Giovanni Cardone Maggio 2023
Fino al 3 Settembre 2023 si potrà ammirare al Museo Guggenheim Bilbao Spagna la retrospettiva dedicata Oskar Kokoschka. Un Ribelle di Vienna a cura di Dieter Buchhart e Anna Karina Hofbauer in collaborazione con Fabrice Hergott e Fanny Schulmann. In collaborazione con il Musée d'Art Moderne di Parigi e con il patrocinio esclusivo della Fondazione BBVA. La retrospettiva del Guggenheim Bilbao ripercorre la produzione di Kokoschka in parallelo con i grandi eventi del XX secolo: dagli esordi nella Vienna dello Jugendstil, sostenuto da Gustav Klimt, allo sviluppo di un proprio linguaggio pittorico in contrasto al rigido decorativismo della Secessione viennese. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Oskar Kokoschka apro il mio saggio dicendo: “A ogni epoca la sua arte, all'arte la sua libertà” è il motto con il quale la Secessione si mostrò al mondo ed è anche l’iscrizione apposta sul Palazzo dove sarebbero state organizzate le future mostre espositive; il Palazzo della Secessione è opera di J.M. Olbrich, costruito tra il 1897-1898, ispirato da un disegno dello stesso Klimt.

La Secessione, inizialmente nata come gruppo di artisti autonominatosi come “Primavera Sacra”, ebbe una durata di circa otto anni, durante i quali fece cambiare l’approccio del pubblico verso l’arte. Come arte totale, a partire dalla parte grafica, con la rivista Ver Sacrum, e nell’esposizione delle opere d’arte, dove tutto conferiva verso un unicum. Gli spazi, le pareti insieme all’utilizzo di tutti i materiali, dava unicità al loro intento di arte. Mentore Klimt, insieme a J. Hoffmann e ad altri artisti, si decise di costruire un luogo dove vigesse l’idea guida dell’unione tra architettura, pittura e arti decorative, dinamica che doveva condurre il pubblico verso una nuova visione dell’arte. La “linea” dello stile secessionista diviene tratto tranquillizzante fondamentale: arte come strumento di funzionalità per le esigenze contingenti dell’ era delle industrie e delle macchine, uno slogan contro la massificazione e la riduzione del quantitativo della produzione industriale, che doveva rimettere al centro l’artigianato e l’uomo. Senza appoggi e sovvenzioni ministeriali, questi artisti riuscivano a godere di un intenso mecenatismo, soprattutto clienti ebrei, che risultarono essere molto amanti di questa nuova arte moderna. Con il passaggio al XX secolo Vienna si ritrovò ad affrontare quel malessere generazionale, la rottura ufficiale con l’arte accademica, cominciata nel 1896 da Klimt, che ebbe come passaggio ulteriore uno stile che oltre alla rottura, avrà un nuovo messaggio da diffondere. Un nuovo punto di partenza: l’arte moderna. Non esiste un inizio ufficiale dello stile espressionista viennese, né un gruppo, né un luogo fisico: esprime semplicemente un desiderio di condivisione, di forte turbamento che esige l’interazione con lo spettatore. Quello che fu evidente all’epoca era la necessità da parte di chi sentiva cambiare i tempi, di poter esprimere questo sentimento. Le nuove frontiere della medicina, con gli studi della mente umana, la visione della pazzia, del turbamento presenti negli ospedali psichiatrici, furono rappresentati soprattutto da Egon Schiele e Oskar Kokoschka, che seppero rilevare la nuova frontiera dell’arte pittorica rivolta alla medicina e alla psiche umana. Molti saranno i ritratti che non avevano nulla a che vedere con la bellezza, con i canoni accademici delle proporzioni, rilevavano invece ansie, nevrosi, debolezze attraverso mani e occhi. L’arte cosiddetta espressionista abbraccia una realtà sociale che comporta un rapporto nuovo che si instaura tra l’Uomo e la Natura, tra l’Uomo e la Modernità, discorsi talmente rivoluzionari da parte di fisici che sconvolsero la società rompendo gli schemi nelle arti, modificando le idee filosofiche e le motivazioni della politica. Dapprima il fisico Jean Bernard Léon Foucault che formalizzò un discorso sospeso da tempo sulla certezza della teoria che sia la Terra a girare intorno al Sole, facendo crollare il centralismo terrestre.

