Giovanni Cardone Agosto 2022
Fino al 2 Ottobre 2022 si potrà ammirare al Museo di Capodimonte di Napoli una mostra monografica dedicata a Battistello Caracciolo ovvero ‘Il patriarca bronzeo dei Caravaggeschi’ da un’idea Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, con la collaborazione istituzionale di Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e di Marta Ragozzino, direttrice regionale Musei Campania la mostra è curata da Stefano Causa e Patrizia Piscitello. L’esposizione nasce dagli insegnamenti di Caravaggio, al punto da ottenere la definizione di “patriarca bronzeo dei Caravaggeschi” dallo storico dell’arte e critico Roberto Longhi. Nella sala Causa sono allestite quasi ottanta opere molte delle quali provenienti da istituzioni pubbliche, italiane ed estere, enti ecclesiastici e privati collezionisti. Al Palazzo Reale sarà possibile visitare la sala del Gran Capitano affrescata da Battistello Caracciolo mentre alla Certosa e al Museo di San Martino il percorso di mostra si snoda tra le cappelle dell’Assunta, di San Gennaro, di San Martino e nel Coro della Chiesa, oltre che nelle sale dedicate a Battistello nella galleria del Quarto del Priore. La mostra di Caracciolo fa parte del programma di esposizioni che porta avanti il Museo di Capodimonte su artisti napoletani e non napoletani che hanno avuto una stretta relazione con Napoli, anche se fugace, come nel caso di Picasso e, più recentemente, Jan Fabre o Santiago Calatrava, e che hanno visto il loro lavoro influenzato, spinto a esprimere qualcosa di diverso o a volte a prendere un nuovo corso, dall’esperienza napoletana. Dopo Luca Giordano, Vincenzo Gemito, Salvatore Emblema e ora Battistello Caracciolo.

Queste mostre monografiche sono spesso le prime in assoluto ad essere realizzate su questi artisti e contribuiscono ad una migliore individuazione, se non della Scuola, almeno del milieu napoletano, un milieu complesso che non può essere compreso solo da mostre strettamente filologiche che spesso occultano la complessità di una metropoli aperta al mondo come Napoli: gli scambi e l’unicità delle scienze umane nel senso più ampio del termine, sono qui più rilevanti della storia tradizionale e delle limitate mostre “scientifiche”. Ogni mostra è influenzata da quelle che l’hanno preceduta per ciò che ci ha insegnato il suo soggetto, ma anche sull’arte di esporre, di raccontare e sulla ricettività del pubblico. In questo caso la mostra Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli, ha influenzato anche la mostra di Battistello Caracciolo, suggerendo l’introduzione di elementi di confronto con la scultura o con opere pittoriche di diversa sensibilità, apparentemente opposte alla figura di Caracciolo, scuotendo generi e materiali, senza cadere nel concetto di mostra di Civiltà, ha permesso di comprendere meglio la peculiarità di questo pittore, di cambiare prospettive e di dare nuove letture al ricco e poliglotta dialogo artistico nel potente Viceregno spagnolo, sempre scosso dall’arrivo di nuovi talenti provenienti da Firenze, dalla Spagna o da Roma, come Caravaggio, artisti quali Ribera, Lanfranco, Pietro Bernini o Michelangelo Naccherino e le loro opere presenti in mostra, rendono l’allestimento una festa visiva più rilevante e più ricca, dove il visitatore è un complice invitato a interagire. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Battistello Caracciolo apro il saggio dicendo : Ad Agosto prima di andare definitivamente in vacanza ho fatto un mio viaggio che mi ha permesso di scoprire la bellezza di un grande ‘Caravaggista’ Battistello Caracciolo non solo ho visitato la mostra al Museo di Campodimonte anche le opere site in Palazzo Reale a Napoli, al Museo di San Martino il percorso di mostra si snoda tra le cappelle dell’Assunta, di San Gennaro, di San Martino e nel Coro della Chiesa, oltre che nelle sale dedicate a Battistello nella galleria del Quarto del Priore.
Nell’entrare nel Museo di Capodimente rimango sempre meravigliato perché questo museo unisce dal Gretto Nero di Burri fino al Caravaggio, oggi la grande mostra dedicata a Battistello Caracciolo questo è stato possibile, grazie all’opera illuminante di Raffaello Causa uno dei più grandi sovraintendenti che Napoli abbia avuto. Questo mio viaggio nasce per capire meglio la pittura di Battistello Caracciolo, posso dire con certezza che stato uno degli interpreti più precoci e sensibili del linguaggio di Caravaggio a Napoli. La sua adesione, legata probabilmente anche a rapporti diretti e personali con l’artista, non è tuttavia passiva né tanto meno superficiale. Battistello si caratterizza da subito con una sua propria interpretazione del caravaggismo, in cui si unisce un’intima consonanza del sentire ad una modalità espressiva personalissima e distintiva. La specificità del linguaggio di Battistello si evidenzia anche sotto il profilo della tecnica esecutiva, in cui si individua un saldo impianto disegnativo e una predilezione per stesure leggere e soffuse, non priva di conseguenze talvolta deleterie per gli aspetti conservativi delle sue opere. Il contributo intende discutere le modalità di questo artista, esaminate anche attraverso le indagini scientifiche, per delineare alcuni tratti che ne determinano la potente singolare cifra stilistica e al tempo stesso cercare di individuare natura e effetti di talune alterazioni a cui sono state soggette le sue opere.

