Giovanni Cardone Maggio 2022
Fino al 31 Luglio 2022 si potrà ammirare presso la Fondazione Palazzo Strozzi e il Museo Nazionale del Bargello Firenze la mostra Donatello, il Rinascimento curata da Francesco Caglioti Professore ordinario di Storia dell’Arte medievale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. La mostra è promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Musei del Bargello in collaborazione con gli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra e con Fondo Edifici di Culto, Ministero dell’Interno. Main Supporter: Fondazione CR Firenze. Sostenitori: Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi. Main Partner: Intesa Sanpaolo. Una mostra storica e irripetibile che mira a ricostruire il percorso eccezionale di uno dei maestri più importanti e influenti dell’arte italiana di tutti i tempi, a confronto con capolavori di artisti a lui contemporanei quali Brunelleschi e Masaccio, Mantegna e Giovanni Bellini, ma anche successivi come Raffaello e Michelangelo. La mostra nasce come celebrazione del grande maestro per allargare la riflessione su questo artista rivoluzionario nei materiali, nelle tecniche e nei generi. Scultore supremo del Quattrocento tra i secoli d’oro dell’arte italiana e prediletto della famiglia Medici, insieme a Brunelleschi e Masaccio, Donatello diede il via alla straordinaria stagione del Rinascimento, proponendo nuove idee e soluzioni figurative che hanno segnato per sempre la storia dell’arte occidentale. Attraverso le sue opere Donatello rigenera l’idea stessa di scultura, con una potenza di visione unica in cui unisce le scoperte sulla prospettiva e un concetto totalmente moderno di umanità. La dimensione psicologica dell’arte di Donatello abbraccia in tutta la loro profondità le più diverse forme delle emozioni, dalla dolcezza alla crudeltà, dalla gioia al dolore più straziante. L’esposizione ospita circa 130 opere tra sculture, dipinti e disegni con prestiti unici, alcuni dei quali mai concessi prima, provenienti da quasi sessanta tra i più importanti musei e istituzioni al mondo come la National Gallery of Art di Washington, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Victoria and Albert Museum e la National Gallery di Londra, il Musée du Louvre di Parigi, gli Staatliche Museen di Berlino, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, le Gallerie degli Uffizi, la Basilica di Sant’Antonio a Padova e le basiliche fiorentine di San Lorenzo, Santa Croce e Santa Maria Novella. Distribuita su due sedi, Palazzo Strozzi e il Museo Nazionale del Bargello, la mostra propone un viaggio attraverso la vita e la fortuna di Donatello articolato in quattordici sezioni. Si inizia dagli esordi e dal dialogo con Brunelleschi, proponendo il confronto tra i due celebri Crocifissi lignei provenienti dalla Basilica di Santa Croce e da quella di Santa Maria Novella. Si procede poi attraverso i luoghi per cui Donatello ha lavorato Siena, Prato e Padova, oltre a Firenze, trovando moltissimi seguaci, entrando in dialogo con altri celebri artisti molto più giovani quali Mantegna e Bellini, e sperimentando nei materiali più diversi le sue formidabili invenzioni plastiche e scultoree. Conclude la mostra una sezione speciale dedicata all’influenza di Donatello sugli artisti a lui successivi, tra cui Raffaello, Michelangelo e Bronzino, testimoniando così l’importanza capitale della sua opera per le vicende dell’arte italiana.
Come dice Francesco Caglioti : “Se c’è un artista che può valere come patriarca e simbolo di un’intera epoca dell’arte occidentale, questo è Donatello in rapporto al Rinascimento. Egli è stato non solo il più grande scultore del suo secolo (o forse il più grande dell’era post-classica), e non solo il pioniere, insieme a Brunelleschi, dell’Età moderna dell’arte italiana, ma anche l’artefice di una rivoluzione che ha scosso dalle fondamenta il modo di creare arte, di farla accettare e promuovere dai committenti, di offrirla al pubblico, di attirare lo spettatore entro la vita illusoria delle forme.
Versato in tutte le tecniche del mestiere, e capace di dominarle nei formati più diversi (dalle minute placchette bronzee fino ai colossi), Donatello ha sentito costantemente, nell’arco di una vita lunga e infaticabile, i limiti della scultura rispetto alla pittura. In giorni in cui i veloci progressi della riflessione umanistica e storica sulle arti riscoprivano con una consapevolezza sempre maggiore le facilità e i vantaggi della rappresentazione e del racconto pittorici a paragone con la nobile e illustre fissità delle statue, egli non perse mai l’occasione di inventare i più acuti espedienti per dar moto ai corpi e simulare la partecipazione delle figure al flusso continuo dell’esistenza terrena. L’osservatore è coinvolto e sedotto da un gioco ambiguo, e perciò più efficace, nel quale rischia di confondere il proprio ruolo con quelli dei personaggi, e persino di altri spettatori fittizi. In questa sua missione, Donatello fu aiutato da una memoria prodigiosa degli esempi del passato, rimescolati da lui con un’audacia estrema: non le sole sculture antiche di Roma, ma qualunque genere di figura e di ornato attraverso i millenni, fino ai suoi giorni. Tanta generosità di esperimenti e risultati apparecchiò ai contemporanei un gigantesco banchetto, che essi, significativamente, non furono in grado di smaltire nello spazio di un solo secolo, popolato tuttavia un po’ ovunque da allievi e seguaci, in pittura come in scultura. Se il Quattrocento si accontentò quasi sempre delle parti esteriori del mondo donatelliano (il pathos dell’azione, il ritorno all’ornato antico, il rilancio di alcuni generi canonici della scultura classica, i giochi infiniti di spiritelli), ci volle poi tutto il Cinquecento perché, con Leonardo, Michelangelo, Raffaello e tantissimi altri, la svolta donatelliana producesse i suoi effetti più profondi e più veri. Di questa cronologia la mostra tenta uno spaccato ampio, spingendosi fino all’inizio del Seicento.” Come afferma Paola D’Agostino, Direttore dei Musei del Bargello: “Il Museo Nazionale del Bargello ospita da sempre il più importante nucleo di opere di Donatello al mondo e l’allestimento del Salone di Donatello, realizzato tra fine Ottocento e inizio Novecento, impresse un nuovo volto museografico all’antico Palazzo del Podestà. La mostra Donatello, il Rinascimento, straordinaria per numero di opere esposte nelle due sedi e ampiezza dei confronti inediti offerti al pubblico esemplificherà quanto Donatello sia stato artista guida del Rinascimento. L’esposizione rappresenta un evento unico, reso possibile grazie alla salda collaborazione con Arturo Galansino e il suo staff, alla incomparabile curatela di Francesco Caglioti e alla fitta trama di rapporti con i più importanti musei del mondo che hanno concesso prestiti d’eccezione.” A Palazzo Strozzi la mostra si dispiega in un percorso cronologico-tematico che ricostruisce la biografia artistica di Donatello attraverso cento capolavori quali il David in marmo e l’Amore-Attis del Bargello, gli Spiritelli del Pergamo del Duomo di Prato, il Crocifisso, il Miracolo della mula e l’Imago Pietatis dell’altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio a Padova, oltre a numerose opere provenienti da famosi musei stranieri come il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum di New York o la National Gallery di Londra. Per la prima volta nella storia, inoltre, sono esposti fuori dal loro contesto originario il Convito di Erode, la Fede e la Speranza dal Fonte battesimale di Siena, oltre alle straordinarie porte bronzee della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, che sono alcune tra le numerose opere oggetto di grandi restauri realizzati in connessione con la mostra. Al Museo Nazionale del Bargello il percorso comprende opere iconiche di Donatello dal San Giorgio marmoreo, con lo straordinario rilievo in schiacciato del San Giorgio che libera la principessa, al David in bronzo a confronto con il Filippo Scolari detto Pippo Spano e con il Farinata degli Uberti, affreschi staccati di Andrea del Castagno, dalle Gallerie degli Uffizi, quindi il David Martelli di Desiderio da Settignano, eccezionalmente concesso in prestito dalla National Gallery of Art di Washington, per proseguire con la Madonna delle nuvole del Museum of Fine Arts di Boston, la Madonna Dudley del Victoria and Albert Museum di Londra e la Madonna della scala di Michelangelo dalla Fondazione Casa Buonarroti di Firenze. La sezione che accoglie quest’ultimo rilievo illustra attraverso una serie di serrati confronti inediti l’influenza fondamentale che Donatello ebbe sull’opera del Buonarroti e sulla Maniera Moderna.
