Opere d’arte della Fondazione Cariplo e del Museo del Paesaggio di Verbania
La location di questa soave rassegna espositiva dalla forte carica emotiva e dalle mille sfumature è stata scelta ad arte.
Verbania è sita infatti sulla sponda occidentale del Lago Maggiore, ed è definita “il giardino sul lago”, data la straripante presenza di variopinti e cangianti giardini e terrazze.
Il Museo del Paesaggio, sede della mostra, è ubicato nell’evergreen Palazzo Viani Dugnani, che ha riaperto nel Giugno 2016 con la grande mostra dedicata allo scultore Troubetzkoy, dopo due anni e mezzo di chiusura per un importante restauro. Venne fondato nel 1909 con lo scopo di valorizzare le bellezze paesaggistiche del Verbano, attraverso la conservazione del patrimonio artistico accumulato negli anni, prevalentemente tramite donazioni di opere d’arte anche da parte di artisti, che come Tozzi, Ranzoni e Troubetzkoy, hanno avuto qui la loro dimora.
Un luogo suggestivo e prezioso, una cornice di eleganza e qualità, in cui è inserita la struttura espositiva, circondata da ammalianti armonie verdi.
L’esposizione curata dalla storica dell’arte Elena Pontiggia e da Lucia Molino, responsabile della Collezione Cariplo, si dirama in tre ambiti: Scapigliatura, Divisionismo, Naturalismo; Novecento Italiano e oltre.
Gli artisti scapigliati sono contrari ad ogni forma di ordinato realismo classico e alle rigide regole restrittive di impronta accademica. Esprimono liberamente e in modo sciolto sulla tela frammenti di sentimenti instabili e i fremiti irrazionali dell’anima, scrigno della vera personalità dell’essere umano.
Il paesaggio rappresentato è così intriso di recondite accezioni psicologiche e diventa un tramite per manifestare le proprie insicurezze ed inquietudini interiori. Ne deriva una pittura soggetta a perenne mutamento, priva di limpidezza segnica e di non accurata stesura cromatica.
L’artista Ranzoni, in particolare, fa un uso intimistico e non materico del colore, trasformandolo in sussurrate sfumature nebulose dalle sembianze preimpressioniste, che pervadono il quadro e rimangono sospese lievemente nell’atmosfera.
Il Divisionismo trae il nome dalla singolare tecnica pittorica utilizzata dai suoi esponenti, basata sulla scomposizione dei colori reali nei colori elementari e loro complementari e nell’accostamento di questi ultimi sulla tela sotto forma di pennellate a trattini lunghi quasi filamentosi; ne derivano tonalità aeree più morbide, luminose e i contrasti risultano meno netti. I naturalisti si concentreranno invece sulla rappresentazione tridimensionale e realistica di oggetti e soggetti ritratti in paesaggi urbani, suburbani o campestri senza abbellimenti nè idealizzazioni.
Nota distintiva risiede nella ferma convinzione della vanità degli sforzi umani contro quelle immani, spettacolari e talvolta violente della natura, protagonista assoluta della mostra.
L’incanto a noi riservato si svela infatti a poco a poco in circa cinquanta capolavori d’arte di fine Ottocento - metà del Novecento, tra cui quelle del sopracitato Ranzoni, Gnecchi, Gignous, Gola, Bianchi, Fornara, Rosai, De Pisis, Tosi, Lilloni, provenienti dalle raccolte d’arte della Fondazione Cariplo, del Museo del Paesaggio di Verbania e da collezioni private.
Di
Ranzoni troviamo esposte tre opere tra cui lo Studio di paesaggio fluviale (1872), un acquerello immerso nella luce, nel quale le forme si dissolvono per fondersi nell’atmosfera circostante, che lasciano trasparire una rielaborazione del vero attraverso il sentimento del pensiero.
Seguono il naturalista “en plein air”
Lorenzo Gignous abile nelle sue rappresentazioni prospettiche con la sua silente Veduta del Lago Maggiore (1885-1890);

Fondo Toce, 1884, Francesco Gnecchi
Mosè Bianchi dal disegno e tecnica perfetti uniti ad un uso del colore fresco, vivace, nutrito ed energico tipico dei grandi settecentisti veneti, che affiora da una porta in Interno rustico (1889-1895),
Federico Ashton che dipinge con successo valli, alpeggi (in particolare il Monte Rosa), passi, ghiacciai, ispirandosi dal vero con gusto romantico per la visione rispecchiabile nella sua dirompente Cascata del Toce in Valle Formazzo (1890),
Carlo Cressini dedito all’alpinismo e per questo definito “lo specialista della montagna alta” dalle pennellate fluide e dai toni fievoli delle gelide acque del lago di Marjelen (1908) e infine il colto naturalista
Gnecchi con la sua lirica Fondo Toce (1884).
