ebraicita_al_femminile_LocandinaStorie di vita bellissime e feroci si incontrano tra le sale del Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova, dove il 30 agosto si inaugura Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento, una mostra curata da Marina Bakos con la collaborazione di Virginia Baradel. L'iniziativa, promossa dal Comune di Padova, Assessorato alla Cultura – Settore Attività Culturali, e sostenuta dalla Comunità Ebraica di Padova, getta per la prima volta uno sguardo collettivo sulle vicende artistiche di otto interpreti di cultura ebraica, attive in Italia nel Novecento.


L’obiettivo è duplice. Partendo da un’analisi critica del loro linguaggio artistico, la mostra, scalata attraverso una densa selezione di quadri, sculture e disegni, affronta il tema di grande attualità dell’identità di genere e quindi del ruolo della donna nell’arte, contestualizzandolo propriamente nell’ambito della tradizione ebraica, che a Padova è stata ed è ancora radicata e presente nel tessuto socio-culturale cittadino. Anche la scelta del titolo non appare incidentale, perché sottolinea sin da subito che è l’ebraicità di queste artiste e ciò che questo ha comportato anche nella loro vita il filtro e la prospettiva da cui si vogliono osservare le loro biografie artistiche. Nate tra la fine dell’Otto e i primi anni Venti del Novecento, tutte hanno dovuto confrontarsi con l'esperienza di Hitler e delle leggi razziali e con il segno profondo che quella esperienza ha lasciato nel popolo ebraico. 

Raphaël_Antonietta_Io e i miei fantasmi_1961_courtesy ufficio stampa della mostra(fig.1)(1)Il percorso espositivo ruota intorno alla personalità del gruppo che maggiormente ha trovato spazi di affermazione pubblica e attenzione da parte degli studi, la pittrice e scultrice lituana Antonietta Raphaël Mafai, di cui è esposta una ventina di lavori, per poi delineare come satelliti le figure di Eva Fischer, Alis Levi, Adriana Pincherle, Gabriella Oreffice, Lotte Frumi, Paola Consolo e Silvana Weiller. 
Dopo una formazione divisa tra Londra – dove studiò violino e scultura sotto il magistero di Jacob Epstein – e Parigi, Antonietta Raphaël (1895 c. – 1975) arrivò a Roma nel 1924, dando avvio insieme a Scipione e Mario Mafai, con cui condividerà la vita privata e l’impegno artistico, al cosiddetto sodalizio di “Via Cavour”. Nel 1930, data d’inizio di un ulteriore soggiorno parigino durato quattro anni, durante i quali avverranno incontri cruciali con Chagal, De Chirico e Savinio, la Raphaël scelse di avviarsi definitivamente sulla strada della scultura che da quel momento sarà il mezzo espressivo prediletto. Donna dalla personalità forte e vivacissima, «la Regina delle Baba-Yaga»: la regina delle streghe, come la definisce la figlia Giulia nel bellissimo libro La ragazza con il violino, la Raphaël dovrà attendere parecchio la data del suo riconoscimento artistico, che avverrà solo con la sua prima antologica alla Galleria Zodiaco di Roma e con l’VIII Quadriennale di Roma, dedicata alla Scuola Romana, tenutesi rispettivamente nel 1952 e nel 1959-1960.
La sua pittura indaga i legami misteriosi e inattesi che stringono gli oggetti e gli esseri umani al contesto in cui sono calati. Così avviene nella celebre
Natura morta con chitarra (1928), e nel quadro Io e i miei fantasmi (fig. 1), in cui una figura femminile nuda, che dà le spalle allo spettatore, è avvicinata da un’altra cinta da una veste azzurra; entrambe sono circondate da un bosco fitto e rigoglioso che sembra rifletterne i pensieri più nascosti. 

Fischer Eva_Meditate_che questo è stato_1997_courtesy ufficio stampa della mostra(fig.2)(1)Una sala è dedicata anche alla pittrice croata Eva Fischer (1920-), che subì pesantemente gli orrori della guerra. Costretta a fuggire da Belgrado, fu internata insieme alla famiglia nel campo di Vallegrande, nell’isola di Curzola. La guerra e le leggi antisemite le costarono la perdita di gran parte dei familiari, ma risparmiarono lei, che, approdata a Bologna sotto falso nome, reagì alla tragedia divenendo un’esponente attiva della lotta partigiana e una prolifica pittrice. Proprio l’esperienza della Shoah segna molta parte della sua produzione artistica, trasformandosi in una ricerca e in un bisogno di capire che accomuna molti dei più grandi pensatori ebrei del Novecento, come Primo Levi, Hannah Arendt e Nelly Sachs. Infatti, proprio il quadro del 1997,
Meditate che questo è stato (fig. 2), richiama il verso di una poesia di Primo Levi posta in exergon di Se questo è un uomo, intitolata Shema’. Un ammasso informe di corpi e di oggetti giace immobile e coloratissimo all’interno di un ambiente che potrebbe essere uno dei tanti di un campo di concentramento. 