Nella sua Biografia descritta parzialmente dal De Dominici questo viene affermato dal Faraglia il quale dimostrò che nel 1883 attraverso scarsi documenti che confermano, che la biografia di Battistello Caracciolo scritta dal De Dominici non è attendibile. Si pensa che era figlio di Cesare, nacque presumibilmente a Napoli tra il 1575 e il 1580, poiché nel 1598 sposò una Beatrice di Mario da Gaeta. I due abitarono nella parrocchia di S. Maria della Carità ora S. Liborio, e dal 1602 al 1612 ebbero sei figli: altri due sono registrati nel 1622 e nel 1624. Dagli atti registrati dalla parrocchia di Santa Maria della Carità, dove abitavano numerosi artisti, appare che il Caracciolo fu padrino di uno dei fratelli di B. Cavallino, nato nel giugno 1623 questo viene riportata da Prota Giurleo, e che nel 1626 fu testimone, insieme con G. Ribera, al matrimonio dell'allievo dello Spagnoletto, G. Dò; nel 1632 P. Finoglio fu padrino di uno dei nipoti del Caracciolo. Da numerosi altri documenti ci risulta che il Battistello Caracciolo era attivo a Napoli. Il De Dominici scrive che il Caracciolo andò a Roma e scrittori posteriori hanno ipotizzato varie date per questo viaggio. È logico ritenere che il Caracciolo sia stato a Roma varie volte ad approfondire la sua conoscenza dell'arte del Caravaggio e anche di quella di Annibale Carracci e della sua scuola. In un inventario del 1666 della villa Pamphili è registrato un "disegno in carta di aquarella" del Caracciolo "copia nelle loggie di Raffaele". Da uno statuto dell'Accademia di S. Luca ora perduto risulterebbe che il Caracciolo era accademico, ma la data del 1596 è errata perché troppo precoce. Probabilmente il Caracciolo passò per Roma quando si recò a Firenze alla fine del 1617 nei mesi di gennaio, febbraio e ottobre dell'anno seguente fu pagato per un ritratto di
Maria Maddalena d'Austria e per un
Riposodurante la fuga in Egitto che si trova a Firenze a Palazzo Pitti. Nel gennaio 1620 era di nuovo a Napoli, dove è probabilmente da identificare con lui il Caracciolo padrino nella parrocchia di S. Maria della Carità. D'altra parte, i quadri di Firenze sono gli unici quadri del Caracciolo per i quali è documentata l'esecuzione fuori Napoli. La produzione del Caracciolo consiste quasi esclusivamente in quadri di soggetto religioso, ma sappiamo che eseguì un ritratto di
G.B.
Basile, conosciuto solo attraverso una incisione che apparve nella
Teagene del poeta, il quale gli aveva dedicato un'ode in Madriali e ode . Gli altri dipinti di soggetto profano sono i Putti vendemmianti del 1606 al 1610, Amore sconfitto e Ragazzo addormentato , queste opere le ritroviamo si possono ammirare tra Roma e Palermo. Il Battistello Caracciolo morì a Napoli tra il 19 e il 24 dicembre del 1635 date, rispettivamente, del suo ultimo testamento e della lettura di esso e chiese di essere sepolto nella chiesa di S. Tommaso d'Aquino ora distrutta. L'attività del Caracciolo fu molto importante per lo sviluppo della pittura napoletana del Seicento sotto molti aspetti fu il più attento seguace del Caravaggio, e ramificazioni del suo stile si trovano in tutta la pittura napoletana durante la prima metà del secolo.
Da quello che sappiamo oggi, la carriera artistica del Battisello Caracciolo ebbe inizio dopo l'arrivo del Caravaggio a Napoli nel 1606. Probabilmente il Caracciolo fu educato alla scuola di tradizione tardomanierista di F. Imparato e F. Santafede ma non restano quadri di questo periodo; la prima opera datata rimasta, i
Cherubini del1601 affrescati sulla facciata esterna del Monte di pietà di Napoli, è ormai quasi completamente cancellata. Il Carcciolo era probabilmente artista già affermato quando ebbe i primi contatti con il Caravaggio e ne assimilò il realismo e gli effetti di luce e ombra in modo tale da produrre alcuni dei quadri più caravaggeschi che siano stati mai prodotti da seguaci del Merisi. Tra i primi quadri posteriori al 1606 sono la
Madonna col Bambino e s.
Giovanni (Napoli, Museo di S. Martino),
S.
Giuseppe con Gesù Bambino (Losanna, Musée cantonal des Beaux-Arts) e
Cristo portacroce (Napoli, Quadreria dei gerolamini), dove ambiguità manieristiche di composizione o assenza di finezza nel trattamento delle luci e delle ombre rivelano nel Carccciolo un processo di adattamento del suo stile all'impeto della pittura del Caravaggio.

La prima opera ricordata nei documenti dopo il 1606, La liberazione di S. Pietro (Napoli, Monte della Misericordia), del 1615, dimostra che il Carcciolo ha risolto ormai i suoi antichi problemi, ed è tra i pochi artisti che comprendono appieno l'intensità vigorosa della lezione caravaggesca. Numerose opere possono essere datate attorno al 1615 nelle quali il Caracciolo usando perfettamente l'intensità caravaggesca di contrasti tra luce e ombra, interpreta le figure in termini di realismo grafico. Capolavoro del Caracciolo e di grandi dimensioni, è
La lavanda dei piedi presso il Museo di S. Martino, documentato nel 1622, dove le figure sono magistralmente disposte nell'ambiente architettonico, con il Cristo che emerge per il brillante rosso della sua tunica. Da numerose opere del periodo 1625-30 abbiamo indicazione dell'ulteriore evolversi dello stile del Caracciolo
Cristo portacroce presso il Museo di S. Martino,
SS.
Cosma e Damiano presso il Museo Staatliche Gemäldegalerie di Berlino una copia si trova a Madrid al Museo el Prado mentre
S.
Vito a Napoli, SS. Marcellino e Festo,
Noli me tangere si trova a Prato presso la Galleria comunale. In queste opere il Carcciolo, pur continuando a fare uso del lumimismo caravaggesco, impiega figure genericamente più idealizzate che introducono direttamente il suo ultimo periodo che va dal 1630 al 1635 nel quale abbandonò quasi completamente l'intenso chiaroscuro e il realismo dei suoi periodi precedenti: Assunzione della Vergine
, commissionata nel 1631 una pala d'altare per la cappella dell'Assunta in S. Martino, ora a Capodimonte, Madonna col Bambino e S. Anna a Vienna presso il Kunsthistorisches Museum e una copia a Siviglia, un’ altra opera S. Gennaro e altri santi vescovi a Napoli al Museo di San Martino originariamente era posizionata nella cappella di S. Gennaro, attualmente in quella del Rosario, e, strettamente collegati a questa opera, San Martino e San Giovanni Battista si trova Napoli presso capitolo di San Martino.
Il percorso di mostra
Museo di Capodimonte- Sala Causa
Se per Caravaggio fu la notte, per Caracciolo è l’incarnato bronzeo dei suoi Cristi, delle sue Madonne, il corpo di Sant’Onofrio, l’unicità ed il grande stacco del maestro, firma unica ed incontrovertibile come il suo monogramma. Le pareti si vestono della stessa tonalità bronzea, la stessa irregolarità, la stessa materica verità. I progettisti hanno interpretato l’input dei curatori “Volevamo un Battistello centrifugo e non disorientante”, realizzando una sequenza di spazi che permette giochi di sguardi, confronti tra movimenti e contro-movimenti, presenze forti come le sculture marmoree degli apostoli che inquadrano la grande pala Madonna con Bambino e Santi proveniente dalla Cattedrale di Stilo. Dagli inizi, sino alla maturità della sua produzione artistica, si trova in ogni sala un confronto tematico e stilistico, disegnato con dovizia dai curatori, con i grandi maestri coevi: da Francesco Curia a Jusepe Ribera sino a Pietro Bernini. All’ingresso, grazie anche all’interazione con l’installazione multimediale curata da Stefano Gargiulo, un’austera finestra, che rimanda alla facciata della Cappella del Monte di Pietà a Napoli, ci lascia intravedere dietro la sua cornice lapidea e la sua severa inferriata presenze importanti come quella di Fabrizio Pignatelli, scultura per il suo monumento funebre proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Mater Domini di Napoli. Un’analoga apertura ci anticipa, più in là nel percorso, uno sguardo verso le ultime due sale, verso i bozzetti di Battistello, materia prima e primordiale del pittore, ed il suo ultimo scambio dialogico, in chiusura, con Mattia Preti.
