Giovanni Cardone Febbraio 2023
Fino al 5 Marzo si potrà ammirare presso la Casina Vanvitelliana di Bacoli la mostra di Antonio Raucci in Spazio per acrobati a cura di Antonio Ciraci con testi a catalogo di Mario Persico, Domenico Mennillo e Carlo Bugli. L’esposizione gode del patrocinio morale del Comune di Bacoli. Come disse il Maestro Mario Persico nel suo scritto Il silenzioso e libero respiro di Antonio Raucci: “ Il Sud stranamente è ritenuto da qualche critico libero dai sistemi sociali e da politiche culturali che non a caso sono state sempre un fallimento espressivo (vedi il realismo socialista), il luogo primario della creazione artistica. Credo che in parte sia vero, dal momento che molti di quelli che contano sono proprio del Sud. Resta tuttavia l’amara constatazione secondo cui oggi le arti visive si presentano in modo uniforme, un modo che riduce l’immaginazione ad assumere qualunque rifiuto senza alcuna riflessione etico-estetica poiché si ritiene che tutto è Arte. Insomma mi pare che quel rapporto misterioso con la realtà in cui vivevamo si sia estinto dando spazio a un “fare” scialbo, privo di annotazioni visive stimolanti.
Per fortuna c’è ancora qualcuno come Antonio Raucci, anche lui del Sud, che grazie alla propria solitudine riesce a caricare di umori e di ombrati significati quegli stessi rifiuti. La sua risposta operativa a quanto gli accade intorno è silenziosa perché sembra mirare a dialogare con qualcosa che è più lontano di un “oltre” immaginario. Pertanto rifiuta qualsiasi rasserenante nominazione. Infatti, a guardar bene i lavori pubblicati nel magnifico catalogo della mostra realizzata al MAC (museo d’arte contemporanea di Caserta), ci accorgiamo che il rapporto fra i titolo delle opere e la fisicità delle cose che dovrebbe essere nominata è spiazzante. I titoli sembrano riferirsi a una realtà altra, o più probabilmente ad una rappresentazione che con ciò che vediamo non ha nulla in comune. Basta vedere, ad esempio, l’opera “Abitanti del tempo”, dove due coperchi di secchielli traforati sono disposti sopra una forma circolare di stoffa dello stesso diametro dei secchielli, ma anche “I battiti di molti”, “Verso strada”, e altre ancora. Si dispongono tutte senza alcuna apparente relazione col titolo. Suppongo che Raucci sia consapevole che il rapporto tra Arti visive e scrittura non potrà mai raggiungere una soddisfacente identificazione. Egli sa quanto me che le Arti visive, come più volte ho affermato, sono arti mute. Se poi vengono letteralmente alluvionate dalla parole, questo dipende dal fatto che proprio delle cose di cui sappiamo poco possiamo dire tutto quello che ci passa per la mente e formulare anche suadenti teorie. Io, fra l’altro, sono portato a ritenere che Antonio Raucci, col suo lavoro, sembra voler contenere anche l’impossibile, dando vita a quella relazione con l’inesistente che anche io privilegio. Egli, infatti, deve tenere in gran conto una considerazione espressa da Paul Valéry nella bella lettera sui miti, ovvero: “Cosa saremmo mai senza l’aiuto di ciò che non esiste?”, ma a differenza di Paul Valéry, grande saggista la cui prosa continua a catturarci, Raucci non ha mai rincorso esattezza, ordine mentale; ha sempre lasciato che le cose respirassero coi propri polmoni. Certo, potrei dire altre infinite cose sul suo stimolante lavoro, ma sono convinto che il cuore di quel “fare” sconcertante che si sottrae a qualunque razionale interpretazione non riuscirei mai a raggiungerlo. D’altra parte, un’opera che conti sfugge a qualunque sensata lettura che pretenda di avere nelle mani la verità, perché è difficile costringere i fruitori delle opere ad accettare la convinzione secondo cui ogni particolare di un’opera è il centro di una fitta rete di legami che sfocia nell’infinito. A questo punto chiudo per non aggiungere altra confusione a quella già esistente.“ (Mario Persico, dal catalogo "La silenziosa risposta", Napoli 2017). Se facessimo una disanima delle opere di Antonio Raucci ci accorgeremmo della sua visione poetica, certamente il fruitore che non abbia una qualche dimestichezza con la creatività certamente rimarrebbe stupiti oppure attratti dal percorso materico e dalla gamma coloristica delle opere . In questa mostra le opere dell’artista certamente ci fanno riflettere sull’inquietudine che tutti noi stiamo vivendo e al tempo stesso può anche essere considerata come una possibilità o meglio ancora come forma estrema di libertà.
