Giovanni Cardone Novembre 2023
 
Fino al 10 Dicembre 2023 si potrà ammirare presso la Fondazione Magnani – Rocca la mostra dedicata ad Umberto Boccioni – ‘Boccioni 1900-1910 Roma Venezia Milano’  a cura di Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi – composta da oltre cento opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell’artista. La mostra si sofferma sulla figura del giovane Boccioni e sugli anni della formazione affrontando i diversi momenti della sua attività,dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, sino agli esiti pittorici immediatamente precedenti l’elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910. Un decennio cruciale in cui Boccioni sperimenta tecniche e stili alla ricerca di un linguaggio originale e attento agli stimoli delle nascenti avanguardie. La mostra intende non solo documentare il carattere eterogeneo della produzione boccioniana, ma soprattutto ricostruire i contesti artistici e culturali nei quali l’artista operava. Viene così fatta luce sulle vicende artistiche tra il 1900 e il 1910, offrendo un panorama più ampio su un periodo fondamentale per l’attività di Boccioni che permette di porre in prospettiva lo svolgersi della sua ricerca. In una mia ricerca storiografica e scientifica su Umberto Boccioni Prefuturista apro il mio saggio dicendo : Le ‘avanguardie’ hanno come elementi caratterizzanti la stesura di Manifesti programmatici dove si individuano obiettivi e nemici, dopo aver fatto il punto sullo stato dell’arte ed espresso la volontà di superare le esperienze del passato dichiarando l’intenzione di aprire nuove strade. Idee chiare quindi, messe nero su bianco, come avvenne nel Manifesto del Futurismo del 1909, nel Manifesto dei pittori futuristi (nelle due versioni) e nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910. Questi convincimenti sono frutto di ricerche precedenti e, nel caso di Boccioni, di un travaglio interiore esplicitato nei lavori di grafica e di pittura che lo hanno reso assoluto protagonista del passaggio di consegne fra l’esperienza divisionista italiana e il futurismo. «Bisogna che mi confessi che cerco, cerco e non trovo. Troverò? Ieri ero stanco della grande città, oggi la desidero ardentemente. Domani cosa vorrò? Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale»  . È sintetizzato in queste parole scritte nel marzo del 1907, il tormentato stato d’animo di Umberto Boccioni che non riesce a tradurre in arte ciò che sente di voler dipingere; parole che danno il senso di un lungo travaglio che ha caratterizzato quel percorso di ricerca che nel 1910 porterà alla nascita del Futurismo. Quello che qui ci interessa è ciò che è avvenuto prima del 1910, riguarda l’esperienza precedente alla fase futurista nella quale Boccioni finalmente esplicita «la sua dote essenziale, genuinamente artistica di saper portare sopra un piano lirico colla forza della sua calorosissima pittura, quello che resta per molt’altri mero enunciato» . Quello che è successo ‘prima’ è divenuto interessante proprio in virtù del successo ottenuto in seguito all’esperienza divisionista di molti artisti di primissimo piano del movimento futurista. I futuristi si sentivano «i primitivi di una sensibilità completamente rinnovata» ma, pur tenendo conto delle opportune differenze e delle peculiarità individuali, la maggior parte di loro prendeva le mosse dal medesimo punto di partenza: essere stati ‘divisionisti di seconda generazione’. Per Boccioni non si può parlare di una totale adesione al divisionismo, non certo in forma ufficiale e organica, ma sicuramente di uno studio ed un utilizzo della tecnica divisionista per esplicitare il proprio modo di vedere la realtà che lo ha condotto alle conquiste più importanti ed innovative della sua pittura e cioè