Successivamente Max Planck e Albert Einstein che con la teoria dei quanti, e con quella della relatività, evidenzieranno un passaggio epocale essenziale nella storia di questa generazione. Oskar Kokoschka è stato li più longevo, morto all’età di 94 anni, ha attraversato il XIX e il XX secolo lavorando instancabilmente fino all’ultimo dei suoi giorni. Caratteristica peculiare è la sua multiforme attività, il suo lavoro in ambito teatrale e letterario verrà ripreso nella seconda parte. Rispetto alle scelte di Schiele, che restò in qualche modo legato da un cordone ombelicale a Klimt, Kokoschka ebbe un’evoluzione che fin da subito lo differenziò per libertà e autonomia artistica, a tutto tondo. Esprimerà nei suoi ritratti l’essenzialità. La sua propensione alla veggenza, lo condurrà nell’arco della sua produzione artistica a prevedere la malattia che i suoi soggetti dipinti avrebbero sofferto, o della quale sarebbero morti. Come è il caso clamoroso del ritratto di Janikowski del 1909, dove il soggetto sembra sull’orlo della psicosi, cosa che realmente accadrà di lì a poco a quello studioso, amico di Loos. Kokoschka si concentra sul viso, sugli occhi, che sembrano chiedere aiuto, ma che sanno anche esprimere quello che sta avvenendo. Guarda diritto verso l’osservatore, che si ritrova a condividere questo stato di inquietudine, con un’empatia che però non risulta forzata. Adolf Loos lo condusse ad una sempre più profonda conoscenza della realtà, della società, attraverso i salotti, dove conobbe Alma Mahler, ma dove conobbe anche una realtà diversa, come quella dei sanatori, dalla quale si accentuò la sua visione di uomo moderno, una vita fatta di alienazione e atrofia spirituale. Venne ispirato e folgorato dal celebre quadro di Edward Munch L’urlo per il tormento interiore che riusciva ad esercitare quest’opera e si evince quest’influenza in diversi suoi ritratti, dove viene evidenziata la psiche. Allo vigilia dello scoppio della guerra Kokoschka dipinge La tempesta che poi diventerà La sposa del vento, mostrandoci tutta la drammaticità della fine della sua tormentata storia d’amore con Alma Mahler. Una storia in perenne bilico, che ora insieme alla storia mondiale vacilla in modo inesorabile verso una dissoluzione inevitabile. Riprendendo il tema del rapporto tra uomo e donna, questa volta Kokoschka ci mostra la donna tranquilla nel sonno, mentre l’uomo ha gli occhi sgranati e il corpo contratto come scosso in un momento di forte tensione emotiva e psichica. Lo stesso Kokoschka ci descrive il momento della fine del dipinto e la sua decisione sul nome da dare al quadro. Una sera il poeta Georg Trakl arrivò nel mio squallido studio nel quale avevo dipinto le pareti di nero per far risaltare di più i miei colori. Tranne il grande cavalletto sul quale era il quadro, l’arredamento era costituito da un barile vuoto che serviva da sedia. Offrii del vino a Trakl e continuai a lavorare al mio quadro; egli mi guardava in silenzio. Dalla grande finestra vedevo calare la pallida notte, la luna che sorgeva dai tetti e sul mare di case. Si alzò il vento e l’aria si fece improvvisamente molto fresca. Rabbrividii, il giorno era finito. Preso tra la malinconia e il silenzio, per la prima volta fui conscio del passare del tempo e di come il mio grande amore fosse uscito, calzato di sandali, dal riflesso azzurro del sole per entrare nel regno delle ombre e delle chimere. Il grande quadro che mostra me e la donna tanto amata su un relitto nello spazio era finito. Improvvisamente il silenzio fu rotto dalla voce di Trakl. I miei colori non avevano mentito: la mia mano aveva salvato, dal tempestoso naufragio del mondo, ancora un abbraccio. Il cuore non ha bisogno d’altro per mantenere, nei giorni a venire, un’illusoria promessa di sopravvivenza, una memoria. Georg Trakl vestiva a lutto. il suo dolore era come la luna che si muove davanti al sole oscurandolo. E lentamente recitò a se stesso una poesia.

