Copertina Baldassari - DolciFrancesca Baldassari ripubblica - profondamente rivista, ampliata e aggiornata - la monografia che dedicò nel 1995 al più importante pittore del Seicento fiorentino: Carlo Dolci (1616-1687). La personalità artistica di Dolci viene riconsiderata alla luce di documenti e dipinti inediti, ricostruendo la sua fortuna critica e indagando il rapporto della sua pittura con la tradizione rinascimentale, il contesto storico, il legame privilegiato con i Medici, la formazione e l’influsso che il suo stile e le sue invenzioni iconografiche seppero esercitare sulla scena fiorentina.


D. Partiamo dai fatti: a distanza di circa vent’anni sei tornata sul luogo del delitto e hai rimesso significativamente le mani sul tuo vecchio amore Carlo Dolci, al quale avevi dedicato una monografia che metteva finalmente ordine sul catalogo di un pittore la cui grandezza, dopo i fasti seicenteschi, aveva rischiato di finire offuscata, oltre che dei capricci del gusto, dalle tante repliche che circolavano e ancora circolano sul mercato (ma anche nei musei) a lui riferite pur se eseguite da allievi o seguaci.

R. In effetti sono passati 20 anni esatti dalla pubblicazione di quel primo catalogo ragionato. I miei studi più approfonditi degli ultimi anni erano nati in previsione di una grande mostra monografica che, assieme a Peter Bowron, avremmo dovuto organizzare a Houston nel 2016, per il V° centenario della nascita del pittore e che avrebbe dovuto avere una seconda edizione alla National Gallery di Londra. L’idea centrale della mostra era quella di riunire i più importanti dipinti conservati nelle collezioni private, accanto a una selezione dei più noti capolavori provenienti da raccolte pubbliche.
Mancato il direttore del museo di Houston, Peter Marzio, grande appassionato di pittura antica, il progetto si è arenato; nel frattempo Peter Bowron ha rassegnato le dimissioni da curatore degli Old masters a Houston e mi è stata proposta come sede alternativa il Davis Art Museum di Wellesley.
I grandi musei internazionali devono puntare sui grossi nomi che sono gli unici che riescono a muovere le masse di visitatori, visto il fallimento di pubblico di alcune mostre, pur bellissime, dedicate ad artisti considerati minori.

Carlo Dolci, Houston, Museum of Fine ArtD. Come hai deciso di trasformare il progetto iniziale in un nuovo volume generale su Carlo Dolci?


R. C’era l’urgenza di aggiornare il suo catalogo, avevo trovato nuovi documenti, cominciavano ad apparire sul mercato letterine di studiosi di opere che io avevo rifiutato e non volevo buttare via il lavoro di tutti questi ultimi anni.

D. Quali sono i principali elementi di differenza rispetto alla prima edizione della monografia?

R. Si tratta di una monografia completamente diversa rispetto a quella del 1995. Dal punto di vista strettamente attributivo il catalogo riporta una trentina abbondante di nuovi dipinti: siamo così passati dai 162 numeri dalla prima edizione ai 195 dell’attuale, alcuni dei quali già da me pubblicati, altri inediti. Quasi tutte le opere autografe sono state riprodotte a colori. È stata omessa la pubblicazione di tutte le copie derivate da originali del pittore, poiché ritengo che nel mio precedente lavoro queste opere fossero state adeguatamente legate attraverso il filo rosso della discriminante qualitativa, mentre ho considerato i dipinti pubblicati da altri studiosi che non ritengo riconducibili alla sua mano nonché quelli che fanno pensare a un prototipo dolciano, ma non raggiungono la sua qualità pittorica. Posso anticipare, fra l’altro, che sono all’opera su un secondo volume dedicato al catalogo dei disegni di Dolci, che dovrebbe uscire entro la fine di quest’anno.

Carlo Dolci, Coll_ privataSoprattutto sono stati indagati molti aspetti che erano rimasti a margine nel mio libro precedente, dove evidentemente l’urgenza principale era quella di dissodare il terreno sotto il profilo attributivo. Nel volume odierno sono così presenti cinque saggi, attraverso i quali ho approfondito questioni quali la fortuna critica e il percorso creativo dallo studio e rappresentazione della realtà alla sua idealizzazione nell’opera finita. Un'accurata ricerca d'archivio ha fatto poi emergere importanti elementi documentari, non solo sulla famiglia, ma anche sui suoi committenti (perlopiù appartenenti alla grande aristocrazia fiorentina), oltre che alla sua biografia in senso stretto. Per fare un esempio, il passaggio nella collezione Gerini di Firenze dell’Adorazione dei magi oggi alla National Gallery di Londra (peraltro già segnalato, alla luce della Notizia del Baldinucci, nella mia monografia del 1995), che è sfuggito fino ad oggi perfino agli studiosi che si sono occupati della collezione, e che sarà oggetto di un seminario che terrò il prossimo 13 febbraio proprio nel museo londinese.
Dolci era un pittore con una profonda cultura religiosa, ispirato da una da una concezione fondamentalmente didascalica dell’arte: quasi tutti i suoi dipinti recano sul retro una scritta, che ho riportato nel libro, che trova quasi sempre il suo corrispettivo nella scrittura dei Salmi.
Massimo rilievo è stato dato al collegamento tra Dolci e la committenza medicea, considerato che quasi tutti i grandi dipinti che egli aveva realizzato per la famiglia Medici sono ancora oggi conservati presso la Galleria Palatina e il museo degli Uffizi, e alla luce dello stretto rapporto fra il pittore e alcuni membri di casa Medici, soprattutto il cardinale Leopoldo, la granduchessa Vittoria della Rovere, il cardinal Carlo e il Gran Principe Ferdinando. Dolci era ammiratissimo per la sua tecnica formidabile e per la sua pittura preziosa e rifinitissima, ideale per un’arte di corte qual era quella fiorentina.

Carlo Dolci, Maddalena, Davis Museum Wellesley CollegeCerto, oggi per ammirare appieno le sue qualità in un certo senso bisogna prescindere dai soggetti per concentrarsi primariamente sulle virtù pittoriche: senza dimenticare, però, che le sue invenzioni iconografiche e compositive ebbero una fortuna eccezionale, a testimonianza di una qualità inventiva e di una capacità di fornire interpretazioni originali dei soggetti sacri che risultarono evidenti ai suoi contemporanei.  È chiaro che un pittore dalle caratteristiche così marcate e peculiari fatalmente è andato soggetto a oscillazioni di fortuna legate al gusto dominante, e che nelle epoche che hanno prediletto uno stile più libero e fantasioso - sia “barocco”, sia ‘preromantico’ - il gradimento per Carlo Dolci abbia subito delle brusche cadute. Al di là di tutto, però, penso si possa affermare che in questi ultimi vent’anni è stata assodata in ambito internazionale la posizione di Dolci al vertice assoluto della pittura fiorentina del Seicento.

D. La collocazione e il ruolo di Dolci sulla scena artistica fiorentina restano questioni critiche ancora di notevole interesse.

R. Dolci prende le mosse dalla scuola di Jacopo Vignali e fino al principio degli anni ’40 nella sua pittura si possono rilevare rapporti con pittori come Cristofano Allori, Matteo Rosselli e soprattutto lo stesso Vignali. Dopo di che imbocca una strada completamente personale, nella quale non si possono più riscontrare affinità con i principali artisti attivi a Firenze. Non ha allievi presso la sua bottega, se non la figlia Agnese e il cugino Onorio Marinari. I pittori oggi considerati dolciani, come Alessandro Loni o Bartolomeo Mancini, di cui ho rintracciato l’atto di nascita al 19 gennaio 1663 (stile comune), appartengono alla generazione successiva: recuperano i suoi soggetti, ma gli sono molto lontani stilisticamente e soprattutto a livello qualitativo.

D. In effetti, la gran massa di dipinti derivati, ispirati, spesso semplicemente copiati da opere di Dolci, oltre a rappresentare una testimonianza illuminante della fortuna che egli ebbe presso gli artisti contemporanei, potrebbe far pensare ad una bottega piuttosto nutrita…

Carlo Dolci, San Paolo eremita, Varsavia, MuseoR. A me sembra che sotto questo profilo la sua vicenda possa essere in qualche modo accostata a quella di Caravaggio: penso che abbiano collaborato con lui solo la figlia Agnese o il cugino Marinari, cioè i ‘familiari’. Il percorso di Dolci lo conduce presto su posizioni assolutamente originali e a staccarsi nettamente dal contesto che lo circondava, fuori da qualsiasi possibile influenza artistica. Anche la questione dei rapporti con i pittori olandesi del Seicento, più volte segnalata e certamente suggestiva, va attentamente inquadrata dal punto di vista cronologico. Bisogna infatti considerare che è soprattutto con Cosimo III, dopo la metà del secolo, che si verifica una cospicua entrata di opere olandesi nelle collezioni granducali, mentre già allo scoccare degli anni Quaranta Dolci approda alla sua caratteristica tecnica, minuziosa, smaltata e lenticolare, con colori preziosi e levigati come pietre dure. Una cura quasi ossessiva per la finitezza e il nitore cromatico che derivano in primo luogo dal suo perfezionismo e dalla sua indole. Dolci aveva una concezione didascalica e pedagogica della pittura. Ogni pennellata corrispondeva a una preghiera e doveva trasmettere un messaggio: il che comportava tempi lunghi di esecuzione, che voleva dire dipingere benissimo e comunicare al meglio il contenuto dell’immagine.

D. Cosa sai della prossima mostra fiorentina, che inaugurerà a fine giugno? E’ evidente che per rendere un servizio adeguato a un pittore come Dolci è indispensabile che la selezione dei dipinti (soprattutto quelli conservati in collezioni private, e a maggior ragione quelli inediti) mantenga un livello qualitativo molto elevato e un grado di autografia al di sopra di ogni sospetto: viceversa, si potrebbe verificare il rischio paradossale di perpetuare antichi malintesi critici.

Carlo Dolci, Roma, Coll_ privataR. In effetti è questo il mio timore. Ovviamente non posso esprimermi intorno al progetto critico alla base dell’esposizione fiorentina, né conosco l’elenco dettagliato delle opere che saranno presentate. Le informazioni che possiedo riguardano soprattutto i dipinti che non sono stati richiesti per la mostra (fra cui tutti quelli conservati nelle più grandi collezioni private italiane, europee e americane, considerato che nessuno degli studiosi responsabili dell’evento li conosce e che i collezionisti di conseguenza non sono stati contattati). Alcuni di quelli oggi in possesso di mercanti e musei internazionali saranno in esposizione perché i proprietari erano convinti che sarei stata io la curatrice, al punto che tra chi ha ricevuto la richiesta di prestito, c’è chi mi ha chiamato per dirmi: ma non ci avevi detto che avresti fatto la mostra in America, perché hai deciso poi per Firenze?
La mia paura più grande è che ci saranno dipinti di mercanti e di collezione privata che erano dapprima stati mostrati a me e che io avevo respinto, visto che alcuni di questi sono stati poi pubblicati da chi scriverà sul catalogo della mostra. Suppliranno con la presenza di opere dell’ambiente, e qui la selezione diventa difficile. Dolci potrebbe perdere quella dimensione di raffinatissimo interprete della pittura fiorentina seicentesca, dotato di una tecnica strepitosa e attivo al più alto livello nella corte dei Medici, che a partire dalla mia monografia del 1995 sembrava aver definitivamente acquisito. E la paura non è solo mia: è anche dei responsabili delle case d’aste e dei grandi conoscitori dell’arte italiana del Seicento. Certo il compito è elementare: basta spostare dagli Uffizi e dalla galleria Palatina verso la sala Bianca a Pitti i quadri una volta appartenuti ai Medici. Ma è chiaro che così la mostra sarà una grande occasione perduta da parte di Firenze di far vedere a tutti quei quadri che solo io ho visto in giro per il mondo.

D. In fondo l’ossessione per la perfezione tecnica, per una lavorazione delle opere lenta, calibrata e rifinita sotto ogni aspetto, rende l’attitudine creativa di Dolci paragonabile soprattutto ai grandi maestri della pittura olandese del Seicento, come Vermeer, van Mieris o Metsu.

Carlo Dolci, Adorazione dei pastori, Coll_ privataR. Questa fu la felice intuizione di Carlo del Bravo: accostare la pittura di Dolci a quella dei grandi olandesi del 17º secolo. Intuizione che io accolgo, in modo particolare nell’ambito della sua ritrattistica matura. Anche se Dolci non è un pittore della luce, come precisione di pennellata non c’è dubbio che il riferimento più pertinente resti effettivamente quello.
Luca Bortolotti, 17/01/2015

CARLO DOLCI. COMPLETE CATALOGUE OF THE PAINTINGS

di Francesca Baldassari
Centro DI, Firenze,
pagg. 392, ill. b/n 100, col. 186, € 150


Presentazione del volume 26 gennaio 2015, New York, Istituto Italiano di Cultura, ore 17


Francesca Baldassari è autrice delle monografie su Cristoforo Munari (1998), Giovanni Domenico Ferretti (2002) e Simone Pignoni (2008). E' inoltre autrice del volume La collezione Piero Bigongiari. Il Seicento fiorentino tra 'favola' e dramma (2004) e de La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere (2009). I suoi principali ambiti d'indagine sono la pittura toscana ed emiliana del Seicento e del Settecento, ai quali ha dedicato numerosi saggi e schede di catalogo di esposizioni nazionali e internazionali.