Giovanni Cardone Maggio 2022
Fino al 29 Maggio 2022 si potrà ammirare presso Villa Olmo Como la mostra Astratte. Donne e astrazione in Italia 1930-2000 a cura di Elena Di Raddo mostra organizzata dal Comune di Como. L’esposizione  racconta alcune protagoniste dell’arte astratta italiana a lungo trascurate o dimenticate che, grazie all’attività critica svolta in particolare negli ultimi vent’anni, stanno tornando al centro dell’attenzione. Si confrontano in questa mostra trentanove artiste tra cui : Carla Accardi, Luisa Albertini, Carla Badiali, Marion Baruch, Irma Blank, Gabriella Benedini, Mirella Bentivoglio, Renata Boero, Alessandra Bonelli, Alice Cattaneo, Cordelia Cattaneo, Giannina Censi, Chung Eun-Mo, Sonia Costantini, Dadamaino, Betty Danon, Paola Di Bello, Elisabetta Di Maggio, Lia Drei, Nathalie du Pasquier, Fernanda Fedi, Franca Ghitti, Maria Lai, Luisa Lambri, Bice Lazzari, Nataly Maier, Carmengloria Morales, Maria Morganti, Lucia Pescador, Claudia Peill, Tilde Poli, Carla Prina, Carol Rama, Regina (Regina Cassolo Bracchi), Mirella Saluzzo, Fausta Squatriti, Eva Sørensen, Grazia Varisco, Nanda Vigo.La storia dell’arte astratta infatti, in Italia come nel resto d’Europa, è una storia sostanzialmente al maschile, scardinata per la prima volta nel 1980 dall’importante mostra L’altra metà dell’avanguardia, a cura di Lea Vergine, che per la prima volta, porta alla luce le donne dimenticate dalla storia dell’arte, tra cui anche alcune artiste parte del gruppo degli astrattisti comaschi, le stesse che sono state raccontate in occasione delle grandi mostre Elles font l’abstraction al Centre Pompidou di Parigi e Women in Abstraction al Guggenheim Museum di Bilbao. Astratte. Donne e astrazione in Italia 1930-2000 prende avvio da quelle stesse artiste comasche allargando poi l’attenzione su altre protagoniste dell’arte italiana dagli anni Trenta del Secondo Novecento fino all’inizio del 2000, anni in cui l’indagine sull’astrazione si declina in gruppi e tendenze comprese tra astrazione geometrica, informale, pittura analitica e astrazione post-pittorica. Come dichiara il Sindaco di Como Mario Landriscina:  “Villa Olmo ospita una nuova mostra di grande profilo, che sarà molto particolare, tutta al femminile: queste donne, queste astrattiste che ci parleranno attraverso le loro opere, rappresentano un esempio di gruppo artistico che ha apportato un importante contributo al panorama del moderno e del contemporaneo. Con “Astratte” saranno valorizzate le artiste comasche, come Carla Prina e Carla Badiali, allargando lo scenario a tutta l’Italia. Esprimo la mia sincera riconoscenza al Presidente della Commissione Cultura dott. Francesco Brenna a cui si deve riconoscere la primogenitura della prestigiosa rassegna, oltre a un importante contributo di definizione dei contenuti.”  Mentre afferma l’Assessore alla Cultura Livia Cioffi : “E’ un onore chiudere la mia esperienza di assessore alla Cultura con una grande mostra organizzata dal Comune di Como che ha per oggetto l’astrattismo e le donne. Non posso non ricordare, accanto a queste grandi artiste e grandi donne, l’ufficio che mi supporta che è in gran parte costituito da donne, e ringrazio gli uffici e la cittadinanza per come sono stata sostenuta in questo breve scorcio di mandato.” In una mia ricerca storiografica e scientifica sulle Donne e l’astrazione in Italia che divenne modulo monografico e seminario universitario apro il mio saggio dicendo : L'avanguardia sembra essere intorno a noi. Continuamente nella quotidianità ricorrono espressioni come “strumento all'avanguardia”, “tecnologia all'avanguardia”, “pura avanguardia”, usati per identificare qualcosa di innovativo, in grado di rompere con la tradizione e di anticipare idee e metodologie che avranno uno sviluppo futuro.
