Giovanni Cardone Settembre 2023
Fino al 24 Settembre si potrà ammirare alla Casina Vanvitelliana di Bacoli – Napoli la mostra “BAIAE" organizzata da Enzo Trepiccione e curata da Rocco Zani. L’esposizione che vede un incontro di culture tra artisti spagnoli e italiani, patrocinata da Comune di Bacoli in collaborazione con il Centro Ittico Campano, l’associazione Napoli Città Reale e con la FundaciònPaurides di Elda. Come dice Rocco Zani nel suo testo critico : C’è forse, in questo spazio fisico e metaforico della città naufragata il senso – ovvero il principio permanente – di un indizio che si è fatto, nel divenire, identità, sommossa, eco, azione. Nulla pare imprescindibile dalla caducità della natura, e al contempo, dalle sue incessanti mutazioni. Ecco allora una reiterata interdipendenza tra l’arte e l’accadimento, tra l’artista e un
paesaggio che è commistione di energie, di intenti, di sovversioni, di incauti equilibri. La scelta di un luogo non è mai occasionale o disattenta, piuttosto risultato di ragioni più o meno visibili, più o meno occulte, più o meno immaginabili. Baia è un cortile di memorie millenarie, di ri-nascite, di pericoli e bagliori, di custoditi sguardi.

Ma è soprattutto il
genius loci relazionale, quello che riconduce – molti – alla propria cifra originaria, alla stampigliatura genetica che è comprensorio di minuscoli – e più grandi – segni, rifiati, incanti; di impercettibili nessi o di inedite azioni. Accade allora che il
Ninfeo sommerso sia oggi mappatura poetica di uno spazio i cui argini si sono estesi e poi ramificati in più capillari cortili, come se le voci e gli occhi di ognuno avessero carezzato e soggiogato altre voci ed altri sguardi. Fino a farne comunità di intenti e di corrispondenze. Non è bastato il sopruso del mare ad interrompere il dialogo, a silenziare il vocio degli dei, a mortificare il versante della ricordanza. La memoria di ognuno è memoria a latere, fugace, al pari del tempo vissuto. Si fa implicazione millesimale eppure determinante. Nasce pertanto in questa
corte di intenti il progetto di una mostra che sia itinerario di connessioni e stazione di rilievi, luogo in cui le ipotesi a venire trovino gli aliti di un illimite temporale e visionario. Baia è l’ambito dell’incertezza e della conoscenza posta dall’oscurità; territorio di esitanza e indugio. Ciononostante sintesi custodita degli infiniti tracciati. Ed è allora il coordinamento – finanche geografico – di una storia che è ricorrente a dispetto del naufragio o della sua dimensione celata. Baia è l’origine: il punto che si dilata per segni e meridiane, che tracima e restituisce presenze, congetture, prospettive. Ma Baia è soprattutto il territorio intimo di una “appartenenza allargata” che non si misura più su sbarramenti identitari bensì su una sorta di “tonalismo” comune dettato proprio dall’origine, da questo varco di terra e di mare – nonché di cielo – che ci riconduce ad una presenza intimamente familiare proprio con quella terra e quel mare, e con le sue genti. Come se disegnassimo una insenatura capace di toccare e accogliere i lembi di etnie in transito, di sguardi e voci alla ricerca di una
nazionalità amplificata, talvolta debordante, condivisa. Gli artisti, nella loro fatale autonomia espressiva si fanno comunque sentinelle e attori di un viaggio partecipato – come un’allegra brigata – restituendo, per minuscoli rituali, le tessere di un esauriente mosaico: cromatico, concettuale, linguistico, preziosamente vivo.
Erica Appiani rivela la consuetudine del volto – non già lo sguardo – che è contemporaneo e remoto al contempo, come epilogo o approdo del viaggio.
Miguel Ávila decostruisce, con l’ironia del segno, la tirannia della conflittualità e della intolleranza.
LuzBan?o?n, artista poliedrica, rielabora tracce inconsuete e indelebili per farne architrave del dire.
Virginia Bernal agisce per dialoghi frammentati, recisi, talvolta evanescenti, come sottovento.

