Giovanni Cardone Giugno 2025
Fino al 19 Ottobre si potrà ammirare al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra dedicata a Pablo Picasso – ‘L’altro Picasso. Ritorno alle origini’ a cura di Helena Alonso, J. Óscar Carrascosa e Daria Jorioz. L’ esposizione è stata prodotta da Expona, con la collaborazione di c2c e Contemporanea Progetti è promossa dall’Assessorato Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione autonoma Valle d'Aosta e gode del patrocinio dell’Ambasciata di Spagna a Roma. Il progetto propone al pubblico un percorso affascinante che intende ricostruire la vicenda creativa picassiana attraverso i legami esistenti fra le esperienze dell’infanzia, il costante dialogo con il passato e l’innovativo uso delle tecniche tradizionali, quali la ceramica, l’incisione e il design scenografico. Gli approfondimenti legati alla poesia, le suggestioni sul rapporto con i fotografi suoi contemporanei e sulla ricezione della sua opera in Italia negli anni Cinquanta concorrono a comporre un racconto unico che intreccia storia, arte e memoria, rivelando un Picasso intimo, un artista non solo innovativo e geniale, vissuto in una continua ricerca, ma anche profondamente consapevole delle proprie origini. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Picasso apro il mio saggio dicendo : Pablo De Ruiz Picasso nacque la sera del 25 Ottobre 1881 a Malaga, in Andalusia, Spagna. Il cognome fu acquisito, non dal padre, ma secondo la legge spagnola, dalla madre Maria Picasso y Lopez, le cui origini sono testimoniate da ricerche che avviò l’artista stesso durante la sua vita e che conducono all’Italia. Il padre, insegnante nella locale scuola d’arte, lo avvia molto precocemente all’apprendistato artistico. Nel 1891 frequenta la Scuola D’Arti e Mestieri di La Coruna, in Galizia, ma già nel 1895 viene ammesso all’Accademia di Belle Arti di Barcellona.

Il suo talento si rivela subito ed il giovanissimo Picasso ha modo di esprimersi attraverso l’esecuzione di opere secondo i canoni classi, in maniera eccellente. Due anni dopo frequenta anche la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid. La sua iniziale produzione artistica sarà influenzata anche dalla visione e dallo studio dei grandi artisti spagnoli del passato, a cui si dedica in particolare durante la sua permanenza a Madrid, con una assidua frequentazione del Museo Del Prado. Diego Velàzquez e Francisco Goya sono i suoi pittori preferiti. La sua eredità artistica, tuttavia, non è da ricercare esclusivamente nei suoi compatrioti spagnoli, quanto piuttosto nei maestri della sua patria di adozione, la Francia, nella tradizione dei lontani Jean Auguste Dominique Ingres oppure di Nicolas Poussin. O meglio ancora, nei maestri di tali maestri, tra cui Leonardo Da Vinci, Raffaello Sanzio, Andrea Mantegna. Nell’ottobre del 1900, Picasso, non ancora ventenne, si reca per la prima volta a Parigi; vi ritornerà l’anno successivo per poi restarvi a lungo, più di cinquant’anni. Parigi rappresenta il cuore dell’Europa, dell’innovazione ed è la culla di grandi movimenti sia artistici che letterari. In ogni campo si sente la spinta della ricerca e voglia di allontanarsi da un passato che per quanto riguarda la pittura, è rappresentato dal Romanticismo. È in questo ambiente cosmopolita e fitto di incontri con intellettuali ed artisti fondamentali per la sua metamorfosi, che il giovane e talentuoso Picasso si immerge e troverà il suo humus intellettuale ed artistico. Inizialmente lo stile del giovane Picasso oscilla tra l’ammirazione per Cézanne e le generiche tematiche impressioniste e postimpressioniste, come ben si evidenzia nell’opera, Bevitrice di assenzio, 1901 . Opera nella quale sono ancora evidenti sia il riferimento a Degas, sia il tributo a certe figure di donne perdute, di ToulouseLautrec. Nell’autunno del 1901, il suo stile conosce una prima evidente evoluzione, conseguenza anche della forte emozione suscitata dalla morte del suo amico poeta Carlos Casagemas . Inizia per Picasso il cosiddetto “periodo blu”, che si protrarrà fino a tutto il 1904. Durante questo periodo, la sua produzione artistica sarà tutta incentrata sull’uso di colori freddi, quali il blu appunto, dal quale si è tratta la definizione e di altre tonalità derivate quali l’azzurro, il turchino, il grigio. È chiara la velatura di tristezza e melanconia che Picasso esprime in tutte le opere appartenenti a questo periodo. Tristezza e melanconia che ritroviamo anche nei temi e nei soggetti delle opere. I personaggi sono poveri ed emarginati, segnati dal dolore, sconfitti dalla vita. Poveri in riva al mare, noto anche come Tragedia, fu realizzato a Barcellona nel 1903, quando l’artista frequentava l’ambiente anarchico e socialisteggiante del cabaret Els Quatre Gats, (I Quattro Gatti), conducendo egli stesso una vita di grandi privazioni e ristrettezze economiche. I tre personaggi ritratti sulla sabbia della spiaggia, in riva al mare, sono scalzi ed infreddoliti, rappresentano la dolorosa metafora moderna della Sacra Famiglia. Il loro misero aspetto, tuttavia, non toglie loro dignità, anzi le figure austere acquisiscono un rilievo per la loro silenziosa monumentalità. La figura severa della madre, vista di spalle, riprende la solida volumetria di alcuni personaggi giotteschi. Inoltre nonostante l’uso della tavolozza quasi monocroma, l’artista riesce a differenziare marcatamente i tre elementi primigeni della natura e della filosofia antica: la terra, rappresentata dalla spiaggia, l’acqua dal mare e l’aria rappresentata dal cielo. Questi tre elementi sono presenti sullo sfondo, che viene suddiviso dall’artista in tre fasce orizzontali. Lo sfondo contrasta, con la sua geometrica uniformità, con i tre personaggi in primo piano, ottenendo il risultato di isolarli, creando una scena che sottolinea ulteriormente il loro dramma. I toni freddi e gli atteggiamenti dimessi e chiusi degli adulti, trasmettono con intensità la durezza delle emozioni e l’assenza di speranza. La freddezza della scena è tangibile. Per spirito di umanità, l’artista lascia un barlume di vita, di speranza, nel fanciullo, che con il gesto delle mani cerca, prima il padre, toccandolo, ma non provocando nessuna reazione. L’altra mano invece è rivolta verso la madre anch’essa chiusa ed isolata, ma è possibile pensare che questa mano sia rivolta verso altri, verso altro. I soggetti e l’impianto compositivo de la Tragedia, si ritrovano anche in tutte le altre opere del periodo, segnalando il periodo come riflesso di una predisposizione d’animo pessimista e malinconico.
