0_ Ottavio Leoni_Caravaggio1. I primi soccorsi e la SS. Trinità dei Pellegrini

Questo saggio mira a spiegare il percorso di Caravaggio nel primo anno e mezzo del suo soggiorno romano e cerca di offrire una visione panoramica sull’ambiente in cui egli venne scoperto, attraverso il sostegno di coloro che lo hanno apprezzato e tollerato malgrado un carattere fondamentalmente contrario a tutto e tutti.


Precedentemente al Cardinal del Monte, suo primo mecenate, in pochi erano venuti a conoscenza delle sue innovazioni, e questo non solo perché era giunto a Roma da poco, ma anche perché il pittore non aveva ancora messo a punto i suoi spettacolari effetti pittorici.

Individuo vulnerabile, evidentemente in preda a problemi che non avrebbe mai risolto, da principio fu la sua abilità nell’imitazione ad essere impiegata nella produzione di immagini seriali e iconiche, mentre in seguito egli si specializzò nel riprodurre le fattezze di personaggi illustri, entrando a far parte di un’industria “turistica” assai fiorente nel posto. Alienato dalla famiglia, arrivò a Roma da rifugiato, senza mezzi, lasciandosi indietro una vita probabilmente altrettanto caotica di quella successiva. Per chiarire il fenomeno della sua personalità, la sua reticenza nel parlare di ciò di cui si occupava è altrettanto inadeguata quanto la nostra lettura soggettiva delle opere: ma è chiaro che egli vedeva persone e cose in modo completamente diverso dai suoi contemporanei, e si dedicò all’idea dell’imitazione del vero, in primo luogo nel campo della ritrattistica, piuttosto che all’idea del bello.

Constatare che non sia arrivato a Roma che alla fine del 1595, al più presto, reca invece un certo ordine negli avvenimenti successivi e rende più chiara la sua  personalità. Dimostra anche come la sua evoluzione artistica sia stata nettamente diversa da quella degli altri grandi pittori coevi, che costruivano le loro immagini dalla memoria e dalla fantasia(1). Non fu certo il primo a studiare il vero, come spesso si afferma, poiché tanti perseguivano un naturalismo spinto: egli lo ritraeva, piuttosto, per il tramite di immagini reali delle cose.

Sembra calzante alla fama di Caravaggio che la prima documentazione della sua presenza a Roma ci sia tramandata attraverso la testimonianza giurata del garzone di un barbiere, costretto a raccontare la verità dopo essere incarcerato per una notte. Gli autori della scoperta di questo documento all’Archivio di Stato di Roma(2) hanno di seguito ribadito la buona fede delle sue dichiarazioni, di fronte alla critica che considera questo testimone poco attendibile. Forse questo Pietro Paolo Pellegrini aveva veramente paura di una personaggio così minaccioso e per questo non voleva tradirlo alle autorità. Gli avvenimenti fanno luce invece sull’atteggiamento del nostro artista rispetto ai suoi coetanei, demolendo certi miti a proposito della sua fedeltà al mondo milanese da cui era partito e sottolineando le celerità con cui egli giunse alla fama.

a_ Caravaggio_Bacchino malatoL’ardua possibilità che un personaggio così irrefrenabile avrebbe potuto celarsi nella capitale creando capolavori senza che nessun se ne accorgesse non è l’unico elemento da considerare: la natura di Caravaggio era imprevedibile e questo lato del suo carattere non è stato ancora indagato abbastanza per intendere pienamente la rivoluzione sul piano della percezione che egli operò.
In verità tutti siamo stati ingannati dall'indicazione di Giulio Mancini, che giudicò il pittore al tempo del suo soggiorno con Monsignor Pucci all’incirca ventenne; e la maggior parte della critica ha inteso imperfettamente la natura di quella ospitalità e di quella del Monsignor Petrignani, che sembrano invece più aver voluto dare un tetto sopra la testa che non una direzione artistica.

Se mettiamo da parte il giudizio manciniano, vediamo che tutte le indicazioni confermano come l’artista sia arrivato a Roma alla fine del 1595, poco prima che il Pellegrini si ricordava di averlo conosciuto. Non è chiaro se ci furono contatti con Costanza Marchesa di Caravaggio o se abbia avuto un appoggio dalla sua famiglia, e non ci sono tracce di dipinti che eventualmente siano arrivati nel suo territorio d’origine. Non tutto ciò che proviene dalle sue zone ha un'effettiva importanza per il nostro pittore.
La fama della sua arte, alla fine del soggiorno romano, sembra avere colpito il suo parente Marzio Colonna più di qualsiasi legame familiare nella fuga verso Napoli, di nuovo senza una lira. Non ci sono tracce concrete di opere ‘giovanili’ che avrebbero anticipato la sua attività nel 1596/97, mentre invece ci sono delle chiare indicazioni che la sua tecnica scaturiva da una rivelazione immediata.