I colori e i gesti arcaici di Battistello Caracciolo - Installazione site specific di Kaos Produzioni
Il percorso di mostra inizia con un'installazione site specific realizzata da Kaos Produzioni con la direzione artistica di Stefano Gargiulo e l’elaborazione musicale di Bruno Troisi, in cui le immagini e i suoni introducono il visitatore nei mondi di luce e ombre del naturalismo di Battistello. Le differenze tecniche e cromatiche dei suoi lavori trasformano i lividi colori metallici delle tele a olio in grandi ricami colorati negli affreschi rendendo palese come l'alternanza tra ombra e luce è condizione imprescindibile non solo per l'artista ma per la stessa vita. La profondità dell'ombra necessita della luce per essere riconosciuta, al contempo la luce semplifica, chiarisce e rassicura ma senza il buio dell'ombra l'uomo sarebbe ancora nel noioso paradiso terrestre.
Il Battista e altri ragazzi di vita
La vicinanza ai modelli del Caravaggio è testimoniata da alcuni dipinti da stanza databili tra la fine del primo e gli inizi del secondo decennio del '600. La collocazione delle opere è tale da rimarcare le diverse tappe del percorso di crescita artistica di Battistello. Si comincia con il San Giovannino del 1610 giovinetto proveniente dal Museo Filangieri e si prosegue idealmente con Il giovane San Giovanni nel deserto di Berkeley e il San Giovanni Battista fanciullo del 1622 ca. della fondazione De Vito dalla sensualità esplicita e torbida che evoca i 'ragazzi di vita' delle opere di Caravaggio. L'Amorino dormiente del 1622 di Palazzo Abatellis a Palermo è riconducibile, per la resa plastica del nudo e la linea di contorno, allo stesso soggetto di Caravaggio di Palazzo Pitti a Firenze. Il tema del “Gesù infante con Giuseppe” è al centro di altri due dipinti di Battistello, l'uno proveniente dal Museo di Losanna e l'altro da una collezione privata; il coinvolgimento dello spettatore è il minimo comun denominatore di queste prove del Caracciolo.
L’ombra di Caravaggio
Con l’arrivo a Napoli del pittore Michelangelo da Caravaggio alla fine del 1606, entra nel vivo la stagione del naturalismo nel Vicereame. All’altezza del 1607- 1608, l’Immacolata Concezione con i santi Francesco di Paola e Domenico, proveniente dalla chiesa napoletana di Santa Maria della Stella, costituisce il primo sforzo coerentemente caravaggesco di Battistello. L’Immacolata della Stella è la prima opera pubblica di Battistello non ad affresco; il maestro aveva meno di trent’anni e nella pala si schiudono i primi sforzi coerentemente caravaggeschi della scena locale che la lettura dello stile, suffragata dai documenti, fissa tra il 1607 e il 1608. Il pittore ne era così orgoglioso da lasciare la firma per esteso in basso e autoritrarsi nella figura dell’Adamo che la indica. La composizione del dipinto innova il tradizionale schema neo cinquecentesco adottato ancora da maestri di generazione precedente come, fra tutti, Fabrizio Santafede . Il carattere realistico dei volti dei santi nella parte inferiore del dipinto assegna a Battistello un posto di rilievo nell’evoluzione del ritratto storico nel Vicereame. Se a Napoli, negli stessi anni, il pittore Carlo Sellitto si mostra in grado di dipingere ritratti di inusitato realismo, i confronti più incisivi si pongono con l’ambiente degli scultori. Per questo i curatori hanno deciso di avvicinare alla pala, un apice della statuaria devozionale come il Ritratto di Fabrizio Pignatelli di Monteleone, eseguito dal toscano Michelangelo Naccherino per la chiesa di Santa Maria di Materdomini nel 1607.
Fabrizio Pignatelli fu un personaggio di grande rilievo nell’aristocrazia napoletana del secondo Cinquecento ed incarnava il profilo del buon cristiano espresso nei dettami della Controriforma. Nella statua-ritratto realizzata da Naccherino per il suo monumento sepolcrale l’intento della rappresentazione è più devozionale che celebrativo: il defunto è inginocchiato, ha deposto le armi, in atteggiamento di umile sottomissione. Il nesso di Battistello con gli scultori forestieri in città e nel Viceregno si sostanzia con il posto di rilievo assegnato a un capolavoro della scultura di primo ‘6oo come il busto, databile tra il 1620 e il ’23, di Girolamo Flerio del bergamasco Cosimo Fanzago nella chiesa napoletana di Santa Maria di Costantinopoli. In questa sala sono infine raccolte, insieme alla celebre e precoce Madonna col Bambino e San Giovannino del 1607 ca. del Museo di San Martino a Napoli, altre due opere di forte impronta caravaggesca, databili possibilmente entro il primo decennio del ‘600: l’Ecce Homo del 1607-1610 del Museo di Capodimonte e il Fortitudine Pares o Cupido e la Morte del 1608-1610 raro soggetto allegorico del Museo della Cattedrale di Mdina di Malta. Nella posteriore Fuga in Egitto, caratterizzata da un punto di vista ribassato, il modellato dei contorni e l’ovale della Madonna fanno già presumere il contraccolpo delle prime opere di Ribera giunto a Napoli nel 1616.
Battistello e Curia a confronto
La tela Battesimo di Cristo dei Gerolamini , databile all’incirca nel 1610, ritrae san Giovanni Battista che impartisce il Battesimo a Cristo, mentre la colomba, che simboleggia lo Spirito Santo, irrompe nella scena. L’affinità della struttura compositiva con quella de Il martirio di Sant’Orsola di Caravaggio del 1610, eseguita per Marcantonio Doria si trova a Napoli presso il Palazzo Zavallos Stigliano- Gallerie d’Italia, suggerisce che il Battesimo sia di poco posteriore. Le due figure emergono prepotentemente da un fondo scuro, e sono illuminate da una luce laterale che ne evidenzia alcuni particolari anatomici. Se nel quadro dei Gerolamini è caravaggesca l’invenzione di due figure isolate in una stanza scura; spetta solo al Caracciolo la scoperta e la valorizzazione di un’umanità dolente e dolorosa. Qualche anno prima, Francesco Curia aveva affrontato lo stesso tema nel Battesimo della Cappella Brancaccio: qui le figure sono riprese con un paesaggio con altri battezzandi.
Distensione e ingentilimento del Caravaggismo
Eseguita nel 1615 la Liberazione di San Pietro dal carcere è uno dei dipinti più celebri del Caracciolo e di tutto il ‘6oo caravaggesco. Visibile su uno degli altari della chiesa del Pio Monte di Misericordia, rimette in una chiave iconograficamente più piana una delle opere di misericordia corporale che, nel dipinto sull’altare maggiore della chiesa, il Caravaggio, meno di dieci anni prima, aveva reso nella celebre pala dell’altare maggiore. Per questo Battistello rivisita l’affresco di eguale soggetto eseguito da Raffaello, tra il 1513 e il 1514, per la Stanza di Eliodoro in Vaticano. La “Liberazione di San Pietro” è inoltre il quadro dove lo stile di Battistello risente più chiaramente del contatto con il Gentileschi, conosciuto a Roma un anno prima del 1614, e che qui viene ripensato dal pittore nelle stesure dell’abito dell’angelo. A distanza di cinque anni dalla morte del Caravaggio del1610, la tensione e il rigore del primo naturalismo vengono ammorbiditi e stemperati.
Una questione di stile. Ribera e Battistello alla fine del primo ventennio
Dopo un soggiorno a Roma Jusepe de Ribera si trasferisce a Napoli nel 1616. Nello spazio di pochi mesi lo spagnolo riesce a mutare definitivamente le sorti della pittura locale. A molti committenti e pittori le tele napoletane del Caravaggio che vano dal 1606 al 1610 erano apparse stilisticamente anomale perché basate su una tavolozza di colori ristretta al lessico tardo del maestro, privo di una precisa traccia disegnativa e talvolta volentieri improvvisato.
Ribera rimette al centro i virtuosismi tecnici e gli effetti pittorici di superficie: Battistello reagisce prontamente alle novità del pittore spagnolo. Lo si vede sia nella pala della Trinità Terrestre della chiesa della Pietà dei Turchini del1617 a Napoli dove, nella testa del San Giuseppe, Battistello cita il volto di San Pietro del Ribera (Napoli, Quadreria dei Gerolamini), sia nella Madonna d’Ognissanti del 1616-1619, proveniente dalla Collegiata di S. Maria di Ognissanti di Stilo (Reggio Calabria). La tela monumentale restituisce una complessa rappresentazione del “Paradiso” con i protagonisti disposti su due registri sovrapposti, secondo i precetti sanciti dalla Controriforma. In alto è raffigurata la Chiesa Trionfante, con al centro Maria col Figlio, coronata da angeli e circondata da santi. Complessa ed articolata la relazione tra le figure, fatta di gesti e di sguardi, il dipinto costituisce un autentico punto di svolta nella carriera di Battistello, conquistato dagli effetti pittorici di superficie dello spagnolo Ribera giunto a Napoli nel 1616. L’occasione di avere in mostra il dipinto corona una delle congiunture cruciali della storia della pittura a Napoli del secondo decennio del Seicento. Sul lato si vede un’opera tra le più impegnative della maturità del maestro: il Miracolo di Sant’Antonio da Padova della chiesa di San Giorgio dei Genovesi, in temporanea consegna a Capodimonte dal 1985, di cui si presenta il bel bozzetto autografo, privo della parte superiore con l’apparizione angelica. La pala raffigura uno dei miracoli più noti compiuti da Sant’Antonio da Padova: la resurrezione di un morto che scagiona suo padre, ingiustamente accusato dell’omicidio. Databile intorno agli anni ’20 del ‘600, e siglata, col monogramma in alto a sinistra: BCA, la tela evidenzia l’assimilazione degli esiti caravaggeschi in particolare l’angelo in volo ricorda quello delle Sette opere di Misericordia dipinto da Caravaggio per l’altare maggiore della Chiesa napoletana del Pio Monte della misericordia nel 1607. Va segnalata inoltre una intensificazione del dinamismo che rivela, da parte di Caracciolo, l’intelligente rilettura delle opere romane di Giovanni Lanfranco .
Figure seminude in una stanza. Genesi e variazione di un tema caravaggesco
La Crocifissione con i dolenti si può ancora una volta confrontare con la Crocifissione di Sant’Andrea di Caravaggio oggi al Museo di Cleveland, ma Battistello adotta uno scarto patetico e un cambiamento della luce che ammorbidiscono la composizione. Le altre tele a figura intera - dal Davide con la testa di Golia prima del 1612 della Galleria Borghese di Roma al Cristo e allo scherano della Crocifissione del 1610 di Capodimonte rivelano un incremento stilistico da leggere in direzione del Gentileschi e del Ribera giunto a Napoli nel 1616. Si nota nel Sant’Onofrio del 1617 della Galleria Corsini un avvicinamento al pittore spagnolo, che si estende al Compianto su Cristo morto del 1620 ca. di Baranello in Molise appoggiata a un prototipo del Ribera e al Cristo morto trasportato al sepolcro del 1620 ca. della Fondazione Longhi.
Restauri rivelatori
Superata la metà del terzo decennio, la scena è dominata dallo spagnolo Ribera. Dipinti sacri o mitologici – come il San Gerolamo e l’angelo, la Trinità terrestre con santi, oltre che il Sileno ebbro, firmato nel 1626 si offrono come modelli a tutti i pittori napoletani. Quella di Battistello è una rilettura di Ribera molto personale: la Gloria di San Luigi Gonzaga documentato da un pagamento di acconto del 2 gennaio 1627 della Chiesa del Gesù Vecchio che grazie all’impeccabile restauro per la mostra, svela integralmente la rara tavolozza e la resa illusionistica. L’invenzione potente di una figura che, scortata da angeli, ascende dal nostro spazio reale viene replicata nell’Immacolata Concezione di Roccadaspide del 1627 . Nella tela cilentana si dispiega l’elaborato panneggio, che avvolge la figura nei termini di una statua processionale.
Questo nesso giustifica l’esposizione del busto devozionale di Santa Patrizia, una delle compatrone di Napoli. Datato nel 1625, raro esempio dell’arte argentaria della prima metà del secolo, spetta a Leonardo Carpentiero, fatto giustiziare dal Cardinale Zapata per reato di lesa maestà.
L’attivazione dinamica dei nodi narrativi
In questa sala si presentano due tele da stanza del maestro risalenti, con ogni probabilità, agli anni 1620: il Noli me tangere del 1618 di Prato , e il Cristo e la Samaritana del 1622 tra i culmini seicenteschi della Pinacoteca di Brera. Vi si apprezza lo sforzo di attivare dinamicamente il modulo, di origine caravaggesca, di due o più personaggi a mezzo busto o a tre quarti in uno stanzone scuro, con tagli scorciati e punti di vista ribassati che contribuiscono ad animare i dialoghi tra le figure. Non vi è dubbio che la conoscenza delle opere romane di Giovanni Lanfranco , specie la decorazione della Cappella Bongiovanni in Sant’Agostino del 1616, sia stata cruciale per questi incrementi di stile e cultura dell’opera di Battistello. Infine l’interpolazione di un gruppo in marmo del fiorentino Pietro Bernini come il San Martino e il povero, più antico di un ventennio, rivela come Battistello avesse saputo trarre frutto dalla lezione degli scultori a Napoli.
Lo spettatore come complice
Figurano in questa sala tre apici della prima maturità del Caracciolo collocabili nel corso del secondo decennio. Si tratta del cosiddetto Cristo e Simone da Cirene o "Qui vult venire post me" tratto dal Vangelo di Luca e si trova presso l’Università di Torino proveniente dalla collezione di Marcantonio Doria a Genova dove è attestato nel 1614. L’opera è siglata sul margine destro e sul retro si legge la scritta “Del Caracciolo”; con una croce sovrastante tre lettere: MAD. Nel 1614 Battistello riceve ottanta ducati da Lanfranco Massa, procuratore di Marcantonio Doria, come pagamento di una tela raffigurante un Cristo Portacroce. Il titolo dell’opera ricalca la celebre esortazione cristologica riportata nei vangeli: «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». L’adozione di un taglio ravvicinato è funzionale a coinvolgere chi guarda tra gli astanti del calvario. Si tratta di una strategia di coinvolgimento che Battistello sperimenta anche in altri dipinti da stanza. Il recente restauro del 2019 ha riportato alla piena leggibilità una tavolozza smagliante e una serie di dettagli dai panni stracciati del ragazzino fino ai piedi sporchi in primo piano che rivelano il ripensamento degli ultimi capolavori del Caravaggio a cominciare dalla Madonna del Rosario, oggi si trova a Vienna presso il Kunsthistorishes Museum . Lo affiancano una Salomé con la testa del Battista, di una collezione privata e, infine, la celebre tela di eguale tema proveniente dalla Galleria degli Uffizi, pure databile tra il 1615 e il 1620 e attestata, su base documentaria, negli appartamenti del giovane principe Leopoldo dei Medici già nel 1638. In questi dipinti lo spettatore, direttamente chiamato in causa, diventa complice della scena che si sta consumando.
Accoppiamenti traumatici e giudiziosi
La Leda e il cigno del 1630 , riferibile su esclusiva base stilistica al finale di partita del pittore, appartiene a una collezione privata. Il soggetto di questo quadro da stanza è tratto dagli amori di Zeus, capace di tramutare il proprio aspetto per sedurre ignare fanciulle: invaghitosi della bella Leda, il re degli dei si trasforma in un cigno. Riferita alla fase di estrema maturità dell’artista, la tela presenta brani di notevole virtuosismo, soprattutto nella resa del piumaggio del cigno. Collocabile ai primi anni 1630, come Venere e Adone, quando più scoperti appaiono i debiti di Battistello nei confronti dei maestri bolognesi specie del Domenichino e del Lanfranco, entrambi attivi a Napoli nella Cappella del Tesoro di San Gennaro dagli inizi degli anni 30.
Il soggetto di Venere e Adone è desunto dalle Metamorfosi di Ovidio e ritrae il commiato di Adone, che lascia Venere per una battuta di caccia. La tela, proveniente dalla chiesa napoletana dei SS. Marcellino e Festo, per potere essere inserita in un contesto ecclesiastico era stata ridipinta, in particolare la figura femminile coperta e Adone mutato in un Santo, non facilmente identificabile, forse un San Rocco o un San Vito o San Giuliano l’uccellatore. Solo grazie ad un restauro rivelatore, del 1983, è emersa la figura di Venere. L’opera è ascrivibile alla maturità dell’artista per il modellato morbido supportato da un attento uso del disegno. I dipinti qui esposti rivelano una trama di riferimenti alla pittura bolognese, a cominciare dalla decorazione del soffitto della Galleria Farnese a Roma, come nelle figure di Adone e Venere; così come sembra rinviare a questo anche il tema, di origine ellenistica, ma ripreso dalla tradizione cinquecentesca nella Leda col cigno. Da un punto di vista stilistico siamo negli anni delle imprese di San Martino dove, secondo le parole del De Dominici, Battistello usò: ‘più tosto maniera chiara, che la sua solita oscura e caricata di lumi…’
Battistello e Lanfranco
Nato nel 1582 e giunto a lavorare a Napoli, dove si tratterrà dal 1634 al 1646, Lanfranco è a Napoli il più decisivo pittore non napoletano del secondo trentennio del secolo. Ma chi risente di Lanfranco è nessun altri che Battistello. Le opere del maestro condotte nel corso degli anni 1620 e nella prima metà dei ‘30 stabiliscono il riadattamento, in chiave ormai moderatamente caravaggesca, di invenzioni spaziali e compositive di Lanfranco nella foto in alto Vergine con il bambino e le sante Maria Egiziaca e Margherita, 1620-1621. La matrice naturalistica rimane, nondimeno, riconoscibile nel percorso maturo di Battistello come si può vedere nella foto in alto a destra Madonna col bambino e Sant’Anna, 1620-1625.
Battistello disegnatore - Corridoio
Battistello Caracciolo è un caravaggesco in controtendenza: lo dimostrano i suoi disegni, così nitidi e veloci, strettamente correlati all’esecuzione di un dipinto. Com’è noto il modus operandi di Michelangelo Merisi, per come lo conosciamo attraverso le fonti e le opere a noi pervenute, trascurava l’esercizio grafico preliminare alla realizzazione pittorica. Di fondamentale importanza per la comprensione del ruolo del disegno nell’opera di Battistello è stato il riconoscimento della sua mano in diversi disegni conservati presso il National Museum di Stoccolma. I fogli, alcuni qui esposti, furono portati in Svezia alla fine del Seicento dall’architetto Nicodemus Tessin il Giovane, di ritorno dai suoi viaggi in Italia, nel corso dei quali nel 1676 si spinse fino a Napoli. Tra questi alcuni solenni studi a matita in cui Battistello approfondisce le singole figure, in vista dell’esecuzione pittorica. Fa parte del gruppo lo splendido studio per la figura di Gonzalo Fernández de Córdoba, primo viceré di Napoli dal 1504 al 1507, nella scena della Consegna delle chiavi della città dipinta da Battistello sulla volta della Sala del Gran Capitano nel Palazzo Reale di Napoli.
Oltre Battistello
Chiude l’itinerario battistelliano un vero capolavoro degli anni napoletani di Mattia Preti ma che costituisce un unicum: Scena di carità con tre fanciulli mendicanti , in uno sfondo urbano, chiedono l’elemosina rivolgendosi direttamente a noi. Mentre coinvolgono lo spettatore come mai avvenuto prima e raramente in seguito, questi scugnizzi seicenteschi si riallacciano, in stile e concetto, al Battista del Museo Filangieri con cui si apre il percorso. E così, mentre il regnicolo Preti, intorno al 1656-1658, dà idealmente la mano al napoletano Caracciolo a vent’anni dalla morte, finita la mostra ricomincia la mostra.
Le opere in site al Palazzo Reale di Napoli
La sala del Gran Capitano affrescata da Battistello Caracciolo
Parte dell’appartamento del viceré nel Seicento e di quello di Carlo di Borbone nel secolo successivo, la sala del Gran Capitano prende il nome dagli affreschi della volta, eseguiti da uno dei primi seguaci del Caravaggio a Napoli, Giovan Battista detto Battistello Caracciolo . I dipinti raffigurano Storie del Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba, che dopo aver sconfitto per due volte l’esercito francese divenne il primo viceré spagnolo di Napoli dal 1504 al 1507. Negli angoli gli stemmi e le imprese di don Pedro Fernández de Castro, VII conte di Lemos, collocano verosimilmente gli affreschi al periodo del suo Viceregno dal 1610 al 1616 si tratta pertanto di una delle volte dipinte più antiche del Palazzo, anteriore ai due cicli affrescati da Belisario Corenzio nella seconda anticamera e nella sala degli Ambasciatori. Gli affreschi ampiamente ridipinti alla metà dell’Ottocento e restaurati nel 1990 illustrano le varie fasi della conquista militare spagnola del Regno di Napoli, condotta da Gonzalo Fernández de Córdoba, detto il Gran Capitano del 1502 come indicato anche dalle iscrizioni in lingua spagnola, come indicato anche dalle iscrizioni in lingua spagnola: Il Gran Capitano si impossessa della Calabria (al centro), assalta i francesi a Barletta (parete nord), duella con Monsieur de La Palice a Ruvo (parete ovest, molto rovinato), incontra gli ambasciatori di Napoli che gli offrono le chiavi della città (parete sud), entra trionfante in Napoli (parete est). Battistello Caracciolo risolve in chiave monumentale il linguaggio naturalista e, con spirito di adesione alla storia, inserisce veri ritratti nelle scene dipinte; in particolare, nel volto dell’uomo con baffi e pizzetto neri che sporge tra due figure al centro della scena dell’Incontro con gli ambasciatori di Napoli sono riconoscibili i tratti di Michelangelo Merisi da Caravaggio, omaggio del pittore napoletano al suo maestro ideale. Battistello fu uno dei pochi pittori caravaggeschi che sperimentarono le innovazioni del Merisi nella tecnica ad affresco. Il ciclo è ispirato alle Historie delle guerre fatte da Consalvo di Cordova detto il Gran Capitano, pubblicate a Napoli nel 1607.
Le opere in situ alla Certosa e Museo di San Martino ‘Chiesa e Quarto del Priore’
“Ma le più belle opere di Giovan Battista si veggono nella chiesa bellissima di San Martino, de’ padri certosini” scrive Bernardo De Dominici, parlando di Battistello Caracciolo, che contribuì a rendere splendida e moderna la Certosa napoletana nei primi decenni del Seicento. Al pittore, riscoperto da Roberto Longhi nel 1915 come primo tra i Caravaggeschi napoletani, anche la Direzione regionale Musei Campania e la Certosa e Museo di San Martino hanno voluto dedicare uno speciale approfondimento nell’ambito della mostra Il patriarca bronzeo dei Caravaggeschi. Battistello Caracciolo , frutto della collaborazione istituzionale con il Museo di Capodimonte e Palazzo Reale di Napoli. Alla mostra principale di Capodimonte, si collega idealmente e concretamente il racconto di Battistello a San Martino, che si snoda tra i luoghi caratterizzati dagli interventi che il pittore eseguì per la committenza certosina al tempo della sua piena maturità: dalla grande tela per il coro del 1622, ai dipinti per la sala del capitolo del 1626, agli affreschi per le cappelle dell’Assunta e di San Gennaro, per le quali aveva realizzato anche le pale d’altare poi spostate in altri ambienti, che si scalano nei primi anni trenta, poco prima della morte avvenuta nel 1635. Per poter apprezzare pienamente lo sforzo straordinario messo in campo da Battistello e dagli altri artisti chiamati a decorare la Certosa negli anni di Cosimo Fanzago, la Direzione regionale Musei Campania ha voluto “riaccendere le luci” nelle cappelle e negli spazi annessi alla Chiesa, grazie ad un nuovo eccellente impianto di illuminazione, che rappresenta il primo passo di un processo di rinnovamento che riguarderà presto l’intero complesso, grazie al lavoro della direzione e di tutto il personale.
Il racconto di Battistello a San Martino si conclude nella Sala dedicata al pittore all’interno della galleria del Quarto del Priore, dove sono esposti, grazie ad un allestimento progettato per l’occasione e in dialogo con quello della mostra di Capodimonte, i dipinti, i bozzetti per gli affreschi e anche, per la prima volta, i disegni di Battistello conservati nelle raccolte del museo, che dimostrano la maestria e la duttilità di un artista al quale, a fronte del naturalismo ben compreso e praticato, certo non difettavano lo studio e l’invenzione.
Il percorso di mostra nella Chiesa
La Cappella dell'Assunta
L'assetto attuale della cappella dedicata all’Assunzione di Maria è frutto di una complessa attività artistica iniziata negli anni '30 del ‘600 con il programma decorativo di Battistello Caracciolo per compiersi poi intorno al 1756 con gli interventi di Francesco De Mura, Giuseppe Sammartino e Niccolò Tagliacozzi Canale. L’intervento di Battistello si colloca alla fine del suo percorso artistico, quando la vena naturalistica si stempera in favore di un rinnovato interesse per la pittura classicista di ambito emiliano. La volta della cappella è suddivisa in nove riquadri, tramite una incorniciatura tardomanierista in stucco dorato, che illustrano le scene salienti della vita di Maria: al Sogno di Gioacchino seguono l'Incontro tra Anna e Gioacchino alla Porta Aurea, La Nascita della Vergine, La Presentazione di Maria al Tempio, Lo Sposalizio della Vergine, L'Annunciazione, La Visitazione, L'Incoronazione di Maria e l'Immacolata Concezione. Il ciclo della volta si raccorda con i due grandi affreschi dei lunettoni laterali: a sinistra l'Adorazione dei Pastori, a destra la Presentazione di Gesù al tempio. Il sottarco di accesso presenta tre scene con i miracoli della Vergine in soccorso all'ordine certosino. I due comparti ai lati del finestrone mostrano re David con testa di Golia, e un profeta, forse Iesse, padre di David e antenato di Cristo.