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Quando nel 1905 Picasso dipinge la Famiglia di saltimbanchi, la sua ricerca lo ha progressivamente portato ad arricchire la propria tavolozza con l’uso di varie e delicate gradazioni di rossi, di rosa e di arancioni. La nuova tecnica coinvolge tutta la produzione pittorica di questa fase, che assume così caratteristiche di assoluta e immediata riconoscibilità. L’abbandono dei toni freddi del precedente periodo e l’inizio di quello rosa coincidono in parte anche con le vicende umane dell’artista, che a Parigi incomincia a riscuotere qualche successo e che, soprattutto, conosce Fernande Olivier , la prima donna veramente importante della sua vita. L’opera ripropone ancora una volta una famiglia, tema assai caro al Picasso precubista. I sei personaggi, tre adulti e tre bambini, sono colti in un momento di silenziosa attesa e la loro serietà pensosa ed un poco mesta stride con la variopinta stravaganza dei costumi di scena che ancora indossano. Picasso del resto, fu sempre particolarmente ispirato ed attratto dalla vita circense. Egli interpreta la dura quotidianità di clown, acrobati e giocolieri che con grande sensibilità e discrezione, mettendone in evidenza la misera vita di poveri girovaghi. L’arlecchino di spalle, nel quale possiamo vedere un autoritratto di Picasso, volge lo sguardo lontano, mentre tiene teneramente per mano la bimba con il tutù e le scarpette rosa, che tanto ricorda le eteree ballerine di Degas. Il paesaggio deserto e desolato contribuisce a sottolineare la solitudine dei personaggi, ognuno dei quali, nonostante la prossimità agli altri, è comunque solo con i propri pensieri, come in attesa del manifestarsi di qualche misterioso evento. La loro definizione pittorica non fu semplice: le indagini radioscopiche hanno svelato la presenza di vari pentimenti e correzioni, quasi che Picasso fosse giunto per gradi alla soluzione compositiva finale, senza averla presente fin dall’inizio. É nell’autunno del 1906 che Picasso incomincia a lavorare ad un dipinto di grandi dimensioni che sarà completato solo verso la fine dell’anno successivo, il 1907, dopo una lunga elaborazione, non priva di correzioni, cancellazioni e pentimenti. Il 1907 è la data quindi, che segnerà l’inizio di una nuova era nella storia dell’arte, dopo allora nulla fu più come prima: era nato il cubismo . L’opera nasce da una serie di numerosi schizzi preparatori, che evidenziano una prima stesura che prevedeva sette figure, ridotte poi a cinque. Le demoiselles rappresentate sono le prostitute all’interno di un bordello di Avignone: le geometrie dei corpi sono semplificate, pur mantenendo le solide volumetrie riprese da Cézanne e lo sfondo viene materializzato, nel senso che non viene interpretato come elemento di sfondo, in rapporto con le varie figure, ma diviene esso stesso oggetto, che viene scomposto e quindi rimaterializzato in piani geometrici e taglienti che si innestano anche sulle figure umane, eliminando quindi la netta definizione dei contorni, risultandone compenetrate. Alla stessa stregua viene rappresentato la natura morta sul tavolino, in centro ed in basso del dipinto, composta dal cesto di frutta e dal tovagliolo. Questo dettaglio è l’evocazione di un'altra natura morta assai nota e rappresentata nell’opera di Èdouard Manet, Colazione sull’erba, 1863. I volti delle figure femminili sono raffigurati seguendo due solchi diversi: quelli delle figure centrali vengono ripresi dalla scultura iberica, mentre le due figure sulla destra risentono dell’influsso delle maschere rituali dell’Africa nera. Per la prima volta, Picasso vuole rappresentare una scena secondo un nuovo punto di vista, fuori dal comune. Egli non intende creare una semplice espressione visiva, ma mentale e per far questo stravolge prima di tutto le regole della prospettiva, scomponendo i volumi della figura in diversi piani. In un piccolo acquerello su carta eseguito nella primavera del 1907, troviamo composto l’equilibrio distributivo che sarà poi riproposto nella grande tela. I personaggi sono già ridotti a cinque figure femminili. La tenda sulla sinistra, ha perso ogni volume e, così come il cesto di frutta in primo piano, appaiono allo stesso livello del gruppo delle demoiselles. Picasso continua a lavorare anche sullo studio dei dettagli delle singole posture e dei volti. A fronte di una forte geometrizzazione del volto, permane evidente la volontà di ricercare e mantenere un effetto volumetrico ottenuto con gli effetti del chiaroscuro, dal quale sembra non riuscire ad alienarsi. Di pari passo con la ricerca cubista, Picasso sviluppa anche le ricerche nella rappresentazione anatomica dei lineamenti dei volti. Picasso fece uno studio sul busto di donna nuda per le “Demoiselles d’Avignon”, 1907, si nota che il volto assume contorni molto più marcati e taglienti: è la rappresentazione del volto dal chiaro influsso delle maschere tribali africane.