Compose così quella strana lirica La Notte, davanti al mio quadro: Su livide rocce - precipita, ebbra di morte - l’ardente sposa del vento. L’espressionismo tedesco sarà uno stile che condividerà con i viennesi una linea di tendenza nuova, ma allo stesso tempo molto diversi. La frammentarietà, disomogeneità tipiche di questo stile sono visibili e riscontrabili, proprio per questa contraddittorietà di fondo: nessuna scuola, né formazione da cui gli artisti potevano trarre spunti, l’unica linea guida è la pura e semplice espressione del di dentro. In Germania la sfaccettatura verrà evidenziata dalla formazione di diversi gruppi. Il primo nacque nel 1905, Die Brücke, (Il ponte) creato contro tutti i convenzionalismi. In qualche modo è il primo vero nucleo, anticipatore anche di quello viennese. Grazie a loro cominciò il percorso della pittura e della grafica espressionista dove fa irruzione un’arte dall’interiorità irrazionale, con una concezione metafisica e una visione audace della realtà. Con i colori come forza evocatrice dei paesaggi, dove l’uomo tenta di riprendersi e di riallacciare il contatto con la natura. Nel 1911 nasce Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) capeggiato da Vasilij Kandinsky, l’intento di questo gruppo era l’astrazione, Kandinsky ambiva ad un rinnovamento spirituale dell’arte. Primo acquerello astratto del 1910 di Kandinsky è l’opera che segue ad un libro Astrazione e Empatia di Wilhelm Worringer del 1908, seguendo un percorso che condurrà a delle autentiche rotture con scardinamento delle regole. L’arte astratta non immobilizza lo spettatore, non esiste più un filtro, vi è una comunicazione diretta, la spiritualità pittorica ha finalmente abbattuto un ostacolo tra il quadro e il pubblico. L’espressionismo teatrale riconosce come prima rappresentazione Assassino, speranza delle donne di Oskar Kokoschka, scritta nel 1907. È un dramma antigrammaticale, rivoluzionario, che ha radicalmente distorto le regole della disposizione delle parole in tedesco. Una decisa frattura con il teatro tradizionale. La prima avvenne a Vienna l’anno successivo, alla sua conclusione Kokoschka fu costretto ad abbandonare il teatro utilizzando l’uscita di sicurezza, per evitare possibili problemi di incolumità. La rottura era stata evidente e la reazione di rifiuto non tardò ad arrivare. La prima pietra miliare di quello che era l’obiettivo, il rivoluzionario teatro totale, era posta, e con essa anche le basi all’espressionismo teatrale. Attraverso questo testo si riscontrano i problemi e le paure del genere maschile per quanto riguarda la parità dei sessi, si scopre che la donna è forte, dal solo ruolo di madre e di sottomissione si evidenzia invece la possibilità di parità, ma addirittura di vittoria nei confronti del genere maschile. Lo spettatore è tenuto ad attivare le proprie facoltà intuitive e associative dove il linguaggio viene sostituito dai mezzi scenici, coreografici e acustici. Il testo è breve, conciso ed efficace nella sua semplicità, spetta a chi partecipa porre attenzione e soprattutto nella visione c’è un preciso invito – obbligo di partecipazione con la scena. La vicenda si sviluppa con i due protagonisti, la donna e l’uomo. La donna riesce a far prigioniero l’uomo, ma commette l’errore di innamorarsi, lo libera, e una volta liberato l’uomo si vendica uccidendola. Il dualismo “uomo–vita” e “donna–morte” che sarà reso ben visibile anche nel manifesto locandina che dipinse lo stesso Kokoschka e che così spiegherà “ l’uomo è rosso sangue, il colore della vita, ma egli e’ morto sulle ginocchia di una donna che è bianca, il colore della morte”.

