Giovanni Cardone Giugno 2023
Fino al 28 Agosto 2023 si potrà ammirare al MANN- Museo Archeologico Nazionale di Napoli la mostra Alessandro Magno e l’Oriente a cura di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo. L’esposizione è organizzata dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e nel contempo è promossa dal Ministero della Cultura italiano, con il sostegno della Regione Campania, del Parco Archeologico del Colosseo e Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia, la mostra si avvale della collaborazione del Museo delle Civiltà di Roma e del Ministero ellenico della Cultura e dello Sport. La grande mostra è dedicata alla straordinaria figura di Alessandro (356 - 323 a.C.) e si svolge proprio nel luogo, il MANN, che più di ogni altro custodisce eccezionali e uniche testimonianze della vita e delle gesta dell’eroe macedone. In poco più di dieci anni, accompagnato dai suoi fedeli compagni, egli divenne re dell’Asia e dell’Europa. E da uomo e da filosofo, allievo del sommo Aristotele, amò l’uno e l’altro continente, promuovendo, dopo la conquista, la pace e l’unione dei popoli a lui soggetti. Sono esposte circa 170 opere provenienti da ogni angolo del mondo: dalla antica Persia al Gandhara.
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A queste mirabilia del passato si aggiungono i numerosi reperti della collezione permanente del MANN, il solo Museo in cui si conservino tre ritratti del Macedone e tra questi il più prezioso, il Mosaico della battaglia di Gaugamela, dove si ammira l’eroe in sella a Bucefalo, mentre si scaglia contro Dario sull’alto carro. Quest’opera, attualmente in restauro, (la cui riproduzione è posta a tappeto nel Salone della Meridiana nell’area dove è ricostruito l’ambiente della casa del Fauno) secondo gli studiosi è una copia romana di un sublime quadro del più noto pittore dell’antichità, Apelle. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Alessandro Magno apro il mio saggio dicendo : Posso dire con certezza che intorno alla figura di Alessandro Magno è venuto ad instaurarsi un alone magico e mitologico che ha contribuito alla formazione di storie ed eventi riguardanti le sue imprese, soprattutto in ambito medievale dove si è dato ampio spazio all’ambiguità della sua persona, la quale genera un contrasto tra esaltazioni e condanne. Alessandro è una delle maggiori figure della storia: per la grandezza delle sue imprese, il fascino legato alla sua personalità e il fatto di essere morto al culmine della sua gloria poco più che trentenne, è diventato una vera e propria leggenda. Macedone di nascita, dominò la Grecia, culla della civiltà occidentale, e fu un conquistatore e un abile stratega come Annibale, Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte. Denominato Magno in conseguenza dei suoi trionfi, Alessandro fu l'incarnazione dell'eroe temerario, pronto ad affrontare le sfide più impossibili, generoso ma talora anche impietosamente violento. Figlio del re Filippo II, fondatore della potenza macedone, Alessandro nacque a Pella nel 356 a.C. e ricevette un'accurata educazione. A provvedere alla sua istruzione fisica, politica e militare fu personalmente il padre, che intendeva prepararlo a diventare un sovrano avveduto e capace. Quanto a quella intellettuale il principe ebbe la fortuna di avere come precettore il grande filosofo greco Aristotele. È significativo che tra le sue letture un ruolo importante abbiano avuto l'
Iliade e l'
Odissea, i poemi omerici nei quali si esaltavano i valori della forza militare di Ettore e di Achille e l'astuzia di Ulisse. Nel 338 il principe aveva già offerto la sua prima grande prova militare, combattendo valorosamente a capo della cavalleria nella battaglia di Cheronea, nella quale i Macedoni stroncarono le truppe dei Greci. Alessandro, molto legato alla madre Olimpiade, ebbe a soffrire perché il padre l'aveva lasciata per passare a nuove nozze, ma conobbe un momento veramente drammatico quando nel 336 questi venne assassinato. All'assassinio del padre e ai disegni dei congiurati Alessandro reagì con estrema decisione e in maniera implacabile, stroncando con la forza i suoi nemici. Subito dopo, nel 335, soffocò una ribellione scoppiata in Grecia col sostegno della Persia, distruggendo Tebe e facendone schiava la popolazione. Formata con i Greci sottomessi la lega di Corinto, Alessandro si propose di iniziare la conquista della Persia, già progettata dal padre. Sbarcato nel 334 in Asia con un potente esercito di circa 40 mila uomini e una grande flotta di 160 navi, si recò in pellegrinaggio alla tomba di Achille presso Troia. Dopo aver liberato le città greche sottomesse dai Persiani, nella grande battaglia di Isso (333) sconfisse le truppe del re persiano Dario III. Occupate la Siria e la Fenicia, Alessandro si volse contro l'Egitto, governato dai Persiani, lo ridusse sotto il suo potere e fondò la città di Alessandria. A Siwa, in Egitto, l'oracolo salutò Alessandro come "figlio di Ammone" (titolo tradizionalmente riservato ai faraoni). Quindi riprese la marcia penetrando in Mesopotamia: nel 331 inflisse presso Gaugamela una nuova decisiva sconfitta ai Persiani e conquistò le maggiori città del loro impero, tra cui Babilonia, Susa e Persepoli. Il re Dario si diede alla fuga e Alessandro, proclamato re dell'Asia, per sanzionare la sua vittoria ordinò che il palazzo imperiale di Persepoli venisse incendiato e raso al suolo. Ma il grande sovrano macedone, con l'intento di farsi accettare dai vinti, punì in maniera esemplare un satrapo, ossia un governatore dell'impero persiano, che per fare cosa grata al vincitore aveva assassinato Dario. Lo fece uccidere e decretò per Dario un funerale grandioso e solenne. Volendo apparire ai Persiani nelle vesti non soltanto del conquistatore ma anche in quelle del pacificatore, Alessandro sposò Rossane, figlia del sovrano della Battriana; ma questa decisione non fu bene accolta in Macedonia da una parte della classe dominante, che avrebbe voluto che il re sposasse una macedone. Subito dopo riprese le sue conquiste in direzione delle regioni a sud del Mar Caspio: tra il 329 e il 327 sottomise la Battriana e la Sogdiana (antiche regioni asiatiche in larga parte corrispondenti agli odierni Afghanistan, Usbechistan, Tagichistan), e da lì penetrò con il suo esercito fin nell'India settentrionale, aprendo orizzonti del tutto nuovi e consentendo straordinarie scoperte. Tuttavia, i costi umani e materiali di conquiste tanto lontane ed estese finirono per indurre al ritorno il grande conquistatore, che nel 324 fece rientro a Susa, la capitale della Persia.