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La volumetria del volto è ottenuta, con alcuni tratti lineari ed altri incrociati obliquamente, a rete, ottenendo un effetto tridimensionale, che imita la tecnica del chiaroscuro, esprimendola come una sorta di colta citazione dei canoni della pittura del passato. Anche nel piccolo acquerello di Testa di “demoiselle”, 1907. I temi cubisti emergono con sempre crescente evidenza. Il naso della fanciulla è rappresentato di profilo, mentre gli occhi e l’intero volto sono visti frontalmente. Anche in questo volto, Picasso non sembra ancora aver voluto abbandonare del tutto il chiaroscuro, che qui è ottenuto mediante successive accentuazioni di colore intorno agli occhi, sugli zigomi e sopra le arcate sopraccigliari. È possibile citare di Picasso, Il ritratto di Ambroise Vollard, 1909 1910 come l’opera più famosa appartenente al periodo del Cubismo analitico. La composizione è minuziosamente frastagliata, quasi esplosa e, sia il personaggio, che lo fondo, appaiono sullo stesso piano. Non vi è la ricerca fotografica del ritratto, tuttavia, attraverso pochi elementi, la figura del collezionista e mercante d’arte, Ambroise Vollard, viene rappresentata in modo riconoscibile. Si rileva subito la sua fronte ampia e calva, che sovrasta i marcati lineamenti, gli occhi sono dipinti con le palpebre abbassate ed il naso è corposo. Al centro, si nota il giornale reso con alcuni tratti taglienti e diagonali; in alto a sinistra, è rappresentata una bottiglia, che privata di connotazione prospettica, sembra fluttuare nella tela. Altri elementi sono distinguibili: un libro sullo scaffale, un bottone del panciotto, una manica della giacca. I piani della rivista e della giacca di sovrappongono e l’uno non cela l’altro. È subito chiaro che Picasso in quest’opera non mira alla rappresentazione di un ritratto realistico, ma è alla ricerca di un aspetto psicologico più profondo del soggetto, rifiutando nettamente di fermarsi alla conoscenza esteriore. Tra il 1912 ed il 1913 Georges Braque e Picasso indirizzano le loro ricerche verso una ricomposizione degli oggetti precedentemente frammentati in oggetti nuovi, a volte fantastici, che pur mantenendo una qualche analogia con i modelli originali, vivono di una loro realtà autonoma, caratterizzata anche dall’uso di colori brillanti e volutamente antinaturalistici e non verosimili. In questo delicato, ma significativo passaggio, acquisterà un ruolo tutt’altro che secondario, anche Juan Gris, il terzo grande artista cubista. Si avvia quindi la fase del Cubismo sintetico, nella quale si attua quella innovativa equivalenza tra pittura e natura di cui Picasso e Braque rivendicavano l’originalità rivoluzionaria. Infatti, l’artista giunge a creare forme s situazioni che non hanno più alcun rapporto con quelle già note, anche se di esse conservano a volte alcune caratteristiche distintive e sempre in qualche modo ben riconoscibili. Per sottolineare ulteriormente il diverso uso che è possibile fare dei frammenti di realtà derivati dalla scomposizione analitica, Braque inventa la tecnica dei papiers collés e Picasso quella dei collages, strumenti espressivi che verranno poi ripresi anche in ambito surrealista e successivamente, in varie esperienze artistiche del dopoguerra. Nel primo caso vengono applicati sulla tela dei ritagli di giornale e di carta da parati di varie qualità e colori, mentre nel secondo si utilizzano anche materiali eterogenei quali stoffa, paglia, gesso o legno. In questo modo i due artisti tentano di scindere la forma dal colore, utilizzando un ritaglio di stoffa, espressione di puro colore, per definire un oggetto di tutt’altra natura, espressione di pura forma. Con papiers collés e collages, in altre parole, si rende evidente che il colore, pur agendo simultaneamente alla forma che lo contiene, è assolutamente distinto da essa, che, a sua volta, esiste a prescindere dal primo. Nel 1914 ha inizio la Prima Guerra mondiale in Francia e Picasso si trova ad Avignone. Gli avvenimenti esterni vengono a spezzare l’evoluzione che si sta delineando nel suo stile pittorico e molti amici dell’artista, fra cui Braque, sono immediatamente chiamati alle armi. La grande stagione del Cubismo è bruscamente interrotta ed anche quando successivamente, nel 1916 Braque rientrerà a Parigi, i percorsi artistici dei due amici sono ormai divisi. Anche Picasso rientra a Parigi, ma è una Parigi sconvolta, nulla è come prima. É in questa atmosfera parigina cupa e tetra, che una nuova presenza entra nella vita dell’artista e ne muterà la direzione: si tratta di un giovane esile, dal viso stretto ed il corpo d’efebo: è Jean Cocteau. Incontrandolo nel 1916, Picasso gli chiese di posare per uno dei suoi quadri di Arlecchini, ma la struttura cubista dell’opera distrusse quanto del suo modello potesse essere passato. Da quel momento si instaurò subito un profondo rapporto di amicizia ed all’inizio del 1917 Picasso di trovò di fronte ad una proposta del tutto insolita. Jean Cocteau chiese a Picasso di realizzare i costumi e la scenografia di un balletto che sarà a tutti gli effetti, il primo balletto cubista. Picasso lo accompagnò a Roma nel febbraio del 1917, per incontrare la compagnia dei Balletti russi di Sergej Diaghilev e preparare le scene ed i costumi del balletto Parade di Jean Cocteau e Léonide Massine con musiche di Eric Satie. Qui conobbe la ballerina russa Olga Koklova, che faceva parte del corpo di ballo di Diaghilev e che, l’anno successivo, diventerà sua moglie. Mentre è in Italia, Picasso visita Napoli e Pompei. Il soggiorno in queste città ricche di testimonianze di arte antica classica, lascia un segno profondo nell’artista che nell’anno seguente realizzerà opere che testimoniano un chiaro ritorno al realismo. Visiterà anche Firenze e Milano, trascorrerà l’estate in Spagna con i Balletti russi e quindi rientrerà In Francia.
