I dipinti di Antonello saranno accompagnati da un
nucleo di ritratti (ma contenuto, a quanto annunciato)
opera di artisti contemporanei, che dovrebbe permettere una riflessione a vasto raggio e decisamente trans-epocale su questo genere pittorico. I costi dell’impresa, secondo i dati forniti dalla provincia, si aggirerebbero - tra assicurazione e trasporto delle opere, vigilanza, comunicazione e addentellati vari - sul milione di euro, spicciolo più, spicciolo meno. Pubblico stimato, circa 100.000 visitatori. Coda inevitabile di polemiche politiche e anche istituzionali, con interrogazioni dell’opposizione al Presidente della Provincia Pacher (con delega alla Cultura) e brontolii del Direttore del Castello del Buonconsiglio di Trento, Franco Marzatico, che rivendica la maggiore pertinenza della mostra (e come dargli torto) al suo meraviglioso museo-monumento.
Si tratta di una strana notizia, in effetti, difficile da valutare e commentare. Una notizia che, in verità, si accoglie non senza una certa stupefazione: un museo di arte contemporanea a Rovereto che organizza una mostra su un pittore siciliano del Quattrocento… Detta così, fa un effetto fuori sincrono e lievemente surreale, a metà tra una commedia di Flaiano e una canzone di Elio e le storie tese: niente, comunque, che, almeno al sottoscritto, dia la sensazione di un evento dotato di un suo fondamento “scientifico”, o, semplicemente, che sembri scaturire da un progetto pensato e motivato.

Naturalmente per giudicare la mostra bisognerà sapere, innanzitutto, quanti e quali saranno i dipinti di Antonello (si legge del
Ritratto del Museo Mandralisca di Cefalù e dell
a Vergine Annunciata della Pinacoteca di Palazzo Abatellis a Palermo: che non è un ritratto proprio in alcun modo, ma che, scommetto, finirà per campeggiare come sempre sulla copertina del catalogo); e poi, non meno rilevante, quanti e quali saranno i dipinti contemporanei (selezione che, eventualmente, potrebbe aiutare a giustificare meglio il ruolo da protagonista di Antonello). E poi, va da sé, bisognerà vederla e leggerne il catalogo.
Il
MART è un’istituzione che nel periodo successivo al trasferimento nel monumentale edificio di Mario Botta, nel 2002, ha saputo conquistare una grande credibilità internazionale e mettere insieme una collezione di arte del XX secolo di assoluto rilievo, per lo più attraverso un’oculata e lungimirante politica di
prestiti a lungo termine.
Com’è noto il museo ha cambiato direttore alla fine del 2011, sostituendo l’iper-intraprendente
Gabriella Belli, indirizzata a governare i Musei Civici di Venezia, con
Cristina Collu, uscente dalla lunga esperienza al MAN di Nuoro, che si è trovata, come pressoché tutti i suoi colleghi direttori di museo, a fronteggiare
tagli ai fondi pubblici che per l’anno in corso hanno assunto proporzioni impressionanti, nonché un
sensibile calo dei visitatori del MART.
È chiaro che in simili circostanze è necessario rimboccarsi le maniche e ingegnarsi per capire come fare di necessità virtù. Per permettere la degna sopravvivenza di un museo e garantirgli un minimo di attività interessanti ci sono poche strade da prendere:
concepire piccoli eventi molto meditati, imperniati sulle collezioni permanenti, con pochi prestiti mirati, un’offerta didattica accurata e soluzioni espositive possibilmente brillanti;
inserirsi nel circuito delle mostre internazionali itineranti, selezionando eventi di medio taglio che siano di valore e possano avere anche buoni riscontri di pubblico; oppure perseguire
la via delle “grandi mostre”, di ampio impatto spettacolare, e mettersi a cercare finanziamenti privati. È evidentemente quest’ultima la strada imboccata nel caso del
progetto su Antonello da Messina.

Che, in generale, non mi sembri la strada migliore da percorrere lo si sarà intuito; che poi, in particolare, il MART la indirizzi verso le sublimi tavole di Antonello rappresenta a mio avviso un’applicazione assurda e perniciosa di questa discutibile opzione (a maggior ragione non risultando che Antonello costituisca una fonte primaria di ispirazione per alcun grande maestro della ritrattistica moderna). È peraltro appena il caso di ricordare, a margine di queste riflessioni, che una monografica forte del
corpus quasi completo del sommo pittore siciliano fu ospitata appena nel 2006 alle Scuderie del Quirinale (
nemo propheta in patria), con il crudele e autoritario trasloco per quattro mesi a Roma di tutte le opere siciliane, ivi comprese pale d’altare in condizioni tragiche di conservazione come l’
Annunciazione di Siracusa o il
Polittico di Messina, o, uscendo dalla Sicilia, il
Cristo sorretto dagli Angeli del Museo Correr di Venezia.
Non vorrei nemmeno soffermarmi troppo sul caso specifico per non perdere di vista il nocciolo generale della questione, che l’
affaire Antonello-MART serve solo a far emergere nei termini più flagranti e che mi limiterò qui a enunciare, a beneficio di una più ampia discussione: la
politica delle mostre d’arte è diventata, in molti casi, un mostro lanciato verso il nulla, una macchina priva di cervello che procede
senza progetto,
senza presupposti di metodo,
senza valori e obiettivi chiari (tranne il miraggio del rientro economico), in grado di partorire le forme di vita più sconclusionate senza che nessuno debba mai render conto a qualcuno. Perché la storia dell’arte, purtroppo, è fatta così.
Luca Bortolotti, 10/06/2013