Antonello nasce a Messina nel 1430. Le frammentarie notizie documentarie a noi pervenute si riferiscono prevalentemente alla sua attività artistica, che si sviluppa tra la Sicilia e Reggio Calabria, alternata con periodi di permanenza e viaggi tra Napoli (1450) e Venezia (1474 circa).
Il pittore siciliano dimostrò una continua capacità evolutiva nell’assimilazione di tutti gli stimoli estetici delle città che visitava, divenendo un vero e proprio precursore di quella pittura tonale, che caratterizzò il Rinascimento veneto.
Seppe raggiungere il complesso bilanciamento della fusione tra la luce, l’atmosfera e la cura per il particolare della pittura fiamminga con la solennità e la spazialità razionale della scuola italiana. I suoi ritratti sono celebri per vitalità e profondità psicologica come il Ritratto d’uomo, 1475 (forse autoritratto), il cui personaggio sembrerà materializzarsi nuovamente molti anni dopo in uno spettatore dell’Odeon -1919/1920- del pittore del Novecento Anselmo Bucci, in cui percepiamo la stessa intensità espressiva; in quest’ultimo la ripresa è frontale con lo sguardo orientato a sinistra verso un altro punto della scena e a noi non ci resta che domandarci cosa starà mai guardando in modo cosi assorto e intenso. Invece nel Ritratto di ignoto di Cefalù (1465), titolo che combacia alla perfezione con i lineamenti e tratti somatici, lo sguardo sornione del protagonista ricorda per sagacità quello del Ritratto del marchese D’Afflitto (1925) di Tamara de Lempicka. Ironia, eleganza compositiva, profondità che ritroveremo anche negli scatti in bianco e nero di un americano del Novecento, Elliott Erwitt, considerato il fotografo della commedia umana.

Nei ritratti Antonello utilizzò la posizione di tre quarti e a mezzo busto tipicamente fiamminga, che permetteva una più minuziosa analisi fisionomica. Rispetto ai fiamminghi si focalizzò meno sul dettaglio e più sulla caratterizzazione psicologica e umana, che però fu sempre limitata dall’armoniosa e luminosa, nonché geometrica regolarità di struttura. Gli occhi guardano direttamente lo spettatore, cercando un contatto mentale con lui. In questo genere di dipinto raffigurò sempre un parapetto di marmo in basso a sinistra con un cartiglio su di esso appoggiato, che riportava firma e data di esecuzione, tipico elemento della pittura fiamminga. Quest’ultima influenzò le sue prime opere  durante la sua formazione a Napoli e lascerà successivamente il posto ad un profondo impulso conferito verso la pittura veneta, i cui esempi più lampanti sono il San Sebastiano (1476, Museo di Dresda) estremamente semplificato, pur conservando una propria individualità e la Pietà (1474-1476 c.ca Museo Correr), in una sintesi tra una misura esecutiva, che valorizzasse il raffinato studio armonico e la ricerca di un atteggiamento interpretativo libero quasi improvvisato, che segnerà la svolta decisiva anche per l'evoluzione di Giovanni Bellini.