Ma cosa si vuole veramente rappresentare con queste formule? Quanto di esse oggi fa riferimento al significato originario del termine “avanguardia” e quanto invece si collega a un concetto ormai inflazionato e persino quasi stereotipato di uno dei fenomeni più importanti della cultura moderna? Ci si è mai fermati a considerare l'eventualità che in realtà si tratti solamente di un'entità astratta? Il concetto di avanguardia è emerso come fenomeno nuovo che diversifica il XX secolo dagli altri periodi della storia e della cultura. I primi trent'anni del Novecento hanno visto la nascita dei movimenti artistici definiti “avanguardie storiche”, ovvero gruppi di artisti e letterati che hanno elaborato una poetica comune del loro operare artistico. Dato il carattere progressivo e spesso provocatorio delle opere prodotte da queste correnti, il termine “avanguardia” ha rappresentato nel sentire comune un qualcosa di ardito, rivoluzionario e innovativo dal punto di vista dello stile e della tecnica, che rompeva gli schemi della tradizione consolidata e dell'accademismo. La nozione di avanguardia si è sviluppata a partire dagli anni Venti dell'Ottocento, grazie ad un gruppo di utopisti vicini al teorico politico francese Claude-Henri de Saint-Simon , che la identificarono come una proiezione ideale sul piano artistico degli obiettivi dell'umanità. Dalla Francia l'espressione si diffuse ben presto in tutto il panorama culturale europeo: le idee dei cosiddetti “movimenti d'avanguardia” divennero uno degli emblemi più significativi dell'estetica della modernità. Storicamente vi è stata una netta prevalenza nell'utilizzo di questo termine nel campo delle arti visive e della letteratura: sono numerosi infatti i riferimenti che accompagnano il ricorrere a questa espressione nella critica scritta e orale, rinviando al significato simbolico dell'immagine in esso contenuta. “Avanguardia” è tuttora utilizzato come parola-contenitore per una serie di fattori quali innovazione, esplorazione, estremizzazione degli atteggiamenti, rottura, antagonismo, rifiuto e anticipazione dei gusti e delle conoscenze, tutte caratteristiche sviluppatesi nel corso del Novecento ma derivanti in realtà da tendenze politico-culturali ottocentesche. La diffusione del concetto fu così ampia che apparve subito chiaro come esso potesse perdere la propria portata iniziale, acquisendo invece numerose implicazioni critiche. Attualmente va riconosciuto che il suo utilizzo è abusato da critici, giornalisti e soprattutto artisti, con il conseguente rischio di tramutarlo sempre più un concetto astratto e inflazionato. Parlando di avanguardia si intende in genere un movimento artistico o letterario che nasce dall'attività di un gruppo di persone e che ricerca in modo programmatico (ovvero tramite manifesti, dichiarazioni teoriche, riviste, conferenze o iniziative anche clamorose e provocatorie) nuove forme espressive, in contrasto con i modelli estetici tradizionalmente riconosciuti. Più comunemente con questa definizione si fa riferimento ai movimenti artistici e letterari di fine Ottocento e inizio Novecento che, dopo la crisi del Romanticismo, rinnovarono il panorama culturale dell'epoca, ponendo al centro della propria attività la sperimentazione, con lo scopo di staccarsi dalla tradizione accademica, considerata ormai anacronistica e obsoleta. Nel XX secolo vi è stato un vivace susseguirsi di fenomeni artistici, differenti ma pur sempre correlati fra loro, che proponevano nuove forme espressive in sintonia con il continuo e soprattutto rapido mutare dei tempi. Le varie avanguardie hanno ognuna riletto a proprio modo, con varie accentuazioni e livelli di priorità, le funzioni, i compiti e le strategie di una pratica artistica innovativa ed oppositiva. Come ricorda Mario De Micheli, «i movimenti avanguardistici rappresentano nella cultura contemporanea un taglio drammatico, una rottura che segna il destino di tutta la civiltà artistico-letteraria del Novecento» . La nozione di avanguardia sottintende una visione progressista della storia, dell'umanità e della stessa arte, che si evolverà in rotture successive tramite scontri e rivoluzioni. Gli autori di questa generazione volevano cambiare il presente e le loro battaglie culturali diedero una nuova impronta a tutta l'arte e letteratura del secolo. Con le avanguardie vennero messi in discussione non solo il valore, ma addirittura il concetto stesso di arte: quest'ultima deve sì riuscire a sconvolgere e a scuotere gli animi con le proprie opere, ma la funzione dell'artista e del letterato diventerà anche quella di sapersi costruire una vita “esteticamente soddisfacente”, dominata dall'arte nella sua totalità.
Per realizzare ciò le avanguardie storiche fecero dello sperimentalismo il loro orientamento metodologico: esse erano composte da gruppi eterogenei di persone a volte anche in aperta polemica tra loro, ma dal confronto e dal contrasto si poteva generare una notevole spinta creativa. Vi potevano essere divergenze anche all'interno degli stessi movimenti (celebre è ad esempio la querelle tra Breton e Dalí per motivi economici), ma gli autori sceglievano di operare in gruppo per abbattere ogni barriera esistente fra le varie forme d'arte. Ecco quindi che dopo anni di chiusura dell'arte e della letteratura in un mondo autonomo e quasi impenetrabile come reazione al rifiuto borghese verso ciò che non veniva considerato utile, l'avanguardia puntava a smitizzare la sacralità delle arti, cercando di porle in diretto contatto con la realtà. Essa divenne un fattore unitario e globale: vennero definiti autori d'avanguardia tutti quegli artisti, scrittori, compositori, pensatori il cui lavoro non solo si poneva in opposizione ai comuni canali di commercializzazione culturale, ma che spesso conteneva anche uno spessore