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Tra le pareti ricostruite del PAC, fino all’8 giugno, l’esposizione antologica dell’artista guatemalteca
Regina José Galindo al PAC di Milano intitolata “
Estoy Viva”, suggerisce alcune riflessioni sull’uso del corpo come soggetto, supporto, strumento fisico e tecnico del fare arte oggi. Arte Politica: “
Il tuo corpo è un campo di battaglia”, affermava già
Barbara Kruger.
Chiedilo a quei 21 che non sono più. Chiedilo ai 117 che sono sopravvissuti.
Nella sovrapposizione di arte e vita il corpo può diventare protagonista di scomode e drammatiche
performance, strumento di denuncia politica, afferma la
Galindo. Mostrare il proprio corpo in azioni pubbliche estreme per denunciare le implicazioni etiche legate alle ingiustizie sociali e culturali, le discriminazioni di razza, sesso e più ampiamente gli abusi derivanti dalle relazioni di potere che affliggono la società contemporanea può essere una via. Fa di tutto, Galindo, nelle cinque sezioni della mostra, interdipendenti tra di loro (
Politica, Donna, Violenza, Organico e Morte), per dirci che i 36 anni di guerra sanguinosa in Guatemala, sfociata in un genocidio che causò 200.000 morti tra gli indigeni Maya e Ixil, simpatizzanti per la guerriglia, ci riguardano da vicino. Tutto è connesso e “non importa quel che ti succede, quando soffri o quanto dolore ti porta la vita:
sei vivo e questo è sufficiente” (Figg. 3-4).
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La chiave di lettura è tutto.
Galindo ricorda la forza sciamanica e universale delle
azioni performative di Joseph Beuys, di Marina Abramovich e Gina Pane, delle installazioni di Santiago Sierra. Col suo corpo minuto e lo sguardo penetrante
Galindo strappa il velo dell’indifferenza globalizzata, frutto anestetizzato dalla spettacolarizzazione dei media, per far riemergere alla mente le responsabilità di altri mattatoi: quelli della scuola Diaz al G8 di Genova, di Abu Graib in Iraq, e delle detenzioni nei contemporaneissimi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) dove i migranti vengono rinchiusi dopo essere scampati alla morte per affogamento nell’ancor fascistissimo “
Mare Nostrum”. Aspiranti Migranti che forse inconsapevoli della
Body Art si fanno artisti
performers cucendosi la bocca per non essere rimpatriati, “non aventi diritto” di migrare (Fig. 5).
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Corpi insepolti di migranti nel Canale di Sicilia, nei deserti del Mexico, dell’Algeria e della Libia. Corpi di artisti massacrati, ma ancor vivi, come quelli di Pier Paolo Pasolini e Pippa Bacca.
Corpi migrati come quello di Driss Moussafir, morto sulla panchina del Parco di Via Palestro, che “si era fatto italiano, come il rame a imbrunire sul muro”.
Giovanni Fontecoperta, 23/05/2014
Immagini:
Foto intestazione “Your body is a battleground” di Barbara Kruger: http://imageobjecttext.com/2012/03/22/selling-a-message/
Fig. 1: archivio dell’autore
Fig. 2: http://www.z3xmi.it/pagina.phtml?_id_articolo=4850-Via-Palestro.-Il-ricordo-di-Milano-nel-20-anniversario-della-strage.html
Fig. 3: M. Cattelan, http://www.italianarea.it/opera.php?w=CATM_18.jpg&artista=CATM&let=
Figg. 4-5: http://www.pacmilano.it/exhibitions/regina-jose-galindo/
Fig. 6: http://www.lettera43.it/foto/cie-rimpatriati-immigrati-con--bocca-cucita-_43675122440.htm