
L’esposizione si articola essenzialmente attorno a tre linee guida. In primo luogo, il progetto si propone di porre in luce la pluralità e la polifonia delle voci che hanno dato vita al movimento, evitando di circoscrivere il fenomeno quasi esclusivamente alla produzione, pur decisiva, della coppia Picasso – Braque.
L’impostazione descritta si inserisce nella cornice del paradigma che ha sensibilmente modificato il modello narrativo del cosiddetto “modernismo eroico”, cristallizzato negli scritti critici di Clement Greenberg e a lungo prevalente nelle ricerche storico-artistiche. Il racconto della nascita dell’avanguardia costruito dal formalismo anglo-americano (da Roger Fry a Clive Bell, da Alfred Barr a Greenberg, fino a Hilton Kramer, tra gli altri) concepiva, infatti, le novità stilistiche di Picasso e Braque come un successo ottenuto da individui intrepidi alle prese con una sorta di cimento titanico (si veda in proposito il saggio in catalogo di Cristopher Green,
Qualche parola sul cubismo in Gran Bretagna. Cubismo: singolare o plurale?, pp. 51-61).

L’assetto storiografico più aggiornato, invece, si è andato allontanando dagli schemi improntati all’idea dell’evoluzione autonoma dell’arte, dimostrandosi interessato a delucidare soprattutto le sollecitazioni contestuali sulla genesi del cubismo e a sottolineare l’importanza degli scambi intellettuali tra i protagonisti del movimento per la formazione di una concezione relativamente omogenea dell’arte, dei suoi modi e dei suoi obiettivi.
In questa prospettiva, quindi, la mostra contribuisce a far ulteriore luce sul ruolo svolto dai cosiddetti “cubisti dei Salons” nell’elaborazione delle idee e dello stile del gruppo, considerati dalla narrazione tradizionale tutt’al più dei comprimari. Pertanto, accanto a Pablo Picasso, Georges Braque e Juan Gris, legati all’attività promozionale del mercante d’arte Daniel-Henry Kahnweiler, sono rappresentati al Vittoriano anche gli artisti che gravitavano nei circuiti meno ristretti ed elitari dei Salons parigini. Tra gli altri: Fernand Léger, Jean Metzinger, Albert Gleizes Lyonel Feininger, André Derain, Jacques Villon e Jean Marchand.

Il secondo cardine dell’esposizione è costituito dalla volontà di rappresentare la disseminazione delle soluzioni messe a punto dal cubismo “francese” in diverse aree europee e negli Stati Uniti. Molti artisti delle avanguardie del vecchio continente, in effetti, guardarono alle novità di Parigi come riferimenti essenziali per lo sviluppo delle proprie ricerche, declinando spesso il repertorio cubista all’interno delle rispettive tradizioni. Grazie all’intraprendenza di collezionisti e galleristi, da un lato, e al soggiorno parigino di un nutrito gruppo di giovani di talento provenienti da tutta Europa e da oltreoceano, dall’altro, alcuni elementi del cubismo si diffusero nel mondo dell’arte come una sorta di lingua sovranazionale, sulla quale tendevano ad innestarsi gli idioletti e a crescere le sperimentazioni sprigionate dalle altre avanguardie storiche. La mostra documenta questo fenomeno internazionale, presentando opere degli inglesi Vanessa Bell e Wyndham Lewis, degli americani Marsden Hartley e Max Weber, della russa Natalja Goncarova, degli italiani Gino Severini e Ardengo Soffici, ma anche di un cubismo dell’Est europeo assai meno noto, praticato, ad esempio, da artisti cechi come Emil Filla, Otto Gutfreund e František Foltýn.

Il terzo elemento portante su cui si fonda l’impianto del progetto è il tentativo di dar conto della fioritura dei temi stilistici cubisti in diversi media espressivi, quale segno del desiderio da parte degli artisti di riqualificare la realtà attraverso gli stilemi prediletti dal movimento. Il sistema di forme e colori del cubismo, del resto, per la sua qualità nuova e progressista era considerato dagli alfieri della corrente in piena sintonia con il (presunto) carattere del mondo metropolitano di inizio secolo, e quindi estensibile del tutto naturalmente a diverse sfere della vita cittadina.
Tale sistema si riverberava, pertanto, sull’architettura e sul design, abitava gli spazi teatrali, modellando scenografie e costumi, produceva qualche sperimentazione anche nel dominio della moda. Risonanze si possono cogliere persino in ambito musicale, ma la questione dei rapporti tra musica e cubismo risulta più problematica rispetto alle relazioni con le altre arti. Per una definizione del nodo storico-critico si rimanda, in ogni caso, al saggio di Luca Bortolotti edito nelle pagine di questo sito (
https://news-art.it/news/brevi-riflessioni-intorno-ai-rapporti--opachi--tra-musica-e.htm). Ad ogni modo, nelle sale del Vittoriano trovano posto, tra l’altro, schizzi scenografici e di costumi eseguiti da Ljubov Popova e Fernand Léger, progetti per tessuti di Sonia Delaunay e alcuni mobili disegnati dagli Omega Workshops, l’impresa di design fondata dal celebre gruppo londinese di Bloomsbury.