Esistono quattro versioni di questo testo, Kokoschka negli anni, fino al 1917, lo ha reso da puro testo istintivo e spontaneo, a testo che potesse rispecchiare il più possibile le caratteristiche dell’espressionismo teatrale. Già la prima versione rispecchia appieno questa nuova idea di teatro, il teatro totale, lo spettatore deve essere reso partecipe, essere scioccato attraverso i mezzi scenici, pittorici, coreografici, pantomimici, acustici e dinamici. Le rivisitazioni sono state il semplice cambio di virgola, Da Assassino, speranza delle donne a Assassino speranza delle donne, un passaggio che da fiabesco (tipico secessionista), passa su un piano allegorico. Ma le rivisitazioni forniscono la possibilità di dare un messaggio più incisivo, maggiormente psicologico, di un passaggio che non è solo uomo – donna ma che è dell’intera umanità. Il rapporto dei due protagonisti rappresenta la complessità delle relazioni umane dopo lo sconvolgimento dei valori ereditato dalla “modernità”, sconvolgimento che ha talmente spaventato il conformismo borghese dell’epoca tanto da fargli preferire il tuffo cieco in una guerra di tutti contro tutti, piuttosto che accettare una crisi epocale cogliendo la positività di una nuova visione del mondo costruita sui successi della scienza e su di una nuova convivenza, basata su relazioni più ricche ed una nuova apertura mentale basata su commistione, ascolto e tolleranza reciproca. Bisognava sotterrare tutto in fretta, soffocare le novità, uccidere la memoria, creare un nemico comune, il diverso, l’ebreo, su cui scatenare tutte le proprie paure di cambiamento e tutti i rischi di perdita di privilegi economici di classe o casta e di genere (maschile). Ritengo che sia possibile fornire una interpretazione verosimilmente valida a fronte di un’attenta analisi degli elementi cromatici, simbolici e delle spie linguistiche che suggeriscono, in particolare nella seconda parte del dramma né vanno escluse da questa analisi le didascalie talvolta anche ampie con cui Kokoschka descrive la scenografia, ma caratterizza anche lo stato d’animo contingente del personaggio -, l’esistenza di uno specifico ipotesto letterario. Come arriveremo a dimostrare, l’atto unico rappresenta una parabola esemplare, evolutiva e involutiva al tempo stesso, per la quale l’Uomo acquisirà tramite l’assassinio della Donna i connotati intrinseci di quest’ultima e viceversa. Una prima conferma ci deriva ponendo attenzione al flusso di caratterizzazioni cromatiche che si sostituiscono scambievolmente tra l’inizio e la fine della pièce: la scena si apre nel buio del cielo notturno, in cui si erge solitaria la torre con la sua porta di ferro rossa, da gabbia. Possiamo perciò intuire che, essendo coerente col colore degli abiti di cui è rivestita la Donna, anch’essi rossi, la torre è il regno su cui domina incontrastata. Subito dopo, dalla schiera degli uomini comuni, «teste selvagge» cinte da «fasce grigie e rosse in testa, vesti bianche, nere e brune», miscuglio indistinto e informe di colori, emerge l’Uomo, l’unico individuo che sembra possedere le qualità spirituali (è pallido in viso e armato di una solida corazza azzurra) per portare a compimento l’opera di emancipazione del genere maschile in quanto tale da qualunque legame naturale e psicologico di asservimento alla Donna. Un trio di uomini (Primo uomo, Secondo uomo, Terzo uomo) esalta il mitico guerriero e loda e teme in lui la sua esperienza di sterminatore: «Noi lo vedemmo passare attraverso il fuoco rosso e tentatore della passione irrazionale con piede intatto», «Tortura animali, nitrenti cavalle schiacciò la sua coscia», «Uccelli che ci correvano avanti dovemmo accecare , pesci rossi le donne in generale soffocare nella sabbia». Non a caso, nella battuta successiva, l’Uomo chiede inveendo «Chi è colei che come animale pascola fiera tra i suoi?», lasciando intendere di essere arrivato per cacciare la Donna, la quale mostra di non essere affatto spaventata dal cacciatore, ma, al contrario, di esserne affascinata, tanto da essere spinta ad avvicinarglisi «balzando» come una fiera e «strisciando» come un serpente. Che questo sia un sottile richiamo al serpente del libro della Genesi? Sembra probabile visto il prosieguo del testo: gli uomini, infatti, alla vista della ferita sanguinante del guerriero, gridano inorriditi dalla ferocia della Donna: «Fuggite l'ossesso, abbattete il demonio! Guai a noi innocenti, sotterrate il conquistatore l'Uomo». Da questo momento in avanti, fino alla conclusione del dramma, il rimando all'episodio cardine dei Vangeli, cioè alla Passione, alla morte per crocifissione e alla Resurrezione di Cristo (qui incarnato