sociale o politico. Il loro atteggiamento estremista e provocatorio rigettava la tradizione e tutto ciò che la rappresentava: si iniziarono a mettere in discussione i modelli accademici, rifiutando i canoni e i generi convenzionali, e prefiggendosi invece di ricercare nuove vie espressive e nuovi soggetti estetici. L'avanguardia mise in discussione l'estetica fin dal suo esordio: la sua sarà un'estetica del disturbo, che sollecita lo stimolo interpretativo e che vede frammentato il proprio fascino in favore di un sconvolgimento del pubblico. Vengono rovesciate le aspettative del gusto borghese, si sconvolge lo spettatore e ci si concentra particolarmente sia sul momento della ricezione dell'opera che sul messaggio che questa intende veicolare. I movimenti d'avanguardia diventano espressione della crisi della società borghese, i cui valori sono ormai intaccati nella loro storica assolutezza e le cui certezze progressiste sono messe continuamente in discussione. Le avanguardie hanno sempre puntato al rinnovamento del linguaggio artistico e letterario, promuovendo una trasformazione radicale dei principi etici e conoscitivi accettati e difesi da quella che era considerata la cultura ufficiale detentrice dei valori “sani”. “Épater le bourgeois”  diventa la regola: gli autori d'avanguardia vogliono scardinare i codici culturali correnti, il gusto ormai consolidato e i mezzi espressivi abituali, per favorire piuttosto un’evoluzione sul piano formale e su quello ideologico, puntando a un cambiamento globale di forma e tecnica. Al concetto di avanguardia è spesso associata una simbologia particolare: oltre alla volontà di innovazione, esso implica anche l'idea di lotta, di combattimento, di rivoluzione, ma soprattutto di azione collettiva, perpetrata da un gruppo che si scontra con il pensiero convenzionale. L'avanguardia è sempre ideologica in modo dichiarato, perché opera sulla materia secondo una visione della realtà e delle cose che viene fornita a priori come guida e metodologia da seguire. La sua natura è estetico-politica, rifiuta di essere collocata in un ambito separato e specializzato dell'arte, preferendo la realtà nel suo insieme e operando attivamente per trasformarla. Le avanguardie agiscono dal “particolare” al “generale”: sembrano interessarsi esclusivamente a una parte, ma in verità la utilizzano come chiave per la ristrutturazione del tutto. Con l'avanguardia l'antiestetico assume una funzione anticipatrice nei confronti del moderno nella sua totalità; essa rappresenta la volontà di estetizzare globalmente la realtà, trasformandola in opera d'arte (o in antiarte) totale, imprimendo un improvviso e radicale cambio di direzione in campo estetico e sociale. Per gli artisti e i letterati diventa necessario fornire una nuova visione della realtà, fondare una nuova epistemologia e creare un programma totalizzante che unisca sperimentazione artistica e critica ideologica della società borghese, estremismo formale e coscienza politica, affinché la pratica artistica assuma allo stesso tempo un profondo significato sociale, culturale e politico. Volendo effettuare una ricostruzione semantica del concetto di avanguardia, si può notare come il termine derivi dal linguaggio militare dal francese avantgarde, “prima della guardia”, usato in origine per rappresentare la parte di esercito composta dai soldati più coraggiosi, che procedevano in posizione avanzata rispetto al resto delle truppe, per aprire loro un varco tra i nemici nel campo di battaglia. Hans Magnus Enzensberger nel suo saggio “Le aporie dell'avanguardia” del 1962 fa un ampio approfondimento etimologico, trattando l'ambiguità semantica e metaforica del concetto di avanguardia, i suoi condizionamenti storici e sociali e le vane pretese ideologiche che lui stesso definisce “aporie” ovvero contraddizioni, contrasti la cui qualità dialettica è ancora incerta. Enzensberger fa riferimento alla definizione data dal dizionario tedesco Brockhaus nella sua quattordicesima edizione del 1894, nel quale l'avanguardia è identificata come termine militare che rimanda a un gruppo di soldati che rappresentano la truppa principale e che avanzano a una certa distanza; essa si divide in elementi sempre più piccoli fino alla cima che marcia completamente avanti. Ogni elemento deve assicurare ai seguenti una più grande sicurezza e dare loro tempo. Gli elementi più piccoli mandati avanti devono regolare la loro marcia sugli elementi più importanti che li seguono. Enzensberger è probabilmente uno dei primi teorici dell'avanguardia in grado di dimostrare le numerose relazioni che questa stabilisce con il tempo, lo spazio, l'ideologia, la tradizione e soprattutto il futuro. Egli insiste sulla metaforicità del termine in quanto generato da una diade, una composizione di concetti: la particella avant che nell'espressione tecnica militare è presa nel senso spaziale, ritrova nella metafora il suo senso iniziale temporale e vi aggiunge dei significati socioeconomici. Inoltre dato che il territorio su cui agisce l'avanguardia è la storia, si può facilmente notare come le arti rapidamente “avanzino” e come esse siano “costantemente avanti”. É evidente come lo sviluppo della coscienza storica preluda al processo di museificazione e conservazione della memoria, ma anche a una compulsione al superamento; così facendo si impone all'artista la necessità di essere sempre “avanti con i tempi”, per non rischiare di perdersi nella storia. Il capitalismo imperante sfrutta quella tendenza, traducendo la volontà anticipatrice in speculazione economica sulla novità artistica. La prima aporia dell'avanguardia sorge però proprio nell'obbligo di essere avanti: nonostante sia possibile definire con precisione quali siano le retroguardie artistiche o letterarie, non è invece possibile individuare unanimemente che cosa sia l'avanguardia. «L’unica cosa che possiamo definire con precisione è chi era avanti, però non chi è avanti.  