(Intervento al Convegno De Chirico e la Musica, tenutosi il 25 febbraio a Roma, presso ilMuseo Nazionale degli Strumenti Musicali)
Nella molteplice attività artistica di
Giorgio de Chirico, tra pittura, scrittura e scultura, la meno nota è quella che il Maestro ha dedicato alla realizzazione di scenografie e costumi teatrali, tra il 1924 e il 1971, ovvero a partire dagli anni Venti, momento decisivo per il suo clamoroso ritorno al classico, e, come lui stesso diceva, “ritorno al mestiere”, (cfr. G.de Chirico,
Il ritorno al mestiere, in “Valori Plastici”, Roma, a.I, n.11-12, novembre-dicembre 1919, pp.15-19). Complessivamente l’artista, nell’arco di tempo considerato, ha dedicato questo lavoro per 24 spettacoli, sia musicali che teatrali.
1 Numericamente ventiquattro lavori potrebbero apparire pochi in circa cinquant’anni, ma bisogna moltiplicare per ciascuno spettacolo il numero considerevole di bozzetti che il Maestro realizzava per ogni opera (mediamente una decina e anche più, dunque tra i 250 e i 300), con una meticolosità e una completezza esemplare, annotando quasi sempre accanto alle figure rappresentate la natura delle stoffe dei costumi, le pieghe necessarie, e soprattutto i colori, quasi sempre sgargianti, desunti con impareggiabile