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L’estate del 1918, sarà a Biarritz dove dipingerà una serie di opere sul tema delle bagnanti. Nel 1919 Picasso parte per Londra in compagnia di Sergej Diaghilev e collabora alle scene ed ai costumi del balletto di Léonide Massine El sombrero de tres picos (Il cappello a tre punte) con musiche di Manuel de Falla. Nel 1920 continua a lavorare per Diaghilev e realizza le scene ed i costumi del balletto di Léonide Massime Pulcinella con musiche di Igor Stravinskij. É nel 1921 che Picasso si stabilisce a Fontainbleau dove dipinge le due versioni dei Trois musiciens(I tre musicisti) , ma prima, mentre era ancora a Parigi, ha il tempo di realizzare scene e costumi del balletto Cuadro Flamenco, suite di danze andaluse tradizionali rappresentato dai Balletti russi di Sergej Diaghilev. Nei Tre musici, Picasso riprende i temi del Cubismo sintetico ma utilizza un uso del colore del tutto nuovo, definito dai critici “fumettistico”. Il dipinto su tela di grandi dimensioni, raffigura due personaggi tipici della commedia dell’arte: un Pulcinella che suona il flauto ed un Arlecchino chitarrista che, insieme ad un monaco con uno spartito fra le mani, suonano un motivo musicale, mentre un grosso cane se ne sta accucciato sotto il tavolo. Sono stati abbandonati i cromatismi monocromi terrosi e grigi degli anni Dieci ed alle complesse frammentazioni della ricerca analitica, Picasso contrappone e distende colori più vivaci su piani ampi e piatti, in una visione rigorosamente frontale. Il senso di profondità viene negato ai personaggi, ma viene recuperato nello sfondo, costituito dalle pareti laterali e dal pavimento che lasciano intuire una stanza. La prospettiva tuttavia, è illusoria e alterata, in quanto la parete laterale di sinistra appare in maniera innaturale più lunga, suggerendo uno spazio sghembo, proprio come quello ricostruito nelle scenografie teatrali alle quali stava lavorando durante gli anni Venti. Nel 1920 inizia il periodo neoclassico: esegue nudi monumentali e contemporaneamente esegue composizioni cubiste. Infatti la ricerca cubista di Picasso negli anni Venti cede il passo alla ripresa di certi temi classici, ispirati fortemente dal suo soggiorno in Italia nel 1917, a Roma per la precisione, durante la sua permanenza in occasione della preparazione delle scenografie e costumi del balletto Parade. L’artista non è alieno allo stesso fascino che aveva coinvolto Renoir, successivamente alla sua permanenza in Italia nel 1881 e la conoscenza dal vivo delle opere di Raffaello e di Michelangelo. Il riavvicinamento al Classicismo di Picasso può essere messo in linea con lo stato d’animo che aleggiava in tutta Europa in questo periodo, con il cosiddetto richiamo all’ordine. La Grande bagnante, esprime il trionfo monumentale di giovinezza e carnalità sicuramente ispirate anche dalla recente gravidanza della moglie, la ballerina russa Olga Koklova. Il corpo sodo e severo del personaggio femminile, riempie con prepotenza tutto lo spazio disponibile, protendendosi verso l’osservatore con braccia e gambe che non obbediscono più ad alcuna logica proporzionale o prospettica. Tale elaborazione è la conseguenza anche delle ricerche cubiste, le cui innovazioni permangono anche in questa serie di ritratti, che vengono realizzati in uno spazio privo di riferimenti dimensionali. La figura recupera una volumetria massiccia e maestosa, liricamente addolcita dallo sguardo trasognato e senza tempo. Il riferimento al Classicismo viene accentuato dal panneggio che trattiene il senso monumentale dell’opera e giocato sugli stessi toni dello sfondo ed allude anch’esso ad un nuovo e più consapevole ritorno all’ordine, al cui interno, forme e colori ritrovano luminosità, compattezza ed emozioni. Nel 1922 Picasso dipinge lo scenario per il balletto L’apres-midi d’un faune con musiche di Claude Debussy. Cura la scenografia per l’Antigone di Jean Cocteau, presentato al Théatre de l’Atelier de Charles Dullin. Illustra Cravates de chauvre (Cravatte di canapa) di Pierre Reverdy. È nell’estate del 1922 che Picasso trascorre l’estate con la famiglia in Bretagna, dove dipinge Deux femmes courant sur la plage (Due donne che corrono sulla spiaggia). Si tratta di una guache su compensato, dai colori brillanti e vivaci, nota anche semplicemente con il titolo La corsa. In essa sono rappresentate due giovani donne che corrono festose tenendosi per mano, con i capelli sciolti al vento. L’effetto d’insieme, di grande solidità ma anche di vivacità e dinamismo, rimanda l’immagine a due moderne menadi danzanti su di uno sfondo sospeso e senza tempo. Anche la linea dell’orizzonte, che taglia geometricamente in due il dipinto, ripropone con pacatezza il tema classicheggiante, dopo l’esuberanza dirompente della rivoluzione cubista. Nel 1924 Picasso dipinge il sipario, le scene ed i costumi per il balletto Mercure, musiche di Eric Satie, realizzato dal conte Etienne de Beaumont a favore degli immigrati russi. Lo spettacolo messo in scena a Parigi, al Théatre de la Cigale, viene aspramente criticato e non riscuote successo di pubblico. Realizza il sipario per il balletto Le train bleu per il quale viene impiegato l’ingrandimento del dipinto Due donne che corrono sulla spiaggia. La guerra civile spagnola ebbe