Fosse così o meno, egli era visto come se non avesse avuto alcun apprendistato, preparazione necessaria alla professione di pittore di figure. Era considerato di cervello stravagantissimo, e per un certo verso era il momento giusto per l’osservazione di una tale follia, e per darci sfogo: e la stranezza del suo comportamento era in qualche modo collegata con il modo in cui egli risolveva il problema della rappresentazione.

La data del suo arrivo a Roma - probabilmente non molto prima del momento in cui, durante la Quaresima del 1596, lavorava da pittore giornaliero nella bottega del siciliano Lorenzo Carli a San Luigi dei Francesi - è documentata per la prima volta nel catalogo di una recente mostra all’Archivio di Stato a Roma, e coincide con quello che sappiamo dei suoi movimenti dalle altre fonti. Ma crea un’altra sequenza rispetto a quella che solitamente era stata costruita per le sue opere, una o due per anno, quando il suo arrivo veniva collocato nel 1592. Mentre la nuova cronologia lascia tempo e attività precedenti l’impiego presso Lorenzo Carli, lo sviluppo artistico ha ora una partenza da questi inizi modesti in una bottega di “ricordi turistici”. E mentre il documento del luglio 1597 accenna solo alla SS. Trinità dei Pellegrini come la fondazione ove Prospero Orsi, compagno di Caravaggio, abitava ‘alla casa mia alla Trinità di Ponte Sisto’, questa istituzione era invece il rifugio più naturale per un immigrato nel caos della capitale.
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E importante rivedere la base storica su cui è fondata la trama della vita di Caravaggio, per il fatto che il suo successo non è accompagnato da una narrazione minuto per minuto, e le lacune sono state spesso colmate con la fantasia.  Egli era di origini abbastanza umili, e aveva in verità poco a che fare con la famiglia nobile del suo paese in Lombardia. Così anche i suoi coetanei, persino Mancini, hanno abbellito il suo lignaggio; e più tardi Bellori, che era di una generazione artistica successiva, pur sempre incline a diminuire il suo profilo diede fede alle sue pretese origini ‘nobili’. I suoi ammiratori non si contavano tra i pittori affermati, per il motivo che la sua tecnica di rappresentazione escludeva gli insegnamenti tradizionali, le preparazioni e le finezze tanto ricercate.

Soprattutto Caravaggio non ha tramandato il percorso della sua vita, e così la sua progressione verso la fama ci è nota solo attraverso i momenti pubblici documentati. Era un solitario che non si confidava con nessuno. Persino l’origine della sua scoperta decisiva fu appena notata, e solo ora il ruolo dei suoi fautori, Onorio Longhi (un rompiballe lombardo che aveva vissuto a Roma sin dalla prima infanzia) e Prospero Orsi, comincia a essere inteso pienamente. Mentre è sempre stato ovvio che il Cardinal Del Monte costituì una personaggio-chiave per Caravaggio, sembra che il carattere del suo interesse fosse legato piuttosto alla sua inventività pratica che a eccellenze letterarie o artistiche, e l’eclisse di questo personaggio durante l’età dei Barberini ha quasi azzerato le tracce del suo rapporto col pittore, dal quale soprattutto dipende la sua notorietà.

b_%20Caravaggio_Fanciullo%20con%20canestro%20di%20fruttaEra forse anche da aspettarsi che il più importante custode di opere d’arte in città negli anni Venti del Seicento, Vincenzo Giustiniani, il quale si era convertito a questo gusto, fosse considerato una forza vitale nel mecenatismo in favore del nuovo naturalismo. Ma sembra che egli all’epoca fosse coinvolto maggiormente in altri interessi, e ci si manifesta principalmente come l’erede della collezione cui aggiunse altri acquisti dopo la morte del fratello Cardinal Benedetto nel 1621.
Non c’erano contatti tra Vincenzo e Caravaggio(3), mentre il ruolo che ha avuto il fratello maggiore, erede del Palazzo in Roma, commissionandogli delle opere e manifestando una passione per il suo stile, non figura nei resoconti coevi. Sopratutto è importante limitare la tendenza a giudicare le opere di Caravaggio sotto il profilo del gusto odierno, invece di cercare il loro significato di allora.