L’avanti dell’avanguardia porta in sé una contraddizione: si può constatarlo solo a posteriori».Il primo dei due termini che compongono il vocabolo segnala quindi un'imperfezione nella posizione critica, rendendo difficile la comprensione del fenomeno. Gli attributi sociali dell'avanguardia risultano legati alla natura del secondo elemento che compone il sostantivo. Per Enzensberger la “guardia” individua una collettività anticipatrice del singolo, in cui ognuno è partecipe del processo storico mantenendo però individualità e responsabilità; è un gruppo che trova la sua ragione di essere non nella produzione ma nel conflitto e nella militanza, orientati essenzialmente verso una retroguardia, costituente lo strato conservatore che frena l'avanzata verso il progresso. Enzensberger non vuole salvaguardare l’uso indiscriminato e spesso improprio della definizione, utilizzata da «chiunque metta nero su bianco o dia il colore a una tela». Attraverso un paragone quasi obbligato, l'autore dichiara efficace l’azione dell'avanguardia storica, uscita non sconfitta dal confronto con una società ormai ostile verso l’arte moderna, in un contesto generale di violente condizioni storiche. La neoavanguardia che verrà in seguito (e che avrà la base nell'avanguardia storica) invece invertirà la tendenza, poiché «il suo movimento è regressione» e la via di fuga prefigurata dal sostegno delle dottrine e dei gruppi diventerà «un anacronismo» quello che verrà visto come il suo fallimento risiederà semplicemente nello scollamento del materiale espressivo dal sistema socio-produttivo. L'analisi di Enzensberger è quindi nel complesso negativa e sovverte completamente la stessa raison d’être dell’avanguardia. Seguendo la sua argomentazione, va riconosciuto che aporeticamente l’avanguardia non è né rivoluzionaria, né innovativa, né sperimentale. Essa non può rivendicare alcuna leadership estetica, politica o sociale, in sostanza si tratta di un “bluff permanente”. «L’avanguardia si è trasformata nel suo contrario, cioè è diventata un anacronismo». Tornando all'origine del termine “avanguardia”, si può notare come questo passi dal linguaggio strategico-militare a quello politico intorno al 1830, iniziando a rappresentare il nuovo compito assegnato agli intellettuali, prevalentemente di sinistra, come guide morali nelle battaglie politiche del liberalismo imperante. Gli artisti e i letterati dovevano poter anticipare le azioni e gli atteggiamenti culturali, riuscendo a prefigurarsi il futuro; avrebbero potuto beneficiare dell'unione con le forze politiche, in grado di intuire come sarebbero andate le cose, facendo sì che l'arte riuscisse ad amplificare un'idea di futuro elaborata in precedenza da altri. Cronologicamente è difficile ritrovare termini e concetti di tale contenuto anteriori al Preromanticismo, considerato come un'epoca di crisi, transizione e fermento che precede il dissolvimento della tradizione del classico moderno. A partire dalla fine del XIX secolo, la nozione di avanguardia oscillerà costantemente tra applicazioni politiche ed artistiche, venendo utilizzata più comunemente in ambito culturale per caratterizzare i movimenti letterari ed artistici che volevano essere più “avanti” rispetto ai contemporanei; all'epoca era considerato un atteggiamento à la page rompere con la tradizione e criticare chi imitava i classici. L'avanguardia artistica e letteraria mantiene lo spirito di gruppo, ma identifica il nemico non come qualcosa che sta davanti, ma alla spalle: il passato, la storia, le opere degli autori della tradizione. Volendo osservare il concetto ancora una volta sotto il profilo linguistico, si può notare come la formula “arte d'avanguardia” nasca come patrimonio terminologico quasi esclusivo delle lingue e delle culture neolatine, diffondendosi poi marginalmente anche in altre culture, principalmente di derivazione anglosassone. Facendo una breve comparazione geografica, si può vedere come a livello europeo il termine sia riuscito inizialmente a radicarsi meglio in paesi come la Francia e l'Italia, grazie a tradizioni culturali particolarmente consapevoli della problematica letteraria ed estetica del XIX e XX secolo. Alle stesse ragioni è dovuta probabilmente la latinità linguistica del concetto, che ha generato una sorta di difficoltà o resistenza a svilupparsi in Germania o nei paesi tedescofoni, dove invece hanno avuto più fortuna termini come “modernismo” o “stile moderno”, privi però della potenza concettuale che invece permea il concetto di avanguardia. In Russia il termine e il concetto originario ebbero una notevole diffusione, tuttavia la tendenza dello spirito critico russo a tradurre i fatti culturali in miti religiosi o politici ne impedì una corretta formulazione, facendolo rimanere continuamente accostato a un'ideologista estremista persino all'interno del movimento modernistico ed estetizzante del XIX secolo. Un'ostilità programmatica è percepibile anche tra i seguaci della scuola radicale, sociologica e marxista, che, consci del fascino che l'immagine d'avanguardia esercitava sulla retorica radicale, tendevano a evitarne l'uso, preferendo termini. In ambito anglo-americano uno dei fraintendimenti di buona parte della critica nel trattare la cultura del Novecento è quello di identificare l'avanguardia come un qualunque movimento che abbia tentato un rinnovamento dei linguaggi e delle forme estetiche, svincolando l'arte da qualsiasi rapporto con la società e la politica. Al termine stesso “avanguardia” si è sempre preferito “modernismo”, che, come per la cultura tedesca, non individua un movimento specifico, quanto piuttosto un periodo o un'epoca storica e culturale. I