Se pensiamo a quanto possano essere oppressivi i vincoli e i ruoli sociali, a quanto possano essere alienanti le costrizioni civili i luoghi comuni e i pregiudizi, le maschere che quotidianamente siamo costretti ad indossare, ecco che tutta questa “liquidità” tutta questa possibilità di trasformazione non può che sembrarci addirittura una catartica o meglio una salvifica possibilità di riscatto di vera affermazione oppure di auto-determinazione. Penso a Bauman quando dice : “ Che la nostra sociètà sta focalizzando la sua attenzione sul passaggio dalla modernità alla postmodernità, e le questioni etiche relative. Egli ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati. Bauman sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore . In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano”. Io credo che senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Spesso ignoriamo che, proprio nel sapere collettivo dei nostri progenitori,si nascondevano verità incontrovertibili acquisite più che dallo studio, dall’esperienza, e che in alcune di queste possono essere rintracciate oggi basi e fondamenti scientifici allora sconosciuti che ci hanno permesso di sopravvivere e di arrivare fin qui. Posso dire che la relazione tra le arti figurative è stata nel tempo oggetto di un infinito numero di speculazioni che hanno dato vita a teorie, considerazioni e assiomi diversi e contestualmente applicabili. Trattandosi poi di una questione trasversale a diversi ambiti disciplinari non deve stupire che sia stata interesse centrale per storici dell’arte,filosofi,estetologi,semiologi, letterati e artisti che, di volta in volta, hanno affrontato il problema in accordo ai propri fini teorici. Tutte le epoche si sono interrogate sul dialogo tra parola e immagini sia attraverso pratiche artistiche vere e proprie, spesso frutto di sinergie intermediali, sia attraverso risposte critiche alle stesse, che hanno fatto di questo dialogo un oggetto di studio sempre nuovo. L’arte non presenta o meglio, rappresenta la realtà ma la produce creando qualcosa di nuovo rispetto al passato. E quello che fa Antonio Raucci che diviene interprete di un desiderio condiviso, una sorta di riappropriazione della dimensione collettiva in risposta alla crescente disgregazione della socialità contemporanea.
La sfera artistica risponde a questo disagio attivando una maggiore attenzione verso le relazioni interpersonali, analizzandone i meccanismi per riproporre forme nuove di socialità anche concretamente realizzabili. L’elemento sociale e l’interesse per modelli di condivisione hanno fatto coincidere l’intervento artistico di Raucci facendo sì che ci sia anche una progressiva evoluzione del ruolo dell’artista che si avvicina alla progettualità in modo differente. Quest’orientamento evolutivo mira al raggiungimento di una comunicazione diretta e biunivoca tra artista e spettatore escludendo la mediazione altrui. Sebbene però l’origine di questa relazione sia antica, è vero che il Novecento, e soprattutto gli ultimi decenni, è stato protagonista di un rinnovato interesse ad indagare le dinamiche interartistiche tra le due arti. Posso dire che la visione creativa di Antonio Raucci oscilla vertiginosamente tra una sottile e raffinata ‘astrazione’ e un ‘informale materico’ fatto di energia, segno e di gestualità. Le opere dell’artista sono una ridda ubriacante di ossimori, di coerenti contraddizioni sono immobili tempeste, sono lampi fatti di materia spirituale, sono funambolici giochi tra disequilibrato e equilibrio, criptiche rivelazioni di un caos ordinato, superfici tridimensionali fatte di narrazioni contemporanee, ricche, colte e preziose. La forza primigenia e raffinata che promana da queste opere e che affascina il fruitore in maniera al tempo stesso sottile e prorompente deriva proprio dall’innata capacità dell’artista di conciliare gli opposti. Di fondere nel crogiolo incandescente della sua sapienza alchemica elementi opposti per dar vita ad opere d’arte di sostanziale, corposa coerenza artistica ed eterea, originaria originalità. Ma forse le opere di Raucci non ci raccontano soltanto questo. Forse nel Macrocosmo si rispecchia il Microcosmo. Forse le cosmogonie raccontano, metaforicamente, soggettive, psicologiche ontogenesi. Ed allora possiamo interpretare sotto una diversa luce il difficile, complesso, conflittuale rapporto tra la Materia allo stato puro, indistinto, indifferenziato e la Forma che cerca disperatamente di emergere, di imporsi, di imporre il proprio sigillo di razionalità (o quanto meno di ragionevolezza) sull’eterna rivale: un rapporto tanto dialettico e necessario quanto problematico e violento. Nello scontro ineluttabile tra la Forma e l’Informe, spesso i confini tra aggressore ed aggredito si confondono, i ruoli si rovesciano a ripetizione, così rapidamente che talvolta capita di smarrirsi e di non distinguere più l’una cosa dall’altra. Le opere di Antonio Raucci raccontano anche questo: quanto labile sia il confine che separa il Soggetto dall’Oggetto, l’Uomo dal Mondo che lo circonda. E quanto difficile, e doloroso, e per nulla certo, sia il processo di auto-definizione. Le opere dell’artista non ci mostrano l’esito di questo titanico scontro, quanto piuttosto una fase, nel vivo del combattimento. Così colori e materiali che scompongono e ricompongono il piano narrativo appaiono come una vera e propria raffigurazione delle linee di forza e dei campi di energia che si sprigionano nel corso di questi eventi di autentica ontogenesi dell’Io. Ontogenesi che rappresenta il primo, vero contenuto di queste opere. Quello a cui assistiamo, dunque, per quanto violento, brutale, o anche solo essenziale, possa sembrarci è, in definitiva, un lieto evento, nel senso comune della parola: vale a dire una nascita. Infine possiamo dire Antonio Raucci attraverso i colori esprime quella Luce allo stato puro o meglio quella fusione tra Luce e colore. Le opere di Antonio Raucci ci presentano quindi al nostro sguardo come un vero e proprio ciclo tematico, anche stilisticamente coerente. O che si squadernano ai nostri occhi come una serie di capitoli di un unico ampio e articolato racconto. Ogni opera una pagina, uno spunto narrativo. Oppure la stessa storia narrata da un diverso punto di vista. Queste opere raccontano tutto questo perché fa parte del nostro essere del nostro vissuto che solo l’arte sa raccontare. Il catalogo della mostra di Antonio Raucci è edito da IL LABORATORIO/le edizioni di Nola.
Casina Vanvitelliana – Bacoli
Antonio Raucci in Spazio per acrobati
dal 9 Febbraio 2023 al 5 Marzo 2023
Venerdì e Sabato dalle ore 17.30 alle ore 20.30
Domenica dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 17.00 alle ore 20.30