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Donatello e sul Rinascimento che è divenuto seminario universitario e convegno interdisciplinare apro il mio saggio dicendo : L’essenza dell’attività culturale del Magnifico affermando che durante il suo governo non ci fu uomo di talento che non annoverasse Lorenzo fra i propri protettori. Particolarmente interessante è in primo luogo il rapporto di Lorenzo de’ Medici con gli artisti del tempo. Uno dei suoi diletti principali era quello di poter riconoscere i talenti di giovani artisti. Per poterlo fare, Lorenzo ha allestito una specie di palestra nel suo giardino di casa, dove ha radunato una massa di statue antiche e di copie di opere d’arte famose e dove i giovani cultori di arti figurative potevano esercitarsi sotto la guida di ottimi maestri. Lorenzo non è stato mai un principe mecenate e la sua casa in via Larga non è stata una corte. In realtà si trattava di un luogo d’incontro fra amici, ossia di fiorentini dotati di talento artistico o di un interesse culturale comune. Il rapporto tra i membri era molto semplice: Lorenzo apprezzava le opere d’arte che venivano create presso la sua residenza siccome le fornivano uno splendore speciale, mentre gli artisti apprezzavano l’appoggio finanziario e l’ammirazione da parte del Magnifico che rendevano possibile lo sviluppo delle arti. Lorenzo è stato il primo a riconoscere il talento di molti pittori e scultori che grazie a lui hanno avuto un grande successo, come quello del giovane Michelangelo Buonarroti. Colpito dalla capacità del ragazzo, ha stabilito subito che egli dovesse essere alloggiato e mantenuto nel palazzo Medici, in modo da potersi dedicare alla scultura. Michelangelo ha vissuto nella residenza fino all’età di diciotto anni e il suo avvio alla carriera è dovuto a Lorenzo de’ Medici. Infatti, Lorenzo è stato colui che ha reso possibile che Michelangelo diventasse un artista d’eccellenza: gli ha assegnato una stanza al Palazzo Medici, uno stipendio mensile, abiti, un posto alla sua tavola accanto ai suoi figli, gli ha concesso persino le chiavi del giardino e gli ha dato il privilegio della sua intimità e di quella dei suoi amici intellettuali, una compagnia istruttiva e stimolante. Perciò la morte di Lorenzo è stato un colpo terribile per il giovane Buonarroti: è fuggito dalla corte medicea ed è rimasto incapace per lungo tempo di rimettersi a lavorare. Nel periodo sotto il potere del Magnifico, a Firenze, presso la casa di Lorenzo, giungevano numerosi artisti provenienti da altre città italiane per imparare le belle arti.
Tra questi, i principali pittori sono stati Sandro Botticelli, Filippino Lippi, il Perugino e Domenico Ghirlandaio . Sandro Botticelli ha avuto il più duraturo e stretto rapporto con i Medici. La sua devozione per la famiglia è rappresentata tramite la creazione di dipinti quali l’Adorazione dei Magi nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Per la creazione delle sue opere d’arte, Botticelli ha tratto particolare ispirazione dall’amore di Giuliano de’ Medici e dalla bellezza della donna da lui amata. L’amore da secoli rappresenta un’ispirazione pura per gli artisti, come quello di Giuliano de’ Medici per Simonetta Cattaneo Vespucci che ha posto al centro il ruolo di Giuliano nella cultura fiorentina. Per descrivere il loro amore Rizzatti scrive che: Non vi è forse, in tutto il Rinascimento italiano, un amore più celebre di quello platonico che nutrì Giuliano de’ Medici per Simonetta Cattaneo, la bellissima giovane ligure, condotta in sposa da Marco Vespucci. Si tratta di un amore celebre in primo luogo per i notevoli riflessi che ha avuto nella pittura e nella poetica del tempo, avendo ispirato insigni capolavori, in virtù dei quali è ancora sempre vivo dopo cinque secoli della morte dei protagonisti. Simonetta, una giovane bionda longilinea dagli occhi grigi e il viso pieno di una grazia soave, era conosciuta da tutti come la bella di Firenze, nonostante la sua nascita genovese.
La devozione di Giuliano per l’incomparabile Simonetta era una cosa assai notoria e ha ispirato in primo luogo il poeta favorito dei Medici, Angelo Poliziano, per la composizione di un bellissimo poema in ottave intitolato Iulio e Simonetta. Da questo poema ha tratto ispirazione Sandro Botticelli. Nei suoi dipinti sono ravvisabili le sembianze di Giuliano e Simonetta, spesso anche sotto vaghi travestimenti mitologici. In tal modo, il loro amore di breve durata, data dalla morte della ventitreenne Simonetta nell’aprile del 1476, dura ancor’ oggi ed è testimoniato dai dipinti di fama mondiale, quali la Primavera e la Nascita di Venere. Secondo Ady, nella Primavera trova espressione tutto lo spirito della Firenze medicea, la sua gioia per la bellezza, la sua cultura classica e la sua ricerca dell’inottenibile. Inoltre, nessuna delle opere di Botticelli eseguite per Lorenzo e Giuliano de’ Medici è sopravvissuta,il che rende le sue opere testimoni indispensabili del ruolo dei fratelli Medici nella cultura fiorentina.
