Molto amato da
Stendhal, detestato da
Baudelaire,
Emile-Jean Horace Vernet (Parigi 1789-1863) è il terzo di una celebre famiglia di pittori francesi:
Claude Joseph Vernet (1714-1789), suo nonno, fu noto per le sue vedute di porti francesi e paesaggi nei loro aspetti luministici e atmosferici derivati dallo studio di fenomeni naturali, e continuatore della tradizione del
Lorenese;
Antoine Charles Vernet, detto
Carle (1758-1836), suo padre, si distinse come pittore di temi storici e cronache di vita borghese (passeggiate, corse di cani e cavalli).
1 Comune ai tre Vernet è stato
il viaggio in Italia e
il soggiorno a Roma, fonte di studio e ispirazione per importanti dipinti (v. per es.:
Joseph Vernet, Castel Sant’Angelo, Parigi,
Louvre; Carle Vernet, Cavalli imbizzarriti sul Corso a Roma, Avignone,
Museo Calvet).
Horace compie il primo viaggio a Roma nel 1820 con il padre
Carle, avendo al suo attivo dipinti di storia e di battaglie dell’epopea napoleonica. Come
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ritrattista, già nel 1812, aveva dipinto una realistica “
Testa” di
Napoleone e nel 1814 eseguì due splendidi
ritratti dei coniugi Le Noir, ripresi nel paesaggio (oggi conservati al Louvre):
Philippe Le Noir, nella divisa della
Guardia Nazionale (anche
Vernet aveva fatto parte di questo corpo militare), sullo sfondo urbano di Parigi dal
giardino delle Tuileries con il cielo burrascoso;
Madame Philippe Le Noir, invece, è ripresa in un angolo boschivo, meditabonda nell’abito soffice e leggero secondo lo stile romantico del
Ritratto di Christine Boyer, 1800, Parigi,
Louvre, di
Antoine Gros (1771-1835). Altro intenso ritratto è quello di
Luigi Filippo, Duca d’Orleans, in un paesaggio svizzero, 1818, Parigi, coll. priv., all’epoca del suo esilio dal 1793 al 1795.
Luigi Filippo sarà il principale
committente di Horace e lo dichiarerà pittore ufficiale all’indomani della monarchia di luglio (1830), quando l’artista era a Roma in qualità di direttore dell’
Accademia di Francia dal 1829. Per il nuovo re assunse nello stesso tempo anche un ruolo diplomatico, dopo la caduta di
Carlo X, per l’abbandono della sede romana da parte della rappresentanza del deposto sovrano.
Vernet stette ufficialmente a Roma sino al 1834 ed ebbe come successore
Ingres. Durante il quinquennio della sua direzione, l’
Accademia di
Francia ebbe un rinnovato splendore, come è stato ricordato nell’esposizione a lui dedicata nel 1980

in questa bella e prestigiosa sede romana: “
Une raison supplémentaire d’évoquer Horace Vernet à Villa Medici […]un des plus brillantes directeurs – ha scritto Jean Leymarie
– il en était a ses débuts quand Chateaubriand, venu faire élire au Conclave le pape dont lui même a peint le portrait cérémoniel à Saint-Pierre, donna dans les jardins la fête fameuse en l’honneur de la grande duchesse de Russie”
2
In quel torno di tempo, negli incontri settimanali, culturali e mondani, all’
Accademia, ospiti dei
Vernet si incontravano i maggiori esponenti della società romana e cosmopolita, da
Thorvaldsen a
Stendhal, da
Mendelssohn alla celebre
soprano spagnola Maria-Felicia Malibran (1808-1836). Del clima festoso di quei ricevimenti si legge in un articolo apparso su “Omnibus” del 1937 a proposito del soggiorno della
Malibran a Roma nel 1832: “
La sua vera casa è villa Medici, dove il pittore Vernet dirige l’Accademia di Francia ed offre piccole serate artistiche. Mentre Maria canta, Beriot3 suona, Vernet fa il ritratto dei suoi ospiti, la figlia di Vernet balla la tarantella, e Enrico Beyle, che si fa chiamare Stendhal, parla di musica, pittura, danza e di molte altre cose.”
4
E
Stendhal, all’epoca console francese a Civitavecchia, aveva, come abbiamo detto in principio, una profonda ammirazione per
Horace Vernet, scrivendo sin dal 1824, in occasione dell’esposizione al
Salon di quell’anno, che l’artista era un genio, che la sua era una
ribellione romantica al


freddo
neo-classicismo di
David, e le sue battaglie erano realistiche e piene di dramma.