della successiva fase futurista. Tanto che, nel Manifesto tecnico della pittura futurista teorizzerà che «non può sussistere pittura senza divisionismo. Il divisionismo, tuttavia, non è nel nostro concetto un mezzo tecnico che si possa metodicamente imparare ed applicare. Il divisionismo, nel pittore moderno, deve essere un complementarismo congenito». Dunque una tecnica che spalanca le porte ad uno dei principi cardine del futurismo, utilizzata per molti anni come linguaggio di rappresentazione della realtà in evoluzione come dimostrato, ad esempio, alla mostra del divisionismo italiano del 1970 nella quale Boccioni è inserito con ben trenta opere fra cui Il romanzo di una cucitrice , Autoritratto , Il treno che passa fino a Gigante e Pigmeo  dipinto nei mesi di stesura e divulgazione dei già citati manifesti. «Il 1910 è l’anno che fa da perno a tutta la vita di Umberto Boccioni: ogni importante avvenimento artistico ha per punto fermo un prima e un dopo rispetto al 1910» , non solo per quella firma che il pittore nato a Catania nel 1882 appone in calce al Manifesto della pittura futurista assieme a Severini, Carrà, Russolo e Marinetti, ma forse e soprattutto perché quell’anno è denso di avvenimenti che rappresentano uno spartiacque nella vicenda artistica di Boccioni: mentre a Ca’ Pesaro si tiene la prima mostra personale che è anche «l’ultimo passo prima del futurismo» , egli è già al lavoro per La città sale , Gigante e pigmeo , Rissa in galleria, dipinti che danno l’avvio alla nuova avanguardia futurista di cui Boccioni sarà alfiere e teorico. Se partiamo da un semplice dato biografico, ci accorgiamo che in termini temporali la parte prefuturista supera in numero di anni quella futurista. La giovane vita di Boccioni si spezzò per una banale caduta da cavallo a soli 34 anni nel 1916 . Severini in una testimonianza in La vita di un pittore ci informa che lo ha conosciuto nel 1900 durante il soggiorno romano e Boccioni stesso, a quella data, «confessò apertamente che non aveva mai toccato né pennelli né colori» . Poi inizierà a copiare quegli «orribili cartelloni»  del pittore Mataloni e incontrerà la lezione di Balla: dei sedici anni dedicati alla pittura, dunque, dieci anni di ricerca e soltanto sei anni di futurismo. Ma andiamo per ordine: un ruolo importante nell’evoluzione della formazione culturale e pittorica lo hanno avuto certamente i vari ambienti che Boccioni ha conosciuto e frequentato dal 1900 al 1910: Roma, Padova, Venezia, Parigi, Monaco, la Russia. In ogni luogo ci sono possibili fonti che hanno influenzato l’evolversi delle pittura boccioniana tanto quanto la caotica ed industrializzata Milano ha caratterizzato la fase futurista. Negli anni di studio Boccioni segue il padre, impiegato di prefettura, nei suoi trasferimenti per l’Italia: Forlì, Genova, Padova, Catania; nella città siciliana ottiene il diploma d’istituto tecnico e collabora con alcuni giornali locali. Nel 1901 si trasferisce a Roma presso la Zia Procida, sorella del padre. Apprende i primi elementi pittorici e frequenta la Scuola libera del nudo all’Accademia delle belle arti . Il periodo di permanenza nella capitale, fondamentale per la formazione di artista, è dominato dalla frequentazione di quello che, «con termine improprio di ‘avanguardia’ romana»  è conosciuto come «quel circolo di artisti che gravitava intorno alla personalità di Balla e che comprendeva anche poeti, letterati, musicisti, in una convergenza di ideali – spesso ingenui e romantici – di rinnovamento dell’arte nel suo rapporto, anche con la società: circolo che comprendeva Basilici, Cambellotti, Prini, ed altri che anche Severini ricorda nella sua autobiografia, come Sironi, Felci, Riccardi, Tobaldi, Raoul De Ferenzona, Mosone, Pietrosalvo, Costantini, Longo»  . Uno degli incontri decisivi dell’artista dopo il suo arrivo nella capitale fu con Gino Severini, il quale riferisce che «il primo studio tratto ‘dal vero’ (prima Boccioni si era limitato a copiare i cartelloni del suo grossolano insegnante) fu una mal riuscita inquadratura del ponte Nomentano»  . Proprio all’amico Severini, in una lettera del 7 settembre 1902, scrive Boccioni: «ho portato il mio paesaggio da Balla e gli piacque molto. Gli domandai perché diceva che i nostri lavori vanno sempre bene e lui mi rispose che, non essendovi il vero da confrontare, non può fare tutte quelle osservazioni che vi sarebbero da fare. Se dice bene!..bene!..avanti!... avanti!...lo fa perché vede il progresso nella scelta delle linee, nel colorito e nella tonalità generale»  è un personale resoconto dei progressi frutto dell’ambiente romano alle prese con un «processo di revisione dell’impressionismo» che era già finito come fenomeno storico e in fondo in Italia non era neppure arrivato . In quel periodo, ricorderà Boccioni qualche anno più tardi, «i giovani guardavano a Monaco e Vienna, come il centro del pensiero plastico europeo  la Sécession, il Glaspast erano accuratamente visitati la Jugend bizzosa, e l’indigesto Simplicissimus erano cercati, studiati…e copiati. In Italia era ed è più celebre Lembach di Manet. Hans Thoma di Pissarro, Liebermann più di Renoir, Marx Klinger più di Gauguin. Joseph Sattler più di Degas…Di Cézanne non ne parliamo.. Ultimo, l’austriaco Klimt, impasto commerciale di bizantino, di giapponese, di zingaresco, era da noi considerato come un aristocratico innovatore dello stile» . Frequentando quest’ambiente risulta così ben chiaro come «la personalità di Boccioni si formi, a Roma, dall’incrocio tra la lezione di Balla (che significa elaborazione dell’impressionismo francese e del divisionismo italiano) e gli interessi filo-secessionisti del circolo romano, che comportano tra l’altro potenzialità di apertura verso il simbolismo e l’espressionismo». Severini ci informa che «Boccioni, che sentiva a fiuto le persone di valore, aveva scoperto Balla, da poco tornato a Parigi, e tutto penetrato dalle idee dell’Impressionismo  il quale ci iniziò alla tecnica moderna del ‘divisionismo’ senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche» . A Roma nel 1903 dipinge Campagna romana , prima opera datata e che risente dell’influenza di Balla, dal quale si allontanerà di lì a poco non solo fisicamente. Il sodalizio con Severini si fa in quegli anni sempre più stretto ed entrambi espongono le loro opere nelle mostre annuali della Società degli amatori e cultori di belle arti a Roma dal 1903 al 1906. Ma la ribalta della stampa e della critica i due sodali la ottengono con l’allestimento della ‘Mostra dei Rifiutati’ al Teatro Nazionale di Roma, dopo che le loro opere non erano state accettate dalla commissione degli amatori e cultori di cui faceva parte anche il loro maestro Balla. Nell’aprile del 1906 Boccioni arriva a Parigi (ci tornerà nel 1911 con Carrà e Severini come loro guida) prima di partire per la Russia dove soggiornerà cinque mesi fra Pietroburgo e Tzatzarin, per essere di nuovo a Padova alla fine dell’anno. I viaggi nella capitale francese e in terra russa sono esperienze che segnano Boccioni, desideroso di scrollarsi di dosso quel provincialismo che lo farà sbalordire di fronte alla vita pulsante di Parigi e alle serate piene di donne truccatissime al Moulin de la Gallette . Boccioni in quel periodo fu dunque in contatto con la pittura internazionale europea che si incontrava nei Salons parigini (ma anche al di fuori di essi) e con i movimenti impressionisti e post-impressionisti russi (l’Unione degli Artisti Russi a Mosca e Mir Isskutsva a Pietroburgo), anche se, come risulta evidente dalle sue