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Scopo di Alessandro era allora consolidare il suo impero e instaurare buoni rapporti tra Macedoni, Greci e Persiani. Pensando che un nuovo matrimonio potesse servire a questo scopo e costituire un esempio, pur essendo già sposato a Rossane si unì in matrimonio con la figlia di Dario, Statira, e fece anche sposare 80 ufficiali macedoni a giovani persiane. L'impero era però tutt'altro che consolidato, e il re macedone dovette reprimere pericolose rivolte. Una minaccia ancora più grave al suo potere venne dalle stesse truppe macedoni, orgogliose delle proprie tradizioni e dei propri costumi. Scontenti che Alessandro da un lato stabilisse la supremazia della cultura e dei modi di vita greci e dall'altro conferisse alla propria persona di monarca caratteristiche divinizzanti di tipo asiatico, i soldati macedoni si ribellarono, provocando una dura repressione. Al culmine del suo potere e della sua gloria, Alessandro cadde vittima di una febbre maligna che lo portò alla morte nel 323 mentre si trovava a Babilonia. L’impero che Alessandro ha conquistato nell’antichità ha superato i secoli dandone vita ad uno nuovo, quello poetico e leggendario, il quale risulta anche più ampio di quello storico: il suo nome è effettivamente associato ad uno degli imperi più grandi che la storia abbia mai conosciuto, ma nonostante ciò le cronologie mettono in chiaro come sia stato alquanto effimero. Infatti, negli anni successivi alla sua precoce morte, il territorio che aveva fortemente unificato si è completamente sfaldato a causa di una mancata organizzazione amministrativa. L’originalità e l’inventiva delle opere letterarie su Alessandro hanno come punto di partenza una base storica: di conseguenza, per apprezzare al meglio le peculiarità della leggenda medievale e le torsioni che essa impone ai dati storici, conviene partire proprio da quest’ultimi. Le fonti storiche hanno un ruolo di fondamentale importanza, sebbene alcune siano state variamente infiltrate di elementi leggendari per volontà dello stesso giovane Alessandro. Di esse si distinguono le fonti primarie, andate totalmente perdute e di cui si ha prova della loro esistenza tramite citazioni contenute negli scritti di storici successivi, i quali compongono le cosiddette fonti secondarie. Le primarie sono costituite fondamentalmente da testimoni oculari o persone che hanno raccolto da testimoni elementi della vita e delle imprese di Alessandro, i quali sono: a) Callistene. Nativo di Olinto e nipote di Aristotele, in quanto figlio di Ero, cugina del filosofo ateniese, combatté al fianco del condottiero macedone durante le conquiste del territorio asiatico e ricevette da egli stesso l’incarico di raccontare le sue imprese. Considerato da Aristotele un grande e valente oratore , fece parte della congiura dei paggi del 327 a. C. dopo aver rifiutato la pratica persiana della proskýnesis voluta da Alessandro Magno. Le circostanze riguardanti la sua morte non sono molto chiare, tanto che «alcuni dicono che morì sulla forca per comando di Alessandro; altri vogliono che morisse di malattia in prigione; Carete dice che resistette tra le catene per ben sette mesi dal giorno dell’arresto, in attesa di comparire davanti ai giudici alla presenza dello stesso Aristotele; ma proprio nei giorni in cui Alessandro, combattendo in India contro i Malli Ossidraci, venne ferito, morì per soverchia grassezza o per malattia pediculare».
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Nella sua funzione di storico, a Callistene vengono attribuite le Alexándrou Práxeis, purtroppo andate perdute, le quali raccontano anche con tratti propri della cultura aristotelica le gesta del Macedone fino alla battaglia di Gaugamela del 331 a. C. b) Tolomeo. Nato tra il 367/6 a. C. in Eordea , figlio di Lago, è stato sin dalla gioventù amico e consigliere di Alessandro, partecipando a numerose spedizioni militari del condottiero macedone ed entrando a far parte della sua guardia del corpo con altri sette ufficiali: Leonnato, Efestione, Lisimaco, Aristono, Perdicca, Pitone e Peucesta . Dopo la sua morte avvenuta nel 323 a. C., divenne prima satrapo e poi re d’Egitto. Con un colpo di mano riuscì ad impossessarsi del corpo di Alessandro, facendolo sontuosamente seppellire ad Alessandria, precedentemente fondata dal condottiero stesso. Morì intorno al 282 a. C. La sua figura rientra tra gli storici delle fonti primarie, in quanto l’esistenza di un’opera storica redatta sulla vita di Alessandro Magno è comprovata da Arriano, il quale basa la sua Anabasi sulle precedenti opere storiografiche di Tolomeo e Aristobulo, come egli stesso afferma all’inizio del suo lavoro . c) Nearco. Nato a Creta verso il 360 a. C., fece parte dell’esercito di Alessandro Magno. Nel 324 a. C. con Onesicrito fu messo a capo di una grande flotta con l’ordine «di navigare alla destra l’India, di navigare egli stesso lungo l’Eufrate e poi, costeggiata l’Arabia e l’Africa, di entrare nel Mediterraneo attraverso le colonne d’Ercole» . Morto nel 300 a. C., Nearco è l’autore delle memorie di carattere storico intorno alla figura di Alessandro, il cui titolo risulterebbe essere Periplo . Non ci sono testimonianze scritte dell’opera in questione, ma parte di essa venne rielaborata da Arriano nell’Indiká, la quale presenta una descrizione geografica ed etnografica dell’India del tempo. d) Onesicrito. Nato ad Egina o ad Astipalea , nel 325 a. C. fece parte della spedizione dell’imperatore macedone verso l’India e l’Eufrate con Nearco. Le tappe di tale viaggio verranno descritte da Plinio il Vecchio, il quale si rifà a Onesicrito attraverso un riadattamento di Giuba . Filosofo e storico di Alessandro, Onesicrito di Astipalea viene paragonato alla figura di Senofonte per la stesura de L’Educazione di Alessandro, la quale si pone sullo stesso piano de L’Educazione di Ciro, mantenendo uno stile simile ma comunque inferiore rispetto all’opera di lode nei confronti di Ciro il Giovane. È stata provata l’esistenza di un’opera legata a quest’architetto militare, al quale Alessandro affidò il restauro di uno dei luoghi più suggestivi per quanto riguarda la sua leggenda, ovvero la tomba di Ciro il Grande, morto circa duecento anni prima nell’attuale Iran, non lontano da Persepoli. Alessandro gli diede l’ordine di «collocare di nuovo ogni parte ancora integra del corpo nel sarcofago e porre sopra il coperchio; di riparare le parti del sarcofago danneggiate; di rivestire il letto con fasce di stoffa; e tutti gli altri oggetti che lì erano collocati per ornamento, di ripristinarli sia nel numero, sia nella foggia simile a quelli antichi; di eliminare la porticina, murandola con pietre e intonacandola con argilla, e di apporre sull’argilla il sigillo reale». Si tratta di un gesto politico forte poiché dopo aver conquistato il regno degli Achemenidi Alessandro volle rendere onore al re che ha dato vita all’impero persiano. Arriano riprende tale descrizione dall’opera storiografica perduta di Aristobulo su Alessandro Magno, la quale è giunta ai posteri in maniera frammentaria attraverso lavori di altri autori. f) Clitarco. Autore di una Storia di Alessandro estesa in maniera accurata e fededegna in dodici libri, si hanno pochissime informazioni riguardanti la sua vita. L’opera di Clitarco ebbe un’influenza e un successo incredibile al tempo della sua stesura, tanto da essere ripresa successivamente da Diodoro Siculo, Plutarco e Curzio Rufo. A differenza degli storici precedentemente citati, non seguì il condottiero macedone nelle sue spedizioni, ma scrisse l’opera a non più di tredici anni dalla sua morte avvenuta nel 323 a. C. La Storia di Alessandro, della quale si conservano solo trentasei frammenti, rielabora gli eventi in maniera romanzata, opponendosi sicuramente alla versione storiografica attinente a notizie ufficiali di storici come Aristobulo e Tolomeo . Ognuno degli autori in questione guarda verso Alessandro con occhio differente, mettendo in luce tradizioni e versioni diverse e contrastanti tra loro e segnando un aspetto sempre più mitologico e romanzesco dell’imperatore macedone: Callistene con i suoi riecheggiamenti omerici, Aristobulo e Tolomeo con trasposizioni militari e propagandistiche, Nearco e Onesicrito con racconti dettagliati delle spedizioni navali accompagnate da un tocco quasi filosofico e Clitarco con un accenno teatrale avventuroso e favoloso.