È Bellori, nelle note scritte a margine della sua copia delle Vite di Giovanni Baglione(4) (verosimilmente redatte durante il decennio della pubblicazione), a segnalare la condizione in cui il pittore arrivava nella città, “estremamente bisognoso et ignudo”, prima di trovare asilo presso la bottega di Lorenzo Siciliano. Concetto ripetuto dallo stesso storiografo all’interno della sua biografia del pittore (1672, p. 202), nel resoconto dell’arrivo a Roma, dove “vi dimorò senza recapito e senza provvedimento”, vale a dire da senza tetto né mezzi.
Se certamente non spiega dove fosse in quegli anni mancanti a partire del 1592, quando è ricordato ancora in Lombardia, Bellori ci dice nondimeno come egli fosse partito per aver ucciso “un compagno”. Aveva venduto la maggioranza dei beni che gli spettavano dal patrimonio familiare ancora prima della morte della madre nel novembre di 1590, e il rimanente prima del 11 maggio 1592: dopo di che sparisce per quattro anni prima di farsi nuovamente vivo a Roma. L’idea, promossa dal Bellori, che “alcune discordie lo hanno portato ad abbandonare Milano per visitare Venezia”, sembra fondata su una spiegazione stilistica di elementi ‘veneziani’ della sua arte: l’origine di molte interpretazioni delle novità della sua arte.

Il Mancini conferma il ricordo dei suoi problemi con le autorità, sostenendo che egli passò un anno in prigione a Milano e accennando allo sfregio da una ragazza e ad alcuni sbirri ammazzati(5), documentando così il suo coinvolgimento in due uccisioni anteriori a quella famosa del 1606. L’impressione che la sua grande fama fosse piuttosto recente trapela dalle pagine di Carel van Mander, pubblicate nel 1603, ma basate sugli appunti comunicati da un pittore che doveva essere partito dalla città poco dopo lo scoprimento dei quadri della Cappella Contarelli nel 1600. ‘E faticosamente uscito dalla povertà mediante il lavoro assiduo’: e l’osservatore, il pittore Florijs van Dijck, ci tramanda anche aspetti del suo carattere che non scaturiscono dal senno di poi, ma testimoniano l’occhio di qualcuno autenticamente colpito da questa forza della natura.
Non furono neanche i compagni lombardi a dargli ricovero - Caravaggio li evitò sin dal principio - e in verità ebbe pochi contatti con la loro comunità a Roma. Sembra aver scansato anche il suo fratello più giovane, Giovanni Battista, presente a Roma nel 1596(6) e probabilmente fino al 1599.
 
f. Caravaggio, Buona ventura, Pinacoteca Capitolina(1)

In effetti l’idea che Caravaggio arrivasse squattrinato a Roma è un elemento comune di tutte le narrazioni, e anche quando si presenta da Bernardino Cesari era vestito di cenci - “comparisce malvestito” - prima di essere accettato con un pagliericcio in un palchetto, salvandolo dalla vita di strada. Anche quando abitava presso Del Monte aveva poca cura della sua persona, se Pietro Paolo Pellegrini ci racconta ‘che va vestito di negro non troppo bene in ordine, che portava un paro di calzette negre un poco stracciate...’.

Era pur sempre una fortuna migliore rispetto a quella che toccava alla maggioranza dei moltissimi forestieri che arrivavano in città. Le risorse della Chiesa successivamente alla rivolta protestante erano diminuite nell’affrontare un problema sociale immenso, l’immigrazione era oltre ogni limite di controllo e il quaranta per cento della popolazione era in condizioni di miseria totale(7).
Pio IV, nella Bolla del 1561 "Illius qui pro Dominici", aveva cercato di rispondere al problema dei “poveri esposti alla neve al freddo, che dormivano nelle grotte delle rovine, persino morendo dal freddo e dalla fame”(8). Sisto V lo affrontò in modo deciso, non solo incoraggiando le comunità delle varie nazioni presenti in città ad ospitare i loro concittadini, ma anche a radunare i mendicanti e senzatetto, confinandoli allo stesso modo delle cortigiane, che dovevano rimanere dentro i limiti del ghetto dell’Ortaccio.