inventiva dalla sua produzione metafisica per le scene e le figure.
Purtroppo non esiste a tutt’oggi un repertorio completo di questi numerosi lavori (si pensi che solo per l’opera
I Puritani del 1933, egli eseguì ben trenta bozzetti di scena e figurini tra acquarelli e disegni realizzati con tecnica mista). Ciò si spiega perché tali opere, sempre originali e bellissime per forma e colori, sono state soggette a dispersione, lavorando de Chirico sia in Italia che all’estero, tra collezioni pubbliche e private e nei teatri che li avrebbero utilizzati per le loro scene.
Va detto comunque che una buona parte di questa singolare produzione del Maestro è fortunatamente ben conservata al
Teatro alla Scala di Milano, al
Teatro dell’Opera di Roma, alla
Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, al Teatro Comunale di Firenze, di cui dà conto il catalogo
Giorgio de Chirico e il teatro in Italia, a cura di
Moreno Bucci e
Chiara Bartoletti, per la mostra presso il
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, tenutasi a Firenze dal 23 maggio al 31 agosto 1989, in occasione del 52° Maggio Musicale Fiorentino.
Di tanto in tanto queste suggestive opere di de Chirico costituiscono a mio avviso cicli largamente illustrativi di soggetti teatrali più volte rappresentati anche dopo la scomparsa dell’artista. Chi scrive, ad esempio, nel 1992 ha presentato la mostra
Don Chisciotte della Mancia, dove furono esposti al
Castello Aragonese di Ischia i sette bozzetti di stupendi disegni densamente acquarellati che il Maestro eseguì nel 1952, in occasione del
XV Maggio Musicale Fiorentino. Essi rappresentano il
Siparietto e le scene per i tre atti e i sei quadri musicati dal compositore Vito Frazzi (1888-1975). Sono opere di una tale completezza che gareggiano per qualità con i migliori lavori cosiddetti neo-barocchi ispirati, come è noto, dai grandi maestri del Rinascimento e dallo stretto rapporto nell’arte dechirichiana e saviniana tra pittura e scena.
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Più recentemente, al
Teatro dell’Opera di Roma, dal 30 gennaio al 3 febbraio 2008, sono stati rappresentati quattro capolavori del balletto novecentesco, con scene e costumi derivati dalle scenografie originali di de Chirico:
La Giara, dalla famosa novella di
Pirandello, con musiche di
Alfredo Casella; l’
Apollo Musagete, con musica di Igor Stravinsky; il
Bacco e Arianna di
Albert Roussel;
Le Bal, con musica di
Vittorio Rieti.
Ancora nel 2010, a
Palazzo Strozzi, in occasione della mostra
De Chirico, Max Ernst, Magritte, Balthus, concomitante con il 73° Maggio Musicale Fiorentino, furono esposti in una sala a parte una trentina fra bozzetti di scena, figurini e studi di attrezzatura scenica (in parte già pubblicati nel citato catalogo
De Chirico e il Teatro in Italia) de
I Puritani, andati in scena per la prima volta nel 1933, in occasione del
1° Maggio Musicale Fiorentino, con la musica di
Vincenzo Bellini (1801-1835) al
Teatro Comunale di Firenze. Questi lavori all’epoca suscitarono un vero scandalo per l’ardita realizzazione delle figure e dei colori squillanti, in luogo dei tradizionali costumi secenteschi con cui solitamente veniva rappresentata quest’opera. Ma de Chirico non se ne dolse più di tanto, come ci ricorda nelle sue
Memorie del 1945: “Nel 1933 fui invitato a Firenze ad eseguire dei costumi e degli scenari per l’opera
I Puritani di
Vincenzo Bellini. Alla prima rappresentazione successe un putiferio”. De Chirico sostiene che le ragioni di un tale clamoroso rifiuto fu dovuto al fatto che non volle esporre dei suoi lavori recenti nei locali del quotidiano
La Nazione, come avrebbe voluto il suo direttore, bensì a
Palazzo Ferroni nella galleria del suo “buon amico”, l’antiquario
Luigi Bellini. Quindi, secondo de Chirico, fu organizzata la rumorosa protesta; ma, egli aggiunge: “Malgrado tutta questa organizzata ostilità il mio lavoro piacque molto e suscitò molto interesse”
3.
In realtà lo sconcerto del grande pubblico era in parte giustificato, poiché non era aduso a comprendere la modernità delle luci intense delle scene, dei colori vivaci e disegni inconsueti per coloro che ancora non avevano inteso il significato della nuova pittura metafisica; viceversa intellettuali e scrittori, quali
Nicola Chiaromonte,
Bruno Barilli e
Elio Vittorini nelle loro recensioni apprezzarono le novità iconografiche dechirichiane, che nel caso de
I Puritani potevano anche richiamare, secondo la critica, i costumi del
Calcio Storico Fiorentino, e quelli del
Palio di Siena4. Colori chiari di acquarelli e tempere definiscono e riproducono scene delle “stanze” del repertorio dechirichiano, con figure prospettiche ed impiantiti sempre teatrali del suo lavoro, e poi quelle arcate, quelle finestre che sono altrettanti quadri nel quadro; perciò è abbastanza ovvia l’incomprensione della maggioranza del pubblico che derideva, senza aver compreso l’ironia e la poesia dell’opera di de Chirico. Difatti, a ben vedere l’arte di de Chirico è sempre connotata di teatralità e musica, come l’artista stesso riflette sull’idea dello spettacolo: “Un bello spettacolo offre agli uomini la possibilità di andare con lo spirito in un mondo immaginario, fantastico, ma nello stesso tempo concreto e vicino. Uno spettacolo ci rende partecipi d’una specie di irrealtà concreta. […] Le opere liriche, ove la musica è il fattore principale, sono spettacoli che si staccano completamente dalla nostra vita. […] La vecchia tradizione operistica italiana con i suoi lati strani e grotteschi nei movimenti e nei gesti dei cantanti e di tutta l’azione scenica è un’espressione metafisica dello spettacolo…” Così de Chirico nel suo testo
Il Teatro del 1949 per il
XII Maggio Musicale Fiorentino, in occasione della rappresentazione dell’
Orfeo con le sue scenografie e la musica di
Monteverdi.
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Come si è detto in principio, l’attività di scenografo di de Chirico ha inizio nel 1924 a Parigi, per iniziativa di
Alfredo Casella (1883-1947), invitato a comporre la musica per i
Balletti Svedesi, diretti da
Rolf de Maré (1888-1964). Il balletto doveva rappresentare una storia italiana, scenograficamente illustrata da un artista italiano da contrapporre al
Tricorno di
Manuel de Falla per i
Balletti Russi di Diaghilev che non aveva mai rappresentato soggetti italiani. E Casella, come ricorda nella sua autobiografia,
I segreti della Giara del 1941, si rivolse proprio a de Chirico (il volume, sia detto per inciso, reca sulla copertina l’illustrazione di uno dei suoi due bellissimi ritratti fatti da de Chirico, entrambi del 1924). Dunque Casella così scrive: “Ebbi subito l’idea di cercare l’argomento nella vasta produzione novellistica di
Luigi Pirandello, idea che piacque moltissimo a de Maré. Come pure gli piacque il nome che gli feci di de Chirico per le scene e i costumi”.
6 Cosicché
La Giara venne rappresentata a Parigi il 19 novembre 1924 al
Théatre des Champs Elisées, con la musica di Casella e le scene e i costumi di Giorgio de Chirico. Va detto comunque che i due artisti, il compositore e il pittore, si conoscevano sin da 1918, come ricorda de Chirico in un suo testo
Casella, apparso su “Rassegna Musicale” del 1943.
L’incontro tra i due artisti avvenne in una data cruciale per la pittura di de Chirico: è noto agli studi - ed io stesso ho più volte insistito sulla sua

