La prima sezione della mostra, l'"
Uomo intuitivo trascendentale", si apre con l'
Autoritratto notturno (ca. 1909, fig. 1) di collezione privata, nel quale il 38enne Giacomo dipinge a olio e una particolare vernice su lastra metallica per ottenere un effetto luministico soffuso, al fine di dare risalto all'occhio destro "cilestre" (aggettivo adottato nell'"Autoritratto in parola" sul taccuino del 1910), fisso sulla propria immagine riflessa, mentre affonda nell'ombra il lato sinistro del volto. Il supporto metallico utilizzato coincide così con lo specchio nel quale egli si autoritrae rendendosi altrettanto riflettente. Il piccolo (cm. 43,5x32) e sperimentale dipinto è memore non soltanto degli interessi alla fotografia del padre Giovanni, chimico e matematico, ma soprattutto della propria attività lavorativa a Torino
nello studio del fotografo Oreste Bertieri, dopo la morte paterna nel 1879.

Quanto allo sguardo fisso emergente dal buio, va detto che da giovane, "ribelle da scuole accademie" (avendo seguito, mentre di giorno lavorava in tipografia, corsi serali preparatori all'Accademia Albertina del pittore Giacomo Grosso, accademico quasi
pompier) aveva manifestato
interesse per la psichiatria e criminologia, frequentando le lezioni del prof.
Cesare Lombroso, fondatore del Museo di Antropologia criminale.
La straordinaria galleria di autoritratti prosegue con
Autoritratto in veste di cuoco (fig. 2), dipinto a olio su cartone nell'estate del '22, dall'intenso e spiritoso realismo ("rinverginato", senza barba e baffi, alla nuova sensibilità futurista, e considerato, a causa di essa, pazzo o buffone), con svolazzi di panni nella
toque blanche du chef, il cappello da cuoco, e lustri metallici nel mestolo tenuto in mano, nella ricerca del movimento, come notò Emilio Cecchi. Stesso anno, tecnica e supporto, e ancor maggiori contrasti chiaroscurali nell'
Autoritratto sorridente, donato dall'autore all’architetto
Garibaldi Burba, ora in collezione privata.
La serie continua con l’autoritratto, sempre sorridente, settantaduenne:
Autoballa; l'arte sempre con me (titolo scritto sul retro), olio su tavola dalla cornice sagomata e dipinta dall'artista, pure in collezione privata, ricordato dalla
secondogenita Elica quale simpaticissimo abbozzo superlativamente completo e dalle pennellate leggere e quasi trasparenti.
Ultimo della serie:
AutoBal75enne, con giacca chiara di flanella scozzese, eseguito a olio su masonite nel '46 per l'amico Osvaldo Pardo, per ringraziarlo di aver ospitato
la primogenita Lucia, detta Luce, nella sua villa toscana.

La sezione II, "
Vite turbine tempesta", torna al periodo dal 1904 al '26 nella casa-convento di via Parioli, dove dal balcone/ballatoio (set del quadro
La pazza del quadrittico
Dei viventi) antistante alle stanze-cella, Giacomo vede Villa Borghese. Ritrae infatti in veste celeste, davanti alla ringhiera, e con un mazzo di rose in un bicchiere,
la moglie Elisa Marcucci nel trittico
Maggio, del 1906, ad olio su tele sagomate, in prestito dal Palazzo della Consulta.
Allora
Balla fu elogiato come "poeta nell'anima" e per il virtuosismo luministico, ma anche criticato per la “banalità” del soggetto. Il formato tripartito dall'aurea sacrale, e la siepe con eucaliptus sullo sfondo, celebrano la donna e la Natura quasi in un
hortus conclusus.
Di questa fase verista, in mostra troviamo anche il pastello su carta
Statua a Villa Borghese (circa 1905, fig. 3) di collezione privata, nel quale la fontana con la plastica figura accovacciata è decurtata ad arte dal taglio fotografico. Esposto alla mostra degli
Amatori e Cultori nel 1909, fu recensito da Mario de Fiori nel gruppetto della
Sinfonia degli alberi, insieme al
Dittico di Villa Borghese: I tronchi e
...La moglie Elisa, del 1907, a carboncino e pastello, che esalta l'effetto di controluce emergente dal fondo.
Mai esposti prima i due piccoli (cm. 26x18,5) inchiostri su cartoncino del 1908:
Villa Borghese e
Pagliaio nella campagna vicino a Villa Borghese, studi originali nella tecnica sperimentale a piccoli tratti, acquistati dall'ambasciatore Cosmelli (che fotografò Balla davanti al quadro
Fallimento). Il capodopera
Atrio di Palazzo Doria Pamphilj, pastello su carta del 1908 (fig. 4), con la suggestiva fuga prospettica dai giochi di luci e ombre, fu acquistato dal suo mecenate
Osvaldo Pardo, commerciante di lampade al Tritone, che gli fece ritrarre prima se stesso, poi la moglie da sola e infine consorte e figlia, comprandogli anche altri quadri.