Era un momento in cui le processioni si succedevano in gran numero, e dopo la pubblicazione della Bolla papale "Quamvis infirma" del 1587 ottocentocinquanta di questi miserabili vennero alla chiesa di San Sisto Vecchio, vicino le Terme di Caracalla. Questi erano i "plurimi pauperes fame, frigore, nuditate rerumque omnium inopia conflicti ac variis morbis et incomodis conflictati"(9): e riconosciamo le parole impegate dal Bellori nel descrivere Caravaggio al momento dell’arrivo, “estremamente bisognoso et ignudo”.
Papa Sisto V si rese conto ben presto che le risorse al Quirinale erano insufficienti e acquistò terreni accanto al Tevere per costruire lo Spedale di San Sisto dei poveri mendicanti, l’Ospedale dei Poveri(10). I confinati non avevano l’impressione di un libero ricovero: c’erano molti impieghi per loro e quelli che non partecipavano venivano puniti. Gli statuti davano “facoltà a gli Amministratori dello stesso Spedale di poter punire con ogni sorta di castigo corporale, fuori che di pena capitale, tutti quei poveri, li quali per malizia di non voler procacciarsi con industrie oneste, e con faticare, il vitto, vanno accattando per la città(11).

L’ospedale era gestito anche con la partecipazione della confinante Confraternita dei Pellegrini e Convalescenti, l’istituzione fondata dagli Oratoriani di Filippo Neri, che rivendicava il gran numero di pellegrini che riceveva: fino a 175-000 nel Giubileo di 1575, e forse anche il doppio in quello del 1600. La coscienza sociale nata nella Chiesa al tempo del Consiglio di Trento trovava la sua espressione maggiore in questo quartiere di Roma, ed era uno sforzo notevole in favore dei tanti rifugiati nel cuore della città, considerando che le varie nazioni seguivano i loro compatrioti anche nelle diverse parrocchie. La zona occupata nei pressi del Ponte Sisto era grande e, a parte i Pellegrini, l’Ospedale dei Poveri era vicino al Conservatorio dei SS Clemente e Crescentino, istituzione per il ricovero delle orfane che rischiavano la vita di strada quando venivano dimesse - le cosiddette Zoccolette in ragione degli zoccoli che erano solite calzare. Questa fondazione aveva posti per ospitare ben duemila persone.

Davanti all’Ospedale dei Pellegrini vi era inoltre il Pio Monte della Misericordia, fondazione promossa da Clemente VIII che forniva prestiti ai poveri allo scopo di ridurre la minaccia dei prestiti degli usurai i quali chiedevano delle rate esorbitanti(12). Una parte del palazzo davanti la SS. Trinità era riservata ai pegni, l’altra alle operazioni bancarie. Nel Settecento la fondazione si ingrandì ancora, incorporando il già Palazzo Barberini ai Giubbonari, dove ai giorni di Caravaggio abitava il giovane Maffeo Barberini, futuro Papa Urbano VIII. Nella strada accanto ai Giubbonari era anche la casa di Bernardino e Giuseppe Cesari, i pittori più rinomati della città.
 
e_ Caravaggio, I bari, Fort Worth, Kimbell Art Museum

Ma non è solo attraverso gli sforzi assidui per lavorare che Caravaggio evitò di essere rinchiuso in una istituzione romana. Durante il papato di Clemente VIII l’atteggiamento verso i poveri e i mendicanti che affollavano le strade e sopratutto le chiese cambiò profondamente, e si cominciò a vederli come l’occasione di dare elemosine e comportarsi pietosamente. I confinati negli Ospedali dei poveri mendicanti calarono in numero, non più di centocinquanta, mentre a migliaia si recavano per rifugiarsi alla Trinità dei Pellegrini, ove i prìncipi della chiesa e la classe nobile venivano per la cerimonia della Lavanda dei piedi, per evidenziare l’espressione della loro pietà verso la condizione dei pellegrini e dare elemosine ai tanti mendicanti che arrivavano da tutte le parti.

