Lamartine tornò in Francia per i suoi obblighi diplomatici. Lo scrittore, anni dopo, ritornerà su quell’amore giovanile scrivendo il romanzo Graziella. Il giovane scrittore francese Alphonse de Lamartine ha diciotto anni. Parte per un viaggio in Italia e, tra le diverse tappe, c’è Procida. Decide di farsi assumere come aiutante da un pescatore locale perché vuole provare il tipo di vita semplice degli abitanti dell’isola. Graziella è la nipote del pescatore. Una fanciulla semplice, romantica e solare. Tra i due s’instaura una profonda amicizia. Che, anche se entrambi ne sono inconsapevoli, si trasforma in amore.
Un giorno, Graziella riceve una proposta di matrimonio da parte di un cugino. La ragazza rifiuta ostinatamente. Lo stesso Alphonse si presenta a casa del pescatore per cercare di chiarire. Ma quel matrimonio è importante perché permetterebbe al pescatore e a sua nipote di uscire dalla loro condizione di povertà. Graziella è disperata. Intenerita dalla disperazione di tutti, decide di accettare la proposta. Poi cambia idea e scappa da casa. Dopo averla cercata per tutta la notte, finalmente Alphonse la trova. I due si rivelano i reciproci sentimenti. Per non turbare la ragazza, il cugino ritira la proposta di matrimonio. La vita di Alphonse e Graziella torna alla normalità. Fino al giorno, inevitabile, in cui l’uomo deve tornare in Francia. Graziella è distrutta. Alphonse le promette che sarebbe tornato e che avrebbero trascorso il resto della vita insieme. Invece, in Francia Alphonse fa di tutto per dimenticarla. Fino alla sera in cui, di ritorno da un ballo, trova una lettera di Graziella, che gli rivela la sua malattia inguaribile. Alphonse conserverà per sempre la lettera insieme al ricordo del suo primo amore. La figura di Graziella è diventata un vero mito, l’immagine della donna procidana, come si evince dalla bellissima foto scelta dal curatore dove mito, tradizioni e contemporaneità rivivono in questa figura che l’immagine di un isola senza tempo. Esporranno i seguenti artisti : Arca Annoiato - Procida, Erminia Assante – Procida, Serena Casali – Treviso, Maria Pia Daidone – Napoli, Raffaella De Luise – Ischia, Samuel Di Mattia –Francia, Carmine Elefante – Napoli, Flavio Gioia – Napoli, Alessandra Merenda – Napoli, Annamaria Quadretti – Procida , Giovanni Ronzoni- Monza, Marilisa Serpico- Procida, Arianna Spizzico- Procida.  Infine si ringraziano le artiste Marilisa Serpico ed Arianna Spizzico per il supporto organizzativo e Sara Coppola per il servizio fotografico. Con Procida Segni D’Arte, l'isola di Procida si riconferma centro fertile di iniziative artistiche e culturali.
 
Palazzo d'Avalos di Procida
Mostra Collettiva ‘Segni D’Arte’
dal 15 Luglio 2023 30 Luglio 2023
dal Lunedì alla Domenica
dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 16.00 alle ore 21.00