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La conoscenza delle opere storiografiche precedentemente citate è principalmente risaputa mediante opere di autori successivi, i quali non erano contemporanei di Alessandro, ma hanno dato vita ad un canone alessandrino utilizzando le fonti primarie andate disgraziatamente perdute. Le fonti secondarie hanno una funzione straordinaria nella formazione di una generazione letteraria romanzesca che ruota intorno alla figura dell’imperatore macedone. Appartengono a questa categoria i seguenti storici: a) Diodoro Siculo. È autore intorno al 20 a.C. di una Biblioteca Storica in lingua greca suddivisa in 40 libri, di cui solo un terzo è sopravvissuto. Il Libro XVII è interamente dedicato agli eventi della vita di Alessandro Magno; la sua fonte principale risulterebbe essere il testo perduto di Clitarco, alla quale Diodoro ha aggiunto numerosi commenti personali. La realizzazione di tale opera è sicuramente legata ai molteplici viaggi e alla possibilità di avere un catalogo librario importante a Roma e nelle città ellenistiche, portando avanti l’idea della funzione apprendista dello storico, il quale riporta gli eventi «che dell’ordine cosmico costituiscono una manifestazione». b) Marco Giuniano Giustino. La figura di questo storico romano è avvolta tra dubbi e ipotesi a causa della mancanza di fonti certe che possano fornire dettagli sulla sua vita. Molto probabilmente vissuto tra II e III secolo a. C., a lui sono attribuite le famose Storie Filippiche, realizzate intorno al 150 a. C. Composte da quarantaquattro libri, rappresentano il tentativo di Giustino di riassumere l’opera storiografica di Pompeo Trogo, riproponendo gli eventi che suscitavano in lui maggiore interesse ed insegnamento morale in modo da renderli usufruibili. I Libri XI e XII sono dedicati alle vicende di Alessandro Magno, partendo dalle sue imprese fino ad arrivare alla morte. Egli si ispira ad una fonte intermedia, in quanto la sua opera si fonda sui testi perduti di Clitarco, Aristobulo e Callistene. c) Quinto Curzio Rufo. Tra gli storici delle fonti secondarie, l’autore latino delle Historiae Alexandri Magni Macedonis, suddivise in 10 libri dei quali i primi due sono andati perduti, occupa un ruolo di primaria importanza. Databile all’epoca dell’imperatore Claudio sulla base di un riferimento all’uccisione di Caligola, la sua monografia nasce dalla necessità di reagire alla tendenza augustea di storia universale, scegliendo di non focalizzarsi sulla storia di Roma e non seguire la tradizione annalistica. Non è facile stabilire con certezza quali siano state le fonti usate dallo storico, probabilmente indicate nel prologo iniziale perduto, ma l’opera presenta riferimenti a testi precedenti narranti le vicende del condottiero macedone: quelli di Clitarco, Tolomeo e Timagene . Quest’ultimo, nato ad Alessandria, è particolarmente famoso per il suo controverso rapporto con l’imperatore Augusto, tanto da dare fuoco ad una Storia scritta interamente per lui dopo essere stato cacciato dalla sua corte. Timagene è considerato anche l’autore di una Storia dei Re, che coincide con il racconto degli eventi di Alessandro e dei suoi successori, opera dalla quale Quinto Curzio Rufo ha preso spunto. Non mancano suggestioni riguardo la possibilità di aver consultato altre fonti per le Storie di Alessandro Magno il Macedone, quali quelle di Narco e Onesicrito: in particolare, nel decimo libro i due storici sono trattati come appartenenti ad uno stesso rango, e ciò potrebbe derivare da Onesicrito, dato che Nearco era un suo superiore. d) Plutarco. Nato intorno al 46-48 d. C. a Cheronea, è il celebre autore delle Vite Parallele, accostando greci e romani dai destini simili. Tra questi, inserisce una Vita alessandrina in parallelo a quella di Cesare, giustificando nel primo capitolo di non scrivere «storie, ma biografie; spesso un semplice atto, o una parola, o magari uno scherzo qualunque, riescono a mettere in rilievo i costumi delle persone, più che le battaglie sanguinose, i grandi eserciti schierati in ordine e le conquiste delle città» . Plutarco non era interessato nel raccontare nel dettaglio gli eventi straordinari, quanto ad approfondire l’autorevolezza e l’analisi di determinati comportamenti verificando la loro influenza sul destino di uomini ammirati universalmente. L’affidabilità storiografica di ogni evento narrato da Plutarco non può essere confermata in maniera assoluta, in quanto le Vite Parallele sono arricchite da un insieme di eventi costantemente romanzati, ma sarebbe sbagliato non affermare che essi possano essere basati su un fondo di verità. In aggiunta, Plutarco è anche l’autore di due opuscoli (De Alexandri magni fortuna aut virtute), o meglio testi scolastici di impostazione retorica, sul destino e sulla vita del condottiero macedone, nei quali difende Alessandro dall’accusa di essere stato più fortunato che geniale per le sue straordinarie conquiste. e) Lucio Flavio Arriano. Contemporaneo di Giustino, scrisse un’opera incentrata sulle campagne militari di Alessandro intitolata Anabasis Alexandri, ritenuta dagli storici moderni come la più storicamente attendibile. Nel proemio al primo libro, ammette di aver attinto dalle storie che «su Alessandro figlio di Filippo scrissero Tolomeo figlio di Lago e Aristobulo figlio di Aristobulo», sottolineando di scegliere la versione più credibile nel momento in cui i due contrastassero e di averli preferiti in quanto il primo re d’Egitto e il secondo facente parte della spedizione asiatica dell’imperatore macedone. Nonostante ciò, l’opera include citazioni di ulteriori lavori precedenti considerati da Arriano «degni di essere inseriti e riferiti come tradizioni su Alessandro» .