Levi Alis_Ritratto di Maria_part_courtesy ufficio stampa della mostra(fig.3)(2)La mostra prosegue con Alis Levi (1884-1982), un’artista nata a Manchester ma di formazione francese. Arrivata a Parigi nel 1888, frequentò molto presto lo studio di Paul Helleu, ritrattista fra i più rinomati di Parigi, con cui si specializzò nell’uso della puntasecca, orientandosi verso il genere del ritratto sviluppato secondo forme del tutto personali. Emancipatasi dal nucleo familiare segnato dai contrasti con la madre, nel 1903 si trasferì in Italia, prima a Napoli e poi a La Spezia. 
L’anno successivo espose al Salon d’Automne e all’Exposition de Versailles e nel 1907 portò due sue puntesecche alla Biennale di Venezia. È il periodo dell’affermazione delle maggiori avanguardie e a Parigi, sempre al Salon d’Automne, espongono artisti come Camoin, Flandrin, Matisse, Marquet, Rouault, Derain, Van Dongen e Vlaminck. Di questo periodo la mostra padovana presenta i disegni di formazione e le prime prove a pastello nate sulla scia dei maestri francesi, come ad esempio il delicato e intimo Ritratto di Maria (fig. 3). Legatasi poi al pianista Giorgio Levi, con cui nacque una relazione anche artistica, Alis fece della sua casa a Cortina un cenacolo frequentato da alcuni dei maggiori intellettuali del Novecento italiano come Saba, Gadda e Buzzati, e pittori come De Pisis, Sironi e Santomaso. 

Pincherle Adriana_Gatto e pappagalli_1984_courtesy ufficio stampa della mostra(fig_4)Il percorso continua con la pittrice romana Adriana Pincherle (1909 - 1996), sorella maggiore di Alberto Moravia, e con la pittrice padovana Gabriella Oreffice (1893 – 1984). La prima, avviata alla pittura dal padre Carlo, acquarellista attento ai valori cromatici sulla scia di Monet, fu interessata a lungo alle sperimentazioni coloristiche dell’avanguardia francese dei Fauves, come esprime ancora chiaramente in un quadro del 1984
Gatto e pappagalli (fig. 4). Sposata con Onofrio Martinelli, pittore e letterato, nel 1941 si stabilì a Firenze, entrando in contatto con letterati quali Landolfi, Pannunzio, Flaiano, Morante, Montale e storici dell’arte come Bernard Berenson. La Oreffice, invece, che dal 1902 si trasferì a Venezia, si accostò alle ricerche cromatiche del Postimpressionismo, affermandosi come una delle maggiori interpreti della scena artistica lagunare tra le due guerre. Rifugiatasi a Firenze durante il periodo bellico, frequentò lo studio di Galileo Chini. Dopo il rientro a Venezia, nel 1919, partecipò a varie edizioni della Biennale, alla Mostra degli artisti dissidenti di Ca’ Pesaro e fu attiva nel “Gruppo indipendente veneziano”. Espose anche alla Biennale di Roma. Suoi i paesaggi pervasi da una luminosità intensa e serena come La spiaggia del Lido (1923). 

Consolo Paola_Autoritratto_1932_courtesy ufficio stampa della mostra(fig_5)Diversa la vicenda biografica della pittrice veneziana Paola Consolo (1908 – 1933), morta di parto a soli ventiquattro anni. Era figlia della poetessa e scrittrice di teatro Eugenia Consolo e nipote della critica d’arte Margherita Sarfatti, sotto la cui egida si costituì a Milano nel 1922 il gruppo del Novecento, di cui fecero parte artisti quali Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Mario Sironi e Medardo Rosso. Proprio nella vicinanza a questi artisti si avviò la carriera della Consolo, presente nella Prima mostra del Novecento tenutasi nel 1926 nel Palazzo della Permanente di Milano. In linea con le ricerche del gruppo le sue opere si concentrano sullo studio della figura umana, della natura morta e del paesaggio, con uno sguardo che rimanda anche ai grandi modelli del passato rinascimentale, assecondando un recupero da cui non sono estranei altri esponenti del sodalizio, quale ad esempio lo stesso Funi. Le figure della Consolo sono solide e compatte, come si osserva nella
Canzone (1929), e segnate da un colore che tende quasi al monocromo, come nell’Autoritratto (fig. 5), in cui la ricerca è giocata tutta sugli effetti della luce e delle ombre che segnano sottilmente i diversi piani dello spazio. 

