di Maria Cristina Bibbi


Il 27 Settembre sarà inaugurata al Museo d’Arte di Mendrisio una grande retrospettiva dedicata al peintre français André Derain, che rimarrà di scena fino al 31 Gennaio 2021.
 
La mostra di André Derain
La mostra curata da Simone Soldini, Francesco Poli e Barbara Malacrida, presenta grazie alla collaborazione degli Archivi André Derain ed ai prestiti di alcuni prestigiosi musei francesi, 70 dipinti, 30 opere su carta, 20 sculture, 25 progetti per costumi e scene teatrali, illustrazioni di libri e alcune ceramiche, che ripercorrono gli aspetti dell’instancabile ricerca, della creatività dirompente e dell’attività eclettica di questo importante protagonista del Novecento, definito dalla scrittrice e poetessa statunitense Gertrude Stein il “Cristoforo Colombo dell’Arte Moderna”.
Per ciò che concerne la pittura, si cercherà di analizzare in particolare l’evoluzione delle tematiche e delle sperimentazioni stilistiche, mentre l’attività scultorea, anche se più esigua, verrà sottolineata con un insieme di opere di una primordialità basilare e lineare, che risentono dell’influenza dell’arte primitiva e dei “riaffioramenti” dell’era preistorica ("Femme au long cou" 1938, bronzo); verrranno così messe in luce le incredibili capacità di questo artista a tutto tondo.
 
La vita di André Derain
Derain nasce nel 1880 a Chatou, cittadina che si estende lungo la Senna, dove l’impressionista Renoir ambientò “la Colazione dei canottieri”. André viene descritto come un big boy di elevata statura, longilineo, con i moustache long e thin, gli occhi da gatto spensierati e sbarazzini ed un chapeau rouge sul capo.
Inizia in “tenera erba” il suo chamin en peinture, sotto la guida di uno stravagante maestro di nome Jacomin, con il quale organizza dei pianeggianti outdoors diurni e notturni insieme ad altri allievi, durante i quali si abbandonano a dei “colpi di colore” (“E andavamo a dormire con una pace nell'animo, che dopo di allora non ho mai più provato” cit.Derain).
Queste sgargianti escursioni “coloristiche” ricordano per la rilassante e rasserenante atmosfera i “Baci di sole” (1908), dipinto dal divisionista Nomellini, un caleidoscopio, che racchiude un variegato “soffio” di cangianti rifrazioni cromatiche e ci regala un raggio di ottimismo.
Più avanti dipingerà insieme al fauvista Matisse dei paysages marins a Collioure, petit port nel sud della Francia: i vivaci ed infuocati colori mediterranei dalle sfumature calde del bruciato e del ruggine (L’Estaque, 1905) stregano André (“i colori diventano cartucce di dinamite e fanno esplodere la luce” cit.Derain). Del resto come affermato dallo stesso pittore “l’essenza della pittura è luce”. Qui avrà modo di sperimentare anche il “puntinismo ad effetto mosaico” con l’opera “Il ponte di Waterloo”, 1906, dai riflessi luccicanti, nel quale il colore delinea una struttura, che si staglia sull'acqua ed ha un ruolo preponderante rispetto all'edificio del Parlamento. Uno stile che combina l’ampiezza delle superfici con la pienezza delle cromie. Il risultato è di grande impatto estetico e mette in risalto la capacità optical del colore di creare spazio. Probabilmente fonte di ispirazione del soggetto sono state le opere di una sublimità impalpabile ma al contempo tangibile del paesaggista inglese William Turner, viste alla Tate Gallery di Londra durante un viaggio nel 1904. La tela che presenta più affinità con il quadro di Derain è il “Tamigi visto dal ponte di Waterloo”, un vero e proprio bloom mix match of colours.
Negli anni a seguire conoscerà il brioso pittore Vlaminck dalla statura gigantesca e dall'incontenibile ed entusiastica gestualità, accentuata da una scossa gioiosa di self-confidence unita ad un tono fauvista (“bisogna dipingere con il cobalto, vermiglione e veronese puri!”, ineggiando così ad un “rimbalzo” delle varie tonalità ovvero ad una vibrant rebellion) e consolida il sodalizio con il serio e rispettabile Matisse. Condividerà con entrambi una lunga amicizia. I due artisti lo liberano dalla retorica delle forme e lo portano a introdurre nella composizione l’instabilità, rialzando in modalità over la linea dell’orizzonte, facendo largo uso di primi piani e riprendendoli da angolature inattese: i tagli sono fluidi come le onde e si stagliano su lucenti smeraldi e su deep blue electric mescolati a brillanti, vibranti e vitaminici tocchi di giallo papaya sovrapposti a compatte e pacate tonalità senape.
Non mancano le esclamazioni del tipo: “Questo colore mi ha fottuto!”. In tutto questo l’estroso Derain mantiene però “l’elegante e pulita” armonia classica di composizione e rispetto a Vlaminck e Matisse è più misurato, luminoso e sereno. Attraverso le sue opere, contornate da un'allure positivo, traspare un’accecante serenità, nonostante i vivi multicolours ad alto contrasto utilizzati. Lo spazio di un candore lampante riverbera immagini, segni e tracce, affondi psicanalitici (i ritratti di Derain richiamano le spigolosità e affilatezze delle opere di Otto Dix, nonché l’acume e l’astuzia dei personaggi di Max Beckmann o ci regalano una ventata di aria fresca, miscelata a sfumature pink color fenicottero con la matissiana Donna in camicia e talvolta anche delle suggestioni perturbanti).
 