Non mancano nell’Anabasi interventi diretti dell’autore per rimproverare gli storici delle fonti primarie riguardo versioni differenti di uno stesso evento: nel quarto libro è il caso della morte di Callistene trattata in maniera diversa da Aristobulo e Tolomeo, oppure nel sesto l’accusa nei confronti di Onesicrito per aver cambiato il suo ruolo nella spedizione navale all’interno della sua versione andata perduta. Le fonti storiche riguardanti la figura di Alessandro forniscono una versione differente del condottiero macedone, dando alle sue straordinarie imprese un tocco leggendario, favoloso e meraviglioso, ma contemporaneamente offrono tracce e spunti necessari per la ricostruzione storica e veritiera della sua vita. Nel suo processo di crescita, si dà particolarmente importanza all’educazione giovanile ricevuta dall’imperatore presso la corte macedone di Filippo II. Tra il 343 e il 335 a. C. visse in Macedonia il filosofo Aristotele, prima come tutor di Alessandro e poi come cittadino privato. Nato nel 384-383, arrivò a Pella in un periodo durante il quale non era ancora divenuto famoso per la grandiosità delle sue opere future. Le prove storiche della collaborazione con il condottiero macedone sono alquanto limitate, tanto che l’opera principale di riferimento per quanto riguarda gli eventi in Macedonia è la Vita di Alessandro di Plutarco, in cui la descrizione dell’educazione di Alessandro da parte di Aristotele è trattata sotto forma di biografia romanzata e il filosofo viene definito come uno dei più stimati nel suo ruolo, sebbene la sua fama non avesse ancora raggiunto livelli altissimi all’epoca. Nonostante precettori e pedagoghi si prendessero cura di Alessandro, Filippo II non si fidava dei «maestri di musica e delle altre comuni discipline per la perfetta educazione del figlio, stimandole cose per le quali occorrevano in fondo diligenza e attività, e, per dirla con Sofocle, disciplina da freni e timoni». Fu chiamato per tale compito Aristotele, il quale ricevette una ricompensa alquanto importante per il suo tempo offerto, tanto che Filippo riedificò e ripopolò la sua città natale. Quest’ultimo assegnò al maestro e all’allievo un luogo di studio detto Ninfeo, nei pressi di Mieza, i cui resti sono oggi visibili e visitabili. Lo stesso Plutarco rivive la magia di questo luogo sacro del quale «vengono mostrati i sedili di Aristotele, che sono di pietra, e tutt’intorno gli ombrosi viali». Tale tempio in cui Aristotele insegnava la sua filosofia era un santuario dedicato alle ninfe, da cui il nome Ninfeo, circondato da vegetazione, fontane e sorgenti. Conserva ancora oggi il suo fascino naturale, arricchito dalle rovine delle pareti che sostenevano un portico a due piani con colonne ioniche e le tre grotte naturali incluse nel cortile della scuola. Il peso di questo luogo è senza dubbio di grande rilievo poiché ha ospitato l’incontro tra due delle personalità più importanti della storia di quel tempo, una sorta di crossover di due culture. È tuttavia impossibile stabilire con precisione quanto gli insegnamenti di Aristotele abbiano inciso sulla vita e sul pensiero di Alessandro, ma dai testi presi in considerazione sembra difficile trovare punti di incontro tra i due sull’aspetto politico: le teorie classiche di Aristotele sulla concezione antica e provinciale della cittàstato erano opposte a quelle di Alessandro, che aveva come obiettivo l’unificazione della grecità sotto un’unica guida. Plutarco propone ulteriori dettagli riguardanti le materie di apprendimento offerte dal filosofo per l’allievo: non solo lezioni di etica, medicina e politica, ma anche insegnamenti delle sue dottrine esoteriche. Proprio quest’ultimo punto scaturisce motivi di contrasto tra i due dopo la pubblicazione dei suddetti scritti aristotelici. In opposizione alle lezioni essoteriche stabilite per il pubblico, i concetti acromatici ed epoptici avevano una destinazione certamente più riservata, e in una lettera Alessandro espone il suo disappunto per la diffusione di tali dottrine, le quali, accessibili a tutti, non gli avrebbero permesso di distinguersi dagli altri. Non mancano riferimenti al suo essere incline allo studio, alla passione per la filosofia e alla propensione alle lettere, tanto da farsi recapitare le tragedie di Euripide, di Sofocle e di Eschilo e altri testi. Nella tradizione medievale, furono numerose le opere che rilanciarono questa sete di sapienza: il Roman d’Alexandre di Alexandre de Bernay, il quale fonde il genere del romanzo con quello epico e della canzone di gesta, descrive Alessandro come un eroe romanzesco in quanto cultore della conoscenza e del voler spingersi alla ricerca dell’ignoto, e parallelamente i suoi desideri di conoscenza si accompagnano alla conquista militare dei territori. Anche Gualtiero di Châtillon, autore dell’Alexandreis, ammette quanto la fortuna e la virtù siano state fondamentali per la crescita del condottiero macedone, sottolineando come la sapienza e il desiderio di conoscenza lo abbiano spinto ad affermarsi. Riprendendo il testo perduto di Onesicrito, Plutarco parla anche di un’edizione dell’Iliade redatta da Aristotele e chiamata del Natercio, che l’imperatore macedone portava con sé durante le sue spedizioni e custodiva sotto il proprio cuscino. La tradizione medievale ha giocato tantissimo su questo dettaglio, e di conseguenza il paragone tra il condottiero e Achille diveniva impossibile da non proporre: ad esempio, nell’Alexandreis Alessandro elogia Achille per le straordinarie doti e imprese compiute dinanzi la sua tomba, definendolo suo antenato e rendendo realistico il rapporto mitologico che li legava. Il primo comunque a riportare l’aneddoto dell’opera di Omero fu Strabone, il quale evidenzia l’esistenza di una versione dell’Iliade realizzata dal filosofo con l’aiuto di Anassarco e Callistene, depositata successivamente in una cassetta ben lavorata ritrovata tra i tesori persiani. Da queste due fonti, sembrerebbe veritiero che Alessandro non partisse alla conquista di territori asiatici senza l’Iliade, considerata come un fedele sommario del valore militare. Inoltre, la brama di sapienza che lo contraddistingueva guidava Alessandro nell’instaurazione di relazioni culturali fra diverse civiltà, tra cui quella indiana e quella greca: non è da escludere in tal modo la diffusione di quest’opera in India, per cui risulterebbero giustificabili le somiglianze di alcuni episodi dell’Iliade con il Mah?bh?rata . Plutarco non è certamente l’unico a mettere per iscritto l’incontro tra Aristotele e Alessandro: altri parlano della relazione fra i due, e tra questi bisogna menzionare la citazione presente all’interno dell’Institutio oratoria di Marco Fabio Quintiliano. Quest’ultimo, esponendo le varie pratiche per la formazione di un oratore, si concentra sull’importanza dell’educazione giovanile, affermando che Filippo avrebbe voluto che Alessandro imparasse dal più grande dei filosofi, ovvero Aristotele, dato che negli studi i primi insegnamenti derivati dai migliori maestri possano offrire l’opportunità di raggiungere la perfezione. La grande considerazione di cui godeva Aristotele coincide con la versione proposta da Plutarco, e forse è ancora più accentuata in questo caso dal fatto che la fonte principale dell’opera di Quintiliano risulta essere la Retorica di Aristotele. In aggiunta, le capacità di insegnamento del filosofo vengono ancora una volta marcate, nonostante l’esigua presenza di prove che storicamente lascino scorgere un’impronta aristotelica nel Macedone. Infatti, nell’insieme delle opere di Aristotele «non esistono chiari riferimenti ad Alessandro, a parte il titolo di un trattato intitolato Alessandro o Sui Coloni andato perduto o il Trattato sul cosmo per Alessandro, la cui autenticità ancora oggi è oggetto di studio» . Se da una parte un condizionamento aristotelico morale e politico non è percepito nella figura storica di Alessandro, dall’altra Aristotele non lo menziona né nell’Etica Nicomachea né nella Politica mentre il condottiero intraprendeva le sue conquiste in territorio asiatico. Tutto ciò risulta ancora più