Giovanni Cardone 1 Aprile 2024
Fino al 7 Aprile 2024 si potrà ammirare a Santa Maria della Scala Siena la mostra Fausto Melotti. In leggerezza. Un omaggio a Italo Calvino a cura di Michela Eremita.  L’esposizione voluta dalla Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala con il supporto della Fondazione Fausto Melotti di Milano. Dedicata all’amicizia e al legame artistico tra Italo Calvino e Fausto Melotti. Il grande scrittore e il maestro della scultura italiana sono al centro dell’omaggio che la Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala tributa a Calvino nel centenario della nascita: quei luoghi dove lo scrittore scomparve nel settembre 1985 un percorso espositivo in cui sarà possibile scoprire, ad esempio, il filo rosso che lega le Città invisibili di Calvino alle sculture astratte di Melotti. Il rapporto tra Fausto Melotti  e Italo Calvino è stato intenso e ricco di scambi reciproci, sia intellettuali che umani, accennati da Italo Calvino nelle pagine de Le Città Invisibili: “C’è stato un momento in cui dopo aver conosciuto lo scultore Fausto Melotti, uno dei primi astrattisti italiani, (…) mi veniva da scrivere città sottili come le sue sculture: città sui trampoli, città a ragnatela”. La mostra in particolare fa riferimento alle opere diventate immagine dei libri di Calvino per la riedizione dei suoi scritti nella collana Oscar Mondadori, avvenuta negli anni 2000. Il percorso espositivo si snoda tra 22 sculture di varie dimensioni e molti disegni, abbracciando un periodo che va dal 1935 al 1985. Le sculture come Costante uomo del 1936, Il viaggio (1961) e Contrappunto libero (1972) paleseranno plasticamente le parole di Italo Calvino, ma nel contempo renderanno omaggio a Fausto Melotti, uno degli artisti più importanti del Novecento, connotato dalla imponderabile leggerezza, base della sua ricerca artistica. In una mia ricerca storiografica e scientifica sul rapporto di amicizia tra Fausto Melotti e Italo Calvino apro il mio saggio dicendo : La prima manifestazione creativa di Italo Calvino si realizza nel disegno: lo scrittore scopre in se stesso, fin da piccolo, quella capacità di tracciare sulla carta segni grafici che rappresentano un gesto, una fisionomia, un carattere. Attraverso il disegno, che assume sempre più tratti umoristici e ironici, egli cerca di indagare quella verità nascosta che può risalire alla ´superficie` solamente attraverso una caricatura o comunque una deformazione di ciò che appare. La sua prima analisi del mondo ha il suo inizio, a partire dall’ambiente familiare, dal padre che raffigura, con un largo sorriso, mentre parte per la caccia con gli amati cani; per poi ´svelare` un Mussolini a cavallo con la sua mascella protesa in avanti; osserva e disegna un contadino ligure «che affonda i piedi-radici nelle sue zolle»  ,per poi soffermarsi sull’ autorappresentazione del proprio modo di camminare. La prima ambizione di Italo Calvino è quindi il disegno umoristico: è, infatti, un accanito lettore del «Bertoldo», il settimanale milanese diretto da Mosca e Metz. Infatti sono quattro le vignette pubblicate da Calvino nella rubrica «Il Cestino», curata da Guareschi, in cui esordì con un altro famoso scrittore, il coetaneo Oreste del Buono. È proprio nell’infanzia che Calvino sviluppa questa sua abilità e necessità di esprimere le proprie sensazioni e impressioni della realtà attraverso la lettura di immagini: egli stesso, infatti afferma che questa sua abilità si è sviluppata tra i tre e i sei anni, prima che imparasse a leggere. Nella quarta lezione Visibilità che egli tiene all’Università di Harvard, ricorda il suo amore, da bambino, per le storie illustrate del «Corriere dei Piccoli»: leggeva le immagini di quei fumetti e costruiva storie, su disegni di autori stranieri e italiani come Pat Sullivan, Frederick Burr, Attilio Mussino, Antonio Rubino e Sergio Tofano, il padre del Signor Bonavventura. Negli anni venti il «Corriere dei Piccoli» pubblica in Italia i più noti ´comics` americani del tempo: Heppy Hooligan, the Katzenjammer Kids, Felix the cat, Maggie and Liggs, tutti ribattezzati con nomi italiani. Calvino precisa, quindi, che il sistema delle vignette, con le frasi del dialogo, non sono ancora entrate in uso in Italia; il «Corriere dei Piccoli» ridisegna i cartoni americani senza nuvolette che vengono sostituite da due o quattro versi sotto ogni disegno. Anche dopo aver imparato a leggere, Calvino preferisce «ignorare le righe scritte» e continuare nella sua occupazione favorita di «fantasticare dentro le figure e nella loro successione». Questo tipo di lettura delle figure senza parole ha rappresentato per lui una scuola di tabulazione, di stilizzazione, di composizione dell’immagine. Secondo Calvino vi è un rapporto diretto, anche se inconsapevole, tra la lettura delle lettere dell’alfabeto e le immagini che queste vanno a comporre nella loro formazione di parole: queste ultime, infatti, nel momento della ´lettura` sono automaticamente ´interpretate` dal cervello che le rimanda alla nostra mente sotto forma di immagini. Il saggista, tuttavia, in Visibilità racconta che la sua immaginazione non parte dalla parola ma è l’immagine visiva che conduce alla forma scritta. Ricorda spesso che quand’era piccolo i cartoons americani del periodo erano privi di fumetti con le parole dei protagonisti e quindi era continuamente stimolato nell’immaginazione di storie che risultavano sempre diverse e ricche di varianti: ´intrecciava` episodi di una storia con quelli di un’altra e, spesso, i personaggi secondari diventavano protagonisti di nuove vicende. Questo procedimento si radicalizzerà anche in seguito, quando egli avrà imparato l’alfabeto: continuerà a fantasticare ´dentro` le figure e nella loro successione. A questo punto inizia a scrivere i fumetti adottando la tecnica della “visione immediata” che parte, cioè, dalla lettura di immagini ´distribuite` al lettore su una pagina, come se fossero collocate su strisce di uno dei quei comics che era solito leggere da piccolo. In T con zero, per esempio, il racconto L’origine degli uccelli si sviluppa mediante l’espediente retorico della sceneggiatura di un fumetto. Il testo si articola attraverso i dialoghi dei protagonisti inquadrati all’interno di una cornice: «nella striscia di fumetti che segue, si vede il più sapiente di tutti noi, il vecchio U(h), che si stacca dal gruppo degli altri, dice…». Lo scrittore, mentre racconta, descrive, in modo esplicito, come la storia procede attraverso le immagini fornendo, al lettore, dei chiari riferimenti su come questo possa rappresentare visivamente il racconto: lo scrittore sembra parlare “a voce alta”, sembra riflettere sul suo procedere, correggendo il proprio percorso e cercando delle soluzioni per rendere più chiaro il suo modo di rappresentare il “fumetto-racconto”. Nel succedersi del racconto la storia narrata sembra intrecciarsi con la realtà della pagina scritta: immagini e narrazioni sono proiettate direttamente sulla pagina che entra a far parte della scena fino ad arrivare al metafumetto: l’uccello che si era accovacciato per deporre l’uovo proprio sull’intreccio di due righe che vengono strappate dal vecchio, vola via facendo così cadere l’uovo che ´imbratta` la vignetta; oppure quando gli uccelli strappano “a beccate e a graffi” la pagina dei fumetti, per poi volare via con un brandello di carta stampata nel becco. Nello scorrere del testo, Calvino, procede continuamente descrivendo le scene mentre egli stesso ne entra a far parte: « nel disegno, gocce di sudore freddo che sprizzano dalla mia figura…». Vi è un continuo interagire tra realtà e finzione mentre lo scrittore afferma di venire rappresentato di profilo: « quello che vedo resta fuori della vignetta». In questo racconto si parte dalla parola scritta per giungere all’immagine. Nel Castello dei destini incrociati, carte sui bordi delle pagine, fungono da stimolo alla narrazione che diventa sempre più interessante, anche grazie a un effetto di ´straniamento` provocato dalla discrepanza tra le immagini riportate sulle carte, cavalieri, donne, uomini, spade, coppe, bastoni, e quelle ´viste` dal lettore attraverso le parole del testo. Come afferma lo stesso Belpoliti: «il risultato è un tappeto di carte, un cruciverba d’immagini che può essere letto sia dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto, sia da destra che da sinistra che da sinistra verso destra».  Nella “scrittura d’immagini” Calvino riflette, nello stesso tempo, su ciò che la realtà rappresenta, sulle sue sensazioni che continuamente vengono a galla nella sua mente e che faranno da sfondo a tutte le sue opere. Tra queste emerge il concetto di vuoto che, qui Ne Il castello dei destini incrociati, si estende tra “segno e segno, tra storia e storia”. Importante è il racconto nella Taverna dei destini incrociati che si intitola Anch’io cerco di dire la mia poiché funziona da specchio in cui si riflette la stessa immagine dello scrittore-Calvino. Viene ´richiamata`, quindi, l’attenzione su una carta, il Re di Bastoni, che egli legge come se stesse ricordando-descrivendo la sua stessa storia e, allora, questa carta si ´trasforma` in stilo, calamaio, penna a sfera. Il protagonista si riconosce nel personaggio che impugna, un bastone, e afferma: « potrei bene essere io: tanto più che regge un arnese puntato con la punta verso giù, come io sto facendo in questo momento». Anche qui, in questo testo lo scrittore interagisce con le vicende di cui racconta le storie, ed entra a farne parte come “motore che agisce” nel dare indicazioni sul suo modo di scrivere, di raccontare. Nel Tarocco che raffigura il Due di Denari, i ´ghirigori` delle monete diventano quelli della scrittura che, nel raffigurare una singola lettera conducono a un significato ben preciso. Il significato come elemento fondamentale su cui basare la propria esperienza è per Calvino la lettera ´Esse` che dà forma e senso a tutte le altre Lettere. Serpeggiando è « sempre pronta a crescere su se stessa e a ornarsi dei fiori del sublime». Quindi, in questo vortice di ricerca, la lettera ´Esse` estende la sua forma anche ai significati. Calvino cerca nelle immagini dei Tarocchi un messaggio che gli permetta di “districare la matassa” dell’esistenza partendo da un’immagine e, attraverso il significato, veicolarlo alla scrittura. Il Tarocco raffigurante il Diavolo è per lo scrittore ligure quello che lo rappresenta maggiormente: è la parte negativa della sua anima che vive nel sottosuolo e che deve essere portata alla ´superficie` dalla scrittura. Le lettere ´disegnano` un sogno che “viene a galla” portando con sé “il represso, il rimosso”: è la storia dell’umanità che, attraverso i segni, conduce in superficie il male che la soffoca e che coinvolge, in una spirale negativa anche l’ io individuale. ´Scrivere` e ´vivere` sono due voci verbali molto care a Calvino: per ´vivere` bisogna, infatti, portare in evidenza il male del mondo per poi emendarlo. Nella successione del racconto, nelle ultime tre carte: Il Cavaliere di Spade, L’Eremita, Il Bagatto, Calvino guarda se stesso allo specchio e legge il proprio passato e il proprio futuro: si rivede quindi nei panni di un «giocoliere o di un illusionista che dispone sul suo banco da fiera un certo numero di figure e spostandole, connettendole e scambiandole ottiene un certo numero d’effetti». Successivamente, sempre all’interno del capitolo autobiografico, accanto alle figure delle carte, Calvino interpreta altre immagini, quelle pittoriche di San Girolamo e di San Giorgio che, nel racconto, vengono sostituiti dall’ Eremita e dal Cavaliere di spade. Lo scrittore ligure analizza in modo allegorico la scena dell’eremita che legge seduto all’imboccatura di una grotta, mentre, poco più in là, un leone è tranquillamente accovacciato. Egli associa alla “parola scritta” il potere di “ammansire le passioni” portandole al di fuori della caverna, ovvero in ´superficie`. Nelle pareti della chiesa di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia, dove «le storie di San Giorgio e San Girolamo continuano l’una di seguito all’altra come fossero una storia sola», osserva l’animale feroce che è l’elemento comune alle due sequenze: il drago nemico e il leone amico; vede il drago di San Giorgio che “incombe sulla città” e il leone di San Girolamo “sulla solitudine”. Analizza «la bestia feroce che incontriamo tanto fuori quanto dentro di noi, in pubblico e in privato». L’eroe della storia è rappresentato da chi tiene insieme i due opposti e cerca di conciliarli in un difficile equilibrio. Anche in Lezioni americane e in particolare in Rapidità emerge la sua idea di scrittura come punto d’arrivo di un’ “immagine visuale”. Con il termine ´rapidità` si intende, infatti, lo scatto prodotto dall’immagine, il momento generativo: come afferma lo stesso Calvino, le immagini dei quadri, dei fumetti, dei disegni, fanno ´scaturire` la parola scritta. Quindi, dai Tarocchi nascono i racconti del Castello dei destini incrociati, mentre le opere pittoriche di Domenico Gnoli sono un “trampolino di lancio” per un saggio, come pure le città silenziose di De Chirico vengono descritte all’interno di un saggio-racconto Viaggio nelle città di de Chirico e poi, come ispirazione per la sua opera Le città invisibili. Un passaggio successivo molto importante che crea nello scrittore e, poi, in chi legge, una forma di straniamento è quello che parte dalla “fantasia figurale” per arrivare all’ ordine della scrittura attraverso “un momento di instabilità” e di disordine. In questa fase, fondamentale per capire il modo di procedere di Calvino, è