Lo stile di André Derain
L’artista opera su di una eclatante esaltazione della "cezanniana” decostruzione cromatica della forma (Paysage du Lot, 1912), lasciando che il segno diventi lineare e sommandosi ad una miriade di saturi ma descrittivi, nonché audaci toni ardenti ed esuberanti, si avvicina a quello caricaturale di una vignetta o di un fumetto, precorrendo così il graffitismo pop. La stesura pittorica è realizzata con larghe, pastose ed arbitrarie pennellate flou, che mettono in risalto accesi contrasti con accostamenti di toni hot and cold: il risultato è una visione di Derain, che porta in chi l’osserva un’iniezione di allegria e di “spritzante” energia. Nel suo animo c’è meno idealismo rispetto al Fauvismo e più naturalismo, nato dall'integrazione del suo cromatismo con elementi della pittura seicentesca caravaggesca, ma mantenendo tuttavia salda la caratteristica estetica dei fauves.
E noi viviamo tutto questo, come se ci ritrovassimo catapultati a Fantasy Island, dove i paesaggi di André Derain sono invasi da marcate geometrie astratte, che si ormeggiano all'oggettività delle stondate forme figurative, sulle orme del simbolismo naif e dello stile tropical con il suo jungle mood del doganiere Rousseau (“non so se voi siete come me, ma quando entro in quelle serre e vedo quelle strane piante di Paesi esotici, mi sembra di entrare in un sogno” cit. Rousseau). Piante a go-go vistose ed esotiche, che portano ad una ricerca di sinergia con la natura, annessa ad un bisogno di passare dalla propria realtà ad una dimensione incontaminata, da cui il pittore di Chatou rimane estasiatamente affascinato.
Al giorno d’oggi a seguito di incendi e roghi di foreste amazzoniche ed australiane il nostalgico effetto “giungla” (tra cui foglie di palma, felci e animali selvatici ed indomiti capaci di trasmettere una carica di entusiasmo e dinamismo) sta dilagando, aprendo un varco dinanzi agli occhi e nel tratteggio delle stylos dei designer.
Derain viene anche ammaliato dal tratto carismatico e quid esotico del traveller Gauguin: rispetto a quest’ultimo però ammorbidisce i contrasti chiaroscurali, rimuovendo le traboccanti colorful fauviste. L’osservazione delle opere dell’artista “tahitiano” come quelle sospese tra cielo e grano dell’esistenzialista impressionista Van Gogh, si riveleranno utili per capire, “da dove vengono le cose e dove vanno”.
 
L'armocromia classica di André Derain
Da li a poco sarebbe infatti corso l’anno 1904, durante il quale Derain è considerato il più promettente genio pittorico in circolazione. Agli inizi dell’estate del 1905 scriverà a Matisse: “bisogna riformare il concetto di armonia, che ci fa credere, che per essere armoniosi, si deve essere grigi, ovvero presentare una superficie unitaria, liscia e senza bruschi soprassalti”. La sua intenzione è quella di creare “un'armocromia”. Come il modello d’abito si adatta al corpo, il colore si deve adattare alla carnagione, ai nostri capelli e ai nostri occhi o, come nel caso di Derain, ai suoi baffi. Eh si, perché una vita in bianco e nero non affascina come in un film.
André questo l’ha capito e studia intensamente, audacemente e con esuberanza i colori, “shakerandoli”, evidenziandoli e armonizzandoli nella maniera classica (“penso molto ai classici”). Fin dagli esordi l’artista è infatti “ossessionato” dalla lezione dei grandi del passato: è per questo che la sua pittura viene contaminata dai vigorosi echi delle ardite lezioni dei maestri rinascimentali, impossibili da dimenticare e da non citare. Un ritorno alle forme classiche comune a molti artisti tra cui Picasso, Severini e De Chirico e allo stesso Balthus rivoluzionario e celatamente accademico al tempo stesso, considerato il “discepolo” più autentico di André: di quest’ultimo realizzerà un conturbante ritratto.
Pur mantenendosi ad una certa distanza, Derain diviene compagno di strada di un Cubismo, nel pieno di un periodo di incubazione negli atelier di artisti a lui vicini tra cui Braque, a cui è anche legato da una fraterna amicizia.
 
L'esposizioni di André Derain
Le sue prime importanti esposizioni che risalgono al 1905 al Salon d'Automne di Parigi e al Salon des Indèpendants, si collocano fra i Fauves (selvaggi), definiti “belve” da un critico malevolo. André sprigionerà tutto il suo eclettismo e portentoso bagage artistique nei disegni e nei modelli delle bizzarre macchine volanti, che ricordano quelle del genius Leonardo da Vinci. Quest’ultimo ci promise il cielo, ma solo Raffaello “il divin pittore” ce lo diede (cit.Picasso). Successivamente a partire dal 1911, l’artista francese tornerà ad impiegare l’uso del chiaroscuro e della prospettiva, rendendo così i suoi dipinti più classici e tradizionali, fino a quando la sua produzione pittorica verrà interrotta bruscamente da un incidente, che si rivelerà fatale per la sua vita.
 
Il pezzo di cielo blu di André Derain
Durante il ricovero in ospedale gli viene chiesto, quale regalo gli avrebbe fatto piacere e André Derain risponderà: “un pezzo di cielo blu”. Ed è proprio questa sua irrefrenabile voglia di spaziare con lo sguardo nella striscia color pastello dell’infinito e il gioco visivo fatto di sovrapposizioni, incastri, accostamenti e sviluppi inattesi, che traspare dai suoi quadri, ampliandosi a vista d’occhio, ad aver spalancato la sua mente a soluzioni creative fresche ed ariose. Variegate sfaccettature creano un percorso armonico, che a sua volta forma un disegno ricco di sfumature, così com'è l’animo umano. Sconfinare è la parola d’ordine, come uno straniero che attraversa la frontiera. Il trascorrere delle stagioni, la mutazione delle cromie in rinnovate armonie, è fonte di emozioni profonde nelle anime aperte allo stupore del cosmo. Il colore rompe gli schemi, ridisegna i canoni e stravolge le regole in un moto perenne e continuo. “Per questo l’arte non può essere moderna, l’arte appartiene all'eternità” (cit. Egon Schiele). Come quella di Derain.
 
Info
Andrè Derain
Sperimentatore controcorrente
Museo d’arte Mendrisio
27 Settembre 2020 – 31 Gennaio 2021
https://museo.mendrisio.ch/prossime-mostre/
Ufficio Stampa: Lucia Crespi
Mail: info@luciacrespi.it
 
imm. 1.Donna in camicia.
imm. 2. L'Estaque.
imm. 3. Ponte di Waterloo.