Dalla fine dell’Ottocento a dare ancora centralità alla pittura di paesaggio sono soprattutto i divisionisti. Ecco dunque
Vittore Grubicy il divisionista che utilizza una tecnica intuitiva ed emotiva con il suo cimitero di Ganna (1894), il “naturalista”
Cesare Maggi che ritrae paesaggi alpini spesso resi dinamici dall’inserimento di figure e di animali con una tecnica a tratti divisionisti, a cui accosta una stesura ad impasto con larghe spatolate di colore nel suo trittico Neve (1908) e Nevicata (1908-1911), il neoimpressionista
Carlo Fornara con i raccolti Due noci (1921),
Guido Cinotti il divisionista liberty di matrice segantiniana con Marina (1910- 1915) e il naturalista dai toni intensamente vaporosi e luminosi
Clemente Pugliese Levi con le Cave di Alzo (1920).
Concludono la sezione naturalista il vigoroso
Gola con le sue Colline in Brianza (1915-1920) e Paesaggio brianzolo (1915), Pietro
Fragiacomo sperimentatore innovativo in aperto scontro con la tradizione con la sua Armonie Verdi (1920), il poeta moderno del paesaggio
Ferrari ("Così io ho capito la pittura di paesaggio dopo trent'anni di prove e di esperimenti, rinunciando di farla mia con i miei pennelli e colori, fissando il massimo che essa permette in quel pochissimo tempo che mi è dato, poiché essa è assai mutevole e non vuol essere annoiata") e
Pasinetti insofferente nei confronti degli insegnamenti accademici e amante dei paesaggi lagunari veneti.
Armonie Verdi 1920, Pietro Fragiacomo
Il tema del paesaggio, poco considerato dalla maggior parte dei futuristi intenti ad esaltare di contro la città industriale e la macchina, torna a riaffermarsi in pittura con il
Novecento Italiano: ne sono testimonianza l’imponente e immobile lago volumetrico dai toni cupi e asciutti del moderno classicista sintetista
Sironi (1926), un’importante serie di paesaggi di
Tosi, paesaggista dal vivo, formatosi inizialmente nel clima della Scapigliatura di Ranzoni, con le sue Cipresso a Zoagli, Le tre betulle, Fuori dallo studio, Ulivi a Montisola, il piantone e Lago di Como (1923 – 1940).
La sua pennellata è fluida e pastosa e con il Novecento condivide il senso della sintesi ed una salda struttura architettonica presa in prestito da Cézanne.
A seguire le intense opere preimpressioniste che hanno come sfondo l’amata Suna (Verbania) poi divenute novecentiste con paesaggi francesi dalle forme più dense e volumi più definiti di
Mario Tozzi e infine
Alselmo Bucci con una feconda attività artistica inizialmente improntata all’impressionismo e postimpressionismo francesi, seguita poi da una maggiore severità realista riscontrabile nel suo Governo dei cavalli (1926).
Con il Novecento Italiano rispetto alla volatilità dei precedenti paesaggi divisionisti ci pergiungono opere caratterizzate da una forza costruttiva e solidità, dove ad emergere sono i volumi, i contorni nitidi e il colore ricco come nel cézanniano Paesaggio (1922) di
Rosai, nel contemplativo Guardando in alto (1925) di un
Carpi autonomo nelle sue creazioni di impatto legate ad ispirazioni novecentiste-futuriste, che riflettono le sue drammatiche esperienze esistenziali, nei Pioppi (1930) di
Cascella artista dalle raffinate tecniche prefuturiste, Piazza Santo Stefano a Milano (1925) e Paesaggio invernale (1930) del “fauvista-espressionista"
Penagini e infine del realista magico
Donghi con il suo protettivo Convento (1928).
Nella vita però tutto è transizione e con gli anni trenta la pittura torna ad esprimere un senso di fragilità e precarietà. Lo si avverte nelle corporee e trepide Baite di Caspoggio e Paesaggio alpino (entrambi 1929) di
Barbieri, nel quasi monocromo e dalle tonalità basse, desolante, inquietante e tetro paesaggio pianeggiante con natura morta dell’incombente Temporale (1933) di
De Pisis, nel Paesaggio di Lavagna (1934) del chiarista
Lilloni, dalla pennellata impalpabile e eterea, che dissolve le forme in modo pacato e (dis)incantato, a tratti stilizzante di ispirazione orientale, in Case a Feriolo (1945) dell’iperrealista
Dudreville dalle “idee chiare chiaramente espresse” e Veduta serale del poggio (1952) del “cezanniano-cubista”
Soffici, noto per essere stato schiaffeggiato da Boccioni per una sua avversione platealmente manifestata nei confronti del Futurismo (definì il movimento una “delusione sdegnosa”) e infine del chiarista
Vernizzi con il suo tremolante e fragile Paesaggio (1953).
I colori dei dipinti in mostra sono organizzati sulla tela compositiva come immagini istantanee, che scorrono dinanzi agli occhi del visitatore, mentre la riverberanza delle pennellate lambisce e si ramifica nell’anima. Cinquanta sfumature di verde in cui arte e natura sono...intimamente legate.
Maria Cristina Bibbi
Info
Dal 25/03/2018 al 30/09/2018
Palazzo Viani Dugnani
Via Ruga 44 - Verbania
Martedì-Venerdì
10:00-18:00
Sabato, Domenica e festivi
10:00-19:00
Web:
http://www.museodelpaesaggio.it