due vocaboli sono usati indistintamente come se fossero sinonimi, mentre invece rappresentano strategie estetiche diverse e soprattutto differenti atteggiamenti socio-politici. Tale confusione è dovuta principalmente al fatto che il modernismo, contraddistinto da un classicismo culturalmente elitario e conservatore, occupò una posizione piuttosto eccentrica nella cultura inglese ed americana, la stessa che in altre nazioni era invece ricoperta dall'avanguardia. Diventa quindi particolarmente significativo il fatto che il concetto abbia avuto non poche difficoltà a inserirsi nella cultura anglo-americana, dove si utilizzano delle varianti del vocabolo, ora il francese avant-garde, ora l'inglese vanguard o advance-guarde, rendendo a volte persino necessaria l'integrazione di supplementi esplicativi e qualificativi come “the literary” o “the artistic”. L'espressione completa “l'art d'avant-garde” è invece usata sempre e solo nella forma originale francese, con specifici accorgimenti grafici quali le virgolette o il corsivo, quasi a sottolineare la diversità lessicale e semantica e la pretesa eccezionalità del concetto. Tutto questo non significa che nella cultura americana e inglese non abbia avuto luogo il fenomeno dell'avanguardia, ma solo che in esse è radicata una tradizione classica meno rigida, che ha reso meno acuto il senso dell'eccezione, della novità e della sorpresa. Sia il modernismo che l'avanguardia sono il risultato di un'estraneazione dai valori della cultura borghese, esito di una crisi etica, estetica e ontologica del moderno e del disagio esistenziale degli artisti. Tuttavia il modernismo può essere visto anche come una profonda riflessione sulla crisi dell'uomo moderno, con la conseguente esaltazione dell'arte come valore supremo e sfiducia nelle trasformazioni sociali. L'appello modernista al rinnovamento è diverso da quello dell'avanguardia, che propone il nuovo non come semplice emancipazione delle forme espressive e dei modi di rappresentazione, ma come profonda rottura con la tradizione e la società nel suo complesso. L'avanguardia indica un possibile futuro e si propone come punto di partenza; rimanda al desiderio di realizzare il futuro nel presente, «precorrendo il corso della storia e sottolineando la non contemporaneità del contemporaneo». La formula “arte d'avanguardia” sembra quasi far riferimento a un'invenzione, più che a una scoperta, anzi il vocabolo stesso può essere considerato la scoperta di un quid non pre-esistente, come avviene in campo culturale, dove talvolta la realtà oggettiva coincide con la coscienza soggettiva di quella stessa realtà. L'arte d'avanguardia era storicamente impossibile prima dell'elaborazione della sua nozione: un'autentica avanguardia può emergere solo con la maturazione del concetto attuale, avvenuta in epoca recente sulla scia dell'esperienza romantica. Come ricorda Poggioli, «nel campo della cultura la scoperta è creazione, la coscienza è esistenza»; ne consegue l'affermazione del principio epistemologico “est cogitatum, ergo est”. Il termine “avanguardia” prima di essere applicato in senso figurato all'arte e alla letteratura, designò innanzitutto l'avanguardia sociale e politica, rivoluzionaria e radicale. È abbastanza raro ritrovare il concetto nella letteratura non politica anteriore al 1880, dato che originariamente l'immagine “d'avanguardia” rimase subordinata anche nella sfera artistica agli ideali di un radicalismo non culturale ma politico. A questo proposito sono significative le parole di Gabriel-Désiré Laverdant, un fourierista poco noto che nel 1845, solo tre anni prima della Rivoluzione, in un testo intitolato “De la mission de l'art et du rôle des artistes.” Va ricordato che l'arte moderna non è nata direttamente per via evolutiva dell'arte dell'Ottocento, ma al contrario è cresciuta dalla rottura dei valori di questo secolo, dalla protesta e dalla rivolta esplosa all'interno della sua supposta unità spirituale e culturale. L'arte d'avanguardia e buona parte del pensiero contemporaneo si sono formati dalla “crisi” dell'unità storica, politica, culturale delle forze borghesi-popolari intorno al 1848. Il XIX secolo ha visto una tendenza di fondo attorno alla quale si sono organizzati il pensiero filosofico, politico, letterario, la produzione artistica e l'azione degli intellettuali. Questo è accaduto in particolar modo nel trentennio che ha preceduto il 1848, quando le idee che si erano affermate nel corso della Prima Rivoluzione francese riuscirono a raggiungere finalmente la maturità. In questo periodo prese consistenza la moderna nozione di popolo e i concetti di libertà e progresso acquistarono nuova forza; le idee liberali, anarchiche, socialiste spinsero gli intellettuali a battersi non soltanto con le opere, ma anche con le armi, mentre la pressione delle forze popolari venne avvertita come un elemento decisivo della storia moderna. La chiarezza, l'evidenza e l'impegno sociale costituirono il carattere fondamentale a cui l'arte doveva ispirarsi. Solo qualche anno dopo il 1870 l'espressione “d'avanguardia” assunse un nuovo significato figurativo, cominciando a delineare l'avanguardia artistica e letteraria, senza però cessare di continuare a rappresentare anche quella sociale e politica. Nei primi sogni unitari le avanguardie politiche ed estetiche erano programmaticamente legate fra loro, ma all'atto pratico l'autonomia artistica e l'anarchia politica entrarono in conflitto. Era chiaro che le due avanguardie erano qualcosa di ben distinto, anche se non mancavano punti di connessione e temi comuni; per un momento parvero marciare insieme, rinnovando la tradizione romantica che si era stabilita nel corso della generazione racchiusa fra le due Rivoluzioni del '30 e del '48. La neonata alleanza tra radicalismo politico e