Un rebus caravaggesco:
I Santi Quattro Coronati

alla Galleria Spada

 fino all' 8 maggio

di Pierluigi CAROFANO
 
Nel riordinare le carte contenute nel faldone relativo al pittore pisano Orazio Riminaldi (1593 – 1630) mi capita tra le mani una vecchia fotografia 'Cipriani' in bianconero della tela dei Santi Quattro Coronati oggi conservata al Museo di Roma (inv. Dep. UM1, olio su tela, cm 185x130). In origine questo interessante dipinto della seconda generazione dei caravaggeschi si trovava sull’altare maggiore dell’oratorio intitolato ai Ss. Quattro Coronati, patroni delle arti scultoree, annesso alla chiesa romana di S. Andrea in Vincis a Tor de' Specchi, sede dal 1623 della Confraternita dei Marmorai e Scalpellini.

Quest'edificio, dall'elegante facciata seicentesca, si trovava sul versante occidentale del Campidoglio, all'altezza dell'attuale via Montanara, e fu malauguratamente demolito nel 1929 durante gli anni del fascismo.
L'inatteso ritrovamento della fotografia mi ha fatto tornare alla memoria l'invito a visitare una suggestiva esposizione (2 dicembre 2016 – 8 maggio 2017) nella prestigiosa Galleria Spada dedicata proprio ai Santi Quattro Coronati e di poter finalmente studiare con agio una tra le opere più enigmatiche del caravaggismo.
Dotata di un pedigree di tutto rispetto, i Santi Quattro Coronati hanno goduto per molto tempo della prestigiosa attribuzione allo stesso Caravaggio, facendo leva su un'iscrizione apocrifa presente in basso a sinistra: “Caravaggio/Pin.An 16[/]0/Restaurat.An 1781”.
A quell'iscrizione credettero  due pilastri della storia dell'arte del Novecento come Lionello Venturi (1912, 1921, 1925) e Bernard Berenson (1950), fidandosi malauguratamente anche di un’incisione del Bombelli del 1793 (su disegno di Giuseppe Cades) che la assegnava appunto al Merisi.
Da quel momento in avanti non c'è stato studioso caravaggesco che non si sia misurato con quello che a tutt'oggi costituisce un autentico rompicapo attributivo: Francesco Rustici per Roberto Longhi (1928) e Pericoli Ridolfini (1969), l'immancabile Tommaso Salini per Hermann Voss (1923), Luigi Salerno (1952), Nicolson-Vertova (1990), Vittoria Markova (1989, 2012), Gianni Papi (1989) ed Emilio Negro (2003).

Intendiamoci, il valore di quest'opera non si risolve certo nella spasmodica ricerca del nome del suo autore, ma la pattuglia dei 'classificatori' si è particolarmente accanita intorno a questa tela, rivitalizzando una pratica fondamentale della storia dell'arte, quella del conoscitore, senza la quale qualsiasi passo successivo rischia di essere vano o quantomeno fallace.
Restaurata nel 2003 , fu nell'occasione studiata dalla dottoressa Isabella Colucci (I Santi Quattro Coronati nelle vicende artistiche della confraternita dei marmorai, in “Bollettino dei musei comunali di Roma”, 17, 2003, pp. 162-186) che ne ripercorse le vicende storico-artistiche-documentarie, datandola tra il 1626 e il 1627, ma senza giungere all’identificazione dell’autore.
Debbo proprio alla squisita cortesia della dottoressa Colucci la mia conoscenza de visu con i Santi Quattro Coronati che mi parvero subito estranei al fare di Orazio Riminaldi, stante l'abissale differenza con le tele acclarate del pittore pisano.
Tuttavia, nonostante i miei dubbi manifestati in quell'occasione, con l'attribuzione ad Orazio Riminaldi essa fu presentata nella memorabile mostra 'koellikeriana' Caravaggio e l'Europa (Milano, Palazzo Reale, 2005, in Caravaggio e l’Europa. Il movimento caravaggesco internazionale da Caravaggio a Mattia Preti, a cura di L. Spezzaferro, Milano 2005, pp. 448-449, n. VII. 7).
Nella scheda del catalogo che accompagnava l'esposizione milanese, la Colucci sottolineava come “la resa perlacea degli incarnati, il modo di interpretare il rapporto luce-ombra, la gestualità e l’espressione dei volti raccolti e dignitosamente risolti in una continenza priva di ogni accenno drammatico, l’eleganza connotante la composizione […] rivelano i caratteri di un caravaggismo interpretato da un sensibile ancorché raffinato pittore toscano già ampiamente rilevati da Longhi”. In forza di queste considerazioni la studiosa la assegnava a Riminaldi, in base anche a presunte analogie con le opere romane del pittore pisano, come il Martirio dei santi Nereo e Achilleo della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini [fig. 2].
Tuttavia, il riferimento a Riminaldi non è convincente, anche se alcune soluzioni anatomiche come il trattamento dei piedi orlati da sottili filamenti di luce evocano in effetti certe scelte del maestro pisano.
Stando ai documenti l’altare in S. Andrea in Vincis fu eretto intorno al 1628, periodo in cui andrebbe collocata anche l’esecuzione della tela. E, a questo proposito, non va sottovalutato il fatto che a quella data Orazio Riminaldi era già tornato in patria e Tommaso Salini deceduto.
Non credo neanche alla possibilità che si tratti di un'opera di Antonio Galli detto 'lo Spadarino' come vorrebbe l'amico Franco Paliaga mentre si basano su elementi decisamente fragili le pur interessanti  considerazioni del dottor Gianni Papi che la vorrebbe uscita dai pennelli del cosiddetto 'Maestro di Baranello' (Papi 2009), un artista (o più artisti?) dal corpus estremamente volatile.
Molto ci sarebbe da dire anche sulla singolare iconografia adottata dall'anonimo artista: i quattro martiri hanno le mani legate e si danno le spalle mentre ai loro piedi sono visibili gli strumenti da lavoro (uno scalpello, una squadra, un busto). L'azione è tutta concentrata sul momento che precede il martirio voluto da Diocleziano, che punì questi scalpellini della Pannonia (sembra cinque e non quattro sulla base dei martirologi) per non aver scolpito idoli pagani.
Ora che sarà possibile studiare i Santi Quattro Coronati  con tutta calma sarebbe auspicabile che la dott.sa Adriana Capriotti, ottima direttrice del museo promuovesse una tavola rotonda aperta a tutti gli storici dell'arte di buona volontà: siamo nel periodo natalizio, magari è la volta buona.
 
p.s. per la bibliografia estesa si rimanda a P. Carofano – F. Paliaga, Orazio Riminaldi 1593 – 1630, Soncino 2013, p. 170, cat. 25.
 
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