opere successive, «i poli restano Segantini e Previati, altro che i francesi, e Boccioni sta per divenire un neofita convinto del nuovo movimento». La rivoluzione che porterà alla nascita del futurismo non può essere avvenuta solo perché in quegli anni Boccioni ha visto e studiato a Parigi Manet, Dégas, Renoir, Monet, Pissarro, Van Gogh, Lautrec e Cézanne ma è dovuta ad una serie di fattori ed esperienze convergenti: «ogni ricostruzione di formazione e cultura artistica che sia per forza di cose presuntiva, non deve però essere aprioristica od esclusiva, se vuol essere critica. Dare per certi interessi, studi e incontri determinanti su una linea, e su una soltanto, se può rispondere al desiderio, per vero abbastanza incongruo, di fornire a un artista un pedigree autorevole, come ad un nobile animale, per accreditarlo, non conduce a nessun risultato serio, in quanto l’affermazione non trova le sue prove categoriche nel linguaggio artistico». Boccioni arriva a Padova nell'autunno del 1906, di ritorno dal suo primo soggiorno a Parigi e dal viaggio in Russia, si ferma sei mesi, dipinge soprattutto ritratti e inizia il suo fondamentale diario, detto appunto ‘padovano’. La mostra di Padova del 2009 dal titolo Boccioni prefuturista ha ricostruito il contesto cittadino nel quale acquistarono plastica evidenza, sia narrativa che espositiva, quei soggetti che hanno attraversato la vicenda padovana di Umberto Boccioni a partire dalle presenze fondamentali della madre, della sorella, dell'amata Ines (ritratte idealmente insieme in Le tre donne ) e della cugina pittrice Adriana Bisi Fabbri, ritratta da Umberto in un celebre olio, che visse con la madre e la sorella dell'artista dal 1900 al 1905. In questa ricostruzione Padova appare «veramente ‘città materna’, votata agli affetti e alle presenze femminili. Nella sfera più pubblica e lavorativa Boccioni intrecciò, invece, rapporti non superficiali con affermati professionisti cittadini che ritrasse in un originale versione di postimpressionismo, energico e fortemente espressivo, circoscritto a quel periodo: l’avvocato Gopcevich che si fece ritrarre durante il viaggio a Parigi, il dottor Tian che lo salvò da una fatale broncopolmonite contratta durante il viaggio in Russia, i fratelli Brocchi (Virgilio scrittore e Valerio scultore) socialisti di lungo corso e il cavalier Tramello, funzionario della banca d’Italia, vissuto a lungo a Roma» . A qualche mese dalla morte nella ‘Cronachetta d’arte’ della rivista «Emporium» si dà conto di una mostra di Boccioni a Milano in cui vengono apprezzate le opere del periodo prefuturista: «di Umberto Boccioni poco più che trentenne, prova tutto il suo singolare fervore di lavoro un’esposizione postuma di recente inaugurata. Tutta l’evoluzione del suo temperamento artistico, prima neo-impressionista schiettamente italiano, poi futurista, ardito innovatore, affannosamente innamorato di nuove ricerche, nelle quali non aveva ancora trovato quello che andava inseguendo, ci è dato cogliere nel suo più chiaro significato. Ma egli non era certo entrato nel futurismo per non sapere fare di meglio. Vi osserva gli studi, i ritratti, i paesaggi della sua prima maniera, stupisce nel trovare tele che onorerebbero più di un provetto maestro. Le tre donne , La Signora Virginia , Maestra di scena , Il romanzo di una cucitrice , sono opere di cui splende una singolare potenza pittorica e dalle quali si rileva una chiara sensibilità moderna, capace di estetizzare forme, colori, ambienti che fino a ieri erano rimasti fuori dall’arte. Chi pone a raffronto questi quadri del 1908-1909 già dichiarati vecchi, con quelli che volevano essere una pratica attuazione delle nuove teoriche di pittura e di scultura da lui escogitate, converrà che il Boccioni fu tormentato da un desiderio continuo di rinnovarsi e salire, e senza ripetere mai nessuno fu attratto dal suo temperamento entusiasta, ardente, ribelle della soffocante mediocrità verso il futurismo perché egli era innamorato solo di quanto è nuovo e difficile» . Le opere dipinte durante il periodo Padova-Venezia portano il segno di una nuova ricerca «soprattutto sul colore, che l’artista esaspera giocando su giustapposizioni tonali  ritorna alle ricerche divisioniste, forse mai abbandonate, frantumando il colore in piccole tessere di toni puri come nel Ritratto di Scultore  del 1907» . Nel gennaio 1908 inizia il suo diario milanese e si incontra con Previati che lo riceve nel suo studio: è l’anno di Ritratto della signora Massimino , Periferia , Il Romanzo di una Cucitrice  Il treno che passa . Abita in periferia, nei pressi di Porta Romana, tra case in costruzione e fabbriche, che diventeranno il motivo dei primi dipinti futuristi; per liberarsi da un’arte di visione che non lo soddisfa, si accosta al simbolismo la difficoltà di «far convergere le aspirazioni soggettive con la fedeltà alla realtà, l’Ideale con il Vero» è il motivo dominante dei suoi diari di questi anni, nel quale emerge che per Boccioni l’opera d’arte diviene un ‘ponte’ e le parti realistiche del quadro sono il simbolo di idee altrimenti irraggiungibili . Il distacco dalla visione naturalistica avviene, anche se seguendo in parte ancora l’insegnamento di Balla, coscientemente negli anni 1907-1908 che vedono anche un cambiamento nei temi delle opere. Si passerà dalle quiete campagne padovane e lombarde alle prime visioni dei caseggiati popolari e fabbriche della periferia milanese. L’opera che meglio descrive analiticamente questo passaggio, evocando l’imminente mutamento di abitudini delle persone costrette ad adattarsi ad una società che cambia credo sia Mattino  del 1909 che, insieme a Officine di Porta Romana  e Crepuscolo rappresentano un ‘precorrimento’ futurista «dove l’attestato interesse per la fervida, brulicante operosità dell’industria prende quasi la forma, romantica ed evocativa, di un addio alle campagne» . La ricerca post-impressionista di Boccioni a questo punto si muove fra il divisionismo di Balla che soddisfa solo il dato percettivo, l’idealismo naturalista di Segantini e il simbolismo di Previati che porta all’espressionismo il linguaggio dei tre punti di riferimenti dell’artista si fonde su uno dei temi a lui più cari, il ritratto della madre, nel dipinto Controluce  datato 1909, con il quale Boccioni «realizza così pienamente la conversione in dato espressivo di quella carica luminosa e di quell’intensa e densa sensibilità materica» . Nei diari si trova traccia di queste analisi comparative in cerca della giusta strada: «Dopo tanto tempo mi sono deciso e ho fatto una visita a Gaetano Previati. Che differenza tra lui e Balla: di questo mi ha detto molto bene. Gli ho parlato delle mie lotte e s’è spaventato quando ha saputo che oltre alle lotte per l’arte ho anche quelle per la vita!...L’ho trovato d’accordo quasi in tutto. È un’anima piena di fede e di coraggio. Sa della derisione che lo guarda ma non se ne sgomenta. Non ha voluto venire a vedere il quadro della Signora Massimino ma non ricordo il perché mi pare dicesse che poteva ferirmi senza che questo avvantaggiasse me di nulla» . Dal suo osservatorio di pittore futurista maturo rivedrà questi giudizi (soprattutto su Segantini) e dell’esperienza divisionista ‘salverà’ soltanto Previati; le discussioni con i sodali futuristi Marinetti, Carrà, Russolo e, per corrispondenza, Severini, lo faranno mutare posizione rivalutando l’impressionismo francese a discapito dell’esperienza delle Secessioni. Prendendo in esame le opere degli anni compresi fra il 1905 ed il 1910 possiamo notare che «quei gradi del passaggio coerentissimo di Boccioni (la frattura anarchica è stata un fatto della sua violenza polemica, della sua tensione sentimentale; nel suo linguaggio pittorico si è trattato, in realtà meno di una frattura che di uno sviluppo) sono evidenti nei modi della sua tecnica, che attenua via via l’impeto con minute pennellate brevi e fitte, non accarezzanti un’invisibile onda lineare con filamenti esili e lunghi, come in Previati, ma quasi accennanti a un pointillisme d’altra parte esterno appena, non affatto risolutore (come in Seurat e nel migliore Signac) della forma, la quale sembra ancora abbisognare di una struttura plastica paradossalmente preliminare alla resa cromatica, di un ‘disegno’» Il 1910 ha per Boccioni delle tappe precise: febbraio 1910, manifesto per la pittura futurista; aprile 1910, manifesto tecnico per la pittura futurista; aprile 1910, discorso di Marinetti contro ‘Venezia passatista’ e diffusione di volantini sul tema; 23 aprile inaugurazione della Biennale (dove si poteva ammirare Klimt, fra gli altri); 16 luglio inaugurazione a Cà Pesaro della V Mostra d’estate con l’esposizione delle opere di Boccioni; tra i quadri che inizia o medita di dipingere vi sono La città sale ce Rissa in Galleria. La presentazione nei toni già arditamente futurista ad opera di Marinetti non si addice alle opere di Boccioni in mostra a Cà Pesaro, ancora evidentemente prefuturiste (fra le opere in mostra anche il ‘verista’ Nonna del 1905); ne nasce una polemica sulla stampa che tende a mettere in evidenza la differenza fra la mancanza di audacia in pittura rispetto ai propositi verbali; fra i più polemici Ardengo Soffici dalle colonne de ‘La Voce’, inizialmente ostile a Boccioni forse perché le sue alte aspettative rimangono deluse. Nonostante le polemiche la prima personale di Boccioni ha un buon successo.
La mostra è suddivisa dunque in tre macro sezioni geografiche legate alle tre città che più di tutte hanno rappresentato punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano le cui sezioni sono curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati. All’interno di queste aree, approfondimenti su aspetti specifici il rapporto con il mondo dell’illustrazione nel periodo romano, quello con l’incisione e le aperture internazionali legate ai viaggi costituiscono ulteriori focus di indagine. Lo studio delle fonti, a iniziare dai diari e dalla corrispondenza di Boccioni entro il 1910,e le recenti e approfondite indagini hanno portato nuovi elementi utili alla conoscenza di questa fase della sua attività. L’obiettivo, diversamente da quanto spesso accade nelle rassegne dedicate alla parabola divisionismo-futurismo, è quello di seguire la formazione boccioniana al di fuori di una logica deterministica legata all’approdo al futurismo, ma di cogliere la definizione di un linguaggio e di una posizione estetica in rapporto alle coeve ricerche che si strutturavano e che caratterizzavano i contesti coi quali l’artista entrò in contatto. A documentare questo percorso sono esposte alcune delle opere a olio su telapiù note della prima produzione  dell’artista, come Campagna romana del 1903 (MASI, Lugano), Ritratto della signora Virginia del 1905 (Museo del Novecento, Milano), Ritratto del dottor Achille Tiandel 1907 (Fondazione Cariverona), Il romanzo di una cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna), Controluce del 1909 (Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto), nonché tempere, incisioni, disegni. L’accostamento di volta in volta alle opere di artisti come Giacomo Balla,Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà, Giovanni Sottocornola, spiega e illustra le ascendenze e i rapporti visuali e culturali che costruirono e definirono la personalità artistica di Boccioni.
 
Roma
 
Partendo dalla prima tappa che ha segnato indelebilmente l’evoluzione artistica di Boccioni, si dedica attenzione agli anni del soggiorno romano, quando Giacomo Balla aveva introdotto il giovane Boccioni alla nuova tecnica del divisionismo “senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche” come ricordava nelle memorie il compagno Gino Severini. In mostra, si documenta anche la produzione “commerciale” di Boccioni affiancandola ai modelli ai quali si rivolgeva l’artista per la realizzazione dei propri lavori, passando per i nuovi riferimenti visivi rappresentati dalla grafica modernista inglese con Beardsley. Questo, dal momento in cui il periodo romano non segnò solo il progressivo avvicinamento dell’artista alla pittura, ma anche a quello dell’illustrazione commerciale - la réclame - che rappresentava come prodotto artistico, una perfetta e “straordinaria espressione moderna”. Nel primo focus dedicato si trova invece la “Mostra dei rifiutati” organizzata dallo stesso Boccioni, sempre durante il periodo romano, nel foyer del Teatro Costanzi per permettere agli oppositori delle tendenze ufficiali di esporre le proprie opere. La sezione si propone di ricostruire una parte di quell’esposizione.
 
 
Venezia
 
Il secondo polo della formazione boccioniana è rappresentato dai soggiorni padovani e dall’ultimo soggiorno veneziano che coincide con la Biennale del 1907. Questa sezione intende mettere a fuoco tanto il progredire della pittura di Boccioni, quanto la posizione estetica dell’artista rispetto a ciò che ha modo di osservare e conoscere a Venezia. Sono esposte le principali opere realizzate da Boccioni soprattutto durante l’ultimo soggiorno padovano prima di trasferirsi a Venezia,dove ha modo di mettere frutto quanto maturato a Parigi, e opere significative di pittori veneziani che l’artista stesso commenta nelle proprie riflessioni sulle Biennali. Ciò funge da importante testimonianza che permette al visitatore di comprendere appieno le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni nei confronti di un’arte che rechi “un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale” come scrisse commentando la Sala dell'arte del Sogno. Riguarda il periodo veneziano il secondo focus presente nella mostra relativo all’avvicinamento dell’artista al mondo dell’incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. In tale sezione vengono infatti esposte opere grafiche di Boccioni che permettono di ricostruire lo sviluppo della sua attività incisoria nel periodo veneziano e successivamente milanese; per la prima volta vengono presentate le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate.
 
Milano
Come terza tappa fondamentale per lo sviluppo della propria carriera artistica, Boccioni giunge a Milano nel settembre del 1907. L’importanza del confronto con il capoluogo lombardo è inserita nella mostra tramite l’accostamento delle opere di Boccioni a quelle degli artisti attivi a Milano a inizio secolo, in particolare Previati, cercando di mettere in evidenza il posizionamento dell’artista e l’originalità della sua ricerca all’interno di una frangia dell’avanguardia più sperimentale e di nicchia che aveva come punto di riferimento la Famiglia Artistica, associazione frequentata dallo stesso Boccioni che costituisce un importante punto di contatto fra l’artista e i futuri aderenti al movimento futurista. Il catalogo è pubblicato da Dario Cimorelli Editore e comprende i saggi dei curatori e contributi scientifici che arricchiscono il volume in modo da renderlo non solo una testimonianza delle opere in mostra, tutte illustrate a colori, ma anche un valido strumento e un aggiornamento sugli studi boccioniani.
 
fig.1 Umberto Boccioni, Nudo di Spalle, 1909, Mart Rovereto
fig. 2 Umberto Boccioni, autoritratto
fig.3 Umberto Boccioni, Gennaio a Padova, 1903, Fondazione Cassa di Risparmio Tortona
fig. 4 Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Masi di Lugano

Fondazione Magnani – Rocca Parma
Boccioni 1900-1910 Roma Venezia Milano
dal 9 Settembre 2023 al 10 Dicembre 2023
dal Martedì al Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Lunedì Chiuso