“È una linea sottile, quella tra la vita e la morte. Nessuno di noi vuole pensare a quanto sia fragile la nostra esistenza, ma per me la bellezza dell’universo nasce proprio da questa fragilità.”
Un'affermazione che lascia un po' sbigottiti: la bellezza viene messa in relazione con i temi della vita e della morte e soprattutto con la fragilità della nostra esistenza. Bill Viola, questo esponente tra i più arditi e affermati della videoarte, non scherza e infatti, al pari di un artista rinascimentale redivivo, si disimpegna su questo fronte con sosprendente abilità e, soprattutto, con un crescente successo delle sue “performances”.
Come tiene a sottolineare Chris Townsend in L'arte di Bill Viola, l'artista italo-americano vanta, ormai da tempo, una singolare popolarità: nel 2001, nell'arco di un paio di mesi, la galleria di Anthony d'Offay di Londra registrò per una sua mostra la presenza di ben 40.000 visitatori. Niente male per un'arte che si pone, gioco-forza, tra le più rappresentative e sintomatiche della nostra epoca mass-mediale e un formidabile biglietto da visita per un artista che, ormai, di questa arte è visto quale indiscusso protagonista. Valmontone – si guardi caso – ospita questa celebrità nella Mostra MICROCOSMO, allestita nelle affrescate, austere sale del Palazzo Doria-Pamphilj e aperta al pubblico fino al 31 c.m. La circostanza è del tutto eccezionale poiché offre la possibilità di accostarsi, in qualche caso la prima volta, ad una delle video-opere più intense e significative di Viola e scoprire la “novità” che ambisce, per qualche verso, a proporsi quale arte, per il tempo corrente, di tipo “rinascimentale”, capace cioè di rappresentarne lo “spirito” (nelle tensioni verso ideali ben riposti, la libertà, la giustizia) e le tante “crisi” che l'attraversano (di tipo esistenziale, sociale e internazionale).
I caratteri più propri dell'arte visionaria di Viola e che la rendono unica nel suo genere sono: la capacità di affrontare temi “profondi” dell'esistenza umana (la nascita, la morte, il perché dell'esistere, il suo fine), la ricchezza di tali contenuti (affrontati e risolti con assoluta serietà d'intenti) e la qualità delle composizioni (perlopiù suggestive ed emozionanti). Tutto ciò è immediatamente percepito dall'osservatore-spettatore che ne resta preso e – si può senz'altro dire – “visceralmente” coinvolto. Non piace usare quest'ultimo avverbio per caratterizzare la nota che, “in primis”, segna la reazione del pubblico, a cui per altro subito si accompagna la nota “intellettuale”: un'azione-reazione che si sublima nella condizione di chi (lo spettatore) ne resta, per il tempo della visione, soggiogato.
La “chiave” di questa nuova, a volte conturbante, arte è – come subito s'avverte – nella formidabile e più avanzata disponibilità tecnologica che la sostiene e rende possibile. Nel back-ground di questa attività non c'è più il singolo artista, il Leonardo o il Michelangelo del momento: bisogna pensare a un intero staff di specialisti, produttori, costumisti, scenografi, tecnici delle luce, cameramen. E l'“artista” allora? Egli si acconcia nel ruolo niente affatto minimale dell'“ideatore-regista”: in mano non stringe più lo scalpello né il pennello. C'è da ritenere che le sue mani e quelle dei suoi collaboratori picchiettino convulse sulle tastiere delle più evolute macchine elettroniche potenziate dai più sofisticati software.
Da ultimo, specialmente da parte dell'osservatore più smaliziato, si potrebbe levare, caustica, la domanda: «È vera arte codesta?». Forse non spetta a noi contemporanei dare una risposta. Tutte le circostanze già propendono, però, per una risposta positiva e richiamano alla memoria le vicissitudini delle tante “rivoluzioni” occorse nella storia dell'arte, non mai così clamorose, ma sempre tuttavia innovative rispetto ad un passato più o meno prossimo. Non fu così per Giotto? E cosa avvenne, in ogni campo, nel Rinascimento? e per Caravaggio, per le primizie degli impressionisti, e per tutte le avanguardie in ogni settore dell'arte? Bill Viola – passi la ripetizione – non brandisce il martello dello scultore, ma “gioca” con i giga – pardon – con i tera e i peta-pixel delle immagini dispensate dalla tecnologia audiovisiva. Le sue produzioni possono anche colpire prima le "viscere" e poi la “mente” dell'osservatore, ma non possono vantare la solidità perenne di un David o fermare per l'eterno il sorriso di una Gioconda, perché possiedono solo la leggera volatilità di uno sguardo.