strano se si prende nuovamente in considerazione la Vita di Plutarco, nella quale Alessandro inizialmente considera Aristotele come un padre . Dopo qualche tempo però iniziò a guardarlo con sospetto e le motivazioni potrebbero essere molteplici: da un lato tale reazione coinciderebbe con la pubblicazione delle sue lezioni, episodio che permise ad Alessandro di esprimere il suo disappunto in uno scambio epistolare, dall’altro Aristotele nella sua Politica portando avanti l’idea ordinaria delle poleis mantiene riserve nei confronti di un unico monarca identificabile solamente in un uomo avente un carattere eccezionale e possessore di un’areté che non coinciderebbe con il Macedone. Il grande re aveva lasciato ai posteri una eredità fondata su due principali elementi. Il primo era il fatto di avere creato le condizioni per un'enorme espansione della cultura greca, così da porre le premesse per quella che è stata definita la civiltà ellenistica; al tempo stesso però la creazione di un grande impero macedone-greco-asiatico aveva posto le premesse perché la Grecia perdesse in un certo senso la sua centralità. Il secondo elemento era la difficoltà di governare questo impero, tanto grande e segnato da così grandi diversità al suo interno. La conseguenza fu che i generali di Alessandro, i diadochi ("successori"), si divisero l'impero, che trovò il suo assestamento con la creazione di tre regni principali: la Macedonia, l'Egitto e l'Asia. La successiva frammentazione dell'impero asiatico portò alla nascita di alcuni regni più piccoli, fra cui quello di Pergamo. A questo assestamento pose fine la conquista romana tra il 2° e il 1° secolo a.C. Si può dire che la battaglia di Azio nel 31 a.C., che segnò la fine della indipendenza dell'Egitto, chiuse l'età ellenistica che aveva tratto le sue forze motrici dall'opera di Alessandro. L' immenso impero edificato da Alessandro, partendo dalla Macedonia e dalla Grecia, giunse ad abbracciare l'Egitto in Africa e a estendersi in Asia fino al fiume Indo. In tal modo egli contribuì a creare nuovi legami tra i popoli soggetti e a intensificare i contatti tra culture e civiltà diverse, estendendo enormemente l'influenza della civiltà greca. Il giovane eroe, cui vennero conferiti attributi divini, dopo la sua morte diventò oggetto non soltanto di opere storiche, letterarie, musicali, pittoriche, scultoree, che ne hanno analizzato ed esaltato la figura a partire dall'antichità fino alla nostra epoca, ma anche di leggende scritte e orali fiorite specialmente nei paesi asiatici. Una rappresentazione altamente simbolica, in cui è sintetizzata la leggenda di Alessandro, si trova nella scultura del suo sarcofago conservata nel Museo archeologico di Istanbul, dove il giovane re è scolpito a cavallo del suo amatissimo destriero Bucefalo. L’apertura della mostra coincide con l’inizio della seconda fase esecutiva dell’epocale restauro del celebre mosaico di Alessandro, che sarà possibile seguire nei prossimi mesi grazie a un ‘cantiere trasparente’ (chiusura lavori prevista, marzo 2024). Alessandro è stato re, filosofo, invincibile stratega e guerriero. Ha conosciuto meglio di ogni altro gli usi e i costumi dei popoli e delle genti di Europa e di Asia. È lui la guida che introduce il curioso visitatore alla scoperta delle sue imprese e delle grandi civiltà del passato. Un eroe che, come un’impareggiabile pop star, ha indossato gli abiti del faraone, quelli di Zeus, di Eracle, di Dioniso, di Shah di Persia, di raja di Taxila e dell’India. Solo le ali per ascendere al cielo non ha indossato, preferendo cavalcare due enormi e affamati grifoni come si raccontava nel Medioevo, attestando l’immediata aura di leggenda che ha avvolto Alessandro. In mostra, si viene accolti dalle raffigurazioni dello stratega macedone su busti, gemme, sculture, tra cui il busto-erma del Museo del Louvre, copia romana da un originale di Lisippo. Si entra poi nelle segrete stanze dove il destino del re del mondo viene annunciato da una profetessa con un magico scudo alla madre Olimpiade e al padre Filippo II. Si è accolti da un enigmatico genio alato (conservato al Louvre), un Cabiro che offre alla futura sposa la famosa collana di Armonia. Il peristilio e la sala principale della famosa Villa di Fannius Synistor di Boscoreale, uno dei più grandi enigmi della storia dell’arte, sono per la prima volta interamente ricostruiti e spiegati. Nel Salone della Meridiana, l’introduzione è completata da ulteriori e rari manufatti, che raccontano i Macedoni e i Persiani, tra cui lo straordinario Vaso dei Persiani, risalente alla seconda metà del IV sec. a.C., dove è rappresentato l’eterno conflitto, cantato da Omero e poi da Erodoto, tra Europa e Asia, tra Grecia e Persia. L’esposizione prosegue con i viaggi di conquista e di scoperta di Alessandro, e con il racconto delle trionfali battaglie di annessione. In questi spazi è ricomposto il gruppo di statue equestri marmoree, proveniente dal santuario di Giunone Sospita a Lanuvio, conservato in parte al British Museum, in parte a Lanuvio. Una testimonianza fondamentale per la ricostruzione del celebre donario di Alessandro, realizzato da Lisippo e destinato a celebrare i venticinque compagni morti alla battaglia del Granico. L’ammirazione nei confronti di Alessandro da parte dei sacerdoti egiziani e la successiva divinizzazione è ricordata invece dalla stele egizia proveniente dal tempio di Iside a Pompei che riporta, in geroglifico, riferimenti alle imprese macedoni. Esposti anche reperti che ricordano i più fedeli collaboratori di Alessandro Magno. Come Seleuco, guardia del corpo sempre al fianco di Alessandro in battaglia, raffigurato in un busto in bronzo dalla Villa dei Papiri. Ma nessuna testimonianza può competere con il grande mosaico pompeiano della Casa del Fauno, in cui si assiste all’impetuosa carica di Alessandro e alla fuga di Dario. A cavallo con la lancia ben ferma nella mano l’eroe avanza deciso contro il nemico travolgendo ogni persona, ogni difesa: ha i capelli rossicci e ondulati, gli occhi grandi e scuri un po’ inclinati verso il basso, il naso forte e leggermente adunco e la bocca piccola e contratta nella foga dell’azione e per lo sforzo. Durante il suo lungo viaggio verso Oriente (334-323 a.C.) Alessandro fondò molte città, universalmente ammirate per la grandiosità dello schema e la raffinata tecnica urbanistica. Tra queste Alessandria in Egitto, Alessandria Eschate, un tempo Leninabad, Bucefala in Pakistan. Alcuni secoli dopo, nei regni Indo-Greci si giunse a un’inedita e duratura fusione di usi, costumi e religioni. Un esempio tra tanti in mostra: la statua di Budda, proveniente dal Pakistan e risalente al II-III sec. d.C., togato e dal sorriso composto che alcuni ritengono mutuato dal divino Apollo. L’ampiezza del fenomeno delle reciproche influenze dura più secoli, e ha posto le basi per un solido rapporto tra Roma e l’Oriente. Le tracce si ritrovano nelle classiche figure di Eracle con la clava, di Atlante inginocchiato, di eroti alati e di capitelli ionici scolpiti nella pietra. Le grandi civiltà antiche d’Oriente, a loro volta, sono state recepite e assimilate dalla civiltà greco-latina. A Pompei nel secolo scorso si ritrovò una piccola e splendida statuina di divinità indiana di avorio. L’Asia fu fecondata dalla cultura ellenistica. Alessandro subì il fascino dell’Oriente, sposò l’uzbeka Roxane e pose la sua capitale a Babilonia. In Europa la sua memoria fu ancora più viva. Pompeo, Cesare, Augusto, si ispirarono a lui, lo imitarono, copiarono i suoi modi e le sue soluzioni, si impossessarono dei monumenti e delle statue a lui dedicate. Lo vediamo in splendidi gruppi statuari, raffigurato come Achille morto tra le braccia di Aiace o come lo stesso eroe omerico, rappresentante di Europa, che si intenerisce dinanzi alla morente Pentesilea regina delle Amazzoni e allegoria della Persia conquistata. Gli oggetti colossali e le meraviglie furono anche un suo lascito all’Occidente e tra queste in mostra due splendidi esempi sono illustrati con incomparabili oggetti: il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria.