radicalismo artistico sopravvisse in modo differente nei vari stati: in Francia ad esempio resistette fino alla comparsa della prima delle riviste del movimento letterario moderno, significativamente intitolata “La Revue indépendante”, che venne fondata verso il 1880 e fu forse l'ultimo organo che raccogliesse sotto la stessa egida i ribelli della politica e dell'arte, rappresentanti delle opinioni nelle sfere del pensiero sociale e artistico. Negli stessi anni il filosofo russo Petr Kropotkin fu capo redattore di una rivista anarchica a esclusivo contenuto politico, “L’Avant-garde”, pubblicata in Svizzera dal 1876 al 1878, anno in cui fu soppressa a seguito di un intervento di polizia. Kropotkin nutriva un profondo interesse per le arti e la sua rivista ebbe larga influenza sugli artisti del periodo, come i pittori neoimpressionisti Seurat, Signac e Pissarro, che si proclamavano anarchici per rivoluzionare le tendenze critiche e artistiche del loro tempo. L'avanguardia ottenne notevole risonanza persino in Messico, dove venne pubblicata una rivista chiamata “La Vanguardia”, la cui redazione era a cura dei pittori muralisti Siqueiros e Orozco, fondatori della rivoluzione artistica locale. A questo proposito va ricordato che le riviste svolsero fin dall'inizio un ruolo fondamentale nella diffusione di idee e concetti innovativi, diventando dei veri e propri strumenti di informazione, organi di riflessione teorica e promozione artistica. Esse avevano una funzione strategica all'interno del sistema artistico e attraverso le riviste di punta era possibile proporre manifesti e programmi teorici, sviluppare analisi e critiche (a volte anche violente) nei confronti dell'arte tradizionale e informare sulle differenti iniziative proposte dai gruppi emergenti.  Contro l'entusiasmo dell’arte sociale si schierarono in seguito molti artisti borghesi sostenitori del movimento de “l’Art pour l'art”, tra cui i nomi spiccava quello di Oscar Wilde, dandy per antonomasia. Essi vedevano nel valore estetico, nella bellezza, lo scopo primario di un'opera e puntavano all'espansione delle frontiere dell'esperienza estetica piuttosto che allo sviluppo di riforme sociali, in un utopico tentativo di reintegrare arte e vita. Il socialista Saint–Arman Bazard, sansimoniamo convinto, nonché fondatore della Carboneria francese, sosteneva che «le belle arti, in quanto espressione di un sentimento, costituiscono il linguaggio dell’umanità e condizionano gli uomini rispetto all’agire sociale». Negli anni l'impegno sociale degli artisti si fece gradatamente sempre più formale. Nella Parigi di fine Ottocento-inizio Novecento essi preferirono assumere atteggiamenti progressisti più che impegnarsi realmente nel sociale; proclamandosi beniamini delle potenti élite economiche, loro mecenati, si adoperarono per costruirsi un'immagine di personaggi, grazie soprattutto a eventi e occasioni mondane. Fu così che si dissolse il sogno utopico e l'alta concezione dell'arte di Saint-Simon, che aveva sempre considerato l'artista come l'unico in grado di forgiare un'idea di progresso culturale civile, capace di dare un contributo vitale per favorire la maturazione culturale e spirituale delle masse. Il solipsismo teorizzato dal movimento dell'arte per l'arte si sarebbe manifestato nelle forme nichiliste dell'avanguardia solo cinquant’anni dopo; la realtà del momento era data da un artista osannato dalla borghesia, che si finge maudit per compiacerla e per meglio fare i propri interessi, fornendo un alibi alla depravazione borghese imperante. I nuovi ricchi erano abili nel coniugare prestigio sociale e mecenatismo, generando una vera e propria speculazione economica mascherata da amore per le arti. Come già accennato, l'idea di avanguardia nel campo dell'arte è da attribuire a Claude-Henri de Saint-Simon, che per la prima volta associò questo termine al romanticismo utopico nel suo saggio “Opinions littéraires, philosophiques et industrielles”  del 1825, riallacciandosi al pensiero di Rousseau e dei razionalisti dell’Illuminismo. Grande ammiratore di Isaac Newton, risentì dell'influenza delle sue teorie nell'elaborazione di una concezione moderna di progresso storico, attribuendo forte importanza alle rivoluzioni sociali; egli sosteneva, in collegamento con le teorie hegeliane poi riprese da Marx, che la grande arte potesse svilupparsi solo nei periodi in cui l'individuo fosse indipendente dallo stato. Per Saint-Simon l'artista era un maestro di morale, un “homme à imagination” che possedeva una maggiore sensibilità artistica: doveva giocare un ruolo decisivo nella comunicazione delle nuove idee ed erigersi a guida morale e “avanguardia” nella costruzione di un'ideale società borghese fondata sul progresso industriale, scientifico e tecnologico. Nelle “Opinions” Saint-Simon immagina un dialogo tra un artista, uno scienziato e un “industriale”, ovvero una persona coinvolta nel processo industriale di produzione, che potrebbe essere visto sia come un proprietario che come un operaio. È la prima volta che viene utilizzata una simile espressione e infatti SaintSimon è tra i primi a definire il rapporto tra gli artisti e l'idea di progresso che caratterizza l'avanguardia. Era convinto di poter generare un impulso grazie al quale «l’egoismo, frutto bastardo della civiltà, sarà vinto lasciando libero lo spirito creativo di solidarietà». Le sue idee verranno riprese da altri movimenti utopistici, in particolare da quelli che seguiranno il socialista utopista Fourier. Nel corso dei suoi ultimi anni egli volse il proprio interesse verso gli aspetti spirituali e religiosi dell'uomo e della società; riteneva che gli artisti, da lui definiti “sacerdoti di nuovo tipo” fossero idonei a far progredire l'umanità, riuscendo ad agire sugli aspetti più profondi. Mentre nel corso