Il pittore Domenico Ghirlandaio è noto per aver dato un quadro incomparabile della vita e delle usanze del Circolo Medici. Francesco Sassetti e Giovanni Tornabuoni, due dei più stretti soci d’affari di Lorenzo, hanno commissionato alcune opere al Ghirlandaio: il primo ha richiesto la decorazione della Cappella Sassetti a Santa Trinità con scene della vita di San Francesco, mentre il secondo la creazione di una serie di affreschi nel coro di Santa Maria Novella, che rappresentavano le vite della Madonna e di San Giovanni Battista. Particolare è un dipinto del Ghirlandaio, la Nascita della Vergine, a Santa Maria Novella, che ritrae la scena di una camera da letto fiorentina, creando così una testimonianza dei costumi e delle abitudini del tempo. Il dipinto rappresenta una stanza con fregi di bambini danzanti e colonne colorate, donne vestite in abiti di alta qualità e tutto ciò dà un’impressione dell’alto livello di civiltà che prevaleva presso i fiorentini del Circolo Medici. Non c’è dubbio che Botticelli e Ghirlandaio fossero andati a Roma per lavorare alla Cappella Sistina raccomandati da Lorenzo, il che dimostra l’importanza dell’influenza del ruolo del Magnifico pure sulla cultura al di fuori delle mura della città di Firenze. L’influenza pittorica fiorentina era in quel periodo assai diffusa. Lo dimostrano, oltre al Botticelli e al Ghirlandaio, anche Andrea Verrocchio e Leonardo da Vinci. Verrocchio era un artista ben rinomato ancora prima che Lorenzo salisse al potere, ma la sua produzione è aumentata notevolmente grazie al ruolo del Magnifico: era continuamente ingaggiato da lui, fino al momento nel quale l’artista è dovuto partire per Venezia e compiere la sua ultima opera, la statua equestre del Colleoni. Notevole è la tomba nella Vecchia Sagrestia a San Lorenzo, uno dei primi progetti assegnati al Verrocchio da parte di Lorenzo e Giuliano. I fratelli Medici hanno voluto che la tomba, destinata per il riposo eterno del padre Piero e dello zio Giovanni, fosse semplice, al contempo di buon gusto e priva di ostentazione. Il nome Leonardo da Vinci è noto in tutte le parti del mondo, ma non tutti sanno che dietro al successo di questo genio c’è in realtà la famiglia Medici, in particolare Lorenzo de’ Medici. Nel 1469 Leonardo è entrato nel laboratorio di Verrocchio e ne è diventato apprendista. Ha mostrato le sue doti tramite il dipinto dell’angelo nell’opera d’arte di Verrocchio intitolata Battesimo di Cristo. È rimasto a Firenze per poter continuare a lavorare sotto la protezione di Lorenzo, assorbendo la migliore tradizione fiorentina. Nel 1482 Lorenzo ha deciso di assecondare Leonardo e lo ha raccomandato al signore di Milano, Ludovico Sforza. Alla corte di Milano Leonardo da Vinci ha trasformato con il suo influsso la pittura milanese: con la sua genialità egli ha portato a perfezionamento i caratteri peculiari dell’arte fiorentina a Milano. La mostra è divisa in quattordici sezioni tra Palazzo Strozzi e il Museo del Bargello:
Palazzo Strozzi Sezione1 –
Sala 1 Gli Esordi
La formazione e il debutto di Donatello ebbero luogo sotto una doppia costellazione: da una parte l’oreficeria, che lo condusse a essere allievo di Lorenzo Ghiberti e suo collaboratore nei primi anni dell’attività alla Porta Nord del Battistero fiorentino (1404-1407); dall’altra l’intaglio del marmo, per il quale l’immensa costruzione della Cattedrale, allora in corso da più di un secolo, forniva a un giovane di talento, sotto il magistero di scultori tardogotici come Giovanni d’Ambrogio e Niccolò di Pietro Lamberti, molte opportunità di apprendimento e affermazione. Donatello ottenne il primo incarico autonomo al più tardi nel 1406, entro il cantiere della Porta della Mandorla di Santa Maria del Fiore. E già nel 1408 era pronto alla sfida del suo primo David in marmo. Tutto sembrava destinato a svolgersi, fra i due edifici, entro il perimetro della cittadella sacra della Repubblica fiorentina. Ma molto presto, e forse all’interno di questo stesso circuito, era giunta per Donatello l’occasione culturale più importante della sua vita: l’amicizia con Filippo Brunelleschi. Più anziano di lui di circa dieci anni, questo ingegno “universale” dovette presto scoprirne le capacità rare, stimolarle e indirizzarle, stabilendo con lui un sodalizio destinato a durare quarant’anni. È dalla coppia Filippo-Donato, e dalle sue coraggiose e dirompenti esperienze tra il primo e il secondo decennio del Quattrocento, che il Rinascimento trae la sua vera forza propulsiva. Gli antichi racconti biografici sulla collaborazione tra i due sconfinano nel leggendario: la missione congiunta verso Roma, a riscoprire per primi il senso dei monumenti antichi; la disputa virtuosa su come scolpire il Cristo crocifisso, attraverso la contrapposizione tra gli esemplari di Santa Croce e di Santa Maria Novella; la burla geniale ai danni del Grasso legnaiuolo, tramandata da una delle novelle più sapide del Quattrocento fiorentino, con quel semplice artigiano persuaso a credere di essere divenuto un suo concittadino. A parte i risvolti aneddotici, di tutta questa materia sopravvivono dei noccioli profondamente veritieri. Le carte d’archivio, peraltro, svelano anche incidenti di percorso assai più prosaici: nel 1412 Brunelleschi fece arrestare per qualche giorno l’amico, colpevole di non avergli versato quanto gli spettava per la «compagnia» di scultura che avevano allora insieme, cioè una vera e propria ditta utile a gestire la commissione di alcune statue per Orsanmichele (il San Pietro e il San Marco, scolpiti però dal solo Donatello).
Sezione 2 - Sala 1B La Terracotta :
Idee Nuove In Una Materia Antica
Tra le grandi innovazioni messe a punto dal tandem Filippo-Donato nei primi due decenni del Quattrocento dovette essere anche il rilancio della terracotta come materiale autonomo per la creazione di figure di tutti i formati, destinate agli scopi più diversi. Tale pratica, ben raccontata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, la più importante enciclopedia sopravvissuta dal mondo classico latino, era allora in disuso da secoli, o comunque non così centrale nel lavoro degli scultori come sarebbe stato a partire da quel momento, senza più interruzione. Essa schiudeva inoltre il campo d’azione dei maestri alla riproduzione seriale delle immagini: un vantaggio che fu posto rapidamente a frutto da Donatello, dai suoi collaboratori e dai suoi seguaci, come attesta una lite giudiziaria svoltasi a Lucca tra il 1418 e il 1419, a causa di un piccolo Battista in creta che una delle due controparti pretendeva di mano del giovane e rinomato maestro, mentre l’altra lo declassava al rango di una copia o di un’imitazione. Le Madonne per il culto domestico divennero assai presto il terreno d’elezione di questa tecnica artistica. Il corpus delle terracotte giovanili di Donatello, riscoperto dagli studi negli ultimi cinquant’anni, si è andato perfezionando finora attraverso l’aggiunta di nuovi pezzi e l’esclusione di altri. Assai più problematico è il nucleo delle possibili Madonne di Brunelleschi, difficili da mettere a paragone con le poche sculture certe di questo maestro, che tuttavia svolse forse il ruolo trainante nel rilancio dell’argilla. Non appena il David marmoreo di Donatello per uno dei contrafforti intorno alla futura cupola di Santa Maria del Fiore si rivelò inadeguato a ben figurare su quelle cime con i suoi due metri scarsi di altezza (1409), Donatello fu incaricato di un Giosuè in terracotta che lo sostituisse. Messo in opera già nel 1410, il «Gigante», alto più di cinque metri, fu sferzato dalle intemperie per almeno due secoli, prima di scomparire senza lasciare altra traccia. Fino alle soglie del Cinquecento e al David di Michelangelo, tutta la vicenda delle statue per i contrafforti del Duomo si misurò con il Giosuè donatelliano.