I Macedoni a Boscoreale
Agli inizi del Novecento fu scoperta a Boscoreale, nei pressi di Pompei, una splendida villa romana, quasi interamente ricoperta da pregevoli affreschi del II stile eseguiti alla metà del I secolo a.C., nell’età di Pompeo e di Cesare. La sontuosa dimora apparteneva, prima dell’eruzione del Vesuvio, ad un tale Fannius Synister. La maggior parte degli affreschi fu strappata e venduta all’asta a Parigi nel 1903; solo alcuni rimasero a Napoli, dove oggi possiamo ammirarli. Da allora molti studiosi hanno tentato di interpretare il ciclo pittorico concentrandosi soprattutto sulla sala più importante del complesso, l’oecus. Ma era difficile giungere ad una interpretazione condivisibile senza avere una visione d’insieme, cosa che fu possibile solo grazie a recenti studi pubblicati nel 2013. Si può ora dire con certezza che il ciclo ripropone temi propri dell’età ellenistica e i dipinti dell’oecus in particolare, come alcuni sostenevano, raffigurano una corte macedone. Tale ipotesi è suffragata dalla presenza degli scudi con l’astro a rilievo, dagli abiti dei personaggi e dalle caratteristiche architettoniche degli edifici. Le scoperte archeologiche, avvenute in Grecia nella regione macedone negli ultimi decenni, confermano questa iniziale intuizione. La figura su cui maggiormente si è discusso, rappresentata sulla parete sinistra della sala, è quella del giovane in piedi in cui per diversi e inequivocabili motivi si può riconoscere Alessandro stesso. I segni che inducono a questa identificazione sono: il diadema, la lancia, lo scudo macedone, la kausia (il copricapo ufficiale dei re macedoni), le vesti, le caratteristiche fisiognomiche del volto simili a quelle del grande mosaico di Pompei e l’ambientazione. Il giovane re domina uno stretto di mare, una chiara allusione ai Dardanelli, e la punta della lancia è confitta sulla sponda opposta (dorikteta – conquistata colla lancia), quella asiatica, dove una donna seduta, in vesti orientali, si regge il capo con la mano destra e guarda verso il giovane che regnava sui due continenti allora conosciuti, l’uno per legittima discendenza, l’altro per diritto di conquista. E chi altro, se non Alessandro, aveva riunito sotto un unico scettro le due parti del mondo?
L’immagine di Alessandro
Conosciamo Alessandro soprattutto attraverso le statue di Lisippo, l’unico artista, oltre ad Apelle, che ebbe il diritto di ritrarlo dal vivo. Ma del grande pittore di Colofone poco o nulla rimane e forse solo il grande mosaico della Casa del Fauno porta i segni della sua arte. Dello scultore invece sono giunte fino a noi alcune opere in cui si vede l’eroe in una postura a lui consueta, con il collo lievemente piegato verso sinistra e una celeste ispirazione nello sguardo. Plutarco riferisce che la carnagione del macedone era chiara e “il bianco della pelle diventava rosso particolarmente sul petto e sul volto”. Alcuni direbbero che era il segno di una certa femminea timidezza. Apelle lo rappresentò in un famoso dipinto nelle vesti di Zeus con un colorito bruno e scuro. Ma Plinio dice che il pittore aveva stabilito il principio teorico di “nascondere i difetti”, soprattutto quando ritraeva gli uomini famosi e potenti. Non sappiamo neanche quale fosse il vero colore dei suoi capelli, che pettinava colla scriminatura centrale, e, a differenza del padre e dei suoi conterranei, rasava accuratamente la barba. L’unico ritratto certo è nel citato mosaico conservato a Napoli, in cui lo si vede a cavallo, colla lancia ben ferma nella mano, avanzare deciso contro il carro di Dario. Ha i capelli rossicci e ondulati, gli occhi grandi e scuri un po’ inclinati verso il basso, il naso forte e leggermente adunco e la bocca piccola e contratta nella foga dell’azione e per lo sforzo. Sono gli stessi tratti che riconosciamo nell’affresco di Boscoreale in cui si profetizza il suo avvento sul trono dell’Asia. Molti particolari, in queste due immagini, discordano con i ritratti lisippei o col mosaico di Pella in cui è raffigurato nudo e giovane mentre caccia un leone. È difficile anche stabilire una somiglianza col padre. Molte fonti attendibili testimoniano che tra i due vi erano pochi tratti in comune. Anch’egli, quindi, come altri sovrani dopo di lui, volle diffondere di sé stesso un’immagine ben diversa da quella reale e cambiò spesso abito e stile. Adottò senza esagerare i costumi orientali, si travestì da Eracle o da Dioniso e in Egitto vestì con i simboli e gli abiti del faraone. Il suo genio era poliedrico così come il suo aspetto, difficilmente assimilabile all’eroe alto, biondo, dagli occhi cerulei qualche anno fa propostoci da un bel film a lui dedicato.
Filippo II, il padre
Il padre di Alessandro, Filippo II, era nato nel 382 a.C. a Pella, terzo figlio del re Aminta III, ed aveva poche speranze di salire al trono. Da giovane aveva vissuto a Tebe, forse nella casa paterna di Epaminonda, e aveva avuto modo di apprendere le più avanzate tecniche belliche. Per una serie di favorevoli circostanze divenne reggente della Macedonia nel 359 all’età di 22 anni; uno dei primi affari a cui si dedicò fu la riforma dell’esercito, e alla potenza della falange sommò l’impeto e la velocità della cavalleria. Con questi strumenti Filippo, dopo avere ampliato il suo regno nei Balcani e verso la Tracia, volse la sua attenzione alle antiche città della Grecia. Si mosse con grande prudenza, ed anche con un certo reverenziale timore nei confronti di Atene. Finanziava un po’ tutti, in particolare i partiti a lui legati, quello di Atene capeggiato da Eschine, e minava sottilmente alla base le antiche democrazie. Da buon stratega aveva capito l’importanza del dominio sugli stretti, i Dardanelli e il Bosforo e, avendo esteso il regno fino alle sponde del mar di Marmara, stava sottraendo ad Atene gli alleati indispensabili per mantenere il dominio sul mare.
Olimpiade, la madre
Olimpiade, la madre del nostro eroe, fu la quarta moglie di Filippo: si conobbero nel 357, a Samotracia, al santuario dei Grandi Dei. Lei, principessa dell’Epiro, il regno dei Molossi, era una donna dal carattere prorompente e volitivo. Una baccante, capace di amare e di uccidere con bruciante passione. Partorì Alessandro a Pella, il 6 di Ecatombeone, cioè il 20 o il 21 del mese di luglio. La sua nascita fu annunciata da diversi prodigi: il tempio di Artemide ad Efeso prese fuoco, il padre Filippo, dopo un lungo assedio, conquistò Potidea e i suoi cavalli vinsero ad Olimpia. Secondo Plutarco fu lei, offesa dal marito e temendo per la legittima successione al trono del figlio, ad organizzare l’assassinio di Filippo, avvenuto nel teatro di Ege (Verghina) nel 336 a.C. Olimpiade sopravvisse al figlio e con grande coraggio combatté, contro le mire di Cassandro, per difenderne la moglie e la progenie.