dei primi anni, quando era ancora presente una forte influenza meccanicistica, Saint-Simon limitava il compito dell'artista alla pura divulgazione delle idee introdotte dagli scienziati, nelle “Opinions” egli poneva gli artisti al vertice di una piramide sociale elitaria composta anche da scienziati e artigianiindustriali, in quanto la potenza delle arti era più rapida e immediata. Tuttavia l'egoismo tanto osteggiato avrà poi il sopravvento e la progettualità utopica e il rinnovamento culturale si scontreranno presto con la necessità della borghesia di avere una legittimazione culturale; la spinta anarchica di alcuni pensatori dell’epoca (come Fourier) le alienarono i favori della borghesia capitalista, che anzi ne approfittò per spingere la cosiddetta avanguardia ai margini del proprio modello di società, in ragione di una potenziale forza disgregatrice. Nel 1973, all’inizio di un decennio fortemente caratterizzato dalle rivendicazioni femministe e al loro rapporto con l’arte, Lucy Lippard si chiedeva, nel titolo di un testo scritto per la prefazione di un catalogoin relazione alla mostra L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, la risposta retroattiva che potremmo dare oggi, a quarant’anni da quell’esposizione seminale, è che nel momento in cui Lea Vergine intraprese quella sua interminabile avventura era necessario riportare alla luce un substrato nascosto sotto le ceneri della memoria, restituendo alle artiste che erano state accantonate ed escluse dal racconto l’attenzione della storia e l’unico modo per affermare la forza di quell’azione era in tutta probabilità ripresentarle all’interno di un gruppo separato, compatto e granitico, che avrebbe dovuto pesare come un macigno sulla storiografia artistica scritta e insegnata fino a quel momento. Ancora oggi però nel paese in cui L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 venne concepita, assistiamo alla realizzazione di mostre che separano le artiste dagli artisti, oltre che alla pubblicazione di libri di testo in cui queste donne non vengono trattate se non in minima parte e nella maggioranza dei casi in modo inadeguato. In alternativa per leggerne in modo più appropriato siamo costretti a rivolgerci a volumi specifici che raccontano una storia dell’arte di genere parallela il che dimostra che a tutt’oggi l’arte prodotta delle donne nella storia non è mai stata davvero assorbita o integrata nella storiografia ufficiale, poiché qui fatica ancora a trovare spazio. La maggior parte delle studiose della materia oggi (in maggioranza ancora donne legate a posizioni femministe, tra le quali si ricordano su tutte le teorie di Griselda Pollock) hanno sostenuto che, per ridare alla donna la sua giusta collocazione nella storiografia artistica, non sia sufficiente aggiungere una lista di nomi femminili al già lunghissimo elenco di artisti uomini, ma sia invece necessario tenere conto del contesto sociale in cui le artiste si sono mosse e hanno operato, come già suggeriva il filone di ricerca avviato da Linda Nochlin. Per quanto questa concezione possa essere condivisibile, quest’idea non può e non deve diventare l’alibi dietro cui nascondere una mancata revisione della storia dell’arte stessa. L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 ricevette alcune critiche soprattutto metodologiche che a posteriori e in linea teorica sono condivisibili, come il fatto che la curatrice nel catalogo sacrificò sull’altare del metodo alcune informazioni biografiche che avrebbero potuto restituire un quadro di relazioni più completo attorno alle protagoniste della sua ricerca. Lo fece però in nome dell’affermazione di una regola nuova, con l’auspicio di vedere, da quel momento in poi, le artiste donne trattate al pari dei loro colleghi uomini e non più accantonate o subordinate all’attività di questi ultimi.
Non tener conto di un fattore così pregnante come la differenza di genere all’interno della vita professionale di un’artista può essere considerato una mancanza, poiché questo può indurre a ritenere che ciò non influisca sulla sua carriera e di conseguenza può portare i meno attenti a scordare le difficoltà sociali che invece la donna artista deve tutt’oggi affrontare e che la posizionano sempre e comunque a un punto di partenza svantaggiato rispetto a quello degli uomini. In questo senso aveva quindi ragione Anne Marie Sauzeau Boetti quando su Il Manifesto, recensendo la mostra di Palazzo Reale, scriveva: “Oggi più che mai convinta di quelle che, tempo fa, chiamai le “incongruenze” delle carriere artistiche femminili rispetto allo sviluppo lineare (ascendente o discendente che sia) di quelle maschili. Certe carriere di artiste sono segnate da emblematiche interruzioni, amnesia, zone cicatriziali, sbalzi convalescenti – tutto un precario tessuto intorno a singole opere perfettamente “sane”. Queste questioni però non furono estranee a Lea Vergine la quale ne era tutt’altro che inconsapevole, ma il tentativo di trattare l’opera femminile al pari di quella maschile da un punto di vista critico, fu una scelta precisa, che in quel momento richiedeva anche un atto coraggioso (passibile di innumerevoli critiche), che provasse una volta per tutte a spazzare via quell’odioso “moglie di” dalle note biografiche dei testi che si sarebbero prodotti a venire. Forse l’unico errore si annida in questa visione, poiché ancor più che auspicare di non leggere la condizione uxoria dell’artista donna, sarebbe bene sperare di trovare scritto anche accanto al nome di ogni artista uomo la stessa qualifica di “marito di”, per una parità di trattamento che non sacrifichi le relazioni umane, così importanti nella creazione artistica. Se questo desiderio resta un’utopia irrealizzabile, nonostante un lavoro impressionante fatto da Lea Vergine, aspettiamo ancora