Le forme semplici quasi astratte derivano probabilmente dai primi riflessi prospettici e di senso volumetrico, nonché di semplificazione delle forme di Piero della Francesca, senza rinunciare ad un colorismo tipicamente fiammingo: vedi l’ipnotico Salvator Mundi, 1465 c.ca, sua prima opera datata e firmata, la Madonna col Bambino (birichino) della National Gallery di Washington e la Crocifissione di Sibiu (1460 c.ca), in cui è raffigurato il San Sebastiano dai morbidi contorni in contrapposizione con il pavimento geometrico, che conduce lo sguardo verso uno sfondo “metafisico” di un piazzale contemporaneo popolato di figure minuscole; uno scenario architettonico “dechiriggiante”, che esiste davvero e sembra oggi ricomporsi dinanzi ai nostri occhi nella piazza di Offida.
La Pietà del Museo Correr di Venezia dai purissimi e highlight colours risulta essere il punto di arrivo della sua ricerca sul rapporto tra luce e ombra.
L’elemento distintivo di Antonello rimangono però i suoi ritratti, che con la loro forza dirompente hanno cambiato il volto della storia dell’arte. La visita ci accompagna a conoscerne ogni sfaccettatura. Uno su tutti è l’Annunciata (1475) opera cardine di tutta la sua produzione artistica.
Uno sfondo spoglio e scuro ed un cono di luce diffusa illumina una donna ritratta frontalmente, che porta in scena se stessa, trascinando nel suo monologo mentale anche il pubblico più distratto. Non guarda il pittore, ma ruota leggermente gli occhi verso un hunter corner alla sua sinistra, ove vi è qualcuno. Non è intimidita, né imbarazzata.
Davanti ai suoi occhi è appena comparso un essere soprannaturale probabilmente l’Arcangelo Gabriele, ma lei sembra non aver perso la sua calma. “Distratta” dalla sua lettura è colta nell’attimo in cui l’interlocutore le è davanti e con la sua mano destra sembra volerlo frenare.
Lo guarda direttamente negli occhi volgendo lo sguardo velatamente ironico e stupito al tempo stesso in basso a sinistra e, nonostante i suoi gesti indichino il contrario, ha un volto impassibile, ma al contempo altamente espressivo, come se una parte di lei sapesse già, che presto questo incontro sarebbe avvenuto: in una sorta di non pronunciato prêt à parler, sono i dettagli a rivelare allo spettatore ciò che accade. Lei è semplicemente portavoce del linguaggio dell’invisibile.
Il personaggio ritratto, avvolto da una dimensione intima, cattura la nostra attenzione con il suo sguardo e sembra dalla sua espressione, che risponda in qualche modo alla nostra presenza e a quella di un’altra persona, che era lì ed era rimasta immobile per tutto il tempo. Quel personaggio inaspettato improvvisamente irrompeva sulla scena e cambiava tutto. Una figura, che nella sua indeterminazione ed impossibilità di essere vista e riconosciuta, acquista tutto il valore della sua presenza.
In quel momento l’Annunciata avrebbe potuto agire, fare una scelta. Ed a ben vedere, una decisione l’aveva già presa, in quanto aveva innescato uno sliding doors esistenziale. (“ Dobbiamo abituarci all’idea, che ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica” cit. Ernest Hemingway).
L’immediatezza espressiva unita ad una forza scenica magnetica convivono con una notevole complessità emozionale, che ritroveremo più avanti anche in Giuditta con la testa di Oloferne (1512) di Lorenzo Lotto e nella Madonna col bambino (1645) di Carlo Nuvolone conservata presso la Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano.
I lineamenti eleganti e leggeri delineano il perfetto ovale della Vergine: la mano sinistra affusolata è leggermente alzata, come volesse racchiudere un fermo immagine di quel momento straordinario e con la gestualità sembra voler pronunciare “Aspetta un attimo”, “Non voltarti indietro”. L’ingrediente segreto, che lega tutto il coinvolgimento e l’animazione scenica, è la lentezza e la calma di questo gesto.
Un accadimento che viene narrato da dentro, dal suo interno. E’ la storia di un’attesa, di respiri soffocati e pensieri agitati, che riflettono sul dover essere e sul destino, sul dover scegliere e sul timore di farlo in attesa di un segno, di una traccia per intraprendere un “altro” cammino voluto dall’alto (“L’arte registra la condizione dell’anima” cit. Ezra Pound).
Questo non può non farci venire in mente il rapporto, che anche il pittore spazialista del Novecento Lucio Fontana ebbe con il sacro: nei suoi quadri ogni semplice e puro segno racchiudeva infatti un desiderio di luce, che lacerava la tela, per rinviare a un “oltre”.
La lieve ed impercettibile rotazione della figura dell’Annunciata e il movimento della mano danno naturalezza alla composizione, mentre lo sguardo etereo e le dita sospese in una dimensione astratta, ne fanno un capolavoro assoluto. Come nel Salvator Mundi (e più avanti nella Vergine delle Rocce, 1483 c.ca di Leonardo) la mano benedicente è stata spostata in avanti, in modo da accentuare le valenze spaziali della composizione. Sottende un gesto delicato e pudico, quasi come fosse tenuto nascosto tra le pieghe cerulee dell’abito indossato irradiate di luce (che ricordano quelle di Madame Charles Max (1896) del “maestro del fruscio” Giovanni Boldini), in una compostezza derivante da un disegno perfetto.