Al Granico
Al Granico, i satrapi dell’Anatolia erano tutti in prima linea. L’ala destra della cavalleria era comandata da Memnone il rodio. Poi c’era Arsame, satrapo della Cilicia; quindi Arsite con i Paflagoni e infine gli Ircani con Spitridate. Al centro vi erano cavalieri di varia nazionalità, duemila dei quali provenienti dalla Bactriana, al comando di Reomitre; all’ala destra i Medi. La fanteria era schierata di riserva in seconda linea. Tra questi spiccavano duemila mercenari greci. I Macedoni erano così disposti: all’ala destra sette squadroni di cavalleria degli eteri, con gli arcieri, al comando di Filota, i prodromi e lo squadrone di cavalleria di Socrate. Seguivano gli ipaspisti, armati di spada, affidati a Nicanore, il fratello di Filota, i pezeteri (cioè la fanteria) guidati da Perdicca, Ceno, Cratero, Aminta e Meleagro. All’ala sinistra la cavalleria tracia e tessala. I due eserciti più o meno si equivalevano. Alessandro non fu il primo a varcare il fiume. Prima di lui le unità speciali – il piccolo battaglione dei prodromi, i Peoni e lo squadrone di Socrate – ebbero il compito di scompaginare le file dell’esercito nemico, attestate sulla sponda opposta del fiume. La loro funzione era quella di aprire alcuni varchi nelle file avverse e di preparare il terreno per la decisiva carica del loro re. I Macedoni gridarono in coro “Enualio!”, per incoraggiare gli arditi che attraversavano la rapida corrente sotto i dardi e i giavellotti nemici. I due battaglioni soffrirono non poco e molti soldati furono uccisi, tranne quelli che ripiegarono verso Alessandro che, vista la situazione, si gettò nell’acqua con l’ala destra del suo schieramento, i fedeli eteri, e raggiunse rapidamente l’altra riva. Divampò la battaglia. Demarato di Corinto combatté fianco a fianco con il giovane re e con lui Aretis, il suo staffiere. La lancia si spezzò nel terribile scontro e il re dovette presto chiederne un’altra. Nella mischia gli sembrò di vedere Mitridate, il genero di Dario, cavalcare in avanscoperta con uno squadrone di cavalleria disposto a cuneo. Alessandro l’affrontò, disarcionandolo. Ma i due quasi si equivalevano per coraggio e maestria. Il nobile persiano Resace a sua volta colpì il Macedone con un fendente, e quasi gli spaccò l’elmo, secondo Plutarco gli infranse la corazza. Alessandro reagì con prontezza leonina e lo trafisse con la lancia. Nel frattempo, alle sue spalle, nella mischia, era accorso Spitridate, pronto a vibrare un colpo fatale. L’avventura d’Asia rischiava di naufragare in quell’istante. Ma Clito il Nero, accortosi del pericolo, giunse in aiuto del re. Impugnò a due mani la spada e tranciò la mano al satrapo nemico. Di quel gesto si poté vantare per lungo tempo con compagni e amici, ma la sua insistenza esasperò Alessandro che, in un momento di cieca rabbia, trucidò l’amico che l’aveva salvato.
Egitto
L’Egitto fu una prova molto dura per le salde e semplici convinzioni dei Macedoni. Non dovettero combattere contro nemici forti e ben armati, ma piuttosto confrontarsi con idee molto diverse dalle loro. Si trovarono immersi in una delle più antiche civiltà del mondo e quell’anno di sosta, tra il 332 e il 331 a.C., li trasformò profondamente. Il primo a subire la malia dei luoghi fu proprio Alessandro. A Menfi fu accolto dai sacerdoti dei grandi santuari e nel tempio di Ptah fu incoronato faraone. I sacerdoti e le classi dominanti avevano le idee ben chiare. Il Paese sarebbe restato unito e pacifico solo a determinate condizioni, che Alessandro accettò. Doveva rispettarne la religione, gli usi e i costumi. Lasciare ai sacerdoti il loro potere e le loro ricchezze e occuparsi solo dell’ordine interno e della difesa dei confini. Secondo Curzio Rufo, un rodio di nome Eschilo e il macedone Peuceste furono nominati governatori del Paese e a Polemone fu affidato il compito di difendere, con una piccola flotta, le fortezze poste alle bocche del Nilo. Due egiziani, Doloaspi e Petisi, assursero a nomarchi, cioè reggenti dei due regni. Ma Petisi presto rinunciò all’incarico e tutto il potere amministrativo rimase nelle mani di Doloaspi. Non si hanno notizie sui due egiziani prescelti ma il nome Petisi richiama un altro notissimo personaggio: si tratta di un sacerdote di Amon-Ra, Petosiris, la cui tomba è uno splendido esempio di fusione dello stile egizio e di quello greco. Nella sua autobiografia il grande sacerdote narra di essere vissuto in un’epoca di estrema turbolenza, quando il Paese, retto da Nectanebo II (nelle fantasie del Romanzo di Alessandro il vero padre del Macedone), era libero dalla dominazione persiana. Poi, nel 352 a.C., le armate di Artaserse al comando di Mentore e di Bagoa costrinsero il faraone a fuggire nell’estremo Sud. L’eroe macedone si presentò come un pacificatore e spostò ad Alessandria, da lui fondata, tutte le attività economiche e commerciali, lasciando l’Egitto vero e proprio nelle mani delle aristocrazie sacerdotali.
Gaugamela
La notte prima della battaglia Alessandro aveva a lungo ripassato i suoi piani e solo all’alba era andato a dormire. Come ultimo gesto pubblico aveva compiuto un sacrificio al dio della paura, Fobos. L’esercito persiano, composto da tanti diversi popoli, aveva tre principali punti di forza: la cavalleria, i carri falcianti e gli elefanti, non però in numero sufficiente per determinare le sorti dello scontro. Sul lato sinistro agiva la cavalleria bactriana, comandata da Besso, e sul destro quella persiana, affidata a Mazeo. Al centro operavano gli Immortali, i migliori guerrieri del Re dei Re. Il piano di Alessandro prevedeva una penetrazione degli eteri a cavallo, ai suoi diretti ordini, verso il centro dell’armata nemica. La sua azione doveva scattare fulminea dopo le prime cariche dei Persiani, che avrebbero sbilanciato in avanti l’esercito di Dario, lasciando dei possibili varchi di penetrazione. Frattanto Parmenione con i Tessali avrebbe dovuto riposizionarsi in diagonale e resistere alla carica dell’ala destra, comandata da Mazeo, mentre la falange macedone, dopo avere resistito all’attacco dei carri, avrebbe tenuto sotto pressione il centro dello schieramento nemico. La vittoria richiedeva tempismo ed intuito e un perfetto affiatamento tra gli eteri. Le cose andarono più o meno come lui aveva previsto e la fortuna, come in molte battaglie, aiutò i Macedoni. Le sorti dello scontro rimasero sospese per lungo tempo e la situazione si chiarì solo dopo la fuga precipitosa di Dario. In quello stesso frangente, però, Parmenione, sull’ala sinistra, stava per cedere e chiese aiuto ad Alessandro, che dovette abbandonare l’inseguimento di Dario e correre al galoppo verso quel lato del campo di battaglia. Nel mentre la falange era stata scompaginata dall’impeto dei cavalieri della guardia persiana che, per ordine di Dario, avevano proseguito la loro marcia fino all’accampamento macedone, al fine di liberare i membri della famiglia del re tenuti in ostaggio. I Greci avevano avuto così insperatamente il tempo di riorganizzarsi quando erano sul punto di soccombere. Fu una straordinaria ed inattesa vittoria. Dinanzi ad Alessandro si aprivano le porte dell’Oriente. Nessuno avrebbe contrastato la sua avanzata verso le splendide città di quella fertilissima terra.
La via della seta
Nel 328 a.C., Alessandro giunse a Maracanda (Samarcanda), nella Sogdiana. Proseguì di lì, declinando verso est, per raggiungere il fiume Iaxarte (il Syr Darya) dove fondò, nell’agosto del 329 a.C., la più lontana delle Alessandrie, Ultima, o Eschàte, che poi si è chiamata Leninabad. La città, situata nella parte sud occidentale della valle di Fergana (ora Chujand, in Tagikistan), ebbe vita lunga e gloriosa. Godeva di un’invidiabile posizione strategica e commerciale, sospesa tra due mondi: la Cina e l’Occidente. Furono soprattutto i cavalli di Fergana e i cammelli bactriani a incrementare gli scambi commerciali. L’imperatore Wu della dinastia Han definì quella razza equina con un termine felice: “cavalli celesti”. I discendenti dei Macedoni, che rimasero in quei luoghi, venivano chiamati dagli abitanti del celeste impero Da Yuan (i Grandi Ioni). Non erano nomadi, vivevano in città murate, ed erano divisi in tanti piccoli regni. Furono i primi a favorire il commercio della seta tra Oriente ed Occidente.