che, parafrasando la chiosa della recensione di Rossana Bossaglia a L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, giunga l’età in cui sia superfluo organizzare mostre di sole donne. Aveva allora in parte ragione Lea Vergine, la quale nel 2019 mi disse che il lascito di questa mostra (riferendosi in particolare all’elenco dei nomi da lei raccolto) non era stato raccolto. Si tratta quindi di un’eredità giacente e non solo rispetto al continente ritrovato e riabbandonato a se stesso (poiché in gran parte ricaduto nell’oblio di una memoria collettiva) ma anche rispetto all’affermazione della metodologia, poiché la narrazione che riguarda le artiste ancora oggi non è la medesima adottata per gli artisti. Forse, se L’altra metà dell’avanguardia 1910 -1940 fosse arrivata qualche anno prima (cioè nella seconda metà degli anni Settanta, quando Lea Vergine iniziò a idearla e proporla) e non a conclusione del decennio, quando ormai l’energia propulsiva del movimento femminista si stava esaurendo e quando Milano e l’Italia erano alle soglie di un’epoca totalmente diversa, che avrebbe visto l’affermazione della televisione commerciale e il radicale modificarsi del substrato culturale nazionale, i suoi fiori (le famose orchidee tolte dall’obitorio) avrebbero germogliato di nuovo. Purtroppo però l’esposizione arrivò in un controtempo storico che forse ne attutì l’eco. D’altra parte l’Italia è anche il paese in cui il provvedimento sulla violenza sessuale è riuscito a diventare legge dello Stato solo nel 1996, cioè a vent’anni dall’inizio della discussione sulla sua necessità. Se un argomento così urgente ha dovuto aspettare tanto, non c’è da meravigliarsi dei tempi di metabolizzazione di un discorso come quello che Lea Vergine condusse, seppur in modo rigoroso, sulle artiste delle avanguardie. Il percorso espositivo scandito da aree tematiche che evidenziano le diverse declinazioni, modalità e linee di ricerca in cui l’arte aniconica si esprime parte dalle Pioniere: Carla Badiali, Cordelia Cattaneo, Giannina Censi, Bice Lazzari, Regina e Carla Prina, molte delle quali ebbero un legame stretto con la città di Como, luogo unico in Italia per l’arte astratta grazie alla presenza e al dialogo della pittura con l’architettura razionalista, ma anche alla presenza dell’istituto di Setificio e alla pratica del disegno per tessuto, linguaggio sperimentale e moderno come la fotografia, la danza, il cinema. In questa sezione un focus è dedicato alle prime opere astratte di Regina, presentate nel 1936 alla Mostra di Scenografia Cinematografica allestita proprio a Villa Olmo.
Nella sezione Segno-Scrittura le opere dei primi anni Cinquanta di Carla Accardi, Irma Blank e Betty Danon definiscono una via nuova all’astrazione, incentrata sul libero fluire delle forme nello spazio mentale dell’artista. Erano anni di rinnovamento e di ripensamento dei linguaggi, quelli della mostra milanese Arte astratta e concreta svoltasi a Palazzo Reale  nel 1947 a cui Roma rispose con la nascita del Gruppo Forma, che ebbe la Accardi come unica componente femminile. Geometrie comprende opere di Nathalie du Pasquier, Chung Eun-Mo, Fernanda Fedi, Tilde Poli, Carol Rama e Fausta Squatriti, artiste che nel segno della geometria rinnovano la ricerca stessa dell’avanguardia storica costruendo mondi basati su leggi matematiche. La sezione Materia, è dedicata all’indagine astratta legata all’esplorazione dei materiali: le opere di Luisa Albertini, Marion Baruch, Renata Boero, Gabriella Benedini, e Mirella Saluzzo raccontano ricerche sui pigmenti, sui materiali della scultura tradizionale, come su quelli più moderni come l’acciao e i materiali naturali. In Meditazione/Concetto le opere di Mirella Bentivoglio, Alessandra Bonelli, Franca Ghitti, Maria Lai, Luisa Lambri, Lucia Pescador e Claudia Peill manifestano come alla fine degli anni Settanta si avverta la necessità di riflettere sull’eredità dell’avanguardia e sulle conseguenze di quelle prime forme sperimentali sul linguaggio moderno; le artiste si mettono in dialogo con la storia dell’arte e definiscono nuove linee di ricerca. Nella sezione Corpo-Azione-Re-Azione le opere di Carmengloria Morales e Maria Morganti ci raccontano come, in seguito all’affermazione dell’idea di opera aperta alla fine degli anni Sessanta, anche la pittura sperimenti nuove modalità di realizzazione; per alcune artiste si crea un legame tra l’atto fisico del dipingere e il proprio corpo, e il dipinto diventa il risultato di un’azione o un processo. L’ultima parte del percorso Spazio/Luce è invece l’area dedicata al secondo dopoguerra, quando la modernità è uno degli aspetti più caratteristici delle ricerche dell’astrazione. Qui troviamo opere di Alice Cattaneo, Sonia Costantini, Dadamaino, Paola Di Bello, Elisabetta Di Maggio, Lia Drei, Nataly Maier, Eva Sørensen, Grazia Varisco e Nanda Vigo, che si distinguono per l’uso di materiali nuovi, come vetro o neon, e, anche nella pittura, per l’indagine della dimensione percettiva e partecipativa dell’arte. Questa mostra ha il merito di portare l’attenzione su queste protagoniste dell’arte italiana, un nucleo ristretto ma significativo del contributo femminile al mondo dell’arte contemporanea, in una città che già negli anni Trenta aveva visto nascere attorno alla figura dell’architetto razionalista Giuseppe Terragni un cenacolo di artisti che insieme al gruppo del Milione di Milano, costituiva all’epoca l’unico vero centro di ricerca astratta italiano. L’esposizione sarà accompagnata da un catalogo bilingue edito da Antiga Edizioni, a cura di Elena Di Raddo, con testi e saggi critici di Elena Di Raddo, Cristina Casero e Ginevra Addis.
Villa Olmo Como
Astratte. Donne e astrazione in Italia 1930-2000
dal 19 Marzo 2022 al 29 Maggio 2022
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso