di Giovanni Cardone 
 
In questa mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Federico Fusj apro il mio Saggio dicendo: È unanimemente riconosciuto dalla critica che le scintille del rinnovamento in chiave moderna della scultura del Novecento italiano vadano rintracciate nella produzione plastica di alcuni scultori già attivi nell’ultimo quarto del XIX secolo. Le novità apportate in questo campo da Medardo Rosso e da Leonardo Bistolfi furono fonte di ispirazione per più generazioni di scultori attivi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento . Sia Rosso che Bistolfi, infatti, sebbene con risultati diversi, indirizzarono la propria ricerca verso una nuova concezione dello spazio della scultura, dove la figura non fosse più concepita isolata dall’ambiente circostante ma ‘immersa’ in esso e in stretto dialogo con il fruitore. Il primo giunse a questi risultati attraverso un modellato scabro, sensibile agli effetti luministici, in cui la materia, preferibilmente cera o argilla, veniva lavorata con le mani e lasciata allo stato di abbozzo. Il secondo invece puntò a una accentuazione della linea curva di ascendenza liberty, per modellare figure che si inserivano nello spazio attraverso un movimento sinuoso e grande naturalezza. Entrambi gli artisti si mossero sull’onda dell’idea di rinnovamento che caratterizzò le arti europee di fine Ottocento, in aperta polemica con gli stilemi accademici. In questo contesto la scultura trovò, rispetto alla pittura, più difficoltà nell’attuare questo processo di trasformazione essendo legata, per sua natura, a una materia dura e pesante come il marmo e il bronzo. Per tali motivi Medardo Rosso preferì modellare le sue opere con l’argilla e soprattutto con la cera, materia, quest’ultima, tenera e traslucida, particolarmente adatta a fermare quell’impressione momentanea e fuggevole, tipica della sua produzione artistica, come si nota nell’opera La portinaia . Nelle opere di Rosso il riferimento al dato concreto e la ricerca di realismo si espletano nella fusione della figura con l’atmosfera, attraverso una sorta di abolizione dei contorni. L’autore stesso affermava che: “Nulla è materiale nello spazio.  La luce è essenza stessa della nostra esistenza. Noi non siamo che scherzi di luce.  La materia non esiste” , per questo motivo le immagini ci appaiono come improvvise e fuggevoli apparizioni ottenute da un modellato sensibile agli effetti luministici. Fu sempre Rosso ad affermare: “quello che importa in arte è far dimenticare la materia ”. La portata innovatrice della plastica rossiana non passò inosservata neanche ad Umberto Boccioni, il più radicale promotore del processo di rinnovamento della scultura italiana di inizio Novecento. Egli, infatti, nel Manifesto tecnico della scultura futurista, pubblicato a Milano l’11 aprile 1912, lodò l’attività dello scultore torinese: “Poiché nell’opera di rinnovamento non basta credere con fervore, ma occorre propugnare e determinare qualche norma che segni una strada. Alludo al genio di Medardo Rosso, a un italiano, al solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze d’un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto ”. Boccioni, però, per quanto vedesse in Rosso un innovatore ne riconosceva anche i limiti: “Purtroppo le necessità impressionistiche del tentativo hanno limitato le ricerche di Rosso ad una specie di alto o bassorilievo, la qual cosa dimostra che la figura è ancora concepita come mondo a sé, con base tradizionale e scopi episodici. La rivoluzione di Medardo Rosso, per quanto importantissima, parte da un concetto esteriormente pittorico, trascura il problema d’una nuova costruzione dei piani e il tocco sensuale del pollice che imita la leggerezza della pennellata impressionista, dà un senso di vivace immediatezza, ma obbliga all’esecuzione rapida del vero e toglie all’opera d’arte il suo carattere di creazione universale. Ha quindi gli stessi pregi e difetti dell’impressionismo pittorico, dalle cui ricerche parte la nostra rivoluzione estetica la quale, continuandone, se ne allontana fino all’estremo opposto”.
Da queste premesse partirà la ricerca plastica di Boccioni che giungerà in breve tempo a risultati straordinari. Partendo dall’assioma di Rosso che: “La natura non ha limiti” e “L’opera d’arte deve far dimenticare la materia, perciò è impossibile racchiudere una scultura entro linee”, Boccioni affermò nel suo Manifesto: “proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente”. È in quest’ambito di ricerca che nascono le sue prime opere plastiche come Testa + casa + luce  del 1912, Sviluppo di una bottiglia nello spazio , dove l’autore mette in pratica la sua idea di compenetrazione dei piani già sperimentata in pittura. Egli inoltre spinse le sue ricerche anche nell’utilizzo di materiali nuovi e insoliti nel campo della scultura come in Fusione di una testa con una finestra  del 1913, dove il mezzo busto femminile, realizzato in gesso, è caratterizzato nel viso da un occhio di vetro e da veri capelli e presenta al centro della testa una putrella di finestra, in consonanza a quella sua idea di compenetrazione degli spazi. La scultura realizzata attraverso l’assemblaggio di materiali non convenzionali si caratterizza per una rottura radicale della concezione classica e trova i suoi precedenti nei collage polimaterici di Picasso realizzati a partire dal 1912 e in generale nell’ambito delle sperimentazioni tridimensionali cubiste. Prima ancora di Boccioni è Picasso a mettere in discussione il procedimento tradizionale di realizzazione di una scultura che concepì, in primo luogo, dall’annullamento dell’idea di opera come modellazione di un solido corpo plastico pieno, e, in secondo luogo, attraverso l’utilizzo di materiali estranei alla statuaria, come la carta, il cartone, la stoffa e la plastica. Con Forme uniche nella continuità dello spazio  Boccioni realizzò una delle sculture più famose del Novecento e sicuramente la più dirompente dell’inizio di quel secolo. Lo scopo dell’autore fu quello di rendere in scultura la deformazione di un corpo umano in movimento attraverso una forma stilizzata al limite della riconoscibilità, capace di trasmettere una grande sensazione di forza e di potenza. La statua divenne il simbolo stesso dell’uomo futuro, così come lo avevano immaginato i futuristi. Sia Forme uniche nella continuità dello spazio che Sviluppo di una bottiglia nello spazio si caratterizzano da linee-forza che, sebbene di vaga ascendenza liberty, si dipartono nette e scandite dal nucleo centrale dell’immagine prolungandone l’energia nello spazio circostante fino a coinvolgerlo per poi ritornare al nucleo generante, in un continuo moto centrifugo e centripeto. Il 1912 segna non solo l’anno della pubblicazione del Manifesto tecnico della scultura futurista e della realizzazione da parte di Boccioni delle sue prime sculture rivoluzionarie ma è anche l’anno del rientro in Italia, dopo un lungo periodo di soggiorno in Germania, dello scultore Adolfo Wildt. Gli anni che egli visse nella grande villa di Doehhlau di proprietà di Franz Rose, suo mecenate, dal 1894 al 1912, furono fondamentali per la sua formazione. In quell’ambito culturale, infatti Wildt arricchì la propria visione artistica, di base fortemente classica, con nuove e stimolanti influenze di stampo liberty mitteleuropeo, secessioniste, simboliste ed espressioniste che lo condussero all’elaborazione di uno linguaggio figurativo unico e inconfondibile, al di fuori di ogni etichetta o di collocazione di corrente. Senza alcun dubbio Wildt rappresentò in Italia, negli stessi anni, un polo di ricerca plastica alternativo rispetto a quello capeggiato da Boccioni. I due artisti elaborarono due concezioni della scultura assolutamente divergenti. Si trovarono accomunati solo su due punti rappresentati dalla violenta negazione della scultura di matrice accademica e dal rigetto della produzione tardo-romantica, anche nelle declinazioni postscapigliate e realiste. Il rifiuto, inoltre, da parte di Wildt delle tendenze impressioniste in scultura implicava anche quello della produzione di Medardo Rosso di cui Boccioni, invece, si era fortemente nutrito. Per Wildt la scultura doveva essere orientata verso una “ricostruzione” che restituisse all’opera una sacralità e un’eloquenza nuove, contrariamente a Boccioni per cui la scultura doveva tendere verso una “distruzione” della forma quale principio di un nuovo dinamismo plastico. Se con Boccioni la scultura giunse a una sintesi dell’immagine ottenuta dalla compenetrazione della figura con lo spazio circostante, con Wildt la scultura giunse a risultati di grande raffinatezza ottenuti attraverso l’armonia delle forme e il perfetto equilibrio fra pieni e vuoti.
Egli fu, infatti, un grande esperto nella lavorazione del marmo, dal quale riusciva ad ottenere effetto di straordinaria e inconsueta leggerezza, rovesciando così la tradizionale idea di pesantezza della materia. Anche sull’idea di polimaterialismo i due scultori si trovarono su posizioni diverse. Per Boccioni la combinazione di diversi materiali, a volte insoliti come il cartone o del crine, rientrava nella sua idea di scultura moderna quale specchio di una cultura oramai slegata da quella antica, per Wildt, invece, l’inserimento di parti in bronzo su opere in marmo trovava i suoi precedenti nella statuaria rinascimentale, così come la doratura del marmo risaliva a Bernini e a quell’idea di mistificazione dei materiali praticata in età barocca. Da ciò risulta chiaro che se per il primo il passato storico andava superato, per il secondo diventava fonte di ispirazione e di rielaborazione. Sebbene la critica odierna riconosca l’alto valore artistico del lavoro di entrambi bisogna ricordare che essi operarono all’interno di un clima culturale ‘borghese’ fortemente legato ai canoni accademici o a quelle tendenze che stancamente ripetevano stilemi di gusto tardo-realista o di un moderato liberty. La maggior parte degli scultori attivi nella prima metà del XX secolo, infatti, perseguiva la strada di una figurazione realizzata attraverso tecniche e materiali tradizionali. Ripercorrendo gli scritti critici che accompagnarono le varie esposizioni sia locali che nazionali almeno fino agli Venti, si evince che l’orientamento della scultura oscillava dai rimandi tardo-impressionisti a quelli tardo-simbolisti e liberty con sporadiche aperture avanguardiste. La critica sottolineava la presenza di influenze rossiane e bistolfiane, il persistere, quindi, di un gusto ancora ottocentesco nella plastica dell’epoca. Il motivo di tale attaccamento alla tradizione scultorea può essere rintracciato in due aspetti: da una parte la metodologia per l’insegnamento della scultura, intesa come disciplina di studi all’interno delle Accademie di Belle Arti, improntata sull’analisi dei valori tradizionali; dall’altro il ruolo fondamentale del mercato, orientato verso la promozione di ritratti e di statuine da salotto di gusto bozzettistico o folkloristico che rispondeva alle esigenze di gusto della committenza, in larga parte, borghese. Oggi la critica riconosce a Boccioni e a Wildt una posizione assolutamente centrale nel processo di rinnovamento del linguaggio plastico in Italia di inizio Novecento. Riflessi delle teorie di Boccioni si possono rintracciare sia nella produzione scultorea che nei programmi di alcuni artisti, come Fortunato Depero ed Enrico Prampolini. Boccioni fu inoltre il precursore di una concezione ambientale della scultura e il primo teorizzatore di opere polimateriche e anche cinetiche, due aspetti questi che furono molto indagati da Depero, come egli stesso affermò nel testo programmatico Ricostruzione futurista dell’universo, che con Balla firmò l’11 marzo 1915: “Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare complessi plastici che metteremo in moto”. Così come la ricerca del movimento in scultura fu anni dopo oggetto di riflessione e attuazione da parte dei gruppi ottico-cinetici. Con Boccioni sicuramente si dà avvio in Italia alla nascita di un linguaggio plastico moderno, inteso come totale distacco dai canoni accademici della statuaria e della ritrattistica. Boccioni per primo innescò il meccanismo del cambiamento che condusse sulla via della sperimentazione di nuovi materiali e di un rinnovato rapporto tra forma e spazio, che avrà larga eco su molte generazioni di artisti italiani. Riflessi, invece, delle teorie di Wildt si possono rintracciare in due suoi illustri allievi: Fausto Melotti e Lucio Fontana. Si è visto come il rapporto fra pieni e vuoti nella plastica wildtiana giunga a capovolgersi. Il vuoto in alcune sue opere sembra prendere il sopravvento sul pieno, facendo in questo modo apparire la figura come leggera. In alcuni lavori di Wildt gli occhi appaiono cavi mostrandoci in questo modo lo spazio interno dell’opera. Tutto ciò riporta alla mente la leggerezza della scultura astratta di Fontana sino all’operazione dei buchi e dei tagli, ma anche ai gessi sospesi, alle bande o ai riccioli di Melotti. Con lo slogan “La guerra unica igiene del Mondo” i Futuristi si schierarono dalla parte degli interventisti alla prima guerra mondiale, arruolandosi volontariamente per sentirsi artefici del cambiamento politico-sociale-culturale del Paese.
Ma la guerra rivelò ben presto la sua natura distruttiva e il suo volto di morte. Nel 1916 morì in guerra l’architetto Antonio Sant’Elia e nell’agosto dello stesso anno a Chievo scompare Boccioni, per una caduta da cavallo durante un’esercitazione militare. La guerra però non arrestò la creatività di alcuni artisti che proprio in quegli anni continuarono la propria attività, e fra questi ricordiamo Giacomo Balla e Fortunato Depero che sull’onda del Manifesto da loro lanciato, crearono opere molto interessanti. Negli anni della guerra Balla sviluppò il suo interesse per la scultura di cui una prima prova fu Complesso plastico colorato di frastuono+velocità  del 1913 , a cui seguirono Complesso Plastico Colorato di Frastuono+Danza+Allegria del 1915  solo per citarne alcune. Le prime due opere citate, trovano affinità con la scultura di Depero, anch’essa ottenuta dall’assemblaggio di cartone colorato, carta e fili metallici e attestano, in generale, come i due artisti fossero giunti prima di Boccioni, cioè prima della scultura Dinamismo di un cavallo in corsa+case  del 1915, a concepire una scultura dalle forme astratte e dal polimaterismo delle materie. Nell’omaggio a Boccioni, intitolato Linee-forza del pugno di Boccioni, Balla concentra tutta la sua attenzione nella realizzazione delle forze generate dal pugno che vengono espresse attraverso fasci di materia. In questo modo l’autore elimina il nucleo generatore di energie permettendo alle linee-forza di articolarsi liberamente nello spazio. Su una simile posizione si inserisce la produzione plastica di Depero caratterizzata da ampio uso di vari materiali, spesso inconsueti, sia per le opere astratte che per quelle vagamente figurative, che concepì in chiave ludica. Tali opere influenzarono la produzione di Gerardo Dottori verso la fine degli anni Venti, ricordiamo che l’esperienza futurista persisterà fino alla prima metà degli anni Quaranta. Sebbene l’Italia dopo la “marcia su Roma” del 1922 e la proclamazione della dittatura da parte di Mussolini nel 1929, vivesse una nuova situazione politica, i futuristi, di seconda e di terza generazione, riuscirono a riscuotere interesse e consenso da parte del duce, come attesta del resto la commissione a Dottori per la decorazione dell’idroscalo di Ostia, nel 1926. Il ventennio fascista fu, in realtà, caratterizzato da un pluralismo di stili, frutto di una politica relativamente poco limitativa nel campo delle arti, e in generale dalla riluttanza di Mussolini a privilegiare in forma esclusiva uno stile o un gruppo, che potesse essere percepito come arte ufficiale di Stato. Il dibattito artistico italiano fu così lasciato libero di svilupparsi autonomamente, al contrario di quanto accadde nella Germani nazista. L’arte all’inizio degli anni Venti si muoveva su due diversi e divergenti versanti che conducevano da una parte verso le sperimentazioni d’avanguardia, all’insegna del secondo futurismo e dall’altra verso il recupero delle tecniche tradizionali dell’arte e il ritorno alla figurazione. Ad animare tale concezione dell’arte fu anche Margherita Salfatti, confidente e amante di Mussolini, che teorizzò il recupero della tradizione classica attraverso un rinnovato dialogo con l’arte antica, dialogo che si era in parte interrotto con le avanguardie. La posizione critica della Sarfatti si inseriva in un dibattito già acceso anni prima che vide protagonisti diversi artisti e intellettuali, impegnati attivamente a diffondere tali teorie attraverso ampie riflessioni e saggi critici pubblicati sulle riviste “Valori plastici” e “La ronda.” Valori plastici rivista diretta da Mario Broglio, fu la principale rivista di diffusione dell’arte nell’Italia postbellica. Fra i suoi collaboratori ricordiamo Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Carlo Carrà e lo scultore Arturo Martini che dichiararono la propria aperta opposizione alle ricerche futuriste in direzione di un recupero della tradizione italiana e di un rinnovato classicismo. Un recupero della tradizione che attraverso le parole del pittore Cipriano Efisio Oppo comprendiamo in tutta la sua pienezza: “Tradizione italiana secondo noi vuol dire: chiarezza di racconto; signorilità; sana sensualità; idea di Bellezza rapportata ai suggerimenti della Natura, ossia scelta ed esaltazione degli elementi naturali; gentilezza e forza insieme; gioiosità ma non frivolezza; metodo ma non pedanteria: mai copia fredda, analitica della Natura. Ma anche: mai snaturamento simbolistico, pessimismo, incorporeo; mai gusto dell’orrido, del deforme, del mostruoso, dello strano, dell’astruso”.
Sebbene Giacomo Manzù abbia sempre rivendicato la volontà di non appartenere a nessun raggruppamento nel 1939 si avvicinò a “Corrente”, condividendone gli ideali. Il dissenso al regime fu espresso nei bassorilievi in bronzo Deposizione  e Crocifissione  del 1942, caratterizzati da un lirismo espressionista, dove la rappresentazione della disumanità della morte di Cristo diviene simbolo della brutalità del fascismo. Le opere esposte quell’anno a Milano furono oggetto di severe critiche da parte delle autorità politiche ed ecclesiastiche. In questo discorso è anche interessante sottolineare l’importanza del ruolo svolto dalle gallerie private, intorno agli anni Trenta, quale luogo di aggiornamento dell’arte contemporanea nazionale e internazione e di diffusione delle idee attraverso la pubblicazione di bollettini e di riviste d’arte. La diffusione delle novità artistiche avvenne, quindi, attraverso due diversi e paralleli canali che vedono da una parte le gallerie private e dall’altra gli organi di Stato, dove in quest’ultimo però non si registrarono risultati di rilievo. Ho conosciuto Federico Fusj grazie a Radioarte e nel contempo sono rimasto incantato della sua scultura, ci sono forti richiami che vanno da Marino Marini ad Arturo Martini a Medardo Rosso . Posso dire che è fuor di dubbio opera d’autore, dato che questo termine, dal latino “Augesco” identifica chi, per autenticità creativa, accresce l’umana conoscenza. Nasce dalla ricerca, che è sempre sapere con sapore riconsacra al valore, alla sostanza d’umanità che, in special modo nel nostro tempo dell’incertezza, progetta per il tempo della continuità, confermando una costante evolutiva che si trasforma e innova vita e pensiero e trova puntuale riscontro, alla verifica, lungo l’asse deontologico dell’uomo in quanto tale. Federico Fusj indaga e ricerca, per far si che l’opera sia unica, anche l’ispirazione primordiale che inconsciamente l’artista pensa ma lo trasmette nel momento che partorisce l’opera come diceva il grande Michelangelo Buonarroti: “Se la scultura l’hai bene in mente essa è già li ad aspettarti dentro la massa. Resta a te liberarla dall’ingombrante inutile materia”. La pratica dell’arte ha oggi una particolare necessità nella società contemporanea poiché è proprio l’arte che riesce a rendere l’esistenza più ampia di quanto non appaia comunemente, rendendo percepibili occulte visioni. L’opera scultorea di Federico Fusj è una splendida testimonianza di come segrete visioni possano essere portate alla luce dalla prassi artistica: viene indebolita la visione esteriore dell’oggetto la sua manifestazione fenomenica operando una inedita sintesi fra percezione ottica e contemplazione interiore. Si originano opere parzialmente diverse dall’immagine visiva di un oggetto, ma che tuttavia non la contraddicono nella sua complessità. In altre parole l’artista amplia il retaggio dell’indagine ottica che viene comunque usata come punto di partenza per pervenire ad una nuova interpretazione dell’oggetto in cui l’oggetto viene a dilatarsi oltre al proprio apparire per assumere una dimensione nuova, trapassante ciò che l’occhio comune si limita a registrare: muovendo perciò dall’esteriorità ottica dell’oggetto lo scultore, per intuizione, trae conclusioni sull’interno dello stesso. L’impressione fenomenica sollecita l’io dell’artista a conclusioni intuitive che conducono ad una visione interiorizzata. In sostanza Federico Fusj esemplifica quel procedimento creativo magistralmente raccontato, da Paul Klee in cui il grande pittore sostiene che l’artista è al tempo stesso creatura terrestre e creatura nell’ambito del tutto.  L’occhio penetrante dell’artista è un mezzo conoscitivo che indaga attraverso diverse dimensioni  della sua arte poiché l’io dell’individuo partecipa o meglio cerca di concentrare l’opera ma contemporaneamente e forse intuitivamente consapevole di appartenere ad una sorta di comunanza cosmica che costituisce l’universo nella sua totalità. Le opere scolpite da Fusj riescono a spingersi nelle vicinanze di quel terreno segreto dove nasce e si alimenta ogni processo vivente. L’artista senese rivendica in queste opere un modo ancora più incisivo, ovvero la libertà dell’artista di essere mobile così come lo è la natura, ancora una volta la luce che in tutte le sculture di Fusj è al contempo metafisica e naturale è diventa faro che porta la mano dell’artista a trovare reconditi percorsi nella superficie del marmo che non è liscia, ma presenta delle linee le quali sembrano voler raccontare quella che è stata la vita del marmo stesso si potrebbero chiamare segni d’espressione e annunciare quella che sarà nel suo nuovo utilizzo.
Le ‘rughe’ del marmo svolgono un duplice ruolo, spaziale e temporale costituiscono quel sottile spazio che cattura la luce la quale viene parzialmente assorbita e parzialmente riflessa dalla struttura marmorea che per alcuni aspetti la rendono dinamica. Inoltre queste lievi ‘rughe’ parlano all’osservatore del tempo che inesorabilmente trascorre e scandisce la creazione che diventa genesi nel prolungare l’atto creativo originario dal passato al futuro, protendendosi verso quel divenire che è proprio dell’opera artistica che non vuole vedere esaurita la propria linfa vitale in un breve lasso di tempo, ma che invece mira a tramandare se stessa verso le prossime generazioni. In altri termini le opere di Federico Fusj realizzano un procedimento maieutico in cui viene esteriorizzata quella che si potrebbe chiamare la personalità, l’intima essenza dell’oggetto, diventando, come direbbe Graham Sutherland, delle metafore visive che vogliono rappresentare in modo nuovo la natura. In Fusj la metafora mette in rilievo una maniera originale di animare il processo creativo, creando quelle che Sutherland definisce come delle parafrasi emozionali della realtà. In questo processo  creativo l’artista non è, però, completamente libero poiché Fusj non giunge mai all’opera astratta, amando egli profondamente la forma naturale. Sembra quasi che in Fusj esista quella che Paul Nichols chiamava “predilezione formale innata”che condiziona la scelta delle immagini, una specie di determinismo interiore inconscio, pegno della libertà dell’artista. Sempre Sutherland, parlando dei suoi dipinti, li paragonava a degli aquiloni e ricordava che l’aquilone vola soltanto se è legato ad un filo. Se il filo è reciso l’aquilone o cade o si perde nel nulla. Ciò significa che la libertà dell’artista non deve essere assoluta, ma invece deve conoscere un limite nel legame con la natura, legame che può anche essere sottile, ma infrangibile affinché si trasmetta all’opera l’energia per innalzarsi e volare. Federico Fusj continua oggi a percorrere con leggerezza quel difficile sentiero che passa tra il richiamo della tradizione e l’urgenza della modernità, riuscendo così a creare delle immagini plastiche che riescono a sfiorare molte zone, molti recessi e desideri dello spirito umano. Fusj non può essere considerato né un artista naturalista, né un artista astratto, ma piuttosto un instancabile ricercatore di forme, un indagatore del rapporto uomo-natura mettendo in risalto, con la modernità della sua cultura e della sua personalità, elementi di linguaggi e di significati nuovi. Le sue opere sono quasi una sorta di diario dal quale emergono emozioni, memorie, studi e spunti per future imprese. Per dirla in altro modo, Fusj dimostra di essere comunque un mirabile artista visivo, poiché in ogni piega delle sue opere si manifesta il privilegio dell’occhio che scruta, analizza, osserva e diventa soglia per accedere ad emozioni più profonde, più intime e che aprono inusitate prospettive interiori provenienti direttamente dal palpitare del suo cuore: tutto s’incontra nell’occhio e tutto viene convertito in forma intesa come sintesi di visione esterna e contemplazione interiore. Le forme create da Federico Fusj si sviluppano attraverso l’intuizione e l’osservazione della natura oltrepassando così il voluto e lo schematico indicando una nuova naturalezza, quella dell’opera. Il dialogo con la natura si conferma essere una conditio sine qua non e si compie così quel processo creativo ancora una volta mirabilmente descritto da Paul Klee : “L’artista è uomo, egli stesso è natura, un frammento di natura nel dominio della natura… Egli crea allora un’opera oppure partecipa alla creazione di opere a immagine e somiglianza delle opere di Dio.”
MAGGIO 2022