Il reciproco dialogo tra la Galleria d’Arte Moderna di Roma e la pregevole collezione della Fondazione Magnani Rocca di Parma ha dato vita ad una iniziativa straordinaria con l'esposizione di oltre cento opere di alcuni tra i più celebri autori del Novecento.


Accostando le opere, vengono delineate le assonanze stilistico-formali che hanno caratterizzato il panorama artistico italiano dagli anni Venti fino ai Sessanta, quando sulla scena predominarono le istanze dell’Arte Informale.
I capolavori in mostra sono accomunati dal senso di sospensione temporale, dove l’ignoto e il mistero dialogano con il colore in desolati paesaggi senza tempo e la materia diviene protagonista dell’opera. Dagli Enigmi di de Chirico alle Marine di De Pisis, dalle Nature Morte di Morandi alle figure decantate di Manzù, fino ai Sacchi di Burri, nell’immobilità metafisica di cose, luoghi e personaggi si colgono quegli innumerevoli spunti della poetica di Apollinaire o di Nietzsche in cui  l’opera diviene protagonista assoluta di un’inquieta quanto mai attuale percezione della realtà.

In accordo con la volontà di Luigi Magnani, eccelso mecenate e collezionista, l’accostamento tra arti figurative, musica e letteratura trova in questa sede aderenza totale con le opere esposte che approfondiscono il tema legato all’indagine sulla superficie come campo di sperimentazione formale nel periodo tra le due guerre.

Immerse in cieli plumbei,  le città desolate di Giorgio de Chirico rimandano al mistero, al senso di ignoto che fa comprendere quanto il reale non sia mai del tutto scibile. Nel suo racconto pittorico l’artista mette a nudo la doppia e segreta natura delle cose che, come su di un palcoscenico, si rivelano allo spettatore. Colonne silenti  si esaltano tra le rovine di un mondo antico che in esse si perpetua e si rigenera.

Il senso nascosto delle cose è anche al centro della poetica di Filippo De Pisis, che nelle sue marine stravolge lo spazio dando alla natura morta un nuovo significato; quello del recupero della dignità degli oggetti dismessi, restituiti dal mare come residui di un reale privo di senso ma che ha in quella sua dimensione alogica tutta l’essenza dell’umano.  Una sorta di “Ossi di Seppia” montaliani trasposti  in pittura.  In Pesci e bottiglia del 1925 uno spazio sottile sottende ad un melanconico senso di indefinita solitudine.  L’immobilità  predomina anche nelle opere di Carlo Carrà e Mario Tozzi mentre l’impiego esclusivo di pochi ed umili oggetti d’uso comune in cucina - bottiglie, bicchieri, caraffe -caratterizza le Nature Morte di Giorgio Morandi, ove l’ambiente dà luogo al dialogo interiore tra l’artista e il mondo fenomenico circostante, in quella che Cesare Brandi amava descrivere come la “bottiglia interiorizzata” di Morandi.  La riproduzione della muta vita degli oggetti, fissata nelle nature morte, diviene negli anni a cavallo tra le due guerre campo “neutrale” capace di consentire  all’artista di esprimersi senza essere necessariamente allineato alla politica di Regime.

Dopo la felice stagione futurista, anche Gino Severini abbraccia soluzioni formali ed iconografiche vicine allo still-life e le sue composizioni si accostano sempre più alle modalità espressive di forte impatto emotivo. L’essenzialità degli oggetti accompagna anche le nature morte di Renato Guttuso mentre l’indagine sulla figura umana deprivata di  ogni eccesso di ornamento fa da perno alla poetica di Giacomo Manzù, il quale con pochi e decisi tratti giunge alla pienezza formale del soggetto rappresentato.

Negli anni Cinquanta invece trovano luogo i Sacchi, le Combustioni, i Legni e i Cretti di Alberto Burri, artista che capovolge lo spazio tradizionale dell’opera a favore di un rigore progettuale che lascia ampio margine alla sperimentazione materica restituita come corpo vivo segnato da ferite e lacerazioni.

Le intime visioni di Toti Scialoja, Giovanni Stradone, Piero Sadun e Mario Mafai  si abbandonano alla descrizione di cose e luoghi lontani dal reale, tradendo un’attenta osservazione delle opere di Morandi.  Il percorso espositivo è infine arricchito da una serie di acqueforti di Giorgio Morandi appartenenti alla collezione di Luigi Magnani. In ogni esemplare, l’incisione rimanda all’attento e paziente lavoro mentale dell’artista di indagare il reale rappresentandolo  decantato  da ogni forma viva e superflua.
                                                                                                        (di Elena Gradini)
Galleria d'Arte Moderna - Roma- fino al 13 marzo