In Italia, com’è noto, si registra un’altissima concentrazione di beni storico-artistici mobili e immobili. Purtroppo occorre osservare che in termini di valorizzazione si giace ad uno stato ancora primitivo, nonostante questi beni siano tra le poche risorse reali del nostro paese.
Senza andare molto lontano basti pensare alla Francia che con i Castelli della Loira organizza un indotto turistico, in termini di comparazione con il nostro paese, dieci volte superiore in relazione all’offerta.
Il petrolio dell’Italia è la ricchezza racchiusa nel nostro patrimonio artistico che non riusciamo a valorizzare, anzi, lo ignoriamo o lo abbandoniamo. Eppure, se si vuole, con le persone giuste al posto giusto qualcosa si muove. Tanto per fare un esempio, nel 2010 la mostra su Michelangelo Merisi da Caravaggio alle Scuderie del Quirinale ci ha insegnato che le cose ben organizzate portano turismo, occupazione e denari nelle casse dell’erario. La mostra ha attirato centinaia di migliaia di persone che hanno prenotato dall’estero, oltre che da tutta Italia, con file interminabili per accedervi. La fila alle Scuderie è stata continua per tutti i mesi dell’esposizione e addirittura l’ultimo giorno della mostra è durata tutta la notte per l’apertura straordinaria. Si rivivranno altre esperienze simili in termini di pubblico e di ritorno economico? Me lo auguro per Roma e l’Italia che ha bisogno di risorse e di lavoro: non dimentichiamo che le migliaia di persone che hanno soggiornato in città portavano denari da spendere.
Quale può essere il futuro di un paese che lascia distruggere la propria memoria storica anziché farne uno strumento di conoscenza e diffondere la cultura?
Sulle pagine dell’inserto domenicale del Corriere della Sera La lettura (13/5/12) Nicola Spinosa, ex Sovrintendente del Polo Museale di Napoli e grande organizzatore di eventi culturali, insignito della massima onorificenza franese, la Legion d’Onore, lancia l’ennesimo allarme sul disfacimento di un patrimonio artistico, e non solo quello delle arti figurative ma di tutto quanto rappresenta il genio passato di italiani e di stranieri che nella nostra patria hanno generato opere che oggi sono parte integrante del nostro patrimonio nazionale. La crisi, accusa Spinosa, a causa delle risorse sempre più esigue, rischia di spazzare via il patrimonio meno pubblicizzato e estraneo ai circuiti mediatici, ghettizzando tutta quell’arte che fa meno notizia.
Il problema reale, di questo paese che ignora e non valorizza le proprie risorse lasciandole distruggere, sta in primo luogo in un regime fiscale di autentico sfavore. Perché non consentire ai privati che restaurano opere proprie o a quelli che contribuiscono per quelle pubbliche un regime fiscale che gli permetta adeguate detrazioni? Una riforma fiscale sul restauro e la conservazione dei beni d’interesse storico e culturale a favore di chi impiega capitali propri consentirebbe da un lato allo Stato di risparmiare risorse, dall’altro favorirebbe investimenti da parte di italiani e anche di stranieri pronti ad aprire i propri portafogli, e, in ultima istanza, consentirebbe in questo settore uno sviluppo economico derivato dai cantieri che si potrebbero aprire con conseguente incremento di lavoro in un settore in sofferenza.
Un provvedimento così salutare per la conservazione del patrimonio pubblico e privato potrebbe costituire un deterrente all’evasione fiscale e rivitalizzare un settore economico del nostro paese a lungo trascurato e che in questo momento storico non può essere ignorato. I visitatori del nostro sito sono invitati con delle mail a inviarci proposte e suggerimenti.