Sezione 3 - Sala 2
Statue e Persone
Nel giro di poco più di quindici anni, dal 1410-1412 al 1427, Donatello compì una sorta di ascesa trionfale come autore di statue. Il San Pietro, il San Marco e il San Giorgio per Orsanmichele, il San Giovanni Evangelista per la facciata del Duomo e i sei Profeti per il Campanile di Giotto (due dei quali in collaborazione con Nanni di Bartolo) lo rivelarono al mondo come lo scultore del secolo, che ridava corpo alle figure classiche, infondendovi tuttavia più moto e più vita affettiva. Verso la conclusione di questo percorso, era inevitabile che Donatello, formatosi anche come orafo sotto Ghiberti, tentasse la strada dei grandi bronzi, finendo per fare un’audace concorrenza al suo maestro. L’occasione giunse con il San Ludovico per la nicchia principale di Orsanmichele, di proprietà della Parte Guelfa: un’architettura scolpita che fu richiesta a lui medesimo, e che lui risolse in uno dei più ingegnosi tabernacoli mai visti, del tutto al di fuori della tradizione gotica di quell’edificio. Pur venendo da una scuola di oreficeria altissima, Donatello non fu mai un metallurgo tecnicamente irreprensibile: niente di paragonabile a Ghiberti stesso, e poi a Verrocchio, Cellini o Giambologna. La sua potenza sta nell’aver piegato i propri difetti a virtù, inventandosi una metallurgia rapida, sintetica, concentrata su alcuni passaggi visivi particolarmente ben scelti. Già il San Ludovico non è una statua nel senso vero del termine, ma un generoso ed elegante montaggio di vari pezzi di panneggio. Con criteri analoghi fu realizzato il busto-reliquiario del San Rossore, ritratto indelebile di un eroico soldato antico, che Donatello sembra avere evocato dal nulla. La Fede e la Speranza per il Fonte battesimale di Siena lasciano per la prima volta la loro collocazione originaria per apparire in una mostra. Qui la metallurgia donatelliana si fa più paziente e sofisticata, al servizio del piccolo formato, affrontato tuttavia con respiro monumentale. Tutte queste figure imposero ai giovani scultori e pittori fiorentini una scuola irresistibile di fisionomie uniche, di concentrazione morale, di panneggi scavati e chiaroscurati con una forza ignota sia alla scultura classica che all’universo medievale. Michelozzo e Masaccio, vicinissimi a Donatello per interessi professionali e amicizia, ne fecero immediatamente tesoro. Dopo di loro, Andrea Guardi, il “Maestro di Pratovecchio” e ancora Andrea del Castagno rappresentano in questa sala una successione ben più ampia di seguaci, alla quale parteciparono anche Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Filippo Lippi e Piero della Francesca.
Sezione 4 - Sala 3A
Spazio Scolpito, Spazio Dipinto
Tra i vantaggi maggiori che Donatello trasse dalla precoce vicinanza a Brunelleschi fu la condivisione dei principî della nuova prospettiva razionale, su cui Brunelleschi si applicò da pioniere. Mentre queste norme furono sempre utilizzate dal loro inventore come guida a un rigoroso e quasi ineluttabile ordinamento dello spazio, tanto reale che fittizio, Donatello comprese immediatamente che gli scorci si potevano adattare – e anzi chiedevano di essere adattati – in funzione della mobilità continua dello spettatore. Consapevole di tali limiti, e quindi anche della loro flessibilità, lo scultore passò molto presto a usare la prospettiva non solo come strumento di inganno ottico, ma soprattutto come fonte inesauribile di potenziale drammatico nella presentazione delle figure e nel racconto delle storie. Il Convito di Erode del Battistero di Siena, esposto qui per la prima volta al di fuori della vasca battesimale cui appartiene dal 1427, è una sorta di manifesto di tale poetica. La spazialità complessa e labirintica del palazzo del re giudaico, per scatole incastrate l’una nell’altra senza una chiara distinzione tra la sala del banchetto, il vestibolo alle sue spalle e la prigione in fondo dove il Battista è stato appena decapitato, risucchia e cattura lo spettatore quasi come avvenne al profeta nell’attimo in cui mise sventuratamente piede in quella trappola.
Due Madonne domestiche a bassorilievo di quegli anni, dal concetto particolarmente impegnato per dover essere tradotto in marmo, dispiegano la prospettiva in maniera non meno efficace. La Madonna Pazzi di Berlino sembra colta per caso dall’osservatore mentre abbraccia il figlio presso il riquadro di una finestra di casa (e Donatello, come poi nei rilievi del pergamo di Prato che il pubblico incontrerà nella prossima sala, non si preoccupa di risolvere precisamente il rapporto di piani tra il corpo della Vergine e il davanzale). Resta tuttavia impresso nella memoria dello spettatore l’abbraccio dei due protagonisti in un corpo unico, sottratti al devoto che aspetta invece un riscontro immediato alle sue preghiere. La Madonna Pazzi ebbe subito un largo seguito di repliche, decretando per sempre l’enorme fortuna del maestro attraverso la riproduzione seriale: in modo significativo, tutte le copie tralasciano il difficile scorcio della finestra. Dello sfruttamento delle Madonne di Donatello per serie danno testimonianza in questa sala la placchetta in rame sbalzato del Musée Jacquemart-André di Parigi e specialmente il secondo dei due bassorilievi in marmo, la Madonna Hildburgh di Londra. Pur essendo più piccola della Pazzi, il maestro, ispirandosi a un gigantesco rudere imperiale romano (la cosiddetta Basilica di Massenzio), seppe racchiudervi una “sacra conversazione” non meno affollata e animata che esatta, tale da suscitare l’emulazione pronta e intelligente di scultori come Luca della Robbia e pittori come Filippo Lippi o come Domenico Veneziano nella pala di Santa Lucia de’ Magnoli (di cui si espone qui un elemento della predella).