inizio con un colpo di Stato militare il 17 luglio 1936. La notizia arrivò a Parigi il giorno dopo e già numerosi compatrioti bussarono alla porta di Picasso. Arrivarono da entrambe i campi avversi, ma Picasso all’istante, definì la sua posizione. La repubblica spagnola si assicurò la sua celebrità nominandolo Direttore del Prado mentre contemporaneamente si andavano sgombrando i capolavori da Madrid per metterli al sicuro. La guerra civile in Spagna lo toccò più che non abbia mai fatto un altro avvenimento mondiale. Forse attendeva, più o meno inconsciamente, qualcosa di più grande del suo travaglio d’artista, con cui potersi identificare oppure più naturalmente riaffiorava in lui la ricerca di una comunione con la sua terra perduta da tempo. La guerra civile si trascinò pesantemente per tre lunghi anni. Il 26 aprile 1937 la cittadina basca di Guernica venne distrutta dai bombardieri tedeschi: le vittime furono civili, donne e bambini, colti di sorpresa da una morte atroce, prima strage degli innocenti del nostro tempo. Picasso aveva ricevuto già da alcuni mesi l’incarico di realizzare una grande opera da esporre al Padiglione spagnolo per l’Esposizione Universale di Parigi del 1937, ma sino a quel momento non aveva ancor dato inizio a nessuna nuova tela. Quando ricevette la notizia del bombardamento di Guernica, rimase sconvolto e la sua risposta fu la realizzazione in soli due mesi, dell’enorme tela che intitolò Guernica . L’opera rappresentò, e rappresenta, un atto di accusa contro la guerra e la dittatura. La posizione politica dell’artista era già stata esplicitamente espressa, a favore della democrazia e contro il fascismo e nella Germania nazista le sue opere vennero bruciate in pubblico come esempio di arte degenerata. Insieme all’Italia fascista di Mussolini, la reazione all’esposizione di Guernica, fu derisoria, quando invece in tutto il mondo suscitò commozione. Guernica costituisce uno dei punti di sintesi più alta ed ispirata di tutta l’arte picassiana ed in questo dipinto egli riesce a superare e fondere Cubismo analitico e Cubismo sintetico. La gestazione dell’opera fu documentata dagli scatti fotografici di Dora Maar, permettendoci di venire in possesso delle fasi dello studio preparatorio della grande tela che già per le dimensioni importanti, poco meno di quattro metri di altezza e circa otto di lunghezza, agisce come manifesto ideologico e politico, realizzato per essere contemporaneamente osservato dal più alto numero di persone possibile. Il dipinto rappresenta esattamente il drammatico momento del bombardamento. La scelta del monocromo giunse per detrazione. Da uno degli scatti dei bozzetti preparatori, si nota che in una prima fase aggiunse colore e texture con ritagli di carta da parati, usando il rosso sangue per colorare le lacrime della donna in basso a destra. Più tardi rimosse tutti i colori. Nel periodo blu, infatti prese consapevolezza che l’uso di una tavolozza monocromatica poteva produrre immagini potenti e quindi eliminò il colore poiché sentiva che poteva distrarre, diminuendo l’impatto del quadro. La scelta cromatica si fissa quindi su una gamma di grigi e azzurri sul fondo antracite. Lo schema geometrico compositivo è costituito da tre fasce verticali, una più grande centrale nella quale sono concentrate la maggior parte delle figure e le due laterali, uguali, poste in maniera simmetrica. L’ambientazione è contemporaneamente interna ed esterna. La lampada accesa in alto, quasi al centro dell’opera lascia intuire un interno, mentre gli edifici in fiamme aprono lo scenario. Questo dualismo di visione non è solo espressamente cubista, ma intende anche significare lo squarcio di un edificio, che viene dilaniato da un crollo e che mostra gli intimi interni domestici di una casa che vengono così esposti allo sfregio della guerra. La lampada diviene anche il simbolo della tecnologia del ventesimo secolo che con la sua potenza terrificante ci può distruggere. Come spiega Tomàs Llorens Serra “in spagnolo il termine usato per lampadina elettrica “bombilla” è come il diminutivo di “bomba”. Quindi è una metafora poetica verbale per indicare la potenza terrificante della tecnologia che ci può distruggere”. La prima impressione allo sguardo è caos, ma l’opera sta già urlando e trasmette tutte le emozioni umane rappresentate: caos, terrore, strazio. La rappresentazione è molto dinamica ed il susseguirsi di luci, espresse con il colore bianco e le ombre in nero e grigio-azzurre, sottolinea il sinistro risultato delle esplosioni ed il divampare degli incendi. Le bocche spalancate e rivolte al cielo, di umani ed animali, rendono udibile lo strazio ed il dolore. Solo la grandezza del Picasso maturo è in grado di esprimere tutto ciò. Nel secondo dopoguerra Picasso intraprende una intensa attività di ceramista, creando piatti, vasi antropomorfi , statuette. Attività che continuerà per gli anni Cinquanta e Sessanta, alla quale affiancherà quella di grafico, di stampatore. A testimonianza di ciò numerose linoleografie, acqueforti, litografie, senza mai smettere di dipingere: nell’ultimo periodo della propria vita Picasso mostra una vitalità intellettuale che, unitamente alla volontà di sperimentare sempre nuove tecniche, ne fa un punto di riferimento obbligato per tutta l’arte del Novecento.