importanza - la svolta dechirichiana nel passaggio dal primo periodo propriamente detto metafisico (1910-1918) e il successivo incontro con la “grande pittura” degli antichi maestri, ai quali de Chirico si richiama nel segno della ripresa classica, teorizzata sulla famosa rivista di
Mario Broglio “Valori Plastici” (1918-1922).
Dunque i due ritratti che egli esegue per Alfredo Casella nel 1924 (oltre a tutti gli altri ritratti e autoritratti che l’artista produce tra gli anni Venti-Trenta), mostrano il grado di una eccellente qualità pittorica raggiunta con grande soddisfazione da de Chirico.
Ma per tornare ai due ritratti di Casella, va notato che uno dei due (molto simili tra loro, direi quasi identici nella posa iconografica del musicista) presenta una singolare, assolutamente unica, caratteristica, che consiste nell’aver rappresentato il famoso compositore su uno sfondo assolutamente piatto e rigorosamente geometrico (da ricordare curiosamente, a mio avviso involontariamente, le astrazioni di Mondrian), salvo una brevissima sezione sul lato sinistro del dipinto di un brano naturalistico di cielo e fogliame.
Perché questa insolita soluzione per uno dei due ritratti? (l’altro, infatti, è dipurissimo böckliniano, se confrontato

con l’
Autoritratto di
Böcklin del 1873).
La risposta la troviamo nel lontano scritto dal maestro su un inconsueto profilo di Casella, pubblicato da de Chirico sulla sopracitata rivista “Rassegna Musicale” del 1943. Scrive de Chirico: “…quando vidi per la prima volta il nome di Casella, si presentò alla mia mente l’immagine di una scatola rettangolare ove si mettono schede, poi quest’immagine sparì per cedere il posto a quella di un piccolo quadrato tracciato sulla carta e che si usa per scrivere dei numeri e fare dei calcoli. Queste raffigurazioni di aspetto geometrico e che evocano l’idea dell’ordine, sono sempre rimaste nella mia mente legate alla persona di Casella ed alla sua arte. […] tutta la persona di Casella, così come la sua musica, danno un’impressione geometrica ed ordinata […]. Nella musica di Alfredo Casella la linea è sempre chiusa tra due punti, e per questo il disegno musicale
vive. Anche nella musica di Casella l’ossatura e le fondamenta procedono da basi geometriche… […]. Preciso ordinato e sincero in ogni sua attività, instancabile e regolato, egli sa che poesia e armonia avanzano sempre in ordine chiuso”.
Casella quindi dovette apprezzare, e soprattutto riconoscersi nella originale interpretazione di de Chirico sulla sua musica, e pertanto, come ho ricordato più sopra, scelse proprio il suo ritratto col fondo geometrico da riprodurre sulla copertina del suo libro autobiografico,
I Segreti della Giara.
Il 1924 per de Chirico fu un anno fatale, non solo perché aveva iniziato la sua attività di scenografo per
La Giara di Pirandello con musica di Casella, a Parigi, al
Théatre des Champs Elisées, poiché trovandosi di nuovo a Roma, sempre in quell’anno, continuò a seguire gli eventi musicali d’avanguardia insieme al fratello compositore
Andrea (
Alberto Savinio), che aveva studiato musica a Monaco con
Max Reger (1873-1916). I due fratelli frequentavano l’ambiente di attori e artisti del “
Teatro degli Undici” a
Palazzo Odescalchi, fondato da
Luigi Pirandello. Fu così che de