dall'Uomo), diventa evidente e viene mirabilmente trasposto ed adattato alle esigenze di questo testo: «Tre uomini sul muro calano con funi una bara, l'Uomo che si muove ancora debolmente essendo ancora aperta la ferita al costato viene deposto dentro la torre», che altro non è se non un moderno sepolcro, mentre «una fiaccola» emana una «tenue luce azzurra sopra nella gabbia», ad indicare che il principio vitale dell'Uomo-Cristo, qualunque esso sia in realtà, sta svanendo, lo sta abbandonando, per lasciar posto a qualcosa di altro, di diverso, che lo possa riempire nuovamente e trasformare dall'interno. La Donna, che si avvicina curiosa alla Torre, strisciando in cerchio come una pantera attorno alla gabbia, afferra il cancello e «scrive una grande croce bianca sulla torre», a simboleggiare lo stato di transizione, di trapasso da una condizione di esistenza ad una ancora ignota, che, tuttavia non è quella della morte, che invece ci si aspetterebbe: guardandolo sofferente nella gabbia, la Donna osserva «Egli non può vivere, né morire, è tutto bianco»; si dispera, rivendica forse il diritto di avere per sé la sua vittima, come fosse la Morte stessa a reclamarla, «Aprite il portone, devo andare da lui!». Ma le donne e gli uomini, che nel frattempo si sollazzano e si perdono un'altra volta in quella «brama insensata di orrore in orrore, inarrestabile giro a vuoto» che è il «generare senza nascita», l'eros distruttivo contro cui l'Uomo-Cristo si era battuto - prima col loro sostegno, poi completamente abbandonato -, come dei redivivi Simon Pietro, dichiarano di aver perso la chiave del portone della torre e di non aver perciò colpa se la Donna non può raggiungere l'Uomo, perché «non vi conosciamo». Arrischiando una parafrasi, potremmo forse dire che, inconsciamente, tutto il genere umano, uomini e donne, dopo la caduta del peccato originale hanno perso il diritto di accedere al Paradiso Terrestre, di vivere un'esistenza piena secondo natura, in uno stato di grazia e purezza primigenia, senza essere oberati dal peso della vergogna che, invece, dagli albori della Storia, essi provano quotidianamente nel vedersi alla mercé delle pulsioni più animalesche, deleterie e distruttive. Improvviso giunge un «canto di gallo»; albeggia. La Donna «afferra la ferita di lui, ansando lasciva e maligna come una vipera», lo dileggia, pensa di incutergli paura; ma, con «incipiente paura», è costretta a ricredersi: «Tanta vita fluisce dalla fessura, tanta forza dal portone», eppure l'Uomo-Cristo sembra riacquistare forza, mentre lei, furiosa, si indebolisce sempre di più. Persino l'Uomo, da principio, sembra esserne sorpreso: «Sono io reale, tu la morta catturata? Perché diventi più pallida?», «Chi mi nutre?», «Chi mi allatta con sangue?». Quindi, ciò che era inconscio affiora in superficie e diventa conscio: «Ho divorato il tuo sangue, consumo il tuo corpo gocciolante». La Donna è ormai «tutta bianca» e prossima alla morte (nella didascalia è scritto esplicitamente «riconoscimento della morte»). L'Uomo-Cristo, trionfante, «sta sul gradino superiore». Eppure gli uomini e le donne, invece di esserne felici, ne sono terrorizzati, «cercano di sfuggirgli, gli tagliano la strada», lo additano come il nuovo demonio, «Il demonio! Domatelo, salvatevi, si salvi chi può»; ma sanno, infine, di essere perduti («dritto incontro; li abbatte come moscerini e se ne va rosso»), perché hanno preferito rimanere vilmente schiavi delle loro pulsioni e hanno rinnegato la venuta del loro redentore, hanno scelto di rimanere nelle tenebre ancestrali dell'inconscio, piuttosto che di emanciparsene.
Un enfant terribile a Vienna (1907–1916)
Il corpo umano e i suoi mezzi di espressione sono i temi principali dei primi disegni dell’artista, che ritrae i movimenti dei modelli sulla carta con tratti sottili ma espressivi. Kokoschka si allontana sempre più dallo stile decorativo dell’Art Nouveau viennese, preferendo linee nettamente spigolose che conferiscono ai corpi la loro straordinaria qualità. Una sfida estetica ai canoni artistici borghesi. Dopo il suo primo successo alla Kunstschau Wien 1908,
Kokoschka si specializza nella ritrattistica, genere che gli permette di esplorare la psicologia dei soggetti, rappresentati in maniera da manifestare il loro io interiore. Per esempio, oltre alla resa espressionista, il pittore abbandona gli sfondi definiti sostituendoli con spazi cromatici diffusi su cui il modello si staglia con un’immediatezza senza pari. è in questo periodo che conosce Alma. Oltre a inserirla in numero opere, le scriverà oltre 400 lettere d’amore. Prima di crollare psicologicamente a causa della tormentata relazione e della guerra incombente.