Roxane
In quella lontana regione viveva la bellissima Roxane, la prima moglie di Alessandro. Curzio Rufo racconta che lo straordinario sposalizio, reso eterno dal pennello del pittore greco Aezione, avvenne per un caso fortuito. Alessandro aveva preteso, come atto di omaggio, che i tre figli di un signorotto locale si arruolassero nel suo esercito. Questi organizzò un sontuoso banchetto all’uso orientale. Mentre i commensali stavano mangiando, fece entrare trenta nobili giovinette e tra queste la figlia del satrapo Oxiarte, Roxane. Appena Alessandro la vide provò per lei una fortissima attrazione e decise di sposarla. Plutarco afferma: “si trattò di una storia d’amore”. Ed aggiunge subito dopo: “perfettamente in armonia con i progetti politici di Alessandro”. Roxane non era particolarmente nobile. Ma la loro unione ebbe un enorme valore simbolico. Per avvicinare i vincitori ai vinti bisognava togliere agli uni la superbia e agli altri la vergogna, e quale altro messaggio, se non l’amore, poteva infrangere con un solo gesto le barriere della diffidenza?
La morte di Alessandro
Efippo d’Olinto, un compatriota di Callistene, scrisse un libello intitolato Morte di Efestione e di Alessandro, di cui sono rimasti pochi frammenti. Vi si vede Alessandro minacciato dalle ombre del crepuscolo. Siamo nel 324 a.C., il re si comporta in modo stravagante, porta gli abiti sacri agli dèi: “Talvolta il mantello di porpora, le scarpe e le corna di Ammone”; altre volte si veste da donna, come Artemide; o si mostra all’esercito in abiti persiani e ostentando un arco e una lancia; o ancora come Ermes con i sandali alati, il largo cappello e il caduceo nella mano. Molti altri commentatori riferiscono che nell’ultimo mese di vita Alessandro aveva rinunciato alla sua proverbiale sobrietà. Roxane era giunta agli ultimi mesi di gravidanza e da lì a poco sarebbe nato un figlio maschio, il sospirato erede al trono, che Alessandro non conobbe mai. Un giorno, Medio, uno dei più fidati tra gli eteri, lo invitò a partecipare ad un banchetto. Il re accettò. Seduti a tavola con lui c’erano anche Perdicca, Tolomeo, Olchio, Lisimaco, Eumene e Cassandro. Alessandro bevve smodatamente. Domandò una coppa colma di quattro litri di vino e la bevve in un sorso e si accasciò sul cuscino. Alcuni dicono che quello fu il vero motivo della morte, avvenuta dopo undici giorni. I Diari reali permettono di seguire con una certa precisione gli eventi. La festa di Medio durò circa due giorni. Quindi, dopo il malore, il re si riprese e rimase a bere con gli amici fino a notte inoltrata. Ma aveva già la febbre. Andò avanti così, tra alti e bassi, fino a che non gli andò via la voce. La notizia si sparse tra i soldati. Alessandro convocò tutti i fidati compagni nel palazzo imperiale, paventava disordini. I Macedoni, sicuri che alcuni nascondessero la verità, si radunarono intorno alle porte della reggia. Finalmente riuscirono ad entrare e sfilarono davanti al suo letto. Li salutò uno per uno, sollevando appena la testa. Dopo due giorni di agonia morì. Era il 10 giugno del 323 a.C., avrebbe compiuto 33 anni nel mese di luglio. “Era”, scrive Arriano, “di corpo bellissimo, amante delle fatiche; acutissimo di mente e coraggioso”. Il suo corpo mummificato fu portato in Egitto ad Alessandria, dove giacque in una tomba voluta da Tolomeo, figlio di Lago.
Imitatio Alexandri
Cesare, in Spagna, vedendo una statua di Alessandro si rattristò e gli amici lo videro piangere. Gliene chiesero il motivo ed egli rispose che l’eroe macedone alla sua età aveva conquistato mezzo mondo e regnava su infiniti popoli, mentre lui si affannava a combattere in Iberia. A Pompeo, il suo più acerrimo avversario, andò meglio. A poco più di 24 anni, le truppe lo acclamarono imperatore e Silla lo abbracciò e lo salutò a gran voce col soprannome di “Magno”. D’altronde avrebbe, nel corso della vita, ampliato i confini della Repubblica da un oceano all’altro e ne avrebbe esteso il dominio su tre continenti. Al suo terzo trionfo nel 61 a.C., quando aveva soggiogato la Media, la Mesopotamia, l’Armenia, la Siria e molti altri stati, non bastarono due giorni per fare sfilare le truppe, i vinti e gli elefanti. Lui e Cesare si contendevano la mitica eredità di Alessandro che a loro indicava la strada per divenire divini e cosmocrati, cioè imperatori del mondo. Il Macedone era riuscito lì dove molti altri, compreso il padre Filippo, avevano fallito. In Egitto i sacerdoti lo avevano venerato quale un dio sulla terra e l’oracolo di Siwa aveva confermato la sua diretta discendenza da Zeus. Anche gli imperatori romani dovettero coniugare gli opposti poli di un mondo diviso tra chi ammetteva che un regnante potesse essere divino in vita e chi non lo avrebbe in alcun modo accettato. Ottaviano fu quello che più di ogni altro individuò nel Macedone un modello ideale da imitare. Lo dichiarò esplicitamente e, quando giunse ad Alessandria, si recò sulla tomba dell’eroe, il famoso Soma, vi depositò una corona d’oro e la fece coprire di fiori. Quando gli chiesero se voleva vedere le tombe dei Tolomei, rispose “Volevo vedere un re e non dei morti”. A Roma Ottaviano, ormai divenuto Augusto, decorò il suo Foro con i dipinti di Apelle raffiguranti le vittorie di Alessandro. Per il suo Mausoleo utilizzò molto probabilmente i simboli e le immagini della tomba del Macedone i gruppi scultorei di Achille e Pentesilea e di Aiace ed Achille che aveva ammirato in Egitto. Dopo di lui fino ad Alessandro Severo tutti i sovrani, e in particolare Caracalla, in un modo o nell’altro ne seguirono le orme. Perfino Costantino, l’imperatore cristiano, che non poteva certo aspirare all’apoteosi in terra, esaltò l’humanitas di Alessandro. Virtù che, più della forza e della violenza, rende durature le conquiste e pacifica i popoli.
L’allestimento, dal colore dominante rosso intenso che rimanda a quello del celebre mosaico, è firmato da Andrea Mandara e per la grafica da Francesca Pavese. Il progetto di riproduzione dei paesaggi al tempo di Alessandro Magno realizzato nei giardini delle Camelie, delle Fontane e della Vanella è di Silvia Neri. La vita, le imprese, la fama che hanno trasformato in leggenda Alessandro sono raccontate dai curatori della mostra in un catalogo e in volume di saggi editi da Electa, riccamente illustrati da gran parte degli eccezionali reperti in mostra.
MANN- Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Alessandro Magno e l’Oriente
dal 29 Maggio 2023 al 28 Agosto 2023
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.30
Martedì Chiuso