Sezione 5 - SALA 3B
Il Ritorno Degli Spiritelli
Non è stato certamente Donatello a inventare gli “spiritelli”, ovvero i putti nudi e alati. L’antichità classica pullulava di simili cupidìni e genietti; e il Medioevo, pur riducendone drasticamente la presenza e relegandoli ai margini della rappresentazione, non li aveva mai dimenticati del tutto. Donatello li mise al centro del proprio immaginario, facendone gli infallibili motori di un’animazione perpetua della scultura. Dal nodo del pastorale del San Ludovico, alla corazza e alla sella del Gattamelata, fino al letto su cui la Giuditta assale Oloferne e ai fregi dei pergami di San Lorenzo, gli spiritelli s’insinuano ovunque nell’universo donatelliano, fungendo da elementi di raccordo tra le singole figure (o le storie) e gli spettatori. Quasi sempre, inoltre, Donatello sostituisce gli spiritelli agli angeli dell’iconografia cristiana, adolescenti pudicamente drappeggiati: nell’Altare del Santo a Padova, i pannelli secondari, che nelle attese della committenza avrebbero dovuto ospitare angeli musicanti, esibiscono anch’essi spiritelli; e se ogni tanto qualche fanciullo porta l’aureola, altri vi rinunciano disinvoltamente, smascherando le intenzioni del maestro. Gli Spiritelli di questa sala, lavorati come pezzi autonomi, provengono tuttavia da complessi maggiori. Per il coronamento del Fonte battesimale di Siena, Donatello ne realizzò tre in piedi e festanti, in bilico su conchiglie adagiate sopra coroncine vegetali (1429): quasi una prova in scala per il David bronzeo di dieci anni dopo. Un primo esperimento di fusione, ancora senza la ghirlanda inferiore, fu scartato dall’autore, ma fu conservato come pezzo da collezione (e arriva qui dal Bargello): forse il primo vero “bronzetto” all’antica del Rinascimento. I due Spiritelli del Musée Jacquemart-André di Parigi nacquero come portaceri per la Cantoria di Luca della Robbia nel Duomo fiorentino. Invece di due supporti stilizzati per le candele che dovevano rischiarare il lavoro dell’organista, Donatello escogitò due pennuti appena atterrati sulla cornice del balcone, e pronti a spiccare di nuovo il volo sotto il cielo della cupola di Brunelleschi. Nei riquadri inferiori della propria Cantoria, a riscontro di quella di Luca, Donatello innestò due «teste» in bronzo: non quelle virili, di tutt’altra origine, che vi si vedono oggi, ma più facilmente due teste di spiritelli, come quella giunta qui dal Metropolitan Musum of Art di New York. Nell’Amore-Attis, prima statua pagana del Rinascimento, fusa forse per la famiglia Bartolini Salimbeni, lo spiritello è infine protagonista, e Donatello lo carica perciò degli attributi più bizzarri. Gli studiosi si sono scervellati non poco per svelarne un senso letterario preciso, facendo torto alla generosa creatività del maestro, sempre autonomo e spregiudicato nel guardare all’antico.
Sezione 6 - Sala 4
Per Prato Nel 1428
Donatello, titolare da qualche anno di una nuova «compagnia» di scultura insieme a Michelozzo, ricevette con lui l’incarico di un pergamo da allestire all’esterno della Pieve di Prato (poi Cattedrale), per mostrare ai fedeli la più amata reliquia cittadina: la cintura della Vergine. Fu l’avvio di uno dei cantieri più accidentati della carriera del maestro, che impiegò dieci anni a venirne a capo, e spinse più volte i pratesi all’esasperazione: i ritardi dipesero infatti da lui, che nel frattempo s’impegnava più speditamente per Firenze, Siena, Napoli, Roma e Venezia. Fedele al proprio estro inquieto e spavaldo di architetto-scultore, Donatello concepì il pergamo come un gigantesco calice liturgico incastonato nell’angolo destro della facciata della chiesa. Il parapetto del balcone avrebbe dovuto accogliere in origine sei formelle con coppie di spiritelli intenti a reggere le armi della comunità di Prato. Ma nel 1434 il prolungarsi dei lavori permise al maestro di cambiare idea, inscenando per ognuna delle formelle (diventate sette) un gruppo di spiritelli danzanti contro un fondo di mosaico a tessere ceramiche invetriate e dorate. Questa invenzione veniva da lui esplorata in quegli stessi anni anche nella Cantoria di Santa Maria del Fiore (1433-1439), dove però la danza è una sola e corre senza interruzione lungo i tre lati del balcone parallelepipedo, fingendo di uscire e di rientrare da uno squarcio e dall’altro nella parete di fondo. Quando un decennio più tardi Maso di Bartolomeo, assistente di Donatello e Michelozzo nel pergamo di Prato, ottenne dai pratesi la commissione del reliquiario della cintura della Vergine (1446), adattò facilmente a questa cassetta rettangolare lo schema della Cantoria, srotolando non a caso gli spiritelli su tutti i lati. Fin dal 1433 Michelozzo, socio affidabilissimo di Donatello anche e specialmente nei metalli, aveva fuso il grande capitello del pergamo, prodigio di fantasia all’antica. Gli spiritelli vi si mescolano a tal punto con l’ornamentazione vegetale che uno di loro, in alto al centro, spunta a mezzo busto come fa un’erba selvatica tra le pietre di un rudere. Qui la saldatura tra i due maestri raggiunse il suo culmine, perché il disegno, assolutamente donatelliano, fu tradotto almeno in parte nelle forme peculiari di Michelozzo, soprattutto nelle teste dei tre spiritelli più grandi. Le formelle di marmo, ammirate da Pisanello e dalla sua cerchia prima ancora di essere messe in opera, videro coinvolta una nutrita squadra di aiuti. Uno dei giovani che crescevano allora con Donatello era Andrea dall’Aquila, il quale avrebbe poi vantato questo suo curriculum nel lavorare a Roma e nell’Arco trionfale di re Alfonso a Napoli.
Sezione 7 - Salette 4BIS E 5BIS
Le Porte Di San Lorenzo
Le porte di San Lorenzo sono tra le cose più straordinarie di Donatello, a partire dalla funzione. Fin dall’antichità i battenti di bronzo sono stati un lusso e un privilegio di pochi luoghi e di pochi committenti, quasi sempre investiti di un potere sovrano o di una funzione pubblica comunque assai elevata. Le altre porte metalliche che Donatello avrebbe dovuto fare, e che non realizzò mai, erano destinate alle due sagrestie del Duomo di Firenze (1437) e alla facciata del Duomo di Siena (1458). Scegliendo due porte inbronzo per la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, cioè per uno spazio interno e semi-privato, i Medici, che sulla carta erano semplici cittadini della Repubblica, compivano una mossa più volte straordinaria, anche perché quelle porte aprivano (e aprono) su due vani di servizio: un lavabo e un deposito di candele. In verità, i quaranta santi che abitano le venti formelle dei quattro battenti dovevano fornire, insieme ai quattro Santi patroni dei Medici nelle lunette in stucco sopra le due porte, l’apparato iconografico necessario sia all’altare della Sagrestia (senza pala per non schermare il clero rivolto versus populum) sia alla tomba del fondatore Giovanni de’ Medici, al centro dell’ambiente, con figure e ornati privi di riferimenti cristiani. L’importanza del compito spinse i Medici ad affidare a Donatello non solo i battenti, ma anche le loro incorniciature di macigno. Ispirandosi alle porte viste nei sarcofagi antichi, il maestro le concepì come delle masse plastiche autorevoli, tali da interferire con il nitore assoluto dell’impianto architettonico di Brunelleschi. Da qui scaturì una lite tra i due amici, destinata forse a concludere il loro intenso rapporto quarantennale. Nei battenti, il gusto della varietà continua e inesausta spinge Donatello a sfoggiare per ogni coppia di personaggi delle soluzioni che proclamano l’indomita libertà dell’artista inventore, tale da mettere in imbarazzo non pochi dei suoi maggiori estimatori, da Filarete fino a Baccio Bandinelli un secolo dopo. Nel frattempo, molti pittori e scultori si esercitarono come copisti su singoli santi o gruppi di santi: in mostra, al Bargello, si vedrà un disegno di Francesco da Sangallo.
