Ricci_Venere e Adone_Palazzo Pitti_1706Ferdinando de’Medici, amatore e collezionista appassionato di arte veneta, nutrì grande stima per Sebastiano Ricci, uno dei più talentuosi pittori del Settecento europeo. Nel 1704 invitò infatti l’artista di origine bellunese (Belluno, luglio 1659 – Venezia, 15 maggio 1734), reduce dal successo ottenuto in città con gli affreschi in Palazzo Marucelli, a eseguire una pala d’altare (oggi agli Uffizi) per la chiesa di San Francesco de’Macci, destinata a sostituire la celeberrima Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, che il Gran Principe aveva riservato alla sua collezione personale.


Nel 1707 Ricci ottenne poi l’incarico di affrescare l’anticamera dell’appartamento terreno di Palazzo Pitti, realizzata con la collaborazione del nipote Marco e del quadraturista Giuseppe Tonelli. Il suo lavoro culminò con la rappresentazione sulla volta della stanza del Commiato di Adone da Venere, arrangiando una scena chiaramente improntata alle nuove tendenze rococò – fatte di colori chiarissimi, stesure rapide tese a produrre effetti di grande mobilità delle superfici, scorci arditi, figure sempre dinamiche – che lo stesso Sebastiano contribuì a diffondere in Europa.


La composizione è connotata, in effetti, da un virtuosistico sottinsù, particolarmente evidente nel taglio con cui sono inquadrati i due levrieri nella parte bassa dell’affresco. La diagonale marcata (attraverso la nuvola) su cui si dispongono i protagonisti della storia conferisce dinamismo e vivacità all’episodio, ulteriormente accentuata dalla sapiente distribuzione dei puttini alati che provvedono ad alterare, con graziosa varietà, la simmetria di fondo dell’immagine. Ricci, dotato di tecnica e inventiva non comuni, allestisce il racconto – tratto dalle Metamorfosi ovidiane (Libro X, vv. 705-739) – cristallizzando il momento in cui il giovane amato dalla dea dell’amore si congeda da lei in cielo, animato dal desiderio di cimentarsi nella caccia, nonostante agli ammonimenti di Venere a tenersi alla larga dalle fiere “che invece di voltare le spalle per scappare offrono il petto per combattere” (X, 706).


L’ardimento sarà fatale a Adone perché, imbattutosi in un cinghiale, ne rimarrà mortalmente ferito, con relativo strazio della ciprigna. Venere trasformerà poi il sangue dello sventurato nel fiore dell’anemone, a simbolica e significativa memoria della fragilità del sentimento amoroso (“è un fiore, tuttavia, che dura poco. Fissato male e fragile per troppa leggerezza, deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali”, X, 737-39; cito dall’edizione Einaudi curata da Pietro Bernardini Marzolla, Torino 1979 e 1994). Ricci_Venere e Adone_Orléans_Musée des Beaux-Arts(bozzetto)Nell’affresco, Adone brandisce proletticamente il giavellotto, segno della caccia, che lo condurrà alla morte. Ricci, in ogni caso, enfatizza la dimensione erotica della storia, avvalendosi tra l’altro di una forma simbolica di millenaria tradizione. Al centro del dipinto, Venere poggia la sua mano destra sotto il mento dell’amante. Il gesto, apparentemente quotidiano, ha invece un significato codificato, restituendo fin dall’antichità il senso dell’unione dell’anima con il divino, come ha dimostrato ad esempio Leo Steiberg, con l’acume che ne contraddistingue gli scritti (vedi in proposito The Sexuality of Christ in Renaissance Art and in Modern Oblivion, second edition revised and expanded, Chicago and London, 1996, p. 110-118).
 

Sul piano allegorico, comunque, oltre al monito a tenere a bada le passioni, la storia ben si presta ad alludere alla rinascita e al ciclico rinnovamento delle stagioni, dal momento che, in un’altra versione del mito, al giovane sarà concesso da Giove di tornare sulla terra ogni anno per un certo periodo.
 

Lo smagliante affresco di Sebastiano Ricci – di norma non visibile, poiché la stanza è oggi adibita ad ufficio – sarà visitabile in occasione della mostra dedicata dagli Uffizi a Ferdinando de’Medici (https://news-art.it/news/rivive-a-firenze-il-mito-di-ferdinando-de-medici.htm), sebbene soltanto nei fine settimana. L’occasione è pertanto imperdibile, giacché consente di ammirare l’opera magistrale di un artista che, pur “straniero”, fu capace di esercitare grande influenza sulle vicende della pittura toscana del XVIII secolo.

Francesco Sorce, 3/7/2013

 

 

Ricci_Palazzo PittiGli affreschi di Sebastiano Ricci nel’anticamera dell’appartamento terreno del Gran Principe Ferdinando de’Medici a Palazzo Pitti

Firenze, Piazza Pitti 1

Apertura straordinaria al pubblico dal 29 giugno al 3 novembre 2013

ogni sabato e domenica dalle ore 10.00 alle ore 17.00

fino a domenica 3 novembre 2013

L’accesso è possibile esibendo il biglietto della mostra Il Gran Principe Ferdinando de' Medici (1663-1713) collezionista e mecenate, Galleria degli Uffizi




Didascalie immagini

1. Sebastiano Ricci, Venere e Adone, Firenze, Palazzo Pitti, 1707
2. Sebastiano Ricci, Venere e Adone, Orléans, Musée des Beaux-Arts (bozzetto)
3. Sebastiano Ricci, Stemma Medici, Firenze, Palazzo Pitti, 1707