5 Tuttavia
Vernet non si esalta, è dotato di un grande equilibrio, e proprio a Roma confessa in una lettera ad un suo amico, il
generale Atthalin, di avvertire i propri limiti:
“
L’habitude de vivre au milieu des chefs-d’œuvre […] tout en vous montrant à quel degré d’élévation peut aller l’imagination humaine lois de vous engager à les imiter …”
6
Nonostante tale dichiarazione di modestia,
Vernet non è esente da
influenza raffaellesca, come si vede ad esempio nel dipinto
Le Pape Pie VIII porté dans la basilique Saint-Pierre,
Museo di Versailles; d’altra parte è amico dal 1820 di
Filippo Agricola (1795-1857), il più classicheggiante e raffaellesco dei pittori italiani dell’Ottocento
7 di cui
Horace dipinge un forte e sensuale ritratto, oggi conservato a Roma nella
Galleria Nazionale d'Arte Antica. Entrambi gli artisti si ritrovano nella romana
Accademia di San Luca, dove
Vernet era stato ammesso sin dal suo arrivo a Roma, come si legge in una lettera del luglio del 1829 al Presidente:“…
quanto mi trovo onorato di essere stato chiamato a far parte di un corpo di tanti sommi uomini composto.”
8

L’interesse per
Raffaello ebbe poi il suo acme nel 1833, quando vi fu
il ritrovamento delle spoglie dell’Urbinate al Pantheon. Dell’evento fu testimone ufficiale il
Thorvaldsen per la
Commissione papale di Belle arti e il
Cardinal Zurla in rappresentanza del Papa; vi assistettero anche il
Camuccini e
Vernet. Entrambi trassero un’incisione dello storico avvenimento, ma
Camuccini si risentì perché ne rivendicava l’esclusiva e ne nacque una storica
querelle, narrata dal
Falconieri.
9
Vernet lascerà poi Roma nel 1835 per assumere l’incarico di professore alla
Ecole des Beaux Arts che manterrà per tutta la vita. Nel 1863, quando scomparve, all’
Accademia di San Luca se ne ricordò la figura e l’opera negli atti ufficiali della prestigiosa istituzione romana.
10
Romanticismo e Storia
Secondo
Robert Rosenblum, l’opera di
Horace Vernet tra il 1814 e il 1830 si iscrive nella linea della pittura romantica che tocca il suo apogeo nei
Salons degli anni Venti. Difatti
Vernet racconta, analogamente a quanto avevano già fatto
Antoine Gros e altri pittori di battaglie napoleoniche, e con la stessa passione, la storia militare che ha reso grande la Francia del suo tempo. Folgorante esempio è
La bataille de Jemappes (6 novembre 1792), 1821, Londra
National Gallery, che celebra l’importante vittoria dell’armata francese contro gli austriaci, dove si distinse il
Duca d’Orleans. Nella grande tela che mostra l’occupazione delle Fiandre,
Horace descrive ogni minimo dettaglio, dalle uniformi militari, alla polvere che si solleva alta, ai cavalli, alla popolazione civile, ai carri, agli incendi; un grande affresco, una “presa diretta” sull’evento militare che forma la scena rappresentata in un’ampia vallata sotto un cielo nebuloso e ventoso. Un vero e proprio
reportage anche delle condizioni atmosferiche. Da una parte, dunque, l’analitica descrizione del fatto storico, dall’altra un’attenzione alle condizioni della natura come spettacolo del fatto stesso, aureolato appunto dalla connotazione romantica del paesaggio burrascoso, in sintonia con le simili opere di
Géricault e
Delacroix.

Sempre
Rosenblum afferma: “
Vernet assemble animaux, paysages et personnages avec une énergie baroque et exubérante qui donne l’impression de voir ressusciter les traditions rubéniennes pleines de vigueur à des fins romantiques”
11
Ma il romanticismo di
Vernet non si è solo manifestato nella pittura di soggetto militare, la sua immaginazione si nutre anche di temi letterari, come si vede in due suoi importanti dipinti degli anni Venti ispirati da noti soggetti byroniani:
Le Corsaire, 1824,
Wallace Collection , tratto appunto dal poema
The Corsair di
Byron, edito nel 1814; il personaggio,
il pirata-eroe Conrad, è rappresentato da
Vernet seduto sulle rocce di una grotta, mentre arriva un messaggero a portargli importanti notizie (canto I, verso 6).
12 Altro noto dipinto, ispirato dall’opera del poeta inglese, è
Mazeppa et les loups, 1826, Avignone,
Museo Calvet, che raffigura il supplizio dell’eroe tragico (
il paggio Mazeppa, opera del 1818 del
Byron), legato con la schiena sulla groppa di un cavallo lanciato di corsa nel bosco e inseguito dai lupi.