Sezione 8 - SALA 5
Tra Firenze e Padova
Verso la fine del 1443 Donatello lasciò Firenze per Padova. Aveva forse in programma una trasferta breve, come altre fatte in passato a Roma, a Pisa o a Lucca: lasciava infatti troppi incarichi in sospeso, soprattutto per Santa Maria del Fiore. Ma finì per restare a Padova, di cosa in cosa, ben undici anni. Tra le ultime opere consegnate in patria prima di partire dovette esserci il San Giovanni Battista adolescente per la famiglia dei Martelli, alleati dei Medici: fu l’ultima sua statua marmorea in senso stretto, e superba eccezione iconografica, perché, come per David, il maestro scelse di staccarsi dalla lunga tradizione del personaggio adulto, e nello stesso tempo non si adeguò all’attrazione tutta fiorentina per il Precursore fanciullo, corrispettivo e compagno del piccolo Messia. Nella staticità del marmo saldamente ancorato al suo baricentro Donatello è riuscito a infondere il senso di un movimento incipiente, che allude al commiato del profeta dalla casa paterna, per avventurarsi nel deserto. Di questa statua, divenuta presto una stella polare per il giovane Desiderio da Settignano, il maestro portò con sé a Padova un disegno o un modello, riflesso poco dopo nel Battista, tornato di nuovo adulto, di un polittico di Giorgio Schiavone. Insieme a Marco Zoppo e ad Andrea Mantegna, il pittore dalmata rappresenta in mostra una delle vicende più straordinarie del Rinascimento italiano: l’accensione immediata degli allievi del padovano Francesco Squarcione, pittore modesto ma didatta accanito, per Donatello e il suo mondo. Lungo le pareti, una galleria di Madonne a rilievo e dipinte, dal maestro al suo discepolo toscano Giovanni da Pisa – salito con lui a Padova – ai tre allievi già nominati di Squarcione, documenta il vivace rinnovamento antiquario e giocoso delle immagini di devozione domestica sull’onda delle invenzioni donatelliane. L’accostamento tra placchette e dipinti, e tra disegni e sculture in marmo, fa capire il fervore di scambi all’interno di questo ambiente. Vi parteciparono anche giovani come Bartolomeo Bellano, Niccolò di Giovanni Fiorentino e Pietro Lombardo: il primo si apprestava a divenire uno degli aiuti più fedeli del maestro, seguendolo a Firenze dopo Padova; il secondo è presente con un rilievo maturo in pietra, che ricorda l’esperienza padovana ancora dopo alcuni decenni; Pietro Lombardo appare infine attraverso una terracotta precoce, fresca del rapporto con Donatello e Mantegna.
Sezione 9 - SALA 6 Dieci Anni a Padova:
Il Rinascimento Tra la Pianura Padana e L’Adriatico
Nei primi anni del lungo soggiorno a Padova, durato dal 1443-1444 fino al 1454, Donatello consegnò o portò quasi a termine quattro capolavori di svolta, destinati a marcare profondamente la geografia artistica dell’Italia settentrionale. Dopo un grande Crocifisso ligneo per la chiesa dei Servi (riscoperto di recente), fu il turno del Crocifisso per la basilica del Santo: il primo di dimensioni monumentali mai fuso in bronzo, con il chiaro intento di far rinascere una sorta di classicità cristiana. Intanto Donatello dava mano al Gattamelata nella piazza davanti alla basilica: primo monumento equestre di forme antiche, completamente isolato, dopo molti secoli. Nel Crocifisso del Santo, assai lontano da quello giovanile di Santa Croce, e in sfida con quello eroico di Brunelleschi, il corpo del Redentore, pur essendo bloccato dai chiodi e dalla morte, riesce a inscenare un’azione – come sempre in Donatello – attraverso quel perizoma esiguo, pronto a volare nella tempesta scoppiata dopo l’ultimo respiro di Cristo. In origine la figura svettava sul tramezzo della basilica, il muro divisorio tra i fedeli e il clero, ma venne tolta nel 1651. Nel frattempo, era stato smontato anche l’altar maggiore con le sue statue e i suoi rilievi di bronzo (1579). Verso la fine dell’Ottocento tutte queste opere furono rimontate insieme con criteri estranei al progetto di Donatello. L’Altare del Santo, di un genere anch’esso mai visto in bronzo prima di allora, infiammò schiere di artisti delle aree padane e adriatiche. Molte pale d’altare scolpite e dipinte rinviano direttamente o indirettamente al suo modello: eppure non ne conosciamo più la forma precisa. Tra le parti in bronzo, che si sono salvate tutte, spiccava al centro l’Imago Pietatis (o Vir dolorum), che fu da sola un prototipo di pathos e raffinata devozione per pittori come Giovanni Bellini, Marco Zoppo o Nicola di maestro Antonio (attivo nelle Marche), o scultori come Niccolò di Giovanni fiorentino (tra la Dalmazia e la costa orientale dell’Italia). I quattro famosissimi Miracoli di sant’Antonio per l’altare (qui è esposto quello della mula), insieme ad altri rilievi più piccoli per la devozione privata come il Calvario Camondo del Louvre e il San Sebastiano del Musée Jacquemart-André, avrebbero fornito alle giovani generazioni spunti inesauribili per affrontare il dramma sacro, variandolo attraverso innumerevoli episodi secondari, o concentrandosi su una teatralità monumentale come quella dei Tre Crocifissi di Foppa dell’Accademia Carrara. Negli ultimi tempi padovani (1450-1454) Donatello viaggiò tra altri grandi centri del Nord (Modena, Mantova), promettendo alle corti locali grandi opere che non cominciò o non finì mai. Al Duomo di Mantova era destinata l’arca di sant’Anselmo di Lucca, in relazione alla quale può essere stato plasmato il modello in argilla del Victoria and Albert Museum noto oggi come “Altare Forzori”: unica terracotta a noi giunta delle infinite che Donatello preparava per ogni fusione in bronzo. Il maestro fu anche a Ferrara, forse per dare consigli su un’impresa fuori scala condotta allora da un suo allievo, Niccolò Baroncelli: le cinque statue in bronzo del Crocifisso con la Madonna e san Giovanni dolenti, san Maurelio e san Giorgio che escono per la prima volta dal Duomo e giungono qui, restaurate per l’occasione, svelando le loro sorprendenti dorature originarie.