Fu Gregorio XIII che aveva iniziato a dedicarsi al problema di ‘questa molesta turbe d’inutile, e perniciosa gente. Li quali havendo visto, che per Roma andavano molti poveri forestieri che  per non haver luogo alcuno che li ricevesse, erano costretti la notte di dormire sopra i banchi delle botteghe de gli artigiani poichè non era ancora conosciuta l’opera dello spedale della Santissima Trinità de Pellegrini, & convalescenti(13). Giulio Cesare Capaccio vedeva la stessa cosa a Napoli, dove il sovraffollamento conduceva tanti ad abitare in qualsiasi grotta o portone che potevano trovare, oppure sotto i banchi delle botteghe.  Molti di coloro che venivano dalle altri parti d’Italia dormivano sulle panche delle botteghe degli artigiani, e se possedevano qualche mestiere si dedicavano a cercare lavoro, così come racconta di Caravaggio, "che è faticosamente uscito dalla povertà mediante il lavoro assiduo, tutto afferrando e accettando con accorgimento e ardire, secondo fanno alcuni che non vogliono rimanere sotto per timidezza e pusilanimità, bensì si spingono avanti franchi e senza vergogna e dappertutto cercano audacemente di loro vantaggio; il che avviene in modo onorevole e senza pregiudizio della cortesia, non è poi tanto da biasimare: la fortuna infatti spesso non si offre a noi, bisogna rovesciarla, stuzzicarla, tentarla" (K. Van Mander, Het Schilderboek, 1603, traduzione di Stefania Macioce, p. 309)(14).

Quella che iniziò nel 1548 come Confraternita della Santissima Trinità del Sussidio, il cui nome dopo il 1562 mutò in SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, divenne una delle istituzioni più notevoli a Roma, occupandosi dei grandi afflussi di pellegrini, particolarmente negli Anni Santi. Quando Filippo Neri era a San Girolamo della Carità veniva a parlare regolarmente presso la chiesa vicina ove quindici fratelli laici fondarono la Confraternità: questo avveniva nella chiesa medievale di San Salvatore in Campo Domnio, mentre una piccola casa nei pressi fu utilizzata per ospitare i pellegrini dell’Anno Santo 1550. La chiesa e la casetta che il confessore del Neri, Persiano Rosa, aveva assegnato alla confraternita rimasero il centro dell’iniziativa anche dopo che Gregorio XIII dedicò la chiesa in rovina di San Benedetto in Arenula (ad oriente del sito dell’Ospedale nella Via del Conservatorio). La costruzione della chiesa della SS Trinità occupò il decennio successivo, ma ci fu un’interruzione nei lavori, probabilmente a seguito della morte dell’architetto Martino Longhi nel 1591; i lavori furono ripresi solo nel 1603(15), e la consacrazione non avvenne che nel 1613.
La chiesa di San Salvatore in Campo (il Campo era forse quello del sito dell’Ospedale) fu invece demolita solo nel 1639, per facilitare l’ulteriore ingrandimento del Monte di Pietà, il quale aveva già assunto il sito del Palazzo Petrignani.

1(13)San Salvatore fu poi trasferito nella piazzetta attuale (che porta il nome della Chiesa) ad oriente del Monte di Pietà. Ma alla fine del Cinquecento questi due monumenti s’affacciavano verso l’Ospedale e l’attuale chiesa di SS. Trinità, cosicché le stanze di Prospero Orsi accanto a San Salvatore erano quasi dentro l’Ospedale, e la stanza che fu assegnata a Caravaggio da Monsignor Petrignani guardava ugualmente verso quel monumento, lungo la Via dei Pettinari all’altezza dell’ Arco del Monte, come vediamo da una pianta del 1638 (Fig. 7)(16), quando la chiesa stava per essere demolita.
Quando nel luglio 1597 i due uscirono dalla corte, Caravaggio si diresse verso la casa del Cardinal Del Monte, mentre Prospero l’accompagnò per una parte della strada, avendo cenato presso l’Osteria della Lupa a cento metri dalla studio del Carli(17), perché era commorans ad Trinitatem Pontis Sisti: ed è in queste stanze sopra una bettola o taverna accanto a San Salvatore che è sempre ricordato negli  Stati d’Anime dal 1602 fino alla sua morte nel 1630.