necessario porsi nelle vesti di chi, per esempio, visita un paese straniero: osservare ogni cosa senza assegnare un preciso valore o significato a ciò che si vede. ´Vedere`, quindi, significa entrare in crisi, entrare in ´trappola`, in una ´rete` di significati possibili che la mente ordina e trasforma cercando di ´sgrovigliare` quella matassa che rappresenta il mondo, la realtà, una ´griglia` di possibilità con cui ogni individuo cerca di ´leggere` il mondo. Il procedimento di Calvino è riassunto nel percorso che il signor Palomar compie nel corso della propria vita in “ogni istante” seguendo la tecnica delle ´strips`, in cui l’esistenza sembra correre su un nastro in cui le singole immagini possono essere scambiate di posto dalla mano di un individuo che, oltre ad essere uno scrittore è, prima di tutto uomo. Nel saggio di Jean Starobinski L’impero dell’immaginario (nel volume La relation critique, Gallimard, 1970) Calvino trova una chiara e sintetica idea di immaginazione come «comunicazione con l’anima del mondo» a Calvino interessa molto questo modo di avvicinarsi alla realtà scoprendone i segreti più nascosti. Da un’immagine significativa ne scaturiscono delle altre che, come lui stesso scrive in Lezioni americane, «sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé». È a questo punto che lo scrittore interviene per orientare il senso della storia e la scrittura comincia ad assumere sempre più importanza. Il suo eclettismo, la sua curiosità e ricerca stilistica, che lo animarono, lo portarono anche a far interagire questo suo primo amore di composizione di storie attraverso le immagini, con quella che sarà la sua abilità futura di scrittore. Dallo ´sguardo`, dalla profonda capacità di indagare la realtà, la scrittura trae la sua linfa per dare vita a parole silenziose che si combinano nella sua mente inseguendo «sul filo il mondo sensibile trasformandolo in segno grafico». L’immagine riflessa nella retina dello scrittore sembra trasferirsi sulla pagina bianca come «un ricamo fatto sul nulla». Le immagini, quindi, rappresentano il mondo ´sospeso` sul vuoto che Cosimo cerca di attraversare tra le fronde degli alberi; è attraverso la scrittura che l’immagine diventa un sentiero, anche se pur fragile e incerto, su cui camminare, è il mezzo con cui Calvino cerca di dare forma alle sue idee. Nel romanzo Il cavaliere inesistente, Suor Teodora esordisce a ogni apertura di capitolo con una sua riflessione sulla difficile arte della scrittura. Mentre sta scrivendo nella sua cella pensa: «e così quello che le mie orecchie udivano, i miei occhi socchiusi trasformavano in visioni e le mie labbra silenziose in parole e parole e la penna si lanciava per il foglio bianco a rincorrerle». Spesso Calvino si sofferma tra le righe per intrecciare metafore su ciò che la vita e il mondo rappresentano, su quel ´nulla` che ogni giorno l’uomo deve attraversare per stare “a galla”, sospeso nel vuoto: come afferma nuovamente Suo Teodora: «l’arte di scrivere storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina riprende la vita e ci si accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla». La scrittura che prende inizio da un’immagine, nel foglio bianco, attraverso il segno grafico della penna e del “filo d’inchiostro”, diventa ´disegno`, leggibile e comprensibile. Tuttavia, il foglio come il mondo, è inciso dalla mano dell’uomo che, tuttora, non riesce a cambiarlo; per Calvino e, per Suor Teodora, la pagina e il mondo sono un’unica cosa: sia l’una che l’altro hanno una ´superficie` sulla quale sono incisi dei segni, uno spazio che Calvino paragona a un guscio di tartaruga che sembra muoversi, cambiare nei suoi rapporti di materia, di forma, di colore; in realtà tutto sembra rimanere come prima. Quella di Calvino è una scrittura che imita le immagini; graffiando il foglio, fa apparire «i segni sinuosi di una serpe, le aste dei fili d’erba e il tragitto a zig-zag della lepre che fugge». Nel Castello dei destini incrociati il racconto parte dalla combinazione d’ immagini. La prima carta, il Re di Bastoni, dà il senso all’intera storia: il narratore impugna, dal mazzo marsigliese, un bastone con la punta all’ingiù trasformandosi in “oggetto ambivalente”, in “stilo o calamo o matita ben temperata o penna a sfera”. La mano dello scrittore sembra tracciare segni come farebbe un bambino nel disegnare le aste. Come afferma lo stesso Belpoliti in L’occhio di Calvino: «è il livello-zero della parola, il balbettio, il “baba” infantile, la balbuzie di chi non riconosce ancora il codice dei suoni ma ama ugualmente segnare di sé il foglio». Per lo scrittore ligure vivere è come scrivere e l’uomo può essere rappresentato da una linea che si trasforma in ghirigori “e tende a chiudersi su se stessa prendendolo in trappola”. Come ci rivela in La Penna in prima persona, scrivere è anche disegnare e, attraverso le opere di Saul Steinberg, Calvino, in qualche modo, insegna ad affrontare l’esistenza rimanendo liberi di condurre la propria vita cercando delle strategie per non rimanere imprigionati in un vuoto senza via d’uscita. La libertà consiste, per lo scrittore, nel «condurre la linea nella direzione che meno ci si aspetta in modo che il disegno non riesca più a chiudersi».  L’esistenza dell’io, nei disegni di Steinberg, è rintracciabile in un cubo «seguendo le regole della prospettiva», regole che poi, nel corso della vita, possono portare in altre direzioni: il significato della vita risiede quindi nella capacità di lasciare che «uno spigolo penda per una direzione in cui non incontrerà mai gli altri spigoli». Le immagini, trasformate in disegno, come in un fumetto, sembrano voler ´parlare` all’uomo, rappresentandogli il mondo o addirittura l’universo nelle sue diverse forme possibili: più mondi, incompatibili tra loro, sembrano non avere contatti. Eppure il disegnatore cerca e crea contatti tra forme, segni, realtà diverse: il tratto grafico si muove sul foglio, avvicinandosi o allontanandosi, creando distanze, accostandosi ad altre figure, tracciando una fila di case sulla strada, ognuna di una diversa epoca e stile. Alla diversità dei disegni per tipologie e forme Steinberg associa, in modo coerente, anche una diversità di tecniche grafiche e materiali. La singolarità dei passanti, il loro carattere, sono dati dalla pressione più leggera o più marcata della penna sul foglio, dalla densità dell’inchiostro o dall’estendersi del bianco «che avvolge il loro segreto». La seconda parte del testo dedicato al disegnatore americano inizia con una citazione di Michelangelo che Calvino fa propria: «esiste una sola arte e scienza, e che questa sia il disegnare o il dipingere, e che tutte le altre siano sue derivazioni». Quest’espressione rappresenta ciò che Calvino aveva iniziato a fare fin da bambino: rappresentare il