La III sezione, “
Gabinetto di disegni del periodo futurista”, comprende studi a matita, su carta o cartoncino, dalle linee sintetiche di velocità di auto in corsa:
Spessori d'atmosfera (quadro venduto a Londra e non più visto) e
Linea di velocità + vortice, entrambi del '13;
Vortice + spazio e
Velocità + spazio; Vortice di velocità, entrambi del '14, con rapide linee-forza spiraliformi nell’aria, che esprimono il dinamismo e la bellezza della velocità, celebrata da Marinetti nel
Manifesto del Futurismo su "Le Figaro" il 20 febbraio 1909.
I piccoli studi dimostrano - come scrive
Elena Gigli nel prezioso catalogo edito da De Luca - "che la sperimentazione - centro dell'arte di Balla - parte dal disegno, dalla carta, dal gioco che la luce crea col chiaroscuto della matita".
La IV sezione, "
L'astrazione è lo stato d'animo", raccoglie opere nate dopo l'esperienza teatrale dell'azione scenica di luci in movimento su geometriche forme plastiche colorate
Feu d'artifice, ideata e realizzata da
Balla e messa in scena il 12 aprile del '17 al Costanzi (ora Teatro dell'Opera di Roma) per i
Balletti Russi di
Diaghilev (anche regista), su musica di
Stravinsky: la serie
Forze di paesaggio. Delle 16 opere, esposte assieme ad altre 24 nel 1918 alla
galleria di Bragaglia in via Condotti, in mostra ne troviamo un paio del 1917-18. Hanno in comune “Ottimismo/Forme pensiero/tricoloriridismo" e la medesima struttura grafica, ma differiscono di poco e per i colori:
Forze di paesaggio + cocomero (fig. 5), dai volumi prismatici (prismi interiori, stati d’animo circolari), a punta e a semisfere (per la teoria della simpatibilita' delle cose che le solidifica trasformandole in solidi acuti), dal tricolore nazionale alla fine della Grande Guerra, nasce come idea da un'anguria tagliata a spicchi ricevuta in regalo una sera a cena.
Forze di paesaggio + cretonne e turchesi, dall’accesa policromia nelle piatte superfici verniciate, dove una coppia di volumi sferici ricordano corolle di motivi tessili. Con le parole del
FuturBalla, diremo "forme sintetiche astratte soggettive dinamiche".

Echi degli interessi per la Teosofia, in auge in quegli anni, riecheggiano nei prismi viola e raggi di luce gialla in "Trasformazione forme spiriti N. 2", del 1918. Linee sagome aguzze e triangolari, dal ritmo rotante, formano i plastici
Fiori futuristi, cactus gialli o tulipani rosa, dalle sfumate dicromie, pure del '18, fotografati nella
casa futurista di via Oslavia, in cui Balla morì nel ’58, dalla quale provengono anche le tele
Linee spaziali N. 9 e
Compenetrazione bis N. 1 (cm 77 x 77): parte di una serie dipinta ad olio nel '29, con simili forme sovrapposte, per coprire antiestetiche tubature domestiche.
Nella
V e ultima sezione, conclusa nel '30 la ricerca d'avanguardia futurista,
Balla torna alla realtà. Dei primissimi anni Trenta sono due ritratti, su tavola di compensato, di giovinette familiari: il primo è
Fanciullcollana, dalla lirica espressione innamorata, in veste gialla e davanti al tendaggio del medesimo colore, per lasciar risaltare la leggera abbronzatura e gli occhi azzurri, nel quale ritrae una figlia del cognato, Francesca, ricordata dalla cugina Elica nel volume
Con Balla, edito nel 1986. Il secondo è
Figlia del sole (fig. 6), ritratto della figlia Luce abbronzata, in veste avorio e giacchino giallo oro, dalle braccia in posa sinuosa, con arazzo futurista alle spalle, "con linee di mare azzurro giallo", eseguito a Terracina (com'è iscritto sul retro).

Il percorso termina con la “
natura viva”, un terzetto di opere realiste realizzate negli anni intorno alla Seconda Guerra: del '39 è infatti la tavola ad olio con il vitreo vaso di fiori
Squilli di rossi, nel quale le dalie dai petali scarlatti o giallo pallido spiccano sul drappo viola, accarezzato sensualmente dalla luce. Il simbolico
Vandalismo; l'olla caduta è invece un olio su compensato, preparato con sabbia e polvere di marmo, dipinto nel '42 in un boschetto di
Villa Strohl-Fern (legata in testamento alla Francia, ma allora requisita e aperta al pubblico dal governo fascista): metafora del momento storico (l'inizio della tragedia bellica) e della caduta delle illusioni - a detta di Elica -, nel quale la luce filtra dall'alto tra le foglie primaverili. E dire che secondo Marinetti: "
Balla, massimo pittore d'oggi... rassomiglia ad un ciclone che dà l'assalto ai ruderi" (passatisti).
L'opera più tarda che chiude la mostra, del giugno '44, è
Armonia solare, pastello su cartone, sul retro del quale la scritta autografa identifica la pineta rappresentata in quella di Monte Mario. Ancora coerente con tutta la sua produzione pittorica, nelle nuvole e nei tronchi arrossati Balla ricerca effetti e giochi di lumi. Per dirla con Maurizio Fagiolo, "realtà divinizzata dalla luce".
Antonio Giordano, 16/10/2013
Balla inventore, mago, profeta
a cura di Elena Gigli
Fino a giovedì 31 ottobre 2013
Palazzo Azimut, Roma
Via Flaminia 130
Aperta al pubblico gratuitamente previa prenotazione dal lunedì al venerdì.
Per informazioni e prenotazioni telefonare al numero 06 322991 o scrivere a eventiroma@azimut.it