Frumi Lotte_Ritratto del musicista Ernesto Rubin de Cervin_courtesy ufficio stampa della mostra(fig_6)La mostra termina con le esperienze pittoriche della praghese Charlotte Radnitz, conosciuta come Lotte Frumi (1899 – 1986), e di Silvana Weiller (1922-). Formatasi a Praga in un contesto fortemente mitteleuropeo in contatto con pittori quali Schiele e Kokoschka, di cui fu amica, Lotte Frumi ebbe un’importante esperienza a Parigi, dove frequentò Utrillo e Soutine e i pittori scapigliati di Montparnasse. Dopo il matrimonio con Guido Ehrenfreund-Frumi nel 1929, si trasferì definitivamente a Venezia, avviando la carriera di pittrice di ritratti e di paesaggi segnati profondamente dal contatto con l’arte di Kokoschka. I ritratti raffinati e immersi in una luce sorda e tagliente, rievocano una Venezia scomparsa e in buona parte rimpianta. Una Venezia, in cui i Frumi erano in contatto con intellettuali cosmopoliti come il musicista Ernesto Rubin de Cervin (fig. 6), cui Lotte fece un intenso ritratto caratterizzato da una luce azzurrata. 

Chiudono la mostra nell’ultima sala le opere di Silvana Weiller, che non è stata solo pittrice ma anche poetessa, scrittrice, critico d’arte e letterario. Veneziana di nascita ma vissuta a Milano fino al 1943, dopo l’esperienza dei campi di raccolta e della fuga dalle persecuzioni naziste, nel 1945 approdò a Padova diventando una delle protagoniste dell’intellettualità patavina tra gli anni Cinquanta e Sessanta. La sua pittura negli anni del dopoguerra è ancora centrata sui temi figurativi, in particolare del paesaggio, che analizza attraverso un filtro onirico accentuato dall’uso di colori accesi, dati a grandi macchie. A partire dalla metà degli anni Sessanta il desiderio di una maggiore libertà formale portò la Weiller a volersi confrontare con l’arte astratta, sollecitata dalle ricerche di Balla, di Marc o dai lavori di Robert e Sonia Delaunay. È in questa fase che nascono composizioni come
Alberi di luce (fig. 7), in cui la forma si frantuma in un impasto di colori densi e materici. 

Weiller Silvana_Alberi di luce_1977-1978_courtesy ufficio stampa della mostra(fig.7)(1)L’allestimento è arricchito da un video d’apertura in cui la curatrice illustra il significato e il carattere della mostra e due videointerviste: una a Eva Fisher, artista ancora attiva, e l’altra alla nipote di Adriana Pincherle, Gianna Cimino.
Giulia Bonardi, 30/8/2013

 

Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento
31 agosto - 13 ottobre 2013

Padova, Centro Culturale Altinate San Gaetano
via Altinate, 71 – Padova
Ingresso libero
Orario: 10-13 / 15-19. Chiuso il lunedì
Info: 049 8204715, da lunedì a venerdì dalle 9:00 alle 12:00
centroculturalealtinate@comune.padova.it

Comune di Padova – Settore Attività Culturali
Tel. 049 8204529 – donolatol@comune.padova.it
http://padovacultura.padovanet.it

Comunità Ebraica di Padova
Tel. 049 8751106 - cebra.pd@tin.it

Didascalie immagini:
1. Antonietta Raphaël, Io e i miei fantasmi, 1961.
2. Eva Fischer, Meditate che questo è stato, 1997.
3. Alis Levi, Ritratto di Maria.
4. Adriana Pincherle, Gatto e pappagalli, 1984.
5. Paola Consolo, Autoritratto, 1932.
6. Lotte Frumi, Ritratto del musicista Ernesto Rubin de Cervin.
7. Silvana Weiller, Alberi di luce, 1977-1978.