Cappella di San Gennaro
La prima cappella, dedicata a San Gennaro vescovo e martire, patrono di Napoli, è il risultato di un’articolata vicenda artistica conclusasi nel 1711 con gli interventi di Domenico Antonio Vaccaro. Tra il 1632 e il 1633 Battistello Caracciolo realizza gli affreschi della volta , delle due lunette e tre tele raffiguranti le scene del martirio di San Gennaro descritte dagli Atti Vaticani (VII secolo). La decisione dei certosini di dedicare una delle cappelle della Chiesa al Santo patrono è dovuta al clima generale di rinverdimento del culto di San Gennaro all'indomani della terribile eruzione vesuviana del 15-16 dicembre 1631 e al presunto intervento miracoloso del Santo. La volta della cappella, suddivisa in cinque riquadri con cornici in stucco dorato opera di Cosimo Fanzago, narra le torture patite da Gennaro e dagli altri martiri. Le due lunette rappresentano i miracoli postumi del Santo: a sinistra, il primo prodigio della liquefazione del sangue occorso durante la traslazione delle reliquie nelle catacombe napoletane; a destra, il miracoloso intervento del Santo in occasione dell'eruzione del Vesuvio del 1631. Nel sottarco sono raffigurati i santi Francesco di Paola, Andrea Avellino e Giacomo della Marca. Le due tele laterali, mal conservate ma leggibili nel complesso, rappresentano i Martiri sottoposti alla tortura dello stiramento degli arti (destra) e la loro decapitazione presso la Solfatara (sinistra). La pala d'altare con San Gennaro e i Santi Patroni di Napoli, olio su tela del 1632 ca. fu sostituita dall'altorilievo marmoreo del Vaccaro raffigurante La Trinità e la Vergine che offrono al Santo le chiavi della città. In seguito la tela fu spostata nella Cappella del Rosario. Controversa è la questione legata alla datazione; la tela fu verosimilmente eseguita insieme alle altre due, che decorano le pareti laterali della Cappella di San Gennaro, intorno al 1635, per quanto alcuni studiosi anticipino la sua realizzazione di qualche anno o addirittura al 1622, a ridosso della Lavanda dei piedi. Nell’opera San Gennaro e i Santi Patroni di Napoli il naturalismo di Battistello sembra farsi da parte per lasciare spazio ad una maggiore attenzione al colore e agli esiti squisitamente barocchi della pittura dell’emiliano Lanfranco, che nel 1634 si trovava a Napoli, e che pochi anni dopo avrebbe affrescato la volta della chiesa della Certosa. San Gennaro primeggia sugli altri patroni della città (Aspreno, Severo, Agnello, Eusebio, Attanasio, Agrippino) per la postura monumentale e la gestualità solenne, mentre in primo piano, i piccoli corpi morbidi dei putti, che reggono le ampolle con il sangue del Santo, vengono investiti dalla luce e contrastano con il resto della scena che rimane schermata all’interno di un androne o di un portico ombreggiato.
Coro della Certosa
Il Coro della Certosa di San Martino rappresenta il cuore dell'intero complesso monastico. L'aspetto attuale è il frutto di una lunga vicenda artistica che va dal 1589, quando al Cavalier d'Arpino è affidata l'esecuzione degli affreschi delle volte, fino al 1651, anno di ultimazione de La Comunione degli Apostoli di Jusepe de Ribera. Il filo conduttore che lega tutte le opere è il tema iconografico dell'Eucarestia che consente di leggere in maniera unitaria le variegate espressioni artistiche dell’ambiente. La volta gotica, suddivisa con cornici e cariatidi in molteplici campiture, ospita gli affreschi del Cavalier d’Arpino, che affianca scene veterotestamentarie e episodi evangelici in un sistema di prefigurazioni allusive all'Eucarestia. Le cinque grandi tele, veri e propri teleri, sono collegate dallo stesso gioco di reciproci richiami: la prima ad inserirsi è nel 1589 L'Ultima Cena della bottega di Paolo Veronese, cui si associa nel 1622 La lavanda dei piedi del Caracciolo pervasa di quella luce sovrumana, di quell'ispirazione drammaticamente tesa verso la realtà della natura che Battistello ha appreso da Caravaggio. Del 1639 è La Pasqua ebraica di Massimo Stanzione, mentre del 1641 è L'Adorazione dei pastori di Guido Reni: i suoi pastori, adoranti il Bambino da cui promana una luce eterea come da un Tabernacolo Vivente, sono tutti pervasi da una compostezza e dignità classica che fa da contraltare ai vivissimi e popolani” Apostoli del Ribera, estatici davanti al Mistero Eucaristico. La grande tela Lavanda dei piedi fu commissionata dai certosini a Battistello nell'aprile del 1622 e nel settembre dello stesso anno fu collocata sulla parete sinistra del coro. Il pittore traspone il racconto evangelico in una vasta sala immersa in un'ombra fuligginosa; al centro in basso si staglia la figura di Gesù avvolto in una veste scarlatta e cinto da un panno bianco mentre, in ginocchio, sta per lavare i piedi di Pietro, sorpreso e turbato dal gesto. Fanno da corona gli altri Apostoli i cui sguardi e gesti testimoniano la drammaticità e l'importanza dell'atto: il pane posto sulla mensa e in stretta relazione con la figura di Gesù, simboleggia l’Eucarestia. La Lavanda dei piedi è ritenuta uno dei capolavori assoluti di Battistello e un caposaldo del Seicento napoletano: opera matura e consapevole, si compone di forti contrasti cromatici e chiaroscurali di ascendenza caravaggesca, seppur rimeditati dalle esperienze maturate dal pittore durante il lungo soggiorno tra Firenze e Genova di poco precedente la realizzazione dell'opera.