Il leggio nella parte bassa a destra è ritratto con grande acutezza ed attenzione per i particolari ed è molto realistico: meticolosità che ritroviamo anche nell’arioso con incantevole e luminosa vista sul paesaggio siciliano San Girolamo nello studio, 1474-1475 (ben diverso da quello particolareggiato, ma soffocato del Colantonio, che fu maestro di Antonello). L’altissima qualità di questo dettaglio ha permesso di percepire l’influenza della pittura fiamminga, intesa come un microcosmo dai raffinati ed accurati effetti descrittivi come quelli realizzati da Van Eyck. Le pagine di un book trailer appoggiato sul leggio non sono completamente aperte, ma sembra che siano state smosse da una folata di vento improvvisa. Una nuova spazialità prospettica oggettiva e realistica permea il quadro. La chiara e nitida perfezione formale, lo splendore del colore e la consistenza plastica delle figure, una sagace definizione dei tratti e dell’interiorità dei personaggi, che è lontana da ogni realismo immediato, unita ad una straordinaria velocità esecutiva nell’interpretare i soggetti religiosi, quasi fossero visti in telecronaca diretta, sono le soft skill dello stile di Antonello.
Non v’è dubbio che ci troviamo dinanzi ad uno dei quadri più intriganti e coinvolgenti della storia dell’arte, un capolavoro “silenzioso” dal forte impatto emotivo e dalle grandi potenzialità espressive di armonia tonale, che lascia senza parole, tessendo una fitta tela di ispirazioni attraverso i secoli, a cui fece riferimento molto probabilmente anche l’olandese secentista Vermeer e Edward Hopper. Le creazioni artistiche di quest’ultimo sono considerate dei piccoli frammenti di racconti senza trama e senza conclusione, dai quali estrapolare situazioni, personaggi e parole. Hopper seppe ricreare ed imprimere sulla tela anche solo per un istante l’esperienza interiore, lasciando che la vita abbia il suo decorso, con la consapevolezza che in un attimo tutto può cambiare. Figure sempre ai margini di una soglia in cerca di luce.
L’opera di Antonello è unica nel suo genere ed è ben diversa e lontana da altre Annunciazioni come ad esempio quella di Lorenzo Lotto. In quest’ultima infatti lo svolgersi dell’evento miracoloso nel momento stesso del suo verificarsi viene rappresentato nella sua totalità di scena con l’apparizione imponente e visibile dell’angelo, che tiene un braccio alzato, contrapposto ad una Vergine imbarazzata, intimorita e quasi impaurita, che volge lo sguardo e alza le mani verso lo spettatore. Un povero gattino spaventato e fuggitivo intensifica questo clima di tensione, smarrimento e di preoccupazione emotiva.
Solo nel 1866 l’Annunciata fa la sua “apparizione”: prima di allora nessuno vide o sentì mai parlare di quest’opera. A partire da quella data entra a far parte della collezione del Museo Nazionale di Palermo (oggi Galleria Nazionale) e questo “ritratto minimal della presenza dell’assenza” (“il minimalismo non è assenza, ma la sensata presenza dell’essenziale cit. Bruno Munari”) trova così la sua ubicazione permanente all’interno delle sale di Palazzo Abatellis, che hanno ospitato peraltro di recente una retrospettiva dedicata al maestro messinese e ai suoi grandi capolavori, conclusasi lo scorso 10 Febbraio, totalizzando in due mesi di apertura la cifra record di c.ca 28 mila visitatori.
Motivo di tale successo è da ricercare nel fatto che le parole non dette dell’Annunciata accendono l’immaginazione del pubblico ancora oggi: fede e misteri si sono intrecciati, sopravvivendo ai secoli e protraendosi fino ai giorni nostri.
Ora a Palazzo Reale di Milano si apprestano (forse) a svelarsi insieme a diciannove opere straordinarie sopravvissute miracolosamente ad intemperie naturali, nonchè ripetuti restauri e solitamente non visibili unitariamente per la loro dislocazione italiana ed estera frastagliata, in una mostra realizzata in coproduzione con MondoMostre Skira, frutto della collaborazione fra la Regione Siciliana e il Comune di Milano, curata da Giovanni Carlo Federico Villa, corredata da taccuini e disegni dello storico dell’arte Cavalcaselle, con catalogo edito da Skira e dedicata a questo genio del Quattrocento, “un pittore non umano” (come lo definiva il figlio Jacobello presente in retrospettiva con la sua Madonna con il bambino - 1480, eseguita l’anno seguente la morte del padre, avvenuta nel1479), che ci porterà ad un incontro ravvicinato a tu per tu ...dentro la pittura.

 

 
Maria Cristina Bibbi, febbraio 2019
 

ANTONELLO DA MESSINA. Dentro la pittura

Palazzo Reale di Milano, dal 21 febbraio al 2 giugno 2019
Web: http://www.mostraantonello.it/