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Nel 1954 muore Henri Matisse, suo amico e storico rivale artistico e Picasso inizia un lungo studio sul tema del colore, tema nel quale egli stesso lo considerava superiore. Picasso trae diretta ispirazione dalle Odalische . dai colori sgargianti del suo amico Matisse ed allo stesso modo tenendo in considerazione il più grande maestro colorista che egli conoscesse, Eugène Delacroix. Picasso realizza in questo periodo quindici tele, sul tema delle Donne di Algeri ognuna contrassegnata da una lettera dell’alfabeto, dalla lettera “A” a “O”. Nell’ultimo e più completo dipinto della serie, un grande olio del 1955, Donne di Algeri “O”, 1955 , preceduto da una serie di schizzi preparatori, l’artista rappresenta quattro figure femminili all’interno di un fantasioso harem rutilante di colori, nel quale prevalgono tendaggi e tappeti, caratteristici di una rappresentazione orientaleggiante. In questo dipinto i tendaggi ed i tappeti sono rappresentati dalle superfici tratteggiate geometricamente nella metà destra dell’opera, mentre nella metà sinistra, è presente un personaggio che indossa un ricco costume tradizionale: si tratta di Jacqueline Roque, sua ultima moglie e musa ispiratrice. Le altre figure femminili nude rappresentate, due in piedi sullo sfondo ed una terza sdraiata sul tappeto con le gambe accavallate, si riallacciano stilisticamente all’esperienza cubista degli anni Dieci. L’ambientazione, nonostante sia immaginata fra le pareti di una stanza, appare nel complesso calda e vivace, risentendo degli influssi sia del luogo di realizzazione della Costa Azzurra, con i suoi ampi orizzonti, sia del contesto storico, in quanto in quegli anni era in corso la guerra di liberazione algerina dal predominio coloniale francese. Nel novembre del 1968 dipinge Nobiluomo con pipa 1968 , un vivacissimo olio, che rappresenta una sorta di giocoso autoritratto, nel quale Picasso schematizza la figura di un uomo che fuma vestito in costume di altri tempi. I pochi tratti elementari ed un uso violento e spregiudicato del colore individuano ogni particolare della scena: la parrucca riccioluta al colletto plissettato, i polsini ricamati, la lunga pipa dalla quale si levano morbide volute di fumo arancione, la poltrona con lo schienale che termina con una sfera decorativa, il vaso di fiori, che controbilancia e chiude verso sinistra tutta la composizione, sullo sfondo di un allegro tendaggio. Jacqueline Roque fu la seconda ed ultima moglie di Picasso, la donna con cui visse sino all’ultimo. Lei era una ceramista, orfana e già divorziata a 26 anni. Lui aveva 72 anni ed era già ormai molto famoso. La conquistò decorando con una grande colomba il muro della sua casa in Costa Azzurra, luogo in cui vissero insieme. Pablo Picasso morì a Mougins, l’8 aprile del 1973. La selezione di opere presentate offre un’ampia panoramica della produzione di Picasso, dalle sue migliori creazioni nel campo dell’incisione, come la serie
Il capolavoro sconosciuto o un’acquaforte tratta dalla
Suite Vollard, in cui il mondo classico riemerge davanti ai nostri occhi, fino ai risvolti meno famosi, come il contributo di Picasso alle arti sceniche, con le scenografie per il balletto
Il cappello a tre punte. Inoltre, la sua passione per la letteratura e la considerazione che aveva di sé come scrittore – una delle sfaccettature meno note dell’artista – viene mostrata nella serie di incisioni
La Sepoltura del conte di Orgaz e nelle sue poesie. A questo si aggiunga una vasta selezione di ceramiche: a partire dal 1946 Picasso trova in questa tecnica millenaria un intero universo creativo da esplorare. A 65 anni, quando decide di stabilirsi vicino al Mare Nostrum delle sue origini, Picasso si sente come un bambino nello scoprire e indagare una forma d’arte che gli permette di conciliare gli aspetti stilistici e tecnici di disegno, incisione e scultura. Nella Malaga della sua infanzia, dove Picasso conosceva i laboratori di ceramica nei pressi della casa di famiglia, il padre José Ruiz Blasco, professore di disegno e curatore del museo cittadino, fu il suo primo maestro e permise alle doti artistiche del piccolo Pablo di emergere e svilupparsi. In quella casa, circondato da donne, la madre, le sorelle e le zie, il piccolo Pablo scoprì inoltre la musica tradizionale spagnola, le canzoni, i distici e le danze, le ricette di cucina della famiglia e i
tejeringos, una variante dei
churros, a cui farà riferimento diversi decenni più tardi negli esercizi di scrittura automatica svolti a Parigi. Sempre in questo ambiente sviluppò una fascinazione per il mondo dei tori. Alle corride frequentate con il padre Picasso tornerà a più riprese da adulto nel sud della Francia, rievocando una festa mediterranea di tradizione millenaria. Il toro diventerà un potente simbolo non solo di violenza, ma anche di erotismo. È l’alter ego di Picasso. Nella sua Malaga natia iniziò anche a conoscere il teatro, e in particolare i grandi maestri della pittura, attraverso gli insegnamenti trasmessi dal padre e dai pittori suoi coetanei che frequentavano la casa di famiglia. Questo patrimonio culturale immateriale forma il background che segnerà Picasso per tutta la vita e incentra il contenuto della mostra su una visione meno conosciuta di questo straordinario maestro, in un vitale eterno ritorno alle radici mediterranee e alle origini familiari e culturali che lo accompagneranno fino alla fine, sopraggiunta in un giorno di aprile del 1973.