mondo in uno spazio, chiudendo un’immagine all’interno di certi confini, ci si pone, allo stesso tempo, in contatto con ciò che sta fuori. Il mondo, quindi, entra in relazione, non solo con se stesso, ma anche con ciò che è diverso da sé. Come afferma lo stesso Belpoliti: «la cornice è rotta. Ora non c’è più separazione, la molteplicità dei segni è riconducibile a un’unica sostanza, al segno grafico, che assumerà di volta in volta, diverse forme e figure». Dal segno tipografico, poi, si passa a quello geometrico che, come spiega lo stesso Calvino, riguarda, prima di tutto, il mondo della natura: nel Libro di Galileo lo stesso scienziato spiega come sia importante per interpretare il mondo e, quindi, l’universo, conoscerne i simboli, i segni, il linguaggio: «Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». Il vero rapporto metaforico tra “mondo e libro” in realtà si precisa più chiaramente in “mondo e alfabeto”. In seguito Calvino continua a citare Galileo con altri esempi, questa volta pittorici: attraverso i colori, il pittore rappresenta la realtà delle cose sottoposte al suo sguardo, uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci «senza che sulla tavolozza siano né occhi né penne né squame né foglie né sassi». Per Galileo come per Calvino, l’alfabeto è inteso come un “sistema combinatorio” di “elementi minimi” come i colori o le lettere dell’alfabeto. Quindi, per lo scrittore che analizza dettagliatamente il pensiero di Galileo nella sua opera Il Saggiatore, la matematica e, soprattutto la geometria, ha una funzione di alfabeto. Un altro aspetto importante ribadito dallo scrittore ligure è quello che riguarda il rapporto tra il “codice simbolico” o alfabeto e la sua capacità di cambiamento che esso può provocare nella realtà trasformandola in un “organismo” vivente”: la Terra è espressione di bellezza come la Luna in quanto non è perfetta ma presenta mutazioni, differenze ed è simbolo di cambiamento. Come in una ragnatela, la vita è disegnata come se fosse un insieme d’ immagini geometriche che percorrono le sue opere. Anche in Se una notte d’inverno un viaggiatore, la geometria traduce in segni e linee sensazioni e immagini della realtà: i tendaggi hanno disegni geometrici, le linee sinuose del fumo del braciere, quelle che legano i tre corpi degli amanti, la spirale verso cui precipitano i protagonisti, le linee serpentine degli sguardi. Nel capitolo VII di Se una notte d’inverno un viaggiatore, Calvino considera la lettura e, quindi, la scrittura come un ´ponte` da “gettare verso il fuori”, su quel vuoto che interrompe e separa il mondo scritto dal mondo non scritto. La scrittura ferma le immagini codificandole in segni che poi sono letti e trasformati in sensazioni: la pagina diventa uno spazio limitato di informazioni, ma necessario per non venire, in qualche modo distratti da una lettura veloce e superficiale che conduca lontano, fuori dal campo d’osservazione. La lettura e la scrittura, nel romanzo del Lettore e della Lettrice, sono due aspetti che si uniscono in un rapporto diretto che collega fisicamente i due personaggi, fino a farli diventare un corpo unico non ci sono quindi margini oltre i quali situare il corpo dell’altro: pagina e corpo sono un’unica cosa. Ma la lettura di Ludmilla si limita alla pagina e quindi alla realtà che, in quel momento, i suoi occhi stanno osservando, indagando: è una lettura «per frammenti, staccati dal contesto: sogno o immaginazione di altri libri o contesti». La lettura a questo punto diventa anch’essa metafora dell’esistenza in quanto permette di vivere cercando la propria dimensione spaziale. L’occhio indaga, si sposta da un settore della pagina a un altro, cerca di rimanere concentrato all’interno di uno spazio del suo “campo visivo” ma ciò gli fa perdere di vista tutto quello che gli sta attorno, il contesto, la realtà che, comunque, gli appartiene. Belpoliti analizza dettagliatamente questo processo che è alla base del sistema calviniano di focalizzare l’immagine cercando di metterla a fuoco in uno spazio limitato, in questo caso, la pagina: l’occhio «prima focalizza, poi si sposta su un altro settore del testo, quindi focalizza di nuovo». Si tratta di un continuo aggiustamento di prospettiva tra ciò che è davanti ai nostri occhi e ciò che è fuori dal nostro campo visivo; questo processo crea una specie di ´discontinuità` che si rivela anche nella capacità, del pensiero, di creare idee e sogni a partire dalle parole. In Cibernetica e fantasmi anche il pensiero. Infatti, i nostri occhi e la nostra mente si sforzano, di continuo, di cercare, in qualche modo di rendere lineare il percorso di conoscenza della realtà, ma lo spazio, in sé, necessita di tre dimensioni fondamentali nella lettura e nella scrittura e, soprattutto nell’analisi del mondo. Anche il signor Palomar, nel cercare di osservare un’onda, intende limitare la propria indagine considerandola inscritta all’interno di un quadrato: per questo «tiene presente un quadrato diciamo di dieci metri di riva per dieci metri di mare»e, in questo spazio visivo, egli può analizzare con attenzione tutti i movimenti delle onde che si ripetono con varia frequenza entro un dato intervallo di tempo. Ma, mentre osserva quello spazio limitato, dall’esterno si creano, simultaneamente e continuamente, dei movimenti che interrompono e cambiano il suo “quadro d’osservazione”: elementi nuovi entrano nel campo visivo ribaltando la situazione. Un’altra onda entra all’improvviso nel suo spazio ribaltandolo e deformandolo. La difficoltà che Calvino intende far comprendere al lettore consiste proprio nel metterlo di fronte ad una realtà non statica, limitata a un tempo e a uno spazio ma mobile in relazione ad un contesto che, inevitabilmente entra a far parte di un orizzonte diverso da quello di partenza. Nel romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, l’autore ligure cerca di mettere in difficoltà il lettore-uomo, disseminando il suo percorso di lettura con delle ´trappole` per avvisarlo che, durante l’esistenza subentrano dei percorsi accidentati. Come l’onda in Palomar, in Se una notte d’inverno un viaggiatore, la continua interruzione dell’intreccio narrativo, dovuto ad altre letture che spezzano la continuità del racconto, creano uno stato di ´crisi` che spinge il personaggio-lettore a cercare un collegamento tra i vari incipit dei capitoli e un senso uniforme dell’opera. Nel capitolo V il protagonista del romanzo afferma di trovarsi in mezzo ad una gran confusione tra i vari racconti che hanno dei titoli tuttavia non corrispondenti al contenuto delle opere, come pure le pagine e i personaggi che passano da un volume all’altro: Il lettore medio entra in crisi perché si trova spaesato, disorientato e allora è guidato da una seconda lettrice, Ludmilla che, nelle veci di una lettrice di vocazione, proiezione dell’autore, cerca di sedurlo insegnandogli il cammino verso una possibile interpretazione dei testi. Il protagonista, infatti, si trova d’accordo con lei e sembra prendere forma un percorso d’intesa sul vero significato della lettura: «bisogna prima di tutto “lasciarsi alle spalle” le pagine lacerate dalle analisi intellettuali ”per poi “ritrovare una condizione di lettura naturale, innocente, primitiva…». La lettura, in questo caso, diventa metafora sessuale e l’intreccio si sviluppa tra eros e letteratura: il ruolo della Lettrice Ludmilla è quello di avvicinare alla lettura e, nello stesso tempo, alla vita e all’amore. La lettura del testo si accompagna al contatto fisico, la lettura diventa quella dei gesti. E’ attraverso la realtà esterna all’osservatore che le immagini cominciano ad apparire su uno spazio limitato: dal quadrato immaginario in cui il signor Palomar aveva cercato di isolare una parte di mondo da scoprire e da descrivere, è passato poi al quadro. Si accorge che anch’esso è instabile nella sua forma e disegnare un’onda al suo interno vuol dire riuscire a “tenere tutti gli aspetti insieme”. Si tratta quindi, di mettere insieme tutto ciò che non era limitato dal foglio ma che si estendeva oltre, nell’Universo. Anche Palomar come il Lettore entra in crisi e finisce per allontanarsi dalla spiaggia «coi nervi tesi com’era arrivato e ancor più insicuro di tutto».  Nel racconto Il prato, il riquadro che il signor Palomar sta analizzando non è mobile come l’onda ma appare in un sistema fisso che presenta un insieme infinito di elementi. Non basta, infatti, afferrare “in un solo colpo d’occhio” le pianticelle che formano il prato, una per una, ma occorre pensarle come appartenenti ad un ordine più grande, quello dell’Universo. Il foglio su cui il Signor Palomar vuole scrivere assume forme diverse a seconda di ciò che vuole trascrivere. Ne l’ invasione degli stormi, il foglio assume una forma circolare: «come una sfera, una bolla, il fumetto di qualcuno che sta pensando a un cielo pieno di uccelli, una valanga di ali che rotola nell’aria e coinvolge tutti gli uccelli che volano intorno».  A questo punto si ritorna all’idea centrale di Calvino che, come afferma lo stesso Gianni Celati, considera la vignetta alla base di tutta la sua opera: quello di Calvino. Infatti, chi trascrive l’immagine degli uccelli nel fumetto è il signor Palomar, l’alter ego dello scrittore ligure. L’immagine della nuvoletta caratteristica del fumetto è, generalmente, tondeggiante e la sua forma coincide con il significato della parola ´descrivere` cioè “scrivere intorno” oppure circondare con una linea curva le parole; ma un po’ alla volta Palomar si accorge che al di fuori di esse si estende uno spazio infinito, un vuoto. Probabilmente, si tratta dello stesso vuoto delle pagine bianche presenti in Se una notte d’inverno un viaggiatore, un vuoto che è però salvezza verso l’infinito: è “spiccare un salto nell’aria”, come direbbe il protagonista del capitolo Senza temere il vento e la vertigine: «L’unico modo di sottrarci alla frana umana che ci investe sarebbe allungare i nostri passi nell’aria, volare…». Probabilmente anche il signor Palomar cerca disperatamente un linguaggio che gli permetta di compiere un salto in avanti nel suo percorso di conoscenza del mondo ma non riesce a fare quel salto verso l’infinito, a cogliere quella globalità a cui appartengono tutte le cose con i loro nomi. Il protagonista di Senza temere il vento e la vertigine immagina una soluzione al tema del vuoto e pensa che sia lo stesso racconto a costituire “un ponte sul vuoto” e cerca di colmare questa voragine: «buttando avanti notizie e sensazioni e emozioni per creare uno sfondo di rivolgimenti sia collettivi che individuali in mezzo al quale si possa aprire un cammino…»46. Anche il signor Palomar cerca di “gettare un ponte nel vuoto” avvicinandosi al mondo attraverso il linguaggio, cercando di tradurre le sue immagini mentali in “figure di segni e parole”, trascrivendo l’onda, il sole, il prato, i merli, la luna sul foglio della pagina. Al centro dell’opera di Calvino si trova sempre il rapporto tra il mondo, quello cioè percepibile con i nostri sensi, e il mondo leggibile, attraverso la scrittura, sulla pagina. Si tratta, infatti, di parlare di ciò che rappresentano per lo scrittore ligure “il mondo scritto e il mondo non-scritto”. Nel romanzo il Sentiero dei nidi di ragno, Calvino, per esempio, aveva manifestato la sua perplessità e le sue esitazioni circa il rapporto tra la scrittura e il mondo che gli sta intorno. Nei panni di Pin, quindi di un bambino, lo scrittore parla di se stesso: egli, infatti, ha dovuto, nel corso della seconda guerra mondiale, lasciare gli studi per entrare nella Resistenza. Viene a contatto con un mondo di operai, di gente semplice, condividendo la vita partigiana, ma appartenendo, comunque a un altro mondo. In un mondo di guerra dove l’uomo manifesta la sua ferocia contro gli altri uomini, il personaggio Pin si trova spaesato e rincorre un mondo fantastico, in un ´nido`, in un bosco, dove regna il linguaggio della natura: «Qui è tutto molto più bello: in mezzo al bosco, coll’accompagnamento degli spari, e con parole nuove e colorate». Cerca di fuggire, vorrebbe aprire le ali e si immedesima in quel falchetto morto per il quale cerca una sepoltura: si guarda intorno ma vede solo montagne, valli grandissime “di cui non si indovina il fondo”, file di montagne “all’infinito”.  Pin si trova solo sulla terra, immerso in un mondo surreale in cui, in un cielo ventoso volano le nuvole, “grandissime sopra di lui”. In questo clima d’evasione dalla realtà vorrebbe spiccare il volo nella “grande aria della vallata” e seguire il falchetto “camminando per monti e per pianure, fino a un paese incantato in cui tutti siano buoni”. Nel Sentiero dei nidi di ragno si trovano a contatto due mondi nei quali le parole hanno un significato diverso. Un altro personaggio, Kim, l’alter ego di Calvino, riflette sul senso della ferocia della guerra e sulla necessità di trovare un linguaggio che permetta di sondare il senso della storia e dell’uomo. È, a questo punto, che la riflessione, all’interno del capitolo IX, mira a comprendere che cosa siano le ´parole` che gli uomini usano e a che cosa servano, visto che portano alla mancanza di comunicazione all’interno di una stessa specie, quella umana. Ma è proprio nella lotta che, persone semplici, come gli operai, capiscono che le parole usate fino ad allora non hanno alcun significato e continueranno a combattere, «senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettabili». Dal racconto, quindi, emerge, un po’ alla volta, la necessità di far incrociare il mondo della realtà nel quale l’uomo vive, con il mondo della scrittura in cui i simboli rappresentano degli elementi combinatori che, posti l’uno accanto all’altro permettano all’uomo di ri-trovare la strada verso un mondo migliore. Lo stesso Kim riflette su ciò che succede attorno a lui e comprende come, in una forma di folgorazione, si tratta di capire ciò che sta sotto la “dura realtà” per trovarne quegli elementi minimi e semplici che, attraverso una “combinazione diversa”, portino a decifrarla: solo allora si potrà intuire come non si tratti più di una lotta tra uomini, ma tra simboli. Per Calvino lo scopo della scrittura va oltre lo scrivere un racconto o un libro, ma deve intrecciarsi continuamente con lo scopo vero di ogni uomo che vive in un mondo complicato da comprendere e che va capito in relazione al lavoro analitico che lo stesso individuo compie su se stesso: la scrittura deve diventare, quindi, un modo che l’individuo adotta per conoscersi e per capire il cambiamento che, ogni giorno, si compie all’interno della propria anima. Ma, il mondo non scritto è quindi difficile da decifrare, da collocare all’interno di uno spazio ben definito in quanto, nella sua lettura, non sono compresi solo i segni come semi che possono condurre alla definizione di un linguaggio risolutivo: tra uno spazio e l’altro, tra una parte di mondo non scritto e l’altra, vi sono degli spazi vuoti non leggibili, parti di silenzio che corrisponderebbero a ciò che ancora non è stato detto o capito. Manca una parte di “linguaggio” o meglio di “non - linguaggio” che ogni uomo deve interpretare o immaginare imparando a leggere quei ´segni` che gli permettano di conoscere se stesso in relazione agli altri. Per Calvino è indispensabile far sopravvivere un linguaggio diretto e concreto. È solo attraverso il linguaggio dell’inconscio che si può arrivare ad ´aprirsi` al mondo non scritto, ad uscire dalla prigione delle parole , dal silenzio del non detto. Lo scrittore intreccia nel suo discorso tra mondo scritto e mondo non scritto, la realtà che egli identifica con l’immagine del ´pulviscolare`, di un qualcosa che, nel corso del tempo, si è frantumato, si è ridotto a particelle minime come gli atomi e, quindi, con la lettura e con la scrittura. Tutti questi aspetti del mondo, realtà, scrittura e lettura, hanno un punto in comune: sono costituiti da elementi che, come la sabbia, hanno la forma di un mondo ´sgretolato` su cui, comunque, si regge la stessa esistenza. Si tratta di trovare quel filo minimo che permetta allo scrittore-uomo di trarre le fila di un discorso partendo da quel punto nascosto all’inizio della storia del mondo e che conduce verso il futuro: questo filo-traccia è, secondo Calvino individuabile, sempre e comunque, nella scrittura poiché, è proprio attraverso essa che si riesce a dar vita a tutte le realtà e a tutte le fantasie, come afferma lo stesso scrittore in Visibilità, indagando nel profondo dell’anima allo stesso modo in cui Kafka ha cercato di fare scavando nel profondo della sua psiche. Il pensiero di Italo Calvino si rispecchia nella ´leggerezza` delle opere di Fausto Melotti che esprimono il bisogno di una realtà sospesa nel vuoto, alla ricerca di uno spazio che lo separi dagli orrori della seconda Guerra Mondiale. Attraverso l’astrazione di “figure eteree”, sospese, Melotti cerca di creare nuove realtà in cui rifugiarsi. La sua arte assume forme geometriche che sembrano muoversi come “note su un pentagramma”: Calvino si ritrova in quel mondo rarefatto percepito in modo frammentario; le opere, infatti, sono costruite da elementi slegati, non scolpite o modellate. Nel testo che si dedica all’artista, sembra di precipitare all’interno della terra in un viaggio che Alice percorre tra le radici, fino alla tana del coniglio. Lo scrittore ligure ´legge` nelle opere di Melotti un viaggio a ritroso, all’interno di un mondo in cui ormai tutto si è frantumato, in un mondo visibile solo attraverso «una finestra che s’affacci sul fuori da ambedue le parti». Il mondo che si può raggiungere non è in un “al di là” ma in un “al di qua”, poiché il nostro mondo, precisa Calvino, è già stato «inghiottito nel suo spettrale occasio». Ormai di esso ciò che rimane non è altro che una «pagliuzza o lamella luccicante che resta nel setaccio dopo che tutta la sabbia se ne è andata». Quello di Melotti e, quindi di Calvino, è un viaggio in una vita sospesa tra «rarefatte impalcature di felicità» dove i vari elementi che si combinano sono scorporati dal resto, «vegetazione di segni» che hanno «radici nel nostro precario stare al mondo». Il cielo, allora, nel suo essere visibile ma, allo stesso tempo, rarefatto, trasparente, rivela spazi scuri, «prospettive d’ombre» tra le nubi che assumono, ancora una volta, le sembianze di «reticoli come tendine calate» su una realtà ormai diventata ´intermittente`. Quello di Melotti è un tentativo di «stare al mondo», una ricerca di equilibrio tra vuoti che valgono come pieni, in cui lo spazio si dilata e si contrae in cerca di un adattamento. Per il saggista, ogni individuo è, costantemente, alla ricerca di un movimento che gli permetta di non fermarsi, di non morire, pur rimanendo sospeso nell’incertezza: simbolo di questo oscillare continuo è rappresentato dall’artista da un pendolo che si materializza in «biglie di piombo legate a catenelle, libere di descrivere circonferenze in ogni dimensione o d’interpretare elettricamente la scansione circolare dello spazio». «L’infinito», dice Calvino, «si avvolge su se stesso», ricerca una forma a cui adattare la propria vita; si «avvolge su se stesso a spirale»: costruisce il suo spazio nel tempo, come fa Qfwfq, tra le onde. Questo personaggio che sembra esistere fin dall’inizio dell’universo, nel racconto La spirale, si muove nell’acqua in cerca di una forma: «Ma dato che non avevo forma mi sentivo dentro tutte le forme possibili».  Ruotando su se stesso Qfwfq, comincia a costruirsi quel mondo a spirale fatto di giri su se stesso, di secrezioni che «prendevano una curvatura tutto in giro, fino a coprirmi d’uno scudo duro e variegato, scabroso di fuori e liscio e lucido di dentro». Calvino nelle sue opere si è sempre chiesto quale fosse il rapporto che ricorre tra l’interno della mente e l’esterno del mondo. Egli cerca, quindi, di darne una risposta nel testo Dall’opaco in cui, spazi bianchi in posizione orizzontale, dividono il testo: questo effetto di scrittura che richiama quello poetico, dà alla pagina un’impressione di verticalità “del mondo” con il suo “contorno frastagliato” in cui linee immaginarie tagliano il mondo nella sua “pendenza obliqua”.  