Gli anni di Dresda (1916–1923)
Kokoschka si arruolò nell’esercito allo scoppio della Prima guerra mondiale. Gravemente ferito per due volte, si trasferì a Berlino, dove rimase sino alla fine del 1916 e dove firmò un contratto con il gallerista Paul Cassirer. Nonostante il trauma della guerra ne influenzasse la stabilità psicologica, si affermò presto sulla scena artistica e venne nominato professore all’Accademia di Belle Arti di Dresda. I dipinti di questo periodo si distinguono per le
pennellate veloci e l’intensità dei colori sapientemente accostati, tutto si dissolve in colori puri e sfolgoranti. Le figure e gli oggetti fluttuano tra la rappresentazione e la dissoluzione. Luci e ombre, bene distribuite e integrate, rafforzano l’idea di una pittura che pare un’apparizione. Forse sono le opere meglio riuscite della carriera di Kokoschka.
Viaggi (1923–1934)
Kokoschka lascia la cattedra all’Accademia di Belle Arti nel 1923 e intraprende una serie di viaggi in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. I paesaggi, le scene urbane, i ritratti di persone e animali e gli altri soggetti continuano a subire le sperimentazioni dell’artista. In questo periodo Kokoschka porta all’estremo l’approccio espressionista, con composizioni non mirano a riprodurre la realtà, ma piuttosto a catturarne l’atmosfera. “Voglio creare uno spazio con i colori” disse l’artista sintetizzando il concetto. La perdita di Cassirer, morto suicida nel 1926, lo privò del suo principale sostenitore. Senza reddito, tornò a Vienna nel 1932 e trovò la città devastata dalle turbolenze politiche legate all’ascesa del fascismo.
Resistenza a Praga (1934–1938)
Nel 1934 la guerra civile austriaca spense le sue speranze di guadagno. Si trasferì a Praga, dove viveva la sorella Berta, in cerca di fortuna. Qui conobbe Olda Palkovská (1915–2004), allora studentessa in giurisprudenza, con cui si sposò nel 1941. I dipinti realizzati in questo periodo ritraggono perlopiù persone in paesaggi bucolici, quadri luminosi e leggeri. Quasi una via di fuga, d’evasione, da una realtà politica che, con l’avanzare del nazismo, si faceva sempre più cupa. Nasce qui il suo impegno politico, veicolato sia attraverso i dipinti che tramite articoli di giornale e conferenze. Le sue opere vennero infatti incluse nelle mostre di arte degenerata, insieme a molte altre dell’avanguardia europea.
Esilio in Inghilterra (1938–1946)
Costretto a trasferirsi a Londra dopo l’annessione dell’Austria da parte dei nazionalsocialisti, Kokoschka intensifica la produzione politica. Secondo lui “
L’artista deve agire come un allarme”. E il suo allarme si traduceva in pittura attraverso allegoriche denunce alla drammtatica situazione dell’Europa, oppure in esaltazioni del pacifismo. Dopo la fine della guerra, nel 1947 ottenne la cittadinanza britannica. Nello stesso anno, la Kunsthalle di Basilea gli dedicò una grande mostra, consacrandolo come artista di spicco e figura chiave nella restaurazione della cultura europea.
Un artista europeo in Svizzera (1946–1980)
Nel 1948 e nel 1949 si tenne un’ampia mostra itinerante dedicata a Kokoschka. Andò a Boston, Washington, St. Louis, San Francisco e Wilmington, per concludersi al MoMA di New York. Questo portò Kokoschka ad affermarsi come artista di rilievo a livello internazionale e a realizzare un numero crescente di ritratti di noti uomini politici. Nel 1953 l’artista si stabilì con la moglie nella città svizzera di Villeneuve.
Qui si riconcilia con l’arte classica, di cui si inizia a interessare, così come dell’arte e dell’architettura classica greca e romana. Senza mai dimenticare la sua impronta espressionista, una costante fin dai primi tempi di Vienna. E che mai sfociò in astrazione, che anzi il pittore osteggiava. Raffigurò sempre più spesso scene mitologiche e tragedie greche, motivato dal desiderio di raggiungere la (ri)costruzione di una cultura europea comune. Nel 1953 fondò a Salisburgo la “Scuola della Visione”, in cui formò la generazioni di artisti a lui successiva. Fino alla sua morte, continuò a difendere con fermezza il potenziale sovversivo della pittura come strumento di emancipazione e di acquisizione della conoscenza.
Museo Guggenheim Bilbao
Oskar Kokoschka. Un Ribelle di Vienna
dal 17 Marzo 2023 al 3 Settembre 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Lunedì Chiuso