Cappella di San Martino
La pala d'altare San Martino e quattro angeli del 1630 costituisce l'elemento principale della cappella omonima, la cui decorazione, che comprendeva anche due dipinti laterali sostituiti nel Settecento dalle tele di Francesco Solimena con il Sogno di San Martino e San Martino e il povero, era stata commissionata dai certosini a Paolo Finoglio insieme agli affreschi della volta. L'esecuzione della pala d'altare da parte di quest'ultimo non venne ritenuta soddisfacente e l'incarico passò al Caracciolo, probabilmente dopo l'ottima prova della Lavanda dei piedi e delle opere realizzate per la Sala del Capitolo. Essa offre una rappresentazione centrale e imponente del Santo e vescovo Martino, staccato dallo scuro tendaggio di fondo e circondato solo da una coppia di angeli e due puttini, in cui emerge un vigoroso plasticismo che tiene conto della lezione di Cosimo Fanzago nel San Martino del Chiostro Grande, e che pervade anche la rappresentazione delle vesti, con panneggi ravvolti, lucenti, rifiniti nei particolari, come attestano le miniature di santi che ornano il piviale, invenzione stilistica già nel San Martino del Capitolo e nel San Gennaro della Cappella del Rosario.
Il percorso nel Quarto del Priore
L’Assunta, pala d’altare della cappella omonima nella Chiesa della Certosa, fu spostata nella Quadreria del Priore nel 1786 perché sostituita da una tela di Francesco De Mura, raffigurante lo stesso soggetto. Il dipinto, eseguito nel 1631, riassume l'intera parabola del pittore: il disegno preparatorio che quasi scontorna le figure e un certo schematismo sono il ricordo della sua mai dimenticata formazione tardomanierista. La preparazione bruna e il turbinio svolazzante dei putti e dei cherubini che, paffuti e in pose ardite, fanno a gara per innalzare la Vergine in Cielo, sono il retaggio della pittura piena di vita del Merisi. La Vergine, eterea e allo stesso tempo salda come una scultura classica, la tavolozza dei colori mutata in tonalità tenui e una luce delicatamente diffusa, sono il segno dell'ultimo sguardo di Battistello verso quel classicismo emiliano che toccherà i suoi vertici nell’opera di Domenichino e di Guido Reni. Nel percorso di mostra è possibile vedere i quattro bozzetti per gli affreschi della Cappella di San Gennaro, studi preparatori per gli affreschi per la volta dell’omonima cappella nella Chiesa della Certosa, che illustrano la straordinaria sequenza di eventi miracolosi di cui è protagonista il Santo martire. Come narrano le fonti, Gennaro e i suoi compagni di martirio furono dapprima rinchiusi in una fornace ardente dalla quale uscirono illesi, poi vennero aggiogati al cocchio del giudice Timoteo e condotti da Nola a Pozzuoli; poi, nell'anfiteatro della città flegrea, furono esposti agli orsi che su ordine del Santo, si ammansirono. Nel quarto studio è, infine, raffigurato il miracolo di San Gennaro che ridona la vista al giudice Timoteo, accecato per la sua empietà. L’esecuzione dei bozzetti è da collocarsi a ridosso degli affreschi per un cromatismo, brillante e intenso, che contraddistingue la piena maturità dell'artista. La peculiarità delle posture e degli atteggiamenti delle figure si ritrova anche in altre opere battistelliane come ad esempio negli affreschi per il Palazzo Reale di Napoli e ne rende inconfondibile lo stile.
I disegni
Di straordinario interesse la Figura femminile panneggiata del 1630 , una sanguigna e gesso su carta. La figura, volta a destra, inclina il volto morbido, pieno, in un atteggiamento raccolto, sottolineato dagli occhi socchiusi. Questo soggetto femminile mostra affinità con le figure concepite per l’Incontro alla Porta Aurea, episodio del ciclo di affreschi che il pittore realizza per la Cappella dell’Assunta della Chiesa della Certosa, e con una delle Virtù raffigurate nella Cappella di San Gennaro, ambedue riferibili agli anni compresi tra il 1631 e il 1632, sebbene appaia evidente la suggestione che esercitò sull’artista la scultura della Madonna col Bambino e San Giovannino, realizzata da Pietro Bernini per il cortile del Quarto del Priore e da lui certamente osservata con attenzione durante la permanenza nella Certosa. E non sono gli unici disegni. Si possono ammirare anche il Putto che corre verso destra, attribuito originariamente a Paolo De Matteis, che raffigura un putto che corre verso destra, braccio destro e testa gioiosamente levati, vicino per stile a quelli raffigurati nei dipinti dell’Assunzione della Vergine e della Gloria di San Gennaro realizzati dal Caracciolo per gli altari delle rispettive cappelle nella Chiesa della Certosa di San Martino. E ancora Studi di figure umane ed elementi decorativi: nel foglio compaiono accostati più temi di studio, tratti dall’affresco con il quale Annibale Carracci decora nel 1598 il soffitto della Galleria Farnese a Roma, attinenti in particolare al comparto raffigurante il mito di Ero e Leandro. Il disegno viene realizzato probabilmente nel primo o secondo decennio del XVII secolo, durante uno dei soggiorni del pittore a Roma.
In mostra anche Busto nudo maschile, seduto. Nel corso della sua carriera Battistello Caracciolo attribuisce sempre grande importanza al disegno, inteso come mezzo per appropriarsi di un mondo figurativo “alto”, che guarda più al classico nel tentativo di recupero dell’antico, nonché agli esemplari originali di quel mondo, raccolti e mostrati con orgoglio nelle collezioni delle nobili famiglie romane. Questo nudo maschile ne è un esempio perfetto. In sala anche il San Lorenzo, 1632-1633 ca., un olio su tela proveniente dalla foresteria della Certosa, una tela che rientra in quel giro di commissioni fatte dai certosini a Battistello dopo il successo della Lavanda dei piedi del 1622. L'opera, destinata alla devozione privata, raffigura il Santo negli istanti immediatamente precedenti il cruento martirio della graticola che già arde alle sue spalle. Esposto anche il Cristo portacroce, 1626 ca., di Battistello, sempre proveniente dalla foresteria della Certosa. Il frammento, ricavato da una tela di più ampie dimensioni e inserito nella seconda metà del XVIII secolo in una cornice foderata, evidenzia il volto di Cristo nell'ora della salita al Calvario. In mostra anche il San Romualdo del 1625, attribuito a Filippo Vitale e due terrecotte con tracce di doratura: il San Paolo Apostolo, 1640 di Cosimo Fanzago e La Fama Buona, 1705 di Lorenzo Vaccaro .
Museo di Capodimonte – Sala Causa - Napoli
Il patriarca bronzeo dei caravaggeschi. Battistello Caracciolo 1578-1635
dal 9 Giugno 2022 al 2 Ottobre 2022
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 17.30
Mercoledì Chiuso
Palazzo Reale – Napoli
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 20.00
Mercoledì Chiuso
Certosa e Museo di San Martino – Napoli
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 8.30 alle ore 19.00
Mercoledì Chiuso