Ma, dopo il 1830,
Vernet comincia ad abbandonare lo stile romantico (nella tradizione neo-barocca degli anni Venti) per una descrizione quasi etnografica dei luoghi soggetti dei suoi dipinti di ambientazione orientale (a seguito dei viaggi in Algeria, in Egitto e in Palestina), dividendo il suo lavoro fra immaginazione biblica e battaglie francesi per la conquista di territori coloniali (v. la
Prise de la Smalah d’Abd-el-Kader 16 mai 1843,
Museo di Versailles) dove
Vernet diventa una sorta di regista di scene grandiose di un evento memorabile. Qui, a differenza di
Delacroix e di
Decamps, che evidenziano maggiormente l’ “atmosfera” dei luoghi, l’artista tende ad esprimere un più freddo realismo, quasi fotografico, qualcosa di simile, appunto, al moderno “
reportage”, come detto più sopra. Ha affermato, al riguardo,
Léon Rosenthal nel
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suo
Du Romantisme au Réalisme, che nell’opera di
Horace Vernet vi sono analogie con la letteratura stendhaliana: “
Cependant Stendhal analysait avec une perspicacité implacable le ressorts intimes de l’âme humaine et portait la même exactitude pénétrante à la description des milieux et des circonstances”;
13
e il critico si riferiva in particolare allo
Stendhal del
Rouge et Noir, edito nel 1831 e alla
Chartreuse de Parme, edito nel 1839, lo stesso anno che compare in calce alla firma di
Vernet, che appare sul bel
Ritratto del Principe Alexandr Barjatinsky, nelle collezioni della
Galleria Nazionale d'Arte Moderna dal 1960, sebbene talune ipotesi lo datano al 1837 per l’incertezza della lettura della data. E lo stesso
Rosenthal ammette anche, nello studio sopra citato, che “
Le portrait fut un excellant école de réalisme.”
14
Eppure proprio negli anni a seguire il 1830,
Horace Vernet fu molto osteggiato dalla critica, e da diversi influenti scrittori francesi, da
Prosper Merimée: “
Il y a beaucoup de mouvement, mais assez peu de verité…” (1839), a
Théophile Gautier che, a proposito di
Smalah dice: “
L’aspect general du tableau est d’une localité dure, etc…” (1846), sino al più sprezzante dei giudizi espressi da
Charles Baudelaire, con l’articolo
Du Chic, Du Pontif, et De M. Horace Vernet (1846), ovvero del superficiale elegante e del comune nell’opera di
Vernet, quando afferma: ”
Pour définir M. Horace Vernet d’une manière claire, il est l’antithèse absolue de l’artiste, il sobstitue le chic
au dessin, le charivari à la couleur et les épisodes à l’unité;…”
15
Oggi, questi impietosi giudizi appaiono invece come una mancanza di comprensione di fronte alla modernità di un artista che, avendo molto viaggiato, sentiva l’obbligo di documentare la sua esperienza di osservatore e testimone di fatti e luoghi che solo allora iniziavano pionieristicamente ad essere illustrati anche dalla fotografia, come lo stesso
Vernet sperimenterà durante un viaggio in Egitto: “
Il celebre ottico Lerebours aveva iniziato i due pittori
[Vernet e Frédérich Goupil-Fesquet, n.d.a.]
all’arte dagherriana e aveva affidato loro la cura di riportare delle prove da lontani paesi. Essi lasciarono Marsiglia il 21 ottobre 1839….”
16 L’ispirazione, difatti, doveva nutrirsi sempre di esperienze compiute sul campo, e lo testimonia una delle sue lettere inviate nel corso del suo primo viaggio in Russia nel 1836: “
Dès mon arrivée ici (à Saint-Petérsbourg), Montferrand est venu me proposer l’exécution des peintures de l’église d’Isaac, chose que je devais refuser. Mes pieds ne sont faits pour le pavé qui parcourent les diex. Je marche avec les soldats sur les bas côtés ; je m’en trouve bien”. 17 E in queste parole possiamo intravedere la modernità di tale dichiarazione poetica, poiché i dipinti di battaglie e questi “panorami” di eventi storici diverranno un “genere “ negli anni successivi, anche nella pittura italiana, fino ai nostri
Fattori e
Cammarano.
Particolarmente singolare è poi
il confronto tra un suo dipinto tratto dall’immagine istantanea di uno zuavo colpito durante la
guerra di Crimea nel 1859, con il famoso scatto fotografico di
Robert Capa del miliziano colpito durante la
guerra civile di Spagna nel 1936.