Picasso e la ceramica
La ceramica è il mezzo artistico su cui la ricerca di Picasso si concentra con maggiore intensità negli anni della maturità e della vecchiaia. È affascinato dal processo di trasmutazione quasi magico subìto dai colori durante la cottura. Attraverso la ceramica, l’artista è artefice della metamorfosi, operata dal fuoco, dei supporti e dei colori che ha manipolato. Picasso concepisce la ceramica come un mezzo espressivo che gli consente di combinare pittura e scultura; si sente ammaliato dalle qualità volumetriche e dalla vivacità che acquisisce il colore attraverso il processo di cottura. La ceramica lo attrae per l’apparente semplicità che, celando invece una grande complessità, offre una gamma infinita di possibilità espressive. Questa complessità rappresenta uno stimolo costante, più che un ostacolo: Picasso riscontra forti analogie tra ceramica, incisione e disegno, come si nota nell’uso del colore o nelle opere monocrome, così come nelle tecniche e negli utensili scelti per realizzare l’incisione o la manipolazione dell’argilla. Alla sua mostra Picasso ha lasciato una collezione personale di ceramiche di oltre tremila esemplari, ma l’interesse per questo mezzo espressivo era sorto già durante l’infanzia a Malaga, quando aveva decorato alcuni pezzi: la città in cui è nato e ha vissuto fino ai dieci anni vanta infatti una lunga tradizione di ceramisti. Stabilire un legame con le origini dell’arte e della civiltà è uno degli aspetti più importanti del rapporto di Picasso con la ceramica: nel corso della sua carriera si era dedicato a più riprese a questa tecnica, ma solo nel 1947, all’età di 66 anni, avviò la produzione di opere in ceramica presso l’atelier Madoura dell’amica Suzanne Ramié, a Vallauris, sulle coste francesi del Mediterraneo. Com’era accaduto all’indomani della Prima guerra mondiale, anche dopo la Seconda, tra le ceneri della catastrofe, Picasso sperimenta un ritorno alle origini. Sulle sponde del Mediterraneo, rievoca gli albori dell’attività artistica e rituale dell’umanità, ricorrendo a un ricchissimo simbolismo archetipico. Ai piatti, vasi e tazze della produzione abituale di Madoura, Picasso aggiunge nuove forme e la creazione di nuove sculture. Il mese di novembre del 1948 segna uno spartiacque nella creazione ceramica contemporanea. Per la prima volta le ceramiche di Picasso vengono esposte a Parigi. Benché non avesse l’abitudine di presenziare alle sue mostre, per l’occasione l’artista viaggia con tutta la famiglia per occuparsi personalmente dell’allestimento. La mostra, ampiamente documentata dalla stampa, ha un impatto immediato su molti altri artisti: pittori, scultori e artigiani di tutto il mondo cominciano a interessarsi a questa antica arte, inclusi Braque, Léger, André Masson, Wifredo Lam, Lucio Fontana e Cocteau. Lo stesso Marc Chagall, poco dopo essere rientrato in Francia dal suo esilio statunitense, si reca all’atelier Madoura, ispirato da Picasso, per cominciare a lavorare la ceramica. Matisse frequenta lo stesso atelier e realizza alcune prove per i pannelli di ceramica di Vence. Lo scrittore Paul Éluard visita l’atelier nel 1952, scrivendo una poesia all’interno di un piatto, e anche Jean Cocteau creerà un piatto di ceramica nel 1953.In quel momento del dopoguerra, Picasso intende raggiungere un pubblico più ampio realizzando nuovamente una serie limitata di alcune sue creazioni, stavolta usando la terracotta. Si ripete la stessa situazione che si era creata dopo la Prima guerra mondiale con la litografia, tecnica artistica tornata in auge grazie all’interesse di Picasso, giacché, come riconosce Mourlot, molti pittori dell’epoca avevano deciso di seguirne l’esempio. Attraverso la ceramica, Picasso stabilisce una comunione con le forme di espressione più primitive della tradizione mediterranea, utilizzando allo scopo gli stessi materiali, tecniche e forme impiegati da uomini e donne delle civiltà che l’avevano preceduto. Ne sono un esempio i vasi che richiamano le figure rosse e nere della tradizione ateniese, “
Yan bandeau noir” del 1963, come pure il
Vaso condecorazioni pastello del 1953, in cui Picasso si avvicina a modalità arcaiche di rappresentazione umana. Numerosi volti circolari popolano l’enorme varietà e ricchezza espressiva dei suoi piatti, grazie a un uso magistrale del tratto e del colore, a cui si sommano i giochi di luci e ombre creati da rilievi e fenditure dell’argilla. In
Volto di donna, appartenente alle ultime serie di ceramiche realizzate nel marzo del 1971, due anni prima di morire, Picasso vuole mettere in risalto la semplicità delle forme, l’assenza di pigmenti e l’applicazione di sigilli, caratteristica dell’ultima fase della sua produzione. Un ritorno alla trasmissione della conoscenza attraverso il riferimento alla “ceramica sigillata” dell’inizio della nostra era.