In questo testo è evidente l’intreccio tra parte scritta e linee bianche, messo in atto dall’autore nella ricerca di un linguaggio visivo: Calvino esprime questa sua necessità cercando un canale per comunicare le proprie emozioni e, soprattutto per capire se stesso. La realtà che si trova dentro e fuori di lui è quindi posta in evidenza con i colori risaltati dalla luce o nascosti dall’ombra. Come afferma Silvio Perrella, Calvino fa diventare la luce un personaggio narrativo dalle infinite risorse metamorfiche; un personaggio che, a volte, quando mette in mostra una luminosità esplicita, può chiamarsi “aprico” e, altre volte quando sfoggia una luminosità implicita prende il nome di “opaco”: in questo mondo in cui la luce determina una realtà e il suo rovescio, lo scrittore si identifica con l’ ”opaco” ed ecco che il me stesso rivolto verso l’aprico è pure un me stesso che si ritrae nell’opaco e  la linea che traccio s’avvolge sempre più nell’opaco, ed è inutile che cerchi di ricordare a che punto sono entrato nell’ombra, già c’ero da principio.  L’opaco e l’aprico corrispondono quindi, l’uno al mondo interno da cui Calvino scrive, la sua interiorità, il suo cercare di essere continuamente se stesso; l’altro, l’aprico, al mondo esterno di cui cerca di individuare la ´mappa` attraverso un ´io` che ha un assoluto bisogno di schematizzare la propria vita per far fronte alle proprie difficoltà. Anche Calvino, come Agilulfo, nel Cavaliere inesistente, sente la necessità di ´geometrizzarsi`: «aveva sempre bisogno di applicarsi ad un esercizio: contare oggetti, ordinarli in figure geometriche, risolvere problemi d’aritmetica».  Nei testi che lo scrittore ligure compone per commentare opere di artisti che lo hanno ´impressionato`, egli rivive le sensazioni che ha sempre provato nel corso della sua vita mentre ricerca nei colori, nelle linee, negli intrecci e negli specchi, di quadri e sculture, quella simbologia che lo aiuti a interpretare, prima di tutto se stesso, all’interno di un mondo in cui difficilmente riesce a trovare un suo spazio. Calvino commentando opere pittoriche elabora, nello stesso tempo, il suo modo di fare poetica: attraverso l’analisi di quadri e di opere visive ha cercato quell’essenzialità alla quale si arriva proprio attraverso i linguaggi della scrittura, del disegno e della pittura. La sua costante attenzione al visibile si manifesta fin dalla scrittura di un breve testo in occasione della mostra delle litografie di Carlo Levi, Gli amanti, apparso nel 1955 su «Il Contemporaneo», fino a uno dei suoi ultimi scritti, pubblicato postumo e dedicato all’opera di Arakawa. La pittura interessa a Calvino, in particolare, come spazio pittorico, come «superficie della rappresentazione e della narrazione», come luogo dove si sviluppano, attraverso un linguaggio ´primitivo`, semplice, i “meccanismi del pensiero”. Marco Belpoliti raggruppa in un piccolo catalogo gli scritti di Calvino dedicati all’arte e agli artisti che articola in tre o quattro gruppi. Il primo comprende i testi che esplorano il “meccanismo del pensiero”, “l’habitat del pensiero”: analizza quindi artisti come Melotti, Paolini, Steinberg, De Chirico, Cremonini, Arakawa. Il secondo gruppo riguarda, invece, gli “esercizi di stile” a cui appartengono, per esempio, Magnelli e Gnoli. Il terzo gruppo è formato da testi descrittivi o narrativi, nati in occasione di viaggi o mostre, come quello dedicato a Turner o quelli raccolti in Collezione di sabbia. Il rapporto tra pittura e scrittura, tra racconto e disegno è sempre stato molto sentito da Calvino. In una nota redazionale che precede il testo Il crollo del tempo , egli pone un importante interrogativo sul rapporto che corre tra i due poli espressivi: lo scrittore ligure spiega di aver raccontato ciò che Steinberg ha disegnato; in realtà il racconto non era accompagnato dai disegni che lo avevano ispirato perché, per Calvino, lo scritto aveva una sua autonomia. La risposta a questo problema che mette in luce questa difficoltà di capire i rapporti tra un testo narrativo e la pittura, è spiegato da Roland Barthes in un suo scritto in cui sono presenti sia parole che immagini, L’impero dei segni. Barthes scrive, infatti, che «il testo non ´commenta` le immagini» e che «le immagini non ´illustrano il testo» ma che «testo e immagine, nel loro intreccio, vogliono assicurare la circolazione, lo scambio di questi significati». Questa mostra vuole indagare e nel contempo valorizza il legame profondo tra due artisti, due amici, due menti affini. Un percorso che valorizza questo rapporto, approfondendo le loro collaborazioni e consentendo un excursus su uno dei principali artisti italiani, testimone e protagonista, fin dalla prima ora, dell’arte astratta. Non a caso, Italo Calvino affermò che le opere di Melotti fossero state per lui fonte di ispirazione per Le città invisibili. “Fausto Melotti. In leggerezza. Un omaggio a Italo Calvino”, a cura di Michelina Eremita, ripercorre gli intrecci artistici a partire dai primi contatti tra i due, avvenuti con tutta probabilità nella seconda metà degli anni Sessanta, quando Melotti, dopo una lunghissima presa di distanza dal mondo dell’arte, rientrò sulla scena nazionale ed internazionale a seguito del successo riscosso nel 1966 durante La Biennale di Venezia. Nel corso degli anni Calvino scrisse di lui in più occasioni, sottolineando la personalità aerea dell’artista che sapeva imprimere grazia e poesia nella sua arte caratterizzata da quelli che lui definì “I segni alti” . Ciò che li accomuna sono senza dubbio “la leggerezza”, “la rapidità”, “l’esattezza”, “la visibilità” e “la molteplicità” – parole e concetti definiti da Calvino ne Le Lezioni americane che ben si adattano in realtà anche a definire il lavoro di Melotti. Ambedue dotati della capacità di vivere lo spazio dell’ineffabile con una tale dimestichezza da renderlo, con un’acrobazia da funambolo, domestico e intellegibile. Dopo la morte di entrambi (Calvino nel 1985 e Melotti nel 1986), la casa editrice Mondadori, dagli inizi degli anni Duemila e per oltre venti anni, ha scelto le opere di Melotti per tutte le copertine dei libri inseriti nella collana degli Oscar, facendole diventare così l’immagine che tutti noi associamo alle opere di Calvino. La mostra. Il percorso espositivo è diviso in quattro sezioni. La prima sala è di prolusione, infatti si dà visione al rapporto tra lo scrittore e lo scultore, proponendo una panoramica dei libri di Calvino con le opere di Melotti in copertina e la presentazione di due opere, Le scale del 1975 e Gli Effimeri del 1981, che plasticamente palesano le parole scritte da Calvino per lui. Non è documentata una corrispondenza tra i due, ma i pensieri di Calvino vennero pubblicati in più occasioni. La seconda sala, con I Dioscuri del 1969, introduce il mito, una tematica molto cara a Fausto Melotti e conduce verso la terza sezione dove sono esposte le opere realizzate dal 1935 al 1985, permettendo così una visione completa del suo lavoro. Nella terza sala si ricostruisce il percorso dell’artista attraverso venti