Quella di
Antonio Ciraci è una pittura di microscopiche stille come ad affollare lo spazio fino a rubarne il respiro. I paesaggi iconografici di
Carlo De Lucia hanno architetture trasparenti, quasi una illusione della forma e di coloro che li abitano.
Xavi Ferragut non lascia adito a congetture o alibi. Il suo è un realismo intransigente all’interno del quale trova riparo il dolore inappellabile dell’uomo. Gioca di rimandi
Marcello Gallo ponendo in campo le escursioni scenografiche in una narrazione che non si sottrae al rifiato della memoria.
Alicante Mateosincede – e incide – per segni essenziali come lo sono quelli bambineschi, i più risolutivi, i più autentici. Ancora la memoria, ovvero il dialogo, quello che investe le opere di
Kraserche sceglie la “classicità”per affidarla (per allusioni e illusioni) alla volontà del contemporaneo.
Ana Ortín e il mito: riesumato dalle traiettorie dell’immaginifico e apparecchiato come inedito racconto.
Aurelio Talpa e la materia. Che è storia di inganni e di occasionali bagliori. Lui ne scava l’essenza per restituire ipotesi di sguardo e di fuoco. L’iperrealismo di
Salvador Torres si fa diario di bordo, meticoloso, attento, affinché il colore e il segno restituiscano la lingua dell’anima.
Enzo Trepiccione e la calligrafia del sogno: gestuale, reiterata, ribadita come timbro incalzante di un autentico e inedito sillabario. Parafrasando Sam Francis “
questa pittura giace sotto la nube che si è levata sul mosaico del mare”. In una mia analisi su questa mostra apro dicendo : La memoria richiama alla mente un passato che è fondamentale per capire i nostri comportamenti di oggi. Infatti è nella memoria che ritroviamo tutte le tracce degli avvenimenti, a volte non eccezionali, ma per noi particolarmente significativi, che ci hanno permesso di diventare ciò che siamo . Senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Spesso ignoriamo che, proprio nel sapere collettivo dei nostri progenitori, si nascondevano verità incontrovertibili acquisite più che dallo studio, dall’esperienza, e che in alcune di queste possono essere rintracciate oggi basi e fondamenti scientifici allora sconosciuti che ci hanno permesso di sopravvivere e di arrivare fin qui. ‘Non si può inventare la lingua: ma è certo che il modo di usarla è inventivo ed autobiografico, è la tua storia e il tuo futuro’ (Aldo Rossi).

Le parole di uno dei più profondi architetti del nostro tempo, sono riferite alla lingua dell'Arte, a quel delicato e personalissimo complesso di elementi, di simboli e, sopratutto, di scelte che costituisce, individua e indelebilmente caratterizza il mezzo espressivo di ciascun artista. Ogni artista ha elaborato con il proprio linguaggio con lucidità e con sicurezza, le loro opere riflettono una ricerca coerente ed attenta, culminante in lavori pregevolissimi nei quali la pulizia del segno viene ad essere elemento centrale di equilibrio il contrasto cromatico, talvolta discreto, talvolta più vivace, è parte integrante delle composizioni che spesso ne determinano l'atmosfera. “Tutto l'universo visibile non è che un deposito di immagini e di segni ai quali l'immaginazione deve attribuire un posto ed un valore relativo”, annotava Charles Baudelaire nella celebre presentazione del Salon parigino del 1859. Ebbene, gli artisti che fanno parte di questa interessante collettiva spaziano sicuramente in questo ‘deposito di immagini e di segni’ che osservano, interpretano, selezionano. Ogni artista costruisce con pazienza ed acume le proprie opere, nella cura del particolare, fino a dar vita a strutture visualmente espresse, di straordinario vigore e di piena e vibrante suggestione. Le opere esposte emozionano pacatamente, senza ricorrere ad alcuna forma di retorica. Il loro racconto è per immagini e si inserisce nel patrimonio collettivo delle visioni quotidiane, verso un personale tratto onirico, ma essenzialmente ogni artista è riconoscibile e quindi condivisibile. Un artista vero è come un medico attento e appassionato, sa vedere, sentire, meditare sa prestare attenzione anche al dettaglio. E sa infine comunicare e raccontare, ogni artista di questa interessante collettiva dove lo scambio culturale è alla base, l’artista diviene un poeta, un grandissimo, franco e denso narratore.
BAIE a cura di Rocco Zani Enzo Trepiccione