La ricognizione panoramica offerta dalla mostra, insomma, è ampia e costellata di presenze interessanti. L’immagine dei laboratori cubisti prospettata, d’altra parte, risulta trasparente e ben documentata, sebbene manchino molti dei pezzi capitali che hanno segnato le vicende e le sorti del movimento.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo che raccoglie contributi diseguali sotto il profilo della perspicuità degli argomenti e degli schemi esplicativi impiegati. Nondimeno, alcuni saggi, come quelli, in particolare, di Cristopher Reed e di Vojtech Lahoda, oltre a fornire resoconti dettagliati delle “traduzioni” inglesi e boeme del cubismo, offrono interessanti inquadrature su alcuni dei nodi teorici e storiografici generali di maggior momento in rapporto all’ascesa e alla diramazione del fenomeno artistico.
Nel volume si registra, altresì, una diffusa propensione a considerare con generosità eccessiva il ruolo del cubismo come incubatrice contenente tutti (o quasi) i semi più importanti dell’arte novecentesca e finanche della vita moderna nel suo complesso.

Per limitarci a quest’ultimo punto, il testo di Charlotte Eyerman (
Cubisti e Cubismo, pp. 17-23) presenta diverse considerazioni discutibili. La studiosa afferma, tra l’altro, che «le diverse opere esposte in mostra annunciano i temi chiave della vita moderna, trasformata da rivoluzionari cambiamenti nel campo della tecnica, della cultura, delle arti e della politica (p. 17)». Ora, le semplificazioni non sono sempre censurabili; tuttavia, l’indulgenza verso alcuni tipi di generalizzazione e la confusione tra soggetti e stili comportano spesso qualche incongruenza di troppo.
Se è vero, infatti, che alcune composizioni come quelle “tubiste” di Léger esprimono interesse per le macchine – quelle in mostra, comunque, assai meno di altre dello stesso artista –, tematizzando un fattore sicuramente centrale per il “secolo breve” (ma, d’altra parte, anche Turner e gli impressionisti s’erano interessati alla ferrovia), pare invece meno pacifico che i soggetti più rappresentati in mostra siano davvero preludi al futuro. Non si vede, del resto, come strumenti musicali, bicchieri di assenzio, paesaggi cittadini e non, covoni di fieno e ritratti possano rappresentare aspetti distintivi dell’esistenza del Novecento. Almeno in questi casi, insomma, sarebbe bene tenere distinta la forma dal contenuto.

L’assenza di schede dedicate agli oggetti esposti, inoltre, rende molto complicato comprendere le ragioni della selezione operata: per i non specialisti e tanto più per i non addetti lavori, infatti, diventa arduo capire perché si sia scelto, ad esempio, proprio il
Parco a Carrières-Saint-Denis di Braque (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, 1909) anziché un (qualsiasi) altro paesaggio coevo dello stesso pittore. È la qualità del dipinto a motivare l’opzione? O si tratta di un’opera di particolare valore storico? Oppure, ancora, è da reputarsi semplicemente una specie di campione rappresentativo?
Singolare, infine, appare la scelta di non includere nel catalogo una bibliografia generale, privando così il lettore di uno strumento minimo per orientarsi nella sterminata letteratura sul cubismo.
A prescindere dalle questioni più strettamente scientifiche, comunque, la mostra costituisce una buona occasione per esplorare uno dei momenti più significativi del Modernismo attraverso un numero cospicuo di opere pregevoli.
Francesco Sorce, 17/3/2013
Didascalie immagini:
1. Georges Braque, Parco a Carrières-Saint-Denis, 1909, Madrid, Museo, Thyssen-Bornemisza, © Braque VEGAP 2013
2. Pablo Picasso, Nudo, 1909, S. Pietroburgo, The State Hermitage Museum, Foto © The State Hermitage Museum Vladimir Terebenin Leonard Kheifets Yuri Molodkovets © Gosudarstvennyj Ermita? Sankt-Peterburg
3. Albert Gleizes, Ritratto di Jacques Nayral, 1911, © Tate London 2012
4. Francis Picabia, La processione, Siviglia 1912, Washington, National Gallery of Art
5. Joseph Chochol, Edificio residenziale a Vyšehrad Neklanova ul., 1913, Modellino, Museo di Architettura e Ingegneria Civile, Museo Nazionale della Tecnica, Praga
6. Fernand Léger, Schizzo per costume di figura per il balletto La creazione del mondo, 1923, Stoccolma, Dansmuseet-Museum Rolf de Maré;
7. Natalia Gontcharova, Ballerina spagnola, 1916ca, San Antonio, McNay Art Museum
8. Juan Gris, Chitarra e piatto di frutta, 1919, Høvikodden, Henie Onstad Kunstsenter
Cubisti Cubismo
Complesso del Vittoriano, Roma
8 marzo / 23 giugno 2013
Orari: dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30, venerdì e sabato 9.30 – 23.30, domenica 9.30 – 20.30
Costo del biglietto: € 12,00 intero; € 9,00 ridotto
Informazioni: tel. 06/6780664
Catalogo della mostra:Skira, Milano