sculture, alcune opere su carta e disegni. Uno specifico approfondimento è dedicato agli alfabeti, elementi fondanti della scrittura, di nuovo esposti dopo molti anni. Con efficacia riportano sulla carta i tratti distintivi dell’artista permettendo allo sguardo del visitatore di osservare esiti formali più analitici o, al contrario, più sintetici. Il segno tracciato nello spazio del foglio è identico al segno dell’opera scultorea che nell’aria trova la propria dimensione. Per ogni formula espressiva la regola compositiva è data dall’armonia creata dal ritmo impresso tra il pieno e il vuoto. E così ritornano le parole di Italo Calvino che scrive: “L’importante è non aspettarsi di raggiungere un al di là ma un al di qua” (I segni alti); uno spazio in cui le prospettive si azzerano per far convivere gioiosamente le assenze con le presenze. Si aggiungono al percorso cinque opere su carta dedicate a Lucio Fontana che costituiscono una parentesi importante perché Melotti stabilì con l’artista un rapporto di amicizia e stima che durò per quanto la vita lo consentì. La mostra si conclude sui linguaggi che Fausto Melotti coltivò al pari della scultura: la musica e la scrittura. Della sua esperienza in conservatorio restano degli spartiti. Il rapporto tra musica e scultura è intimo. Rivelatori ed eloquenti in tal senso sono certamente alcuni disegni che traccia sul pentagramma da cui poi si eleveranno le sculture. Oltre la musica, la scrittura (poesia, aforismi e saggistica) costituì un esercizio di pensiero, per questo sono esposti i quaderni Linee (I, II) dei suoi aforismi.  Chiude a suggello un’altra opera che unisce Calvino e Melotti, l’acquaforte realizzata per La canzone del polistirene, che accompagnava la traduzione in lingua italiana fatta da Calvino nel 1985 de Le Chant du styrène di Raymond Queneau.
Biografia di Fausto Melotti
Nasce a Rovereto- Trento 1901. Nel 1915 si trasferisce con la famiglia a Firenze dove conclude gli studi secondari. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. Nel frattempo porta a termine i cinque anni di studi musicali, conseguendo il diploma in pianoforte e intraprende lo studio della scultura, a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Si iscrive poi all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Si diploma nel 1928. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale del mobile di Cantù per un corso di plastica moderna. L’artista così si esprime: " Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare col proprio cervello." Nel 1935 aderisce al movimento "Abstraction-Création", fondato a Parigi nel 1931 da Herbin, Vantongerloo, Hellion, Arp, Gleizes, Kupka, Tutundjian e Volnier, con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. Nello stesso anno rende anche esplicita la sua adesione al gruppo degli astrattisti milanesi partecipando alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino ed esponendo a Milano, alla Galleria del Milione, una sua personale con sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. "Attraverso queste opere è possibile scorgere l’operazione che Melotti sta sperimentando: il trasferimento dei valori musicali alla scultura.
La musica diviene presupposto fondamentale, autentica disciplina della ricerca artistica, nuova metafora che apre a inedite esperienze. E’ la musica a guidare la scultura nel processo di defisicizzazione della materia; è lo studio della musica a presupporre l’idea di contrappunto nella scultura: Melotti giunge ad una sorta di "astrazione musicale" nel campo delle arte figurative: "…un’arte [che] è stato d’animo angelico, geometrico".  La sua prima esposizione non ha alcun esito positivo in Italia, né tra i critici né tra gli artisti, mentre riceve la dovuta considerazione, in Francia, grazie a Léonce Rosenberg, e in Svizzera, dove nel 1937 consegue il Premio internazionale La Sarraz. Nello stesso anno, in occasione della VI Triennale di Milano, crea per la Sala della Coerenza disegnata dallo studio B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressuti, Rogers) un’opera-chiave, la Costante Uomo. L’idea è totalmente inedita e originale: dodici sculture scandiscono ritmicamente lo spazio in un progetto che, concertando armonicamente colore, parola e piani, suggella a paradigma d’opera d’arte l’installazione ambientale. Dal 1941 vive per due anni a Roma, dove partecipa al progetto di Figini e Pollini per il Palazzo delle Forze Armate e nel frattempo realizza disegni, dipinti e compone poesie che, con il titolo Il triste Minotauro, saranno pubblicate da Giovanni Scheiwiller nel 1944. Nel dopoguerra, per vivere, si dedica alla ceramica e raggiunge, attraverso una tecnica raffinatissima, una qualità artistica ineguagliabile. Testimonianza ne sono i premi: il Gran Premio della Triennale di Milano nel 1951; nel 1958, la "Grande medaglia d’oro ad artefice italiano" dal Comune di Milano; nel 1959 la medaglia d’oro di Praga e anche quella di Monaco di Baviera. Nel 1967 espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione che lo ripropongono all’attenzione del pubblico e della giovane critica. Da questo momento ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero che lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua opera multiforme: sculture, bassorilievi, teatrini e opere su carta. Così scrive Germano Celant: "È sull’uscita o sul dialogo tra penombra e luce, alla frontiera tra essenza e movimento, dove i corpi fluidificano e si presentano sinuosi e leggeri che Melotti imposta la sua ricerca, che esprime una svolta nuova alla scultura, perché non lavora più sul togliere dal pieno, ma sul far emergere dal vuoto." Nel 1973 consegue il Premio Rembrandt, giudicato il Nobel delle arti; nel 1977 gli viene attribuito il Premio Biancamano. Nel 1974 la casa editrice Adelphi pubblica una sua raccolta di scritti e poesie intitolata Linee, a cui viene conferito, nel 1975, il Premio Diano Marina. Nel 1978 sempre Adelphi pubblica Linee, secondo quaderno. Nello stesso anno riceve il Premio FeltrineIli per la scultura. Nel 1979 un’antologica del suo lavoro è presentata a Milano a Palazzo Reale. Nel 1981 la città di Firenze gli dedica una mostra al Forte Belvedere. Da questo momento in poi si susseguono le mostre personali e collettive in Italia e all’estero, che lo vedono tra i protagonisti dell’arte contemporanea. Firenze, Roma e Venezia ospitano importanti personali, ma è presente anche a New York, Londra, Zurigo, Vienna, Francoforte, Monaco e Parigi. Si spegne a Milano il 22 giugno 1986.
 
Santa Maria della Scala Siena
Fausto Melotti. In leggerezza. Un omaggio a Italo Calvino
dal 7 Dicembre 2023 al 7 Aprile 2024
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Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
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