La gran maggioranza dei confratelli della SS Trinità, circa il 70%,  erano artigiani, e così era facile che un artigiano povero di una altra parte d’Italia vi si recasse, e benché da principio avrebbe trovato alloggio solo per qualche giorno all’Ospedale stesso, avrebbe presto trovato dei colleghi disposti a trovargli un impiego, e mecenati che potessero fornirgli un tetto sotto cui dormire. La Confraternita era considerata la forza trainante dell’Ospedale della SS. Trinità (che era visto come un ente pubblico) e dell’Ospedale dei Mendicanti, ma anche come una fondazione a se stante(18), guidata dai notabili della città.
Molti dei primi mecenati di Caravaggio - Tiberio Cerasi, Giovanni Battista Crescenzi, Ermete Cavalletti, i famosi fratelli Mattei - appartenevano alla Trinità, come è stato sottolineato da Marco Pupillo nel suo studio recente(19). I Crescenzi, più tardi una presenza notevole nella scena artistica a Roma, erano strettamente legati a Filippo Neri e la SS. Trinità, e sarebbe stato Pietro Paolo Crescenzi l’arbitro di gusto nella scelta di Caravaggio per la commissione dei dipinti della Capella Contarelli nel 1599(20). In realtà, c’era un’altro palazzo Mattei ubicato tra la SS Trinità dei Pellegrini e Ponte Sisto, appartenente verosimilmente a Fabio Mattei del ramo Paganica della famiglia, Guardiano della Confraternita e tra le figure principali della fondazione al volgere del secolo(21).

Fabio(22) e Muzio Mattei erano della  stessa generazione quanto i loro cugini più noti Ciriaco, Gerolamo e Asdrubale, essendo i figli di Ludovico II Mattei dal suo matrimonio con Lucrezia Capranica nel 1541. Ciriaco (nato nel 1545) sposò nel 1560 la cugina Claudia, figlia di Giacomo Mattei, e Fabio ereditò il Palazzo Nuovo (Palazzo Mattei di Paganica) alla morte del padre nel 1566, mentre al fratello Muzio toccò il Palazzo Vecchio; i cugini, invece, abitavano nel Palazzo Mattei di Giove, tutti quanto nella medesima insula del quartiere. Fabio aveva sposato Faustina Orsini, la figlia di Vicinio Orsini e Giulia Farnese, e rimase vicino al Cardinal Odoardo Farnese(23) lasciandogli delle opere d’arte alla sua scomparsa nel 1612. Fu assieme a Fabio Mattei che quest’ultimo commissionò ad Annibale Carracci la Pietà che venne installata nella cappella della famiglia Mattei a San Francesco a Ripa per la Pasqua del 1603 (forse motivata dalla commemorazione della moglie, deceduta nel 1594).

3(12)Sembra che Fabio Mattei si sia dedicato ad opere pie nel contesto della SS Trinità dopo la morte della consorte. La “Casa degli SSi Matthei”(24) a Ponte Sisto è chiaramente segnalata sulla pianta del 1597 (Fig. 8) opera dell’architetto Giovanni Paolo Maggi, poi integrato nell’Ospedale stesso come indica la pianta Letarouilly del 1868(25).
Non abbiamo notizie certe di commissioni che Fabio Mattei avrebbe incaricato a Caravaggio, ma rimane una possibilità visto che egli impiegò altri artisti dallo studio degli Zuccari per ornare il suo Palazzo Nuovo. Sia Fabio sia il suo fratello maggiore Muzio si palesano mecenati al pari dei loro cugini: Muzio costruendo il palazzo imponente accanto a San Carlo alle Quattro Fontane, poi conosciuto per i nomi di proprietari successivi, Albani e Del Drago, e anche la fontana famosa disegnato da Taddeo Landini per la piazzetta davanti il Palazzo Nuovo.
Fabio evidentemente accolse gli ideali pauperistici di Filippo Neri, ma la sua attività alla SS Trinità sembra far parte di un atteggiamento comune all’intera famiglia Mattei, cui contribuì fortemente il matrimonio dei propri genitori, che consentì che i beni di due capofamiglia fossero integrati(26).

Caravaggio rimase alienato dalle sue radici lombarde anche nella sua comunità romana, e mentre molti sforzi sono stati indirizzati per associarlo alla presenza dello zio Lodovico, presente nell’Urbe dall’inizio del decennio nella zona vicino San Pietro, non ci sono documenti per comprovare questa ipotesi.
Le tre categorie di pellegrini che l’Ospedale della SS. Trinità accettava comprendevano i bisognosi, che potevano essere ospitati per almeno tre giorni, i convalescenti, che venavano portati giornalmente da tutti gli Spedali di Roma (Camillo Fanucci, p. 268) per soggiornare fino a che avevano ripreso le loro forze, e i prigionieri scarcerati(27). Lo stesso Carlo Borromeo nel 1575 fece una donazione alla fondazione allo scopo di promuovere l’accoglienza di pellegrini milanesi. Da tre a cinquemila persone poterono essere ospitate in questo modo. Caravaggio, se mai vi fu accolto, sarebbe rimasto solo per un breve soggiorno, ma questa confraternita composta di artigiani sarebbe stata un luogo ricco di possibilità di lavoro e di incontro con possibili mecenati; nel 1601 si decisero, in effetti, a chiedere all’ormai famoso pittore una pala d’altare per la Compagnia della SS Trinità a Città del Messico.
Prospero Orsi abitava nei pressi, e l’altro appoggio suo (dall’estate del 1598 in avanti) era il figlio dell’architetto della nuova chiesa della SS Trinità, Onorio Longhi, il quale cercava di farsi affidare gli incarichi del padre(28).
(continua)

Note:
1. Questo è il “modo di dipignere, come si dice, di maniera, cioè che il pittore con lunga pratica di disegno e di colorire, di sua fantasia senza alcun esemplare, forma in pittura quel che ha nella fantasia...”, Vincenzo Giustiniani, Discorso sopra la pittura, ed. a cura di Anna Banti, Firenze 1981, p. 43.
2. Pubblicato da A. Cesarini, Il musico, il barbiere, il ferraiolo. Una testimonianza inedita sui primi anni di Caravaggio a Roma  nel catalogo della mostra Caravaggio a Roma, Una vita dal Vero,  Archivio di Stato a Roma, 2011, p. 54-59; vedi anche l’Introduzione in L’essercitio mio è di pittore, Caravaggio e l’ambiente artistico romano, a cura di F. Curti, M. Di Sivo, O. Verdi, in “Roma Moderna e contemporanea”, Anno XIX, 2011, 2, luglio-dicembre, pp. 151-165.
3. Vincenzo agisce da banchiere per conto di Tiberio Cerasi nel 1600 per la sua Cappella a S. Maria del Popolo, e da estimatore per la pala d’altare che Caravaggio eseguì per S. Maria della Scala. Gli altri documenti sono posteriori alla partenza da Roma del pittore.
4. Alla Biblioteca Corsini, Roma; ristampata in S. Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Fonti e documenti 1532-1724, Roma 2003, p. 56, citando un documento del 26 ottobre 1596.
5. “Fece delitto. Puttana scherzo (?) et gentilhuomo scherzo (?) ferì il gentilhuomo et la puttana sfregia sbirri ammazzati volevano saper che i compagni, fu prigion un anno et lo volser veder vender il suo... a Milano fu prigion, non confessa, vien a Roma nè volse...” Considerazioni, I, p. 227.
6. S. Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Fonti e documenti 1532-1724, Roma 2003, p. 318.
7. P. Higginson,  Poverty and Papal Piety in Rome c. 1600: Painting, Pastoralism and Spectacle in "Others and Outcasts in Early Modern Europe", Ashgate 2007, pp. 87-106: ‘It was in the final decade, during Clement’s papacy, that social hardship in the city reached an unprecedented level’.
8. “Paritur considerantes, multos pauperes, pruinae, & frigoribus expositos dictae Urbis jacere, & interdum maxima, & extrema frigoris calamitate & fame perire”. Citato in  F.M. Ferro, Il gran teatro della romana pietà, in "L’ospedale dei pazzi di Roma dai papi al ‘900", ed F.G. Bernardini, 1994.
9. Dalla Bolla di Sisto V, in A. Tosti, Relazione dell’ origine e progressi dell’ ospizio apostolico di San Michele, 1832, p. 9.
10. Con una chiesa sulla ripa del Tevere (successivamente demolita per il Lungotevere) dedicata a San Francesco, santo patrono dei poveri. La comunità viene traslocata al Nuovo Ospizio Apostolico di San Michele nel 1714, e il palazzo è destinato a ospitare l’ Ospedale dei ‘cento preti’ (per anziani prelati e disabili).
11. Carlo Bartolomeo Piazza, Opere pie di Roma, 1679, p.  77.
12. ‘The powerful loan economy led to enormous wealth for some, but also impoverishment for many of the ordinary people of Rome’ P. Higginson, loc. cit, 2007 p. 91. La fondazione di Sisto V fu traslocata dalla Via dei Coronari per opera di Clemente VIII, che acquistò Palazzo Petrignani e altri immobili accanto, aprendo il Monte su questo sito nel 1604. I prestiti venivano concessi per zero o a tariffe molte basse su oggetti lasciati in deposito per un periodo determinato.
13. Camillo Fanucci, Opere pie di Roma, 1601, p. 57.
14. Het Schilderboek, 1603, traduzione di S. Macioce, 2003,  p. 309.
15. A. Lemoine, Le vicende costruttive della chiesa della SS Trinità dei Pellegrini a Roma dal 1572 al 1690, in "Bollettino d’Arte", 1994, 86/87, p. 116.
