Franco Purini (1941) è uno dei più autorevoli architetti italiani.

E' stato Professore Ordinario al Politecnico di Milano, e nelle Università di varie città italiane, tra cui Firenze, Venezia e Roma; è accademico di San Luca; è famoso, oltre che per i numerosi interventi di edilizia architettonica, per suoi studi di carattere progettuale; è noto a livello internazionale per gli interventi relativi proprio al rapporto tra architettura e paesaggio. Ha avuto numerosi premi riconoscimenti, da ultimo quello della Triennale di Milano (dicembre 2015).

 
Con questo contributo -che segue un articolo di Vittorio Sgarbi- News-Art intende aprire il confronto tra esperti sul tema della ricostruzione post sisma.
 

TRE PRINCIPI

di Franco PURINI

L’Italia è un paese notoriamente soggetto a continui eventi sismici. Tanto per non andare oltre gli ultimi cinquant’anni i terremoti del Belice, del Friuli, dell’Irpinia, di Napoli e della Basilicata, dell’Umbria, dell’Aquila, dell’Emilia e l’attuale sisma che ha coinvolto parte del Lazio, del Molise e dell’Abruzzo hanno causato non solo molte vittime ma anche notevoli distruzioni del patrimonio edilizio, comprese alcune importanti testimonianze storiche.
Alla sismicità di gran parte della penisola si somma una condizione geologica instabile e una carente manutenzione del territorio a causa delle quali si succedono ogni anno frane, inondazioni, incendi. Aggravato anche da una edificazione non solo sempre più estesa ma anche, in molti casi, impropria, questo quadro mette in evidenza una situazione critica che negli ultimi anni è notevolmente peggiorata. Chi scrive ha più volte affermato che la ricostruzione del suolo italiano è un impegno che il paese dovrebbe assumersi per qualche decennio al fine di assicurare alle prossime generazioni un abitare sicuro, armonizzato con la scena ambientale, quantitativamente equilibrato. Un abitare che non abbia bisogno di molte nuove costruzioni ma di un recupero del costruito esistente reso capace, tramite opportuni interventi, di affrontare eventuali nuovi episodi sismici o altre calamità. In sintesi la ricostruzione dopo un terremoto come quello ancora in corso attorno ad Amatrice con scosse quotidiane che producono preoccupazioni e disagi crescenti nella popolazione, aumentando il suo disagio, dovrebbe essere effettuata secondo alcuni principi che saranno esposti rapidamente nelle righe seguenti.

Il primo principio è quello della partecipazione. Nessuna decisione, a qualunque livello, dovrebbe essere presa al di fuori di un lavoro comune svolto dalle popolazioni interessate, dai loro rappresentanti, dalle autorità statali e dai tecnici. Solo una pratica partecipativa può infatti impedire che le scelte interrompano consuetudini insediative consolidate creando non solo disorientamento e disordine, ma rompendo soprattutto quel vincolo fisico e ideale delle popolazioni con il loro territorio, la loro città e la loro comunità.

Il secondo principio è quello di ricostruire dov’era e, se possibile, com’era. Ciò significa che l’impianto urbano dei centri distrutti o danneggiati dovrebbe essere confermato, anche modificando la legislazione esistente, per restituire alle comunità colpite dal sisma il tracciato delle loro città, un disegno radicato nella coscienza degli abitanti che è la più evidente e vivente testimonianza fisica della storia che gli insediamenti hanno vissuto. Gli edifici che potranno essere recuperati dovrebbero essere restaurati secondo il loro codice genetico, vale a dire senza inserire in essi elementi incongrui, come tetti in cemento armato o cordoli che sono molto spesso la causa, per il loro stesso peso, di crolli e di distruzioni. Risarcendo i muri con malte in grado di connettere pietre o mattoni, legandole correttamente agli angoli, facendo sì che i solai in legno e le coperture siano ancorate anche esse alle pareti sarà possibile mettere in condizione gli edifici di resistere alle scosse sismiche che potranno verificarsi in futuro. Per le costruzioni in cemento armato si tratterà di verificare lo stato delle armature e dell’impasto cementizio, eventualmente procedendo a opere di consolidamento.

Il terzo principio è quello di realizzare all’interno di un sistema a rete, che colleghi una congrua serie di centri, alcuni presidi attrezzati con strumenti e risorse per fronteggiare localmente le crisi derivate da improvvisi fenomeni naturali o da qualsiasi altro avvenimento catastrofico. Per questo la Protezione Civile dovrebbe essere intesa come una presenza più diffusa sul territorio. Ciò anche perché la prevenzione dovrebbe riguardare tutti gli aspetti dell’abitare, e non solo quelli legati alla situazione dei manufatti e delle infrastrutture.

Prima di concludere va fatta un’ultima considerazione. Un terremoto non distrugge solo le cose fisiche, le persone, le case, i mobili, gli abiti, le fotografie, i luoghi di lavoro, i mezzi di trasporto e qualsiasi altro manufatto utile alla vita, ma anche la memoria delle comunità colpite. Fino a quando un centro urbano è integro la memoria non esiste solo nella mente dei suoi abitanti, ma è incorporata nell’ambiente in cui essi sono vissuti e per cui sono ciò che sono, vale a dire negli oggetti d’uso, nei ricordi rappresentati nelle lettere, nei ritratti, nei quadri appesi alle pareti, in breve nell’universo delle tracce materiali dell’esistenza. Quando quest’universo scompare, in tutto o in parte, le memorie personali e quelle collettive rischiano di scomparire definitivamente. Da qui il problema di ricostruire, assieme ai centri colpiti, il senso di un’identità comune, il valore singolare e irripetibile di ciascuna vita, il disegno superiore di una comunità che, generazione dopo generazione, viene inciso nel mondo fisico e in quello ideale.
Dopo un evento sismico questi piani di significato vanno restituiti anche essi assieme all’abitare. Occorre quindi far rivivere il passato e riattivare i progetti per il futuro superando la discontinuità causata dal terremoto per poter ricostruire una continuità virtuale. Questa operazione consiste nel ricreare la memoria che sarà, e non è un paradosso, una memoria nuova, una narrazione diversa di ciò che è stato e della speranza nutrite su quello che sarebbe successo nel futuro. Perché questo processo di rifondazione della comunità attraverso una continuità con la storia si possa compiere occorre credere che la ricostruzione darà vita a un abitare migliore di quello che è stato distrutto o compromesso.
Questo è un sogno ma anche un obbiettivo che potrà realizzarsi solo rispondendo all’emergenza non in termini esclusivamente tecnici ma in prima istanza sociali, culturali, emotivi.  
Franco PURINI    (Roma, 7 / 9 / 2016)