Il filo conduttore che ha guidato la selezione delle opere ha privilegiato un
taglio tematico orizzontale, che guarda al contesto della città dalla sua fase come potenza comunale all’avvento della Repubblica, prima della definitiva affermazione medicea. A questo proposito le curatrici,
Daniela Parenti e
Maria Monica Donato, hanno riunito numerosi materiali, molto eterogenei, che spaziano dalle arti minori alla scultura, dalla pittura al disegno, la cui qualità è uno degli aspetti che più si apprezzano dell’intera iniziativa.
La mostra s’avvia al piano terra, negli spazi che si snodano tra la Sala del Colosso e il Dipartimento degli Strumenti musicali, presentando opere che raffigurano gli emblemi identitari più sfruttati dal Comune come
simboli del potere di Firenze. Così, per esempio, il
giglio, stemma della città dall’XI secolo, oppure lo
scudo bipartito in rosso e bianco, segno della guerra, o ancora la
croce rossa in campo bianco che rappresentava l’arme del popolo.

Uno degli eventi storici che naturalmente l’esposizione tenta di rievocare è la lotta che tra il Due e il Trecento si è consumata tra
Guelfi e
Ghibellini, sintetizzata attraverso lo
scontro tra il bene e il male che viene scelto da entrambe le parti come
immagine della lotta politica. La parte Guelfa viene richiamata da un sigillo argenteo con
l’aquila che afferra tra gli artigli il drago, simbolo del male, attualmente conservato presso il Museo del Bargello (fig. 1). La parte Ghibellina, che si riconosceva nel mito di Ercole e nelle sue fatiche, è presente con il sigillo in cui
Ercole lotta contro il Leone Nemeo.
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Un altro dei temi più ricorrenti nelle raffigurazioni artistiche commissionate dal Comune è la
figura della Giustizia, che il visitatore incontra diverse volte nelle sale del museo, non solo nella rappresentazione classica con gli attributi della bilancia e della spada, come nel caso dell’
Allegoria di
Biagio d’Antonio Tucci (1470-1475 ca), oggi agli Uffizi (fig. 2), ma anche attraverso i suoi
exempla religiosi. Così, ad esempio, l’episodio dell’
incredulità di San Tommaso veniva sfruttato per alludere al fatto che un buon giudice è chiamato a toccare con mano la verità, tema illustrato in mostra dalla tavola di
Giovanni di Francesco Toscani (1420 ca), delle Gallerie dell’Accademia, dall’affresco staccato di
Bartolomeo di Fruosino (1415-1420), proveniente da Scarperia, e dal codice miniato con gli Ordinamenti degli Otto di Guardia a Balia (1478-1479), custodito presso l’Archivio di Stato di Firenze.
Anche le
Arti e le Corporazioni dei Mestieri, così cruciali per l’economia fiorentina, sono rappresentate attraverso immagini sia profane, sia devozionali, come nel caso delle
Madonne col Bambino o dei
Santi patroni della città e della corporazione, che ornavano le loro sedi amministrative. In mostra perciò si è scelto di presentare alcune delle opere nate per gli spazi di Palazzo Vecchio, sede dalla fine del Duecento dei Priori, i rappresentati delle corporazioni delle arti che da quel momento entrano a far parte del governo cittadino.

Alle immagini di
San Cristoforo, compendiate dall’affresco staccato proveniente dal palazzo pubblico di Scarperia, e della
Ruota della Fortuna, monito per gli amministratori del potere di Firenze a proposito dell’alternanza della sorte, si unisce quella di
Ercole, simbolo della forza e della giustizia, che in mostra compare nella splendida tavoletta con
Ercole che strozza l’idra di
Antonio Pollaiolo (1470) (fig. 3).
L’esposizione prosegue poi al primo piano, aprendo principalmente alle opere della
scuola pittorica fiorentina tra Tre e Quattrocento. Si passa così dalla prima generazione di artisti giotteschi, rappresentati dalle aristocratiche morbidezze di
Bernardo Daddi e dalla sua tavola della
Madonna in trono col Bambino di Brooklyn (1356), alla seconda generazione avviata ormai verso le eleganze gotiche. Ecco perciò apparire i cromatismi smaltati di
Andrea Orcagna, di cui si può vedere la pala a due scomparti con
San Matteo e le storie della sua vita per uno dei pilastri di Orsanmichele, oggi agli Uffizi (1367-1368) (fig. 5), gli arcaismi solenni di
Giovanni del Biondo e le morbidezze sfumate e altamemte naturalistiche del
San Luca Evangelista di Brera, del
Maestro della Misericordia (1365-1370).

Sempre legati alla committenza delle Corporazioni, e destinati tutti alla
chiesa di Orsanmichele, sono alcuni dei pezzi forti del percorso espositivo. Spiccano, tra essi, il gruppo scultoreo della
Madonna della Rosa di
Giovanni Tedesco (1399ca), che faceva parte del ciclo delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze, poste nelle nicchie esterne della chiesa (fig. 4); due delle quattro
Virtù che sopravvivono del tabernacolo scolpito da
Giovanni di Balduccio per l’edificio sacro (1333-1334), raffiguranti l’
Obbedienza e la
Povertà, rispettivamente al Museo di Orsanmichele e al Bargello; e, in ultimo, il
Santo Stefano bronzeo di
Lorenzo Ghiberti (1427-1429).
Per concludere, l’itinerario concepito dalle curatrici, proprio perché si articola tra i due piani del museo, ha il pregio di accompagnare il visitatore nel confronto non solo con le opere allestite per l’occasione, ma anche con le collezioni stabili delle Gallerie dell’Accademia. Infatti, le sale in cui si trovano i lavori esposti sono state scelte in modo che il fulcro accentratore di tutto divenga la Tribuna dove è collocato il
David di
Michelangelo, simbolo per eccellenza della Repubblica fiorentina che, nel caso specifico, diventa la conclusione ideale della mostra.
Giulia Bonardi, 22/7/2013
Dal Giglio al David. Arte civica a Firenze fra Medioevo e Rinascimento
14 maggio – 8 dicembre 2013
Gallerie dell’Accademia