Picasso e la letteratura
Per Picasso la letteratura era una delle arti che esercitava più influenza sulla sua produzione plastica, specialmente quella ispirata ai classici greci e romani, e rappresentava inoltre il terreno comune su cui si basava il sodalizio con poeti quali Apollinaire, Max Jacob o Paul Éluard. Una parte significativa dell’esposizione è dedicata alle incisioni destinate a illustrare diverse opere letterarie, dai classici alle creazioni dei suoi amici. Una sezione in particolare documenta l’importante ruolo del linguaggio nell’opera di Picasso, in cui la parola è il veicolo creativo usato per rendere conto delle sue origini e dei suoi ricordi attraverso un mezzo di espressione surrealista: la pratica della scrittura automatica.
Picasso e il ritorno alla musica e alla danza tradizionale spagnola
Il balletto Il cappello a tre punte
L’inizio del XX secolo segna uno dei momenti più fertili di simbiosi creativa tra artisti di diverse discipline. Nascono rapporti tra compositori, musicisti e artisti plastici, specie nel campo della danza, che si trasforma in uno dei principali luoghi d’incontro delle arti. Agli esponenti di maggior spicco delle avanguardie, come Sonia Delaunay o Cocteau, a cui è affidata la creazione di costumi e scenografie, si aggiungono i migliori musicisti, come Poulenc o Stravinskij, e svariate stelle della danza europea, che in alcuni casi adotteranno persino un nome d’arte russo, come la britannica Alicia Markova, nata Alice Marks. Tra queste ballerine, Picasso incontrerà la sua prima moglie, Olga Chochlova. Picasso riceve da Djagilev l’incarico di creare la scenografia e i costumi per il balletto Il cappello a tre punte, con musiche di un altro artista andaluso, Manuel de Falla. Picasso non era un grande danzatore, ma l’energia della produzione artistica che caratterizza questo nuovo scenario lo porta a impegnarsi al punto da truccare personalmente i ballerini. Lo spettacolo debuttò all’Alhambra Theatre di Londra nel 1919 e a Parigi nel 1920, quando Picasso creò la serie di schizzi che sono presentati in mostra. Il pubblico accolse il balletto nel clima dei festeggiamenti per la fine della Prima guerra mondiale. Il libretto è basato sul romanzo del 1874 di Pedro Antonio de Alarcón. Picasso contribuì anche alla composizione, aggiungendo personaggi come i pazzi e la Mallorquina, nonché tutti i dettagli a tema taurino presenti nell’opera, a cominciare dal sipario, aspetti che non sono presenti nel romanzo di Alarcón, dove non si fa alcun riferimento a toreri, picador o corride. I suggerimenti di Picasso indussero Falla persino a modificare la composizione e creare un’ouverture per dare al pubblico il tempo di ammirare il sipario dipinto dall’artista per il balletto. Falla appartiene a una costellazione intellettuale di artisti straordinari che subirono l’attrazione e il fascino di Picasso. Federico García Lorca frequentava i suoi salotti, da cui nacque il
Concurso de Cante Jondo, celebrato nel 1922. Le scenografie rivelano il debito di Picasso con Goya, riconoscibile nei riferimenti ai gruppi danzanti di uomini e donne del famoso cartone per arazzo
Il fantoccio (1792). Nel 1918 Falla manda a Djagilev una cartolina che riproduce proprio quest’opera. Lo stesso Picasso ebbe un impatto notevole sulla composizione musicale di Falla, come quest’ultimo ammette in una lettera a Djagilev, considerando molto calzante il suggerimento picassiano di aggiungere l’ouverture affinché il pubblico potesse contemplare il sipario che aveva creato. Inoltre, le esclamazioni (come gli “olé!”) e i riferimenti al mondo dei tori, assenti nel romanzo, sono tutti merito di Picasso, così come l’introduzione di nuovi personaggi nel balletto. Picasso crea una serie di
pochoir, e ne regalerà uno a Manuel de Falla con la seguente dedica: “Al mio ammirevole e ottimo amico Manuel de Falla. Picasso. Parigi, 20 giugno 1921”. Il Ballet Nacional de España mise in scena
Il cappello a tre punte con i costumi basati sugli schizzi esposti in questa mostra. Un balletto che trasmette l’allegria delle danze spagnole e l’energia delle sue origini, che Picasso infonderà sempre nelle sue opere. L’esposizione L’altro Picasso. Ritorno alle origini è accompagnata da un catalogo bilingue italiano-francese edito da Silvana Editoriale.
Museo Archeologico Regionale Aosta
L’altro Picasso. Ritorno alle origini
dal 21 Giugno 2025 al 19 Ottobre 2025
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.00
Foto Pablo Picasso
La moglie del mugnaio
Riproduzione da l'opera “
La Femme du Meunier. Etude pour le Tricorne, 1919, by Pablo Picasso”
1920 Pochoir, 28,7 x 22,1 cm FundaciónArchivo Manuel de Falla, Granada © Succession Picasso,
by SIAE 2025
Foto Allestimento della mostra L’altro Picasso. Ritorno alle origini dal 21 Giugno 2025 al 19 Ottobre 2025 Museo Archeologico Regionale Aosta Ph. S. Venturini