Sezione 10 – Sala 7 Di Nuovo in Toscana
Tornato per sempre in Toscana nel 1454, Donatello trascorse anni inquieti almeno fino al 1461. La sua azione diretta di maestro, concentrata sempre più sui bronzi e sulle altre materie “per via di porre” (cere, argille), rimase febbrile. Ma i rapporti con i committenti, soprattutto in ambito istituzionale, si complicarono via via, riservando eccezioni benefiche solo al patronato dei Medici. Prima del 1457, Donatello ebbe tra le mani non meno di tre imprese di grande ambizione: il colosso equestre per re Alfonso di Napoli (evocato nella prossima sezione), la Giuditta per i Medici, il Battista oggi a Siena, e forse un nuovo Gigante in terracotta per i contrafforti intorno alla cupola di Brunelleschi. Il Gigante è citato nelle “ricordanze” del medico Giovanni Chellini, che nel 1456 ricevette in dono dallo scultore, grato delle sue cure, il tondo con la Madonna oggi al Victoria and Albert Museum, conformato per poterne cavare delle impronte in vetro. Nel 1457 Donatello fuggì a Siena, dove il governo della Repubblica promulgava in suo favore leggi speciali (caso forse unico nella storia sociale degli artisti) per permettergli di cominciare molte nuove opere per il Duomo, tra cui i battenti bronzei della porta maggiore. Il maestro portava con sé, privo del braccio destro, il Battista, esito di una lite con i fiorentini, forse per il gruppo della Predica sopra la Porta Nord del Battistero, che fu realizzato solo mezzo secolo dopo da Giovanfrancesco Rustici. Quando Donatello, deluso da Siena, se ne tornò a Firenze nel 1461, la statua rimase ai senesi come pegno di quattro anni vani. Quel soggiorno fu, tuttavia, fruttuosissimo per gli artisti locali, tra cui il maturo Vecchietta, stimolato da Donatello a una seconda giovinezza nella scultura di ogni materia, e il più giovane Francesco di Giorgio, capace di comprendere come nessun altro le virtù e la modernità della metallurgia non tutta rinettata di Donatello. Fu un bronzista non donatelliano, il ferrarese Jacopo di Feltrino, a ripulire nel 1465 il braccio destro del Battista, approntato nel frattempo forse da Vecchietta. Ferrara era divenuta intanto un avamposto della cultura donatelliana, dai bronzi di Baroncelli fino alla nuova pittura di artisti come Ercole de’ Roberti.
Sezione 11 - Sala 8 La Vecchiaia e i Grandi Bronzi
Gli ultimi cinque anni di vita di Donatello (1461-1466) furono interamente dedicati ai Medici e ai loro due grandi cantieri del palazzo in Via Larga e della basilica parrocchiale di San Lorenzo. Nel primo, mentre Donatello doveva trovarsi a Siena, i proprietari avevano trasferito dalla loro vicina “Casa Vecchia” il David in bronzo (oggi al Bargello) e la sua colonna di sostegno, ponendoli al centro del cortile, sopra quattro arpie accovacciate scolpite da Desiderio da Settignano. A trionfare nel giardino retrostante Donatello innalzò nel 1464 la Giuditta (oggi a Palazzo Vecchio), primo e forse ultimo monumento isolato dell’eroina biblica, alter ego femminile di David anche come esempio di virtù civica. Intorno ai due simboli di famiglia, la regia del maestro dispiegò un molteplice e sfarzoso apparato di sculture antiche e moderne in marmo, bronzo, granito, altre pietre e stucchi colorati: modello estetico e culturale di arredo palatino all’aperto per molti secoli. Lo affidò non solo ai suoi “creati” Bertoldo e Bellano, ma anche a giovani più talentuosi formatisi con altri colleghi mentre lui era a Padova, e tuttavia pronti ora a seguire le sue direttive: Desiderio da Settignano, Mino da Fiesole, Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano e Verrocchio, quest’ultimo erede del suo lascito artistico e del suo ruolo in casa Medici. Tra i cimeli antichi spiccava la testa equina, cui Donatello aveva guardato fin dal 1456, per nulla intimidito dal confronto con questo prototipo millenario, nel preparare il cavallo colossale di re Alfonso destinato a Napoli. In San Lorenzo il giro degli aiuti donatelliani, quasi tutti concentrati sui metalli, fu più ristretto. Bertoldo e Bellano assistettero amorevolmente il maestro nel suo azzardo più visionario, i due pergami del Vangelo e dell’Epistola che, ai fianchi dell’altar maggiore, avrebbero dovuto vegliare sul riposo eterno di Cosimo il Vecchio, al centro della crociera, trasformando l’intera basilica nel mausoleo del committente. Ma la morte di Donatello interruppe bruscamente il cantiere a pochi passi dalla fine: e i pergami furono messi in opera solo mezzo secolo dopo come cantorie, all’inizio della navata. Un’impresa così complessa non poteva essere gestita da Bertoldo, discepolo quasi fanatico di Donatello per un altro quarto di secolo, ma capace solo di sviluppare una lettura lirica e nostalgica dell’antico. E l’abilissimo Verrocchio, che completò la tomba terragna di Cosimo, fu messo subito dai Medici su altri progetti
Museo del Bargello
Sezione 12 – Salone di Donatello al Bargello, Intorno al San Giorgio, al Marzocco e al David
Da quando vi fu celebrato il quinto centenario della nascita di Donatello (1887), questo salone, l’ambiente più rappresentativo dell’antico Palazzo del Podestà e poi del Bargello, ha finito per essere intitolato all’artista, accogliendo non solo alcuni dei suoi capolavori più amati, ma anche tutte le opere del Quattro e del Cinquecento variamente legate nei secoli al suo nome: la maggior parte dalle raccolte granducali dei Medici e dei Lorena, le altre arrivate per scampare al degrado atmosferico (il San Giorgio) o per acquisti statali. In funzione della mostra, il percorso si concentra qui sulle opere identitarie del nesso Donatello/Bargello: il San Giorgio, il Marzocco, il David in bronzo. Per l’occasione, il San Giorgio e il David sono accompagnati da altre sculture, da dipinti e da disegni che alludono alla loro grande fortuna, lungo una cronologia che dagli allievi e discepoli di Donatello (Bellano, Verrocchio) si estende agli altri seguaci del Quattrocento (Andrea del Castagno, Antonio del Pollaiolo) e conduce infine a quelli del Cinquecento (Raffaello, Pontormo, Francesco da Sangallo). Fin dalle origini il David in bronzo è stato una figura particolarmente difficile, anche da imitare, a causa della sua posizione in cima a una colonna, che ne sollecitava e insieme giustificava la nudità, come se fosse un idolo antico finalmente redento perché incarnato non più da un dio pagano, ma dall’eroe biblico, progenitore di Cristo e simbolo della Repubblica fiorentina. La perdita della colonna, avvenuta nel tardo Cinquecento, pone tuttora una sfida ai conservatori di museo: qui si tenta per la prima volta un’esposizione soprelevata del bronzo, senza tuttavia poter raggiungere la quota originaria, ben oltre i due metri. Sintomaticamente, gli imitatori antichi di Donatello ebbero più facilità a ispirarsi a un terzo David del maestro, quello senile di cui rimane traccia in un bronzetto a Berlino e soprattutto nel David Martelli, una statua marmorea di Desiderio da Settignano, incompiuta alla sua morte prematura (1464), e scempiata poco dopo da un continuatore.
Sezione 13 – Sala Espositiva 1
Donatello allo Specchio della Maniera Moderna
In almeno due momenti delle Vite, Giorgio Vasari si chiede, con un artificio retorico efficace e ancora attuale, se convenisse collocare Donatello – secondo la cronologia – nel racconto storico del Quattrocento, o piuttosto insieme a Michelangelo e agli altri grandi del Cinquecento. Quasi tutti i maestri della Maniera Moderna e del cosiddetto Manierismo, toscani di nascita o di adozione, ma anche di passaggio come alcuni spagnoli, furono in effetti studiosi appassionati e profondi di Donatello. E ne compresero l’uso avventuroso della prospettiva, le strategie narrative spiazzanti, le eccezioni alla tradizione iconografica sacra, il coinvolgimento intenso dello spettatore, assai più di quanto non avessero saputo fare gli imitatori delle prime generazioni (escluso il sagacissimo Mantegna). D’altronde, tra la fortuna quattrocentesca di Donatello e quella cinquecentesca non vi fu battuta d’arresto, sebbene si parli talvolta di una “rinascita” donatelliana nel secolo nuovo: artisti come Perugino o Leonardo sono la prova diretta della continuità. Rappresentare l’approccio più maturo e consapevole del Cinquecento a Donatello è cosa troppo difficile in una mostra, perché imporrebbe di scomodare opere anche di grandi dimensioni, e che svelerebbero i loro rapporti solo grazie a confronti plurimi e incrociati. In questa sala vengono invece selezionati alcuni casi di derivazioni dirette e scoperte, da parte di artisti intenti a indagare gli originali attraverso l’esercizio del disegno (Berruguete, Francesco da Sangallo) o attraverso la reinvenzione di lavori nuovi, preparati da un assiduo tirocinio di cui si sono perse le testimonianze grafiche (Rustici, Jacopo Sansovino).
Lo studio che Francesco da Sangallo trasse da alcuni Apostoli delle ante bronzee di San Lorenzo (in mostra a Strozzi) è accostato alla sua statua del Battista per far vedere come lo scavo cognitivo compiuto per mezzo della copia generi uno stile del tutto nuovo e personale. Ciò non ha impedito che per almeno due secoli, tra il primo Settecento e il primo Novecento, il Battista venisse frainteso da ognuno come un capolavoro di Donatello medesimo.
Sezione 14 – Sala Espositiva 2 I Secoli Della Madonna Dudley
La Madonna Dudley è l’opera che consente di tracciare meglio, all’interno di una mostra, la fitta e ininterrotta fortuna di Donatello per almeno due secoli. La sua vicenda è stata così variegata che le si potrebbe anzi dedicare un’intera esposizione monografica, assai più ampia di un’unica sala. Se il formato maneggevole di un quadretto così straordinario, e dei disegni, dipinti e altri rilievi che ne sono discesi, aiuta a raccontare questo fenomeno attraverso il confronto diretto tra tanti esemplari, il successo travolgente del modello donatelliano si deve a ben altro. Nessuno, prima di Donatello, aveva isolato la Madonna a figura intera, in un marmo per la devozione privata, presentandola di profilo, ignara dello spettatore, e tutta concentrata nella sollecitudine preveggente e dolorosa verso il Bambino. Traendo spunto dalla madre di qualche stele funeraria antica, e accomodandola con una semplicità impareggiabile sopra un nudo dado rimediato quasi a caso, lo scultore volle esaltare i prodigi del proprio “stiacciato” contro un fondo neutro e scorniciato. Mezzo secolo dopo la sua realizzazione, tale scelta minimale suggerì a Piero del Pugliese, primo proprietario a noi noto del marmo, l’idea di farlo racchiudere entro un tabernacolo dipinto da Fra Bartolomeo non ancora domenicano. Ben prima di allora, e per molto tempo dopo, e poi quando il duca Cosimo I de’ Medici accolse il tabernacolo tra i suoi oggetti più cari a Palazzo Vecchio, intere generazioni di artisti, da Desiderio da Settignano a Leonardo, da Luca Signorelli a Bronzino, si esercitarono a mano libera sull’invenzione donatelliana (nell’originale o nelle copie), ingrandendone il formato, riducendone il taglio, isolandone dei dettagli, riambientandoli all’interno di composizioni più ricche. A differenza di tante altre Madonne scolpite e più volte replicate del Quattrocento fiorentino, non si trattò, quindi, di una diffusione seriale per via di calchi, o connessa a una forma particolare di culto mariano, ma di un interesse tutto interno al mondo degli artisti, sollecitati dalle potenzialità inesauribili del concetto donatelliano. Grazie a Michelangelo, invaghito del prototipo fin da quando, a quindici anni, esemplò su di esso la Madonna della scala, la Dudley ascese fino alle vette della Cappella Sistina, dove ispirò i lunettoni dei Progenitori di Cristo, seduti di profilo su solidi essenziali. Tra gli ultimi che guardarono proficuamente alla Dudley furono i Gentileschi padre e figlia: e se alcune Madonne di Artemisia nascondono bene questa loro ascendenza, in altre del padre Orazio, qualche anno prima, la derivazione si rivela candidamente. Donatello Il Rinascimento a cura di Francesco Caglioti con Laura Cavazzini, Aldo Galli, Neville Rowley il volume e l’omonima mostra ricostruiscono il percorso di Donatello, mirando ad allargare la riflessione nel tempo e nello spazio, nei materiali, nelle tecniche e nei generi, e a ricostruire lo straordinario percorso di uno dei maestri più importanti e influenti dell’arte italiana di tutti i tempi, a confronto con capolavori di artisti come Brunelleschi, Masaccio, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Raffaello e Michelangelo edito da Marsilio arte.
Palazzo Strozzi e il Museo Nazionale del Bargello
Donatello, il Rinascimento
dal 19 Marzo 2022 al 31 Luglio 2022
Palazzo Strozzi
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 23.00
Museo Nazionale del Bargello
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 8.45 alle ore 19.00
Martedì dalle ore 10.00 alle ore 18.00