Chirico conobbe la sua prima moglie,
Raissa Gurievich (1894-1979), prima ballerina nella messinscena
Histoire du Soldat, musicata da
Igor Stravinsky (1882-1971). Della prima moglie di de Chirico si è sempre saputo poco, nonostante sia vissuta a Roma e qui deceduta: ella apparteneva ad una famiglia ebrea di proprietari terrieri vissuti tra la Polonia e la Russia, costretti ad emigrare dopo la Rivoluzione. Raissa, educata dalla famiglia alla danza, sposa in prime nozze il regista teatrale Georgij Kroll, e con lui giunge appunto in Italia negli anni Venti
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Il legame con de Chirico si consolida l’anno successivo, il 1925, allorquando Raissa è interprete della
Morte di Niobe, sempre a Roma, al Teatro Odescalchi, con musiche di Savinio, scenografie e costumi di de Chirico. Lo spettacolo, secondo le cronache dell’epoca, si caratterizzò per il grande fragore dei tre pianoforti che accompagnavano la mimica dei vari personaggi, tra cui figurava anche la moglie di Alberto Savinio,
Maria Morino.
La Morte di Niobe era stata composta da Savinio nel 1913, come lo stesso Savinio ci ricorda nel suo testo
Omaggio al pianoforte, “
Tevere”, 14 maggio 1925: “La morte di Niobe, azione e musica, l’ho composta nell’inverno del 1913. Trattandosi di opera che non vuole appoggiarsi a tradizioni di nessun genere ma intende inaugurare una forma nuova del dramma musicale, la data della sua genesi acquista un valore storico. Nel maggio 1915 mi staccai dalla musica. L’orchestrazione di Niobe non era fatta”. Si tratta di una pantomima di gusto avanguardista e sperimentale, sulla scia, secondo la critica, di
Skrjabin e
Satie, suscitando a Roma, così come per
La Giara a Parigi, reazioni di protesta del pubblico impreparato a comprendere quelle provocazioni e lo straniamento di un episodio mitologico, trasferito in una situazione di ambiente contemporaneo e borghese, illustrato dai fantasiosi costumi dechirichiani. Per calmare gli agitati spettatori lo stesso autore, Savinio, se ne uscì con una calma battuta ironica alla fine dello spettacolo, dicendo: “Tranquilli, Signori, dopo tutto non c’è nulla di male”. Oggi quello stesso spettacolo è stato apprezzato ed è stato riproposto con successo nel 1981 al
Teatro delle Arti di Roma8.
Nel 1925, poi, de Chirico ritornò a Parigi e Raissa lo raggiunse, dopo la separazione dal marito, e successivamente si sposeranno all’inizio del 1930. Raissa qualche anno dopo abbandona la danza e studia per diventare archeologa. Ma il matrimonio dura poco, poiché de Chirico nell’autunno del 1930 conoscerà
Isabella Pakszwer (1909?-1990), con la quale resterà per tutto il resto della sua vita. Sarà anche per questo che Raissa si dedicherà sempre più al suo lavoro di archeologa a Roma, risposandosi per la terza volta con il soprintendente archeologo
Guido Calza (1888-1946).
* * *

Lo scenografo de Chirico, dunque, prosegue con successo questa attività, e nel 1929 lavora anche ai

“
Balletti Russi” di
Sergej Diaghilev (1872-1929), per le scenografie e i costumi di
Le Bal, con le coreografie di
George Balanchine (1904-1983) e musiche di
Vito Frazzi (1888-1975).
Se
La Giara (1924) e
La Morte di Niobe (1925) non furono certo accolte con entusiasmo dalla maggioranza del pubblico, viceversa
Le Bal (1929), messo in scena prima a Montecarlo, poi a Parigi, rappresenta il successo personale di de Chirico, “pieno e indiscusso”, come ha scritto
Flaminio Gualdoni nel 1980
9, in occasione del ritrovamento di “Otto figurini per la Niobe” di
Alberto Savinio, nel catalogo della mostra alla
Galleria Interarte di Milano.
Successo che proseguirà per de Chirico con le scenografie di
Bacco e Arianna (1931 a Parigi) e con
I Puritani (1933 a Firenze). METTI BOZZETTI PER I PURITANI
Nel 1934, di nuovo a Roma, al
Teatro Argentina, andrà in scena
La figlia di Jorio, di
Gabriele D’Annunzio,

con la regia di Luigi Pirandello, protagonista la prediletta attrice del drammaturgo, la bella
Marta Abba (1900-1988) e il grande attore
Ruggero Ruggeri (1871-1953), con adeguate scenografie e costumi di de

Chirico, che riesce a rendere i anche gli ambienti rustici di questa tragedia pastorale. Secondo
Moreno Bucci (1989) “nei bozzetti eseguiti per la tragedia di D’Annunzio l’artista si sforzò di rendere manifesta la stilizzazione arcaica e pastorale del testo; ci sono in oltre rimandi espliciti alla messinscena di
Michetti (1904), ed alle illustrazioni di
De Carolis (1904) […]; aggiungendo che dal Carteggio D’Annunzio-Pirandello, si viene a conoscere delle precise indicazioni dell’autore al regista; «
Anche penso che tu vorrai ridurre l’allestimento scenico a pochi rilievi essenziali», e Pirandello: «
Farò di tutto perché gli attori sotto la mia guida si guardino da quella preziosità letteraria di cui altre volte si sono compiaciuti. Ho intanto ottenuto dal pittore Giorgio de Chirico bozzetti di scene, in questo senso, perfetti»”.
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Dunque Pirandello si dichiara pienamente soddisfatto dei lavori di de Chirico che, come dicevo più sopra, pur nella “perfetta” resa della rusticità delle ambientazioni, sigla comunque quegli impianti metafisici e fughe

prospettiche, tipiche delle sue stanze, o altrimenti dette “interni metafisici” di lontana eco ferrarese, con aperture di ingressi e finestre che svelano tracce delle sue classiche “piazze d’Italia” (si veda ad esempio il bozzetto dell’
Atto I, 1934, conservato a
Gardone Riviera,
Fondazione Il Vittoriale degli Italiani; o
Atto III, una piazza aperta con sfondo di un albero, un covone, e una distesa marina all’orizzonte, inquadrata da due quinte architettoniche e prospettiche, ancorché rustiche).
E poi quei fantasiosi costumi colorati e decorati surrealisticamente, linee serpentinate, incroci di tratteggi, persino un pettorale che sembra richiamare il grado (ingigantito) di “caporale”, anch’esso di reminiscenza del suo servizio militare ferrarese, senza dire di quei volti ovali e muti, dei suoi manichini e trovatori. Insomma un de Chirico sempre riconoscibilissimo e fedele ai suoi temi, adattati magistralmente per melodrammi, balletti, e teatro. Tutta questa sua feconda e

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ancora poco studiata attività di scenografo si concluderà, come detto in principio, con
Orfeo e Euridice, ad Atene nel 1971, nel quale riversa anche gli ultimi stilemi della sua magnifica produzione neometafisica che data dalla metà degli anni Sessanta a quella dei Settanta.
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Va notato ancora che molti degli spettacoli scenografici di de Chirico erano dedicati alla danza, dai
Balletti Russi di
Diaghilev, a quelli Svedesi di
Rolf de Maré, con i quali ha precocemente collaborato. Nelle sue memorie del 1945, de Chirico definisce curiosamente “Diaghilev, il ballettomane, […] feci anch’io degli scenari per un balletto dal titolo
Le Bal, con musiche del compositore Rieti; questo balletto fu dato a Montecarlo nella primavera del 1929 e nell’estate fu dato a Parigi al Teatro Sarah Bernard Fu un grande successo; alla fine del balletto il pubblico plaudente cominciò a gridare: ? Sciricò!, Sciricò – fui costretto a venire sulla scena e ringraziare, insieme a Rieti ed ai principali danzatori”
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Nel 1931, ancora a Parigi, de Chirico lavorò per il
Pulcinella, con musiche di
Pergolesi e
Stravinsky per il
Balletto dell’Opera Russa. Nel 1938 a Londra, al
Covent Garden, illustrò il balletto
Proteo, con musiche di
Debussy; a Londra, scrive de Chirico: “… veniva allestita una mostra personale delle mie pitture recenti ed io mi recai personalmente a Londra perché avevo eseguiti i bozzetti di scenari e costumi per un balletto con musica di Debussy, che doveva andare in scena al Covent Garden”.
12 Nel 1942
Anfione, balletto in un atto con testo di Paul Valery e musiche di
Arthur Honegger, Teatro alla Scala, Milano. Nel 1944, il
Don Giovanni con musica di
Strauss: “In quel tempo – ricorda de Chirico – il
Teatro dell’Opera di Roma era diretto dagli Alleati […]. Direttore dei balletti era Aurel Miloss ed io feci lo scenario per il balletto intitolato
Don Giovanni, con musica di
Riccardo Strauss”.
13 Nel 1945
Le danze di Galanta, con musiche di
Zoltán Kodály (1882-1967), al
Teatro Adriano di Roma. Nel 1956
L’Apollo Musagete, alla Piccola Scala di Milano, balletto in due quadri con musiche di Stravinsky, di cui resta il mirabile bozzetto del
Siparietto di Apollo con le Muse in un ricchissimo folto paesaggio che include anche Pegaso, il cavallo alato. Nel 1968, infine, nel pieno della sua ripresa neometafisica, de Chirico illustra il balletto
L’Estasi, con la musica di
Aleksandr N. Skrjabin, a Milano al Teatro della Scala.
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