16. Nell’Archivio della SS Trinità, pubblicata da C Keyvanian, ‘Concerted Efforts: The Quarter of the Barberini ’Casa Grande in "Seventeenth Century Rome’ Journal of the Society of Architectural Historians", 2005, Fig. 10.
17. Orsi nella sua testimonianza del 1597 vi allude come ‘della Luna’; era ubicata nella Via dei Prefetti poco distante da Palazzo Firenze, e la bottega del Carli era all’angolo tra il Vicolo della Stufa di Sant’ Agostino, poi chiuso, e la Scrofa stessa.
18. Camillo Fanucci, nella sua descrizione delle fondazioni pie di Roma pubblicata nel 1601, parla dell’Ospedale e la Confraternità separatamente.
19. La SS. Trinità dei Pellegrini di Roma, in "Artisti e committenti al tempo di Caravaggio", Roma 2001. I Mattei erano tra i più fervidi sostenitori di Filippo Neri, accogliendo il pellegrinaggio annuale alle Sette Chiese di Roma alla Villa Mattei al Celio, la Villa Celimontana, che in particolare Ciriaco Mattei aveva sviluppato.
20. La presenza di Pietro Paolo Crescenzi, per parte degli eredi del Contarelli, al contratto per la decorazione della Cappella del 23 luglio 1599 è da considerare di molto più importante di quella di Berlinghero Gessi, rappresentante della Fabrica di San Pietro, a cui vari appelli erano stati indirizzati per portare i lavori della cappella a compimento (Macioce, 2003, pp. 76-77).
21. Uno dei confratelli di lunga data, Fabio Mattei (c. 1545-1612), “Si tratta di uno dei personaggi in assoluto più rappresentativi della SS Trinità a cavallo tra XVI e XVII secolo” (Pupillo, op. cit, p 42-45).
22. S. Feci, I Mattei “di Paganica”: una famiglia romana tra XV e XVII secolo in "Dimensioni e problemi della ricerca storica",  2011, I, p. 81-113.
23. Avrà conosciuto anche lo zio di Prospero Orsi, Aurelio, che era poeta di corte dei Farnese.
24. ‘Pianta di tutta la casa, chiesa e Oratorio dell SS Trinità dei Convalescenti’, Archivio di Stato di Roma, SS Trinità reg.  461, cc 8v-9r, (da M. Pupillo, op. cit., p. 102). L’ architetto Maggi succedette a Martino Longhi nella carica di architetto alla SS Trinità nel 1591. Nella sua pianta l’intero angolo del sito dalla Via dei Pettinari alla Via della Zoccolette è occupato dalla Casa dei SSi Matthei,  e vi sono delle aperture dirette sia all’ Oratorio già situato sulla Via delle Zoccolette, sia alla Loggia e Cortile al lato sud del refettorio (Pupillo, op. cit, p. 102, Fig. 32). Questa parte dell’ Ospedale veniva demolita negli anni 1940.
25. Pupillo, cit.  fig. 34, p. 104.
26. Giacomo Mattei era rimasto senza eredi maschi, così orchestrò il matrrimonio fra sua figlia Claudia e il figlio di suo fratello Ludovico, e i suoi averi alla sua morte nel 1566 andarono a suo fratello e al suo figlio maggiore Muzio con un chiaro piano per preservare il patrimonio dei Mattei. Muzio e Fabio nel 1580 ereditarono congiuntamente i beni del padre.
27. La Confraternita era particolarmente coinvolta nell’assistenza dei carcerati e il giorno della festa della Santa Trinità (la domenica dopo l’Ascensione) andava in processione attraverso la città liberando due carcerati dalle prigioni (C. Fanucci, Opere Pie di Roma, 1601, p. 269, & p. 59).
28. Onorio tornò dal servizio militare in Spagna (si presentò alle armi per conto di Filippo III) di un paio di anni nel giugno 1598: vedi A. Antinori, Caravaggio nel conflitto tra Onorio Longhi e Stefano Longhi, in "Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli", Atti del Convegno di studi 24-26 maggio 2001, pp. 97-104.