Il Cubismo costituisce ormai un mito di vecchia data (di fondazione, direi, nell’ambito della critica d’arte modernista), tanto radicato quanto inossidabile.
Esso, anzi, non cessa di veder ingrossare sia le fila dei suoi adepti sia le implicazioni culturali, le conseguenze storiche e l’estensione concettuale che gli vengono attribuite (come da ultimo testimoniano la mostra appena inaugurata al Vittoriano e il suo catalogo, per cui rimando alla recensione di Francesco Sorce in questo sito: https://news-art.it/news/cubisti-cubismo--di-francesco-sorce.htm).
Quello della mitizzazione è del resto un processo che s’innesca fatalmente allorquando una personalità, una tendenza, un movimento di pensiero, artistico, politico, bucano la fantasia collettiva in termini trans-generazionali, riuscendo a catalizzare universali investimenti fantastici al di là delle specifiche contingenze storico-culturali.
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Il Cubismo, in ciò, non è diverso da altre entità di vario genere analogamente assurte al piano del mito, e per ciò stesso almeno in parte sottratte, nel sentire comune, ai benefici di una visione panoramica e autenticamente “critica”, perché il genere di relazione che si tende ad instaurare con esse è simpatetico e non logico-argomentativo: in poche parole, si aderisce a una certa immagine di un fenomeno, perché ci si riconosce, o ci si vuole riconoscere, nei valori che quella certa immagina incarna.
In questo senso l’appassionato (per lo studioso, a mio avviso, le cose dovrebbero andare diversamente: ma so che molti dissentirebbero) può “aderire” al mito del Cubismo né più, né meno di come può “aderire” al mito del Barocco o del Manierismo, del Neoclassicismo o del Rinascimento…
Il Rinascimento, per l’appunto.
Un lembo forse secondario ma tutt’altro che insignificante della mitologia cubista (che aleggia anche sulla mostra romana in corso al Vittoriano, come si è potuto constatare reiteratamente alla conferenza stampa il giorno dell'inaugurazione) vorrebbe che, in quanto decisivo punto di rottura col canone "realista" dell’arte occidentale post-medievale, il Cubismo sia paragonabile come ruolo al Rinascimento. Esso sarebbe così un “nuovo rinascimento”, ossia un analogo grande e radicale rinnovamento del linguaggio artistico e dei suoi valori fondamentali, che concretizza sul suo terreno specifico le metamorfosi sociali, culturali e politiche determinate dall’avvento della “modernità”.

Gli eroi di questa nuova rivoluzione estetica (
Picasso,
Braque,
Gris,
Leger etc.) corrisponderebbero, dunque, agli eroi della prima generazione del Rinascimento (
Masaccio,
Brunelleschi,
Donatello) perché grazie alla loro opera avrebbero mutato nuovamente, come già all’inizio del XV secolo, il paradigma artistico e l’ordine del giorno per le future generazioni.
Questo racconto storico è suggestivo e traduce una visione diffusa, entusiasticamente progressiva, dell’arte e della civiltà occidentale moderna. Più sottilmente corrisponde anche a una concezione dell’arte come specchio privilegiato dei tempi e deriva, infine, da un bisogno di riaffermare una lettura gerarchica (peraltro largamente dominante) per cui Picasso, Braque, Gris etc. sono artisti grandi tanto quanto Masaccio, Donatello e Brunelleschi.
Ma, oltreché intrigante, questa narrazione è per caso anche vera, o verisimile, o semplicemente rivelatrice? Ossia, per dirla meno brutalmente, esaurite le suggestioni, le risonanze, il coinvolgimento sentimentale, il gusto personale, e accantonati i giudizi di valore, rappresenta una tesi critica sensata, storicamente e logicamente fondata, sostenibile in termini persuasivi di fronte a un pubblico sufficientemente informato sui fatti?
A me sembra di no. La generazione di Masaccio, Brunelleschi e Donatello certamente superò il canone eminentemente “simbolico” dell’arte medievale, ma mise definitivamente in valore una serie di questioni rappresentative (qualificabile come paradigma naturalista, o mimetico) che già da oltre un secolo stavano prendendo corpo nell’arte italiana (resa credibile dello spazio tridimensionale, dell’anatomia umana, dell’espressione degli stati emotivi, dello sviluppo narrativo di un soggetto, etc.) e che, soprattutto, una volta affermatesi non hanno più cessato di essere assunte, indagate, perfezionate, raffinate e manipolate perlomeno nell’arco dei quattro secoli successivi (senza peraltro mai decadere anche in seguito): in questo senso le autentiche eccezioni al paradigma “rinascimentale”, a dir poco fra il 1450 e il 1850, si contano sulle dita di poche mani e decisamente confermano la regola.

Tutt’altra storia Il Cubismo. Esso è stato senza dubbio un movimento rivoluzionario e di rottura radicale col passato (ciò che il primo Rinascimento non fu), sebbene certamente si trovò i suoi antecedenti e le sue premesse storiche (la sua “tradizione”, insomma) nelle espressioni artistiche più avanzate elaborate nel corso della seconda metà del XIX secolo. Promosse bensì un cambiamento di paradigma rappresentativo (in senso lato
non-mimetico) ed ebbe indiscutibilmente un’influenza che, se fu grande sul breve termine, restò comunque significativa per decenni. Ma come movimento le sue sorti si compirono nel giro di 7-8 anni e come stile si esaurì nell’arco di non più di 20. Se la sua influenza può essere riscontrata in tante correnti e movimenti artistici successivi ciò si verifica essenzialmente in termini indiretti, ideali, sottintesi o trasfigurati.

Quanto agli effetti generali e di lunga durata, la questione mi sembra ancora più controversa e ancora meno favorevole alla causa del paragone cubismo-rinascimento. Il
canone non-mimetico cubista, infatti, all’opposto di quello
mimetico rinascimentale, non ha per nulla soppiantato, né ha fatto scadere (per così dire) i principi del paradigma precedente: per suo conto, infatti, li ha criticati, rifiutati, stravolti, ma per tutto il Novecento, a dispetto del cubismo e delle avanguardie storiche, la rappresentazione “figurativa”, lungi dal decadere, è rimasta largamente praticata, e certamente non solo da artisti accademici, conservatori o passatisti, ma anche da molte delle principali e più spiccate personalità attive nel corso del secolo (compreso, tra l’altro, il maggiore dei cubisti: Pablo Picasso, nel suo periodo neo-classico).
Sia lode al cubismo, dunque: ai suoi grandi artisti, ai suoi capolavori e alla sua importanza storica. Ma scomodare il rinascimento non sembra molto sensato, e suona oltretutto come un’inconscia rivendicazione legittimatoria, oltreché assai nebulosa, ormai decisamente fuori tempo massimo.
Luca Bortolotti, 19/03/2013
Didascalie immagini:
1. Pablo Picasso, Les demoiselle d'Avignon, 1907, New York, Museum of Modern Art
2. Masaccio, Il tributo della moneta, ca. 1425, Firenze, Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci
3. George Braque, Case al'Estaque, 1908, Berna, Kunstmuseum
4. Masaccio, Trinità, ca. 1427, Firenze, Santa Maria Novella
5. Juan Gris, Ritratto di Picasso, 1911-1912, Chicago, Art Institute