Il ritratto nel paesaggio
Ma, se le attente capacità di illustratore di fatti storici, battaglie, paesi orientali, dei loro abitanti e dei loro costumi sono prevalenti nelle sue composizioni, e gradualmente vanno perdendo, come abbiamo visto, l’accento romantico, nel ritratto invece
Horace Vernet mantiene costante tale caratteristica, e stabilisce quasi sempre una relazione stretta tra effigiato e fondo naturale. Difatti, quando dipinge nei suoi anni romani il superbo
Autoritratto nel suo studio, 1832, conservato nel
Cleveland Museum (U.S.A.), la luce, che investe la sua figura in piedi e rivolta di tre quarti verso l’osservatore, proviene dall’ampio squarcio della finestra dove è
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chiaramente visibile il
parco con Villa Medici che appare nella sua armoniosa architettura. Scrive in proposito
Williams Talbot, uno dei curatori del
Cleveland Museum: ”
He represents himself convincingly as the inspired intense, forceful artist, confident of an established position including the direction of the institution visible through the open window.”
18 Come pure nel bellissimo
Ritratto di Louise Vernet, 1829 c., Parigi, coll. priv.; la figlia quindicenne dell’artista è immersa nel parco e nella luce dorata che si riflette sui profili architettonici della
Villa Medici. Soffuso di
ingresme, il ritratto è stato paragonato a quello di
Mademoiselle Rivière, 1805, Parigi,
Louvre, appunto di Ingres. Tale fu il successo di questa opera che ne scrive anche il
Falconieri nella sua
Vita di Vincenzo Camuccini (1875):
“
Ci rammentiamo che proprio nel 1833, alla pubblica mostra dei quadri al Campidoglio si correva entusiasti a vedere il ritratto della figlia di Orazio Vernet dipinto con assai leggiadria…”
19
Vernet amava fare ritratti anche durante le serate in cui riceveva a
Villa Medici, come ricorda il musicista
Mendelssohn:
“…
il voulait faire mon portrait.«Je garderai cela, ajouta-t-il, comme souvenir de cette soirée» […]; il celebre compositore prosegue più avanti: “…
au milieu des massifs du jardin Médicis, il y a une petite maison […] c’è là qu’est l’atelier. […]
des portraits commencés de Thorvaldsen, Eynard, Latour-Maubourg, quelques chevaux, l’esquisse et les études de la Judith
, le portrait du Pape, des têtes de Mores, des pifferari, des soldats pontificaux, votre humble serviteur, Caïn et Abel,
enfin l’atelier lui-me [ovvero l’
Autoritratto di Vernet
n.d.a.],
tout cela est appendu dans l’atelier.?
20
La prevalenza, dunque, dei ritratti, rispetto agli altri soggetti conservati nel suo studio (sia a Roma che a Parigi) mette in rilievo l’altro aspetto di un pittore di storia che mostra sensibile qualità umana nel cogliere l’intensità dello sguardo (…”
mais capable aussi de saisir l’expression moderne du regard…” Leymarie, 1980) dei suoi modelli e li caratterizza ponendoli in armonia con il tono del paesaggio: così era stato per il noto
Ritratto del Duca
d’Orleans del 1818 e per il byroniano
Le Corsaire del 1824 (più sopra citati), ancora in pieno clima romantico, quando dipinge il
Principe Alexandr Ivanovi? Barjatinsky, sebbene lo stile romantico sia tramontato a favore del realismo. Ma per
Vernet questo rapporto natura-personaggio è essenziale, particolarmente quando si trova dinanzi a un personaggio storico, come ha scritto Rosenblum: “
Cette maniere di saisir les personnages seuls au milieu de la pleine nature est ancore plus surprenante lorsqu’il s’agit du portrait d’un homme politique…”
21
Il giovane principe russo
Alexandr Barjatinsky (1814-1879)
22, che si era già distinto brillantemente nel Caucaso nel 1835-1836, è ripreso quindi all’età di venticinque anni, in divisa militare con l’ampio mantello dal collo di pelliccia, lo sguardo assorto e malinconico, seduto su delle rocce (analogamente al byroniano
Le Corsaire del 1824) nel paesaggio scuro, nuvoloso, a tratti corrusco, con bagliori rossastri sull’orizzonte. Un’iconografia, quindi, ancora pienamente romantica che si collega idealmente a prestigiosi modelli neoclassici-romantici della ritrattistica sullo sfondo della natura: si vedano di
J.L. David (1748-1825),
Ritratto di Sériziat, 1795, Parigi,
Louvre, e di
Pierre-Paul Proud’hon (1758-1823),
Ritratto di Charles-Luis Cadet, 1791, Paris, Musée Jaquemart-André, entrambi effigiati sullo sfondo naturalistico e seduti su delle rocce.
Un pittore completo, dunque, è stato
Horace Vernet che ha potuto insegnare qualcosa anche ad un grande come
Delacroix, il quale nel suo
Diario (19 agosto 1824)23 ha affermato:
“
Oggi fatto colazione con Vernet e con Scheffer. Imparato una grande massima di Orazio Vernet: «finire una cosa quando se ne è padroni ». Un modo per far molto.”
di
Mario URSINO Roma 4 / 3 / 2107
Note: