Giovanni Cardone Maggio 2023
Fino al 2 Luglio si potrà ammirare presso Villa di Mamiano di Traversetolo Parma la mostra Fellini. Cinema è sogno nel trentennale della morte di Federico Fellini allestita dalla Fondazione Magnani – Rocca a cura di Mauro Carrera e Stefano Roffi. L’esposizione intende omaggiare il celeberrimo regista nella dimora che ebbe come ospite Nino Rota, autore delle più celebri colonne sonore dei suoi film, quali quelle per Giulietta degli spiritiSatyriconRoma, Amarcord, Il Casanova, si vuole ripercorre la carriera di uno dei più grandi registi della storia del cinema, ideatore di film di fama internazionale, narratore originalissimo dell'Italia del suo tempo. Scritto in collaborazione con Ennio Flaiano, lo Sceicco bianco inaugurò lo stile unico e personale di Fellini una sorta di fantarealismo che narrava sogni e conquiste dell'Italia passando per film come I vitelloni, pellicola dedicata all'Italia dell'industria, che consacra il regista italiano nell'olimpo del cinema mondiale, confermato poi con La strada, del 1954, lucido ritratto dell'Italia postbellica, e con Le notti di Cabiria del 1957; dal Paese sognante de La Dolce Vita (1960) all'Italia moderna, trionfante e vivace di 8 ½ (1963), da quella lisergica e sperimentale di Giulietta degli spiriti (1965) fino a quella decadente, violenta e fragile di Amarcord (1973) forse l’apogeo dell’autobiografismo felliniano, della sua memoria favolosa e rivelatrice. Con le opere successive (Il Casanova di Federico Fellini, 1976, Prova d’orchestra, 1979, La città delle donne, 1980, E la nave va, 1983, Ginger e Fred, 1986, Intervista, 1987) le allegorie del presente si fanno più angosciate e, in qualche modo, manierate, per poi chiudersi con La voce della Luna (1990), in cui Paolo Villaggio e Roberto Benigni si fanno portavoce di un messaggio di silenzio necessario per fronteggiare una contemporaneità sempre più arrogante, prologo della morte di Fellini.  In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Federico Fellini apro il mio saggio dicendo : Posso dire che il grande Federico Fellini è uno dei registi italiani più conosciuti a livello internazionale, con le sue pellicole ha portato il nome del cinema italiano in giro per il mondo. Ha iniziato come disegnatore, per poi divenire sceneggiatore e infine regista. Ha diretto, per trenta anni, più di venti film di grande successo. Nelle sue pellicole costruisce un ipertrofico parco delle meraviglie e la sua macchina da presa fa muovere i personaggi come nelle montagne russe, dando sensazioni di esaltazione e vuoto improvviso . Tra i film da lui diretti Luci del varietà, I vitelloni, La strada, La dolce vita, Otto e mezzo, Roma. Tutti lungometraggi che raccontano storie e posti vissuti dal regista. I suoi lavori vogliono far conoscere l’Italia e gli italiani. Una delle caratteristiche delle sue pellicole, è quella di forzare le immagini fotografiche nella direzione che porta dal caricaturale al visionario . Il lavoro di Fellini non era solo raccontare ciò che vedeva o lo circondava, ma andare oltre, scoprire il lato introspettivo della società di quel tempo. La svolta nel suo lavoro, e forse anche la consapevolezza di ciò che poteva fare nei suoi set, avviene con La dolce vita. Uno dei suoi film che ha vinto premi importanti, descrivendo gli ambienti caratteristici della bella vita romana. Qui, Fellini, parte dal boom economico mostrando un Paese pieno di speranze e di attese. Questa pellicola non rappresenta più, solo, la semplice evoluzione cinematografica del regista, ma è anche il sunto di un intero periodo della storia italiana del secondo dopoguerra. Il film è un ritratto agrodolce della società “in” di quel tempo. Il successo del La dolce vita e arrivato in maniera insolita. Infatti, la pellicola all’interno del nostro Paese ha fatto discutere tanto, dividendo il mondo della critica in due. Nonostante i pesanti giudizi, il film ha registrato grandi incassi. Molte le disapprovazioni che sono state rivolte al film, in particolare l’opinione pubblica si è mostrata molto contrariata per delle scene che andavano, a loro parere, contro il buon costume. Federico Fellini in questo lavoro va oltre il neorealismo che si era sviluppato solo qualche anno prima, con registi di grande fama come Luchino Visconti e Roberto Rossellini, raccontando di un paese che guarda avanti nonostante restava ancora ancorato al passato. Federico Fellini regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore italiano, nato a Rimini, fin da piccolo rimasto affascinato dal mondo del cinema. Per lui il cinema era l’evasione dalla vita di tutti i giorni, che da sempre l’ha accompagnato, anche se non lo frequentava spesso. In particolare, durante la sua adolescenza, il cinema, ha rappresentato un mondo diverso da quello che lo circondava. Il suo primo approccio, concreto, con la settima arte avviene alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Già da qualche anno trasferito nella capitale. Il suo approccio diretto con il cinema si può collegare al suo arrivo a Roma. Dopo una breve sosta a Firenze, Fellini si trasferì a Roma dove incominciò a lavorare come giornalista. Infatti uno dei suoi primi approcci con la settima arte, anche se non quello decisivo, fu l’incontro con Osvaldo Valenti lo stesso anno che si trasferì a Roma, subito dopo aver preso la maturità. Durante la sua attività giornalistica, il suo direttore responsabile gli affidò un intervista all’attore, era la prima volta che il futuro regista riminese entrava a Cinecittà. Si può affermare che la città eterna, difatti, fu per lui l’ambiente amico e migliore per la sua creatività umana e artistica . Senza dubbio il suo cinema fu invaso dalla situazione sociale che colpiva il nostro paese e in particolare il suo territorio. Non visse in prima persona l’ingresso al grande conflitto e tutta la durata della guerra nella sua terra d’origine, perché già residente a Roma, ma vide in seguito ciò che la guerra aveva causato. Dal 1940 al 1945 l’Italia è cambiata e anche chi la abitava, ed è proprio in quegli anni che Fellini si trasferisce da Rimini a Roma. L’ingresso in guerra ha segnato un’intera nazione preoccupata per la sua sorte. Ma L’Emilia Romagna ha vissuto in quel periodo un doppio conflitto. Proprio in quell’area si è andata sviluppando la linea gotica, che partiva da Massa Carrara e terminava a Rimini. In quei territori fu molto attiva la lotta dei partigiani e crebbe la resistenza italiana. Quando all’indomani del conflitto Fellini tornò nei suoi luoghi, vide i lati devastanti di una guerra che ha portato morte e devastazione con l’avanzata dei tedeschi in quei territori, che lo colpirono a tal punto da trarne spunto per alcuni suoi film. Questi sono gli anni bui, che hanno messo in ginocchio tutta l’Italia. Ma quello che colpì Fellini era l’operosità della gente, annidata nelle baracche di legno e che parlavano già di pensioni e alberghi da costruire, la voglia di tirar su delle case . La voglia di andare avanti di volgere lo sguardo al futuro. Il nostro dopoguerra fu segnato dal boom economico e dalla voglia di riaffermarsi in tutti campi e proprio negli anni in cui l’Italia si stava preparando al miracolo economico. Sconfitta si apprestava a uscire a testa alta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Quello che appare in questi anni è un Paese misterioso, difficile da capire non solo per chi lo vede da fuori, ma anche per chi lo vive. Un’espressione visiva, di quello che si trova la gente ad affrontare, è sicuramente il cinema. In questo momento così delicato il cinema italiano del dopoguerra ha cambiato il modo di vedere il mondo. Verità che a volte turba perché non tutti erano pronti a voler vedere nel grande schermo l’estrema povertà, i malesseri, le lotte sociali e i riferimenti alla criminalità. L’Italia si trova in un momento in cui voleva solo guardare avanti. Nei primi anni successivi al fine del grande conflitto mondiale, Fellini ritornò a Roma e dal mondo della carta scritta passò a quello del cinema, di cui fu subito affascinato. Fellini prima di diventare regista fu giornalista, fumettista e sceneggiatore. Il suo approccio con il grande schermo fu graduale e decisivo fu il suo incontro con Roberto Rossellini e il film Paisà. In tutta la sua carriera fece tesoro dell’esperienza lavorativa avuta con Roberto Rossellini. Con lui collaborò durante le riprese di Paisà, aiutò nella scenografia di I fioretti di San Francesco (Francesco, giullare di Dio), e in fine lo seguì in Europa 51. Qui il contributo di Fellini, insieme con Tullio Pinelli, fu molto importante in diversi passaggi, poiché la stesura della sceneggiatura fu eseguita da loro, anche se non fu riconosciuto in maniera ufficiale. Questi sono stati lavori che hanno formato il giovane Fellini. Le esperienze cinematografiche fatte con Rossellini avvennero in un contesto il più lontano possibile dall’idea che del produrre cinema si aveva all’interno del sistema di Hollywood; le sceneggiature erano scritte e poi riscritte la notte prima dell’inizio delle riprese . Fellini fece tesoro della collaborazione con Rossellini e, se ci fu, una costante nella carriera cinematografica del regista riminese, questa riguardava il tentativo di ricreare situazioni di riprese caotiche simili a quelle sperimentate durante quegli anni . Infatti, Fellini ritenne Rossellini il proprio insegnate e maestro, riconoscendo e mettendo in pratica la lezione appresa da lui. Ma non solo Rossellini, durante la a sua carriera considerò maestri e punti d’ispirazione per il lavoro svolto, anche, Vittorio De Sica e Luchino Visconti. Fellini nelle sue opere riuscì a miscelare il contesto neorealista e la favola pura, cultura autoctona e miti francese e americano . Egli capì che l’essenziale è l’invisibile, che sta dietro il visibile, assumendo caratteristiche inquietanti ed enigmatiche. La realtà nei suoi film si decompone e non offrendo più alcuna certezza. Già nelle sue prime pellicole attinse a un repertorio accumulato nella sua memoria, con immagini che fluttuavano tra sogno e realtà . Un ruolo da non assecondare, soprattutto nei suoi primi lavori è stato quello della musica, che indica la possibilità di un cambiamento e di un rinnovamento . Luci del varietà, il suo primo film girato a quattro mani con Alberto Lattuada. Un lavoro che subito ha sentito suo, che racconta di ricordi, a volte veri, altre inventati, di quando ha girato l’Italia con il suo maestro. Lattuada, il suo compagno di avventura in questo lavoro, con la sua capacità di decidere e la sua esperienza, era lui che effettivamente dirigeva il film. Mentre Fellini stava al suo fianco in una situazione abbastanza comoda . Un lavoro che tenne conto delle leggi del mercato, senza tralasciare la componente dello sguardo affamato d’immagini, che cerca di osservare ogni particolare con l’occhio d’amore di Lattuada, e di godere dei doni della giovinezza e bellezza che spesso sono sparsi con generosità dalla natura. Ben diverse le cose andarono, per quanto riguarda la realizzazione della pellicola Lo sceicco bianco, prodotto da Luigi Rovere. Rovere rimase colpito dal materiale girato da Fellini in Persiane chiuse, nei giorni in cui Gianni Puccini abbandonò il set e si attendeva l’inizio del lavoro di Comencini. E gli propose di dirigere da solo il film. Questo fu il suo primo film che diretto esclusivamente da lui. Negli anni successivi sono messi in scena I Vitelloni e La strada. Il suo intento era disertare il cinema “commerciale”, e promuoverne uno che fosse consapevole delle sue intenzioni documentarie, anche se era immancabile il fascino del cinema americano. Fellini con queste opere rischiò di cadere nell’oblio, nonostante gli era riconosciuto il successo internazionale. Anche in Italia venne di nuovo apprezzato con Il bidone, un film che a tratti appare grottesco, incentrato sui piccoli truffatori. Qui Fellini sperimenta un nuovo modo di fare cinema mescolando cinismo e religiosità, trovando la sua massima espressione ne La dolce vita. Con quest’opera il nome di Fellini diventò celebre in tutto il mondo. La dolce vita racconta i pensieri, i sentimenti, e quello che vede intorno il regista in quel periodo. La sua “poetica” in quaranta anni di esperienza si è evoluta, ma in tutti i suoi set si accostò sempre con la semplicità di autodidatta. Un elemento caratteristico e fondamentale nei film di Fellini, ma anche di altri registi di quel periodo è la riflessione sulla realtà sui comportamenti e sull’indole umana, affidata, con toni critici alle donne che sono le sole capaci di autentici sentimenti e vere passioni . Ed è proprio il personaggio femminile che acquista nelle opere di Fellini una peculiare importanza, senza tralasciare l’aspetto seducente . Federico Fellini capiva l’importanza di lavorare insieme con un produttore. Tra le case di produzione con cui lavorò, ci fu la Lux Film, destinata a giocare un ruolo di primo piano nell’industria cinematografica italiana. Questa gli permise di incontrare un gran numero di persone molto importanti, tra cui Dino De Laurentis, Carlo Ponti e Luigi Rovere che produssero diversi suoi film. Alla Lux fece una grande esperienza scrivendo diverse sceneggiature, confrontandosi con un sistema cinematografico più simile a quello americano. Inoltre, all’interno di questa grande casa produttrice, ebbe l’occasione di conoscere Alberto Sordi, al quale affidò parti importanti sia in Lo sceicco bianco che ne I vitelloni . Federico riuscì a raccontarsi e a far vedere la sua migliore espressione grazie al cinema, e allo stesso tempo riuscì a condurlo fuori dai retaggi del neorealismo e verso il cinema “moderno”, da studiare con l’apporto di nuovi metodi . La grande capacità di Fellini è stata quella di osservare le cose con un occhio interiore, che pesca le immagini nell’inconscio. Le sue immagini appaiono sospese tra realtà vissuta o realtà immaginaria e sognata. Il secondo conflitto mondiale ha lasciato il paese in uno stato di desolazione. All’indomani della Liberazione e per tutto il decennio degli anni ’50, tutto fu dibattuto, discusso e confrontato. L’Italia negli anni successivi a questo devastante conflitto cerca di riprendersi e trova, attraverso il grande schermo, il modo di farsi conoscere. Nonostante il cinema sia stato vittima di questo abbandono, come tutti gli altri campi trascurati, ha manifestato la volontà di rinascita. L’industria cinematografica si trovava in una situazione di collasso, e ha mostrato molti sintomi di ripresa. Lo spettacolo in genere, prende coscienza della propria identità e vara una serie di iniziative che mirano al consolidamento della produzione. Con diverse difficoltà il cinema italiano riesce a riprendere la propria produzione, e in questo clima diviene la carta diplomatica vincente di riabilitazione del nostro Paese, reinserendosi anche nel contesto internazionale. Divenendo agli occhi del mondo simbolo della volontà di riscatto d’un popolo sconosciuto e il modo diretto di familiarizzare con lui . I piccoli e grandi e film del dopoguerra aiutano e accompagnano a definire caratteristiche e definizioni della vita e della mentalità degli italiani, che passarono dalla ricostruzione, alla guerra fredda, al miracolo economico, agli anni di piombo. Le pellicole di questo periodo hanno il compito di far scoprire i mille volti di una nazione che sembra aver svanito il senso di identità . Sembra questo il miglior modo per andare alla scoperta di un’itera nazione. Gli autori, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, si affidarono al neorealismo non facendo distinzione tra pubblico e privato, evidenziando le loro varietà e poliedricità. Per tutti il decennio degli anni Cinquanta, il ruolo di crescita del cinema italiano, sia dal punto di vista produttivo che spettacolare, è fondamentale. Infatti, consentì di superare la crisi che avvolgeva il nostro paese, arrivando fino al decennio successivo, inteso come uno dei momenti più alti e maturi della storia della produzione italiana . Ma in un periodo di caos e voglia di riaffermarsi non mancarono di certo le discussioni riguardanti l’industria cinematografica. Concentrarono essenzialmente, i propri contrasti su tre punti, riguardanti una nuova «legge [economica] sul cinema» per consentire al meglio la sua rinascita, si vuole guardare avanti e capire come superare la tradizione censoria del fascismo, ponendo delle nuove norme sulla «censura amministrativa», ma un grande dibattito colpiva l’opinione pubblica quello sul neorealismo e su come creare un «nuovo cinema italiano». Propri in questi anni il cinema italiano guarda spesso verso la produzione americana. L’immagine dell’America che emerge dai film, seppure sostanzialmente comica, rappresenta l’ossessione che gli americani sembravano avere per il progresso, mettendo in questione l’idea che ad un miglioramento delle condizioni economiche debba derivare un aumento del grado di civilizzazione o della cultura . Ma i veri testimoni del cinema nostrano di questi decenni sono registi come Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni. Grazie a loro già dal 1945, comincia una produzione anno dopo anno sempre più assidua. Non è un caso che per molto tempo il neorealismo sarà il solo cinema a circolare, ma col tempo si affiancheranno altri generi più popolari. Con il neorealismo gli sceneggiatori attingono sempre di più alla realtà, ai fatti di cronaca, spingendo lo sguardo in direzioni di mondi e realtà finora mai considerate. In questo momento sceneggiatori e registi, sia pure per breve tempo, si sentono investiti dal ruolo d’interpreti della storia della società, ed hanno la missione di documentare la ricostruzione del paese . Il cinema appare come mezzo d’avanguardia del cambiamento. Ma se da un lato troviamo un cinema narrativo che attinge a nuovi temi, nuovi ambienti e figure dall’attualità, dall’altro si conserva, anche se con qualche modifica, la spinta neorealistica che perde le sue ricerche più avanzate, raggiungendo comunque diversi spettatori. Dopo il 1948 lo “sguardo neorealistico” era presente nell’immaginario comune del cinema italiano industriale, con diverse le tipologie di neorealismo. In quegli anni si susseguono avventure differenti, da quelle più ridenti che parlano di storie d’amore, a quelle più classiche trattate da grandi registi come Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Luchino Visconti. Il neorealismo non era altro che abbandonarsi alla realtà, puntando a un equilibrato studio tra il riconoscimento di verità senza tralasciare nulla. Il compito del regista neorealista era quello di situarsi in modo naturale in un punto impalpabile tra l’indifferenza e la goffaggine dell’adesione, così da catturare e guardare le cose dentro e fuori, per svelare ciò che di inafferrabile e di magico ha la vita . Non tutti però erano concordi con questo nuovo modo di fare cinema. Insomma questo dibattito sul cinema afferma la necessità di sottrarre il grande schermo a ogni estetica normativa e prescrittiva, mettendo in luce più gli aspetti morali, mentali e culturali, arrivando addirittura al superamento del neorealismo. Il superamento del neorealismo non avviene perché viene sconfitto, dai sui nemici socio-politici, o da quelli cinematografici, né tanto meno emarginato perché possiede armi etico-estetiche che andavano bene . I registi sentono il bisogno di andare oltre, tesaurizzando positivamente l’esperienza neorealistica per giungere a un’altra più avanzata, a una tappa estetica più matura. Si passa in questo modo dai film che raccontano la cronaca a quelli che parlano della storia, da quelli che descrivono a quelli che narrano, le pellicole sono più romanzi che documentari. È questo il momento in cui il cinema italiano passa dal neorealismo al realismo. Il grande schermo attraversava una fase di studio di metodi rinnovatori di espressione e di contenuti vivi . Il cinema nel nostro Paese compie una grande svolta oggettiva. In quel periodo il linguaggio critico concedeva l’appartenenza alla corrente realistica a molti film che mantenevano un legame con il mondo circostante, con l’aggiunta però di un aggettivo. Si parla così di realismo “borghese”, “storico” e “neorealismo rosa”. Il cinema italiano non era più in grado di mantenere il carattere unitario che era caratterizzante fino al 1948 . La dinamica neorealista, dal 1955 viene considerata sempre più conclusa, al punto di avviarne la storicizzazione. Tutti i film di questo periodo sono contrassegnati da un distacco in qualche caso radicale dal neorealismo. Il neorealismo aveva sviluppato una molteplicità di poetiche, che in un clima di fervore aveva dato avvio a una stagione d’oro per tutto il cinema. Queste pellicole hanno grandi contaminazioni di melodramma commedia comico, dove il realismo diventa fantastico e il fantastico diventa realistico. Il neorealismo si può considerare come un atteggiamento morale, mentale e culturale d’avanguardia. Ed è in questo scenario che viene sperimentato in maniera più incisiva l’incontro tra il cinema di genere e l’eredità neorealistica. Tra i registi, vi è la volontà di non nascondere nulla, di dare testimonianza di un paese povero, che fin troppo spesso era stato celato dal fascismo. Forse come non mai il cinema di quegli anni era il punto perfetto della fusione tra il mondo della finzione e quello della realtà. E fu proprio questo che spinse molti osservatori al superamento del neorealismo, per il semplice motivo che «l’esperienza del dolore» non risultava più funzionale. Andrè Bazin, in un articolo nella rivista Cinema Nuovo, affermò la necessità di riconoscere al di là dell’ideologia espressa, il giusto merito ai registi che realizzano dei film rigorosamente conformi al suo ideale . Si ha l’esigenza di andare oltre, in una tappa più avanzata, di estetica più matura. Un momento cruciale per la storia del cinema italiano si passa dal neorealismo al realismo. Per Bazin il neorealismo considera la realtà come un blocco, non certo incomprensibile ma indissociabile . Sicuramente il neorealismo, è stato un momento di forte propulsione artistica che, si è evoluto in realismo passando dalla cronaca alla storia. Questo ha consentito la nascita di un nuovo stile nel quale l’idea e la realtà si fondevano senza che lo spettatore avvertisse la sovrapposizione. Tra i registi non manca certo la volontà di conoscere e di far conoscere. Il cinema italiano trova i suoi cantori, e alcuni delle sue personalità più rappresentative della cultura italiana di tutto il secolo, nel momento in cui si cerca di annullare l’individualità autoritaria, o al massimo, di considerare il regista neorealista come una figura anonima che prende voce da una musa che lo ispira in questo caso la voce di un’intera collettività . Una collettività che nel giro di un decennio si evolve. E poco oltre la metà del 1950, il clima ideologico delle primissime stagioni postbelliche muta in maniera radicale. Il processo di ammodernamento rapido e profondo, polverizza alcuni fondamenti ideologici-politici, modificando l’assetto sociale del paese. In questo modo si sposta sempre di più l’orizzonte problematico del dopoguerra e si introducono nuove contraddizioni riguardante l’assetto politico del centro sinistra, la nuova cultura industriale, e gli schemi del cinema delle “nuove ondate” . Federico Fellini avverte questo profondo cambiamento della società e diviene portavoce di questa voglia di cambiare, nonostante le numerose contraddizioni che invadono la collettività. Il suo cinema insieme a quello del suo maestro Roberto Rossellini, si spinse verso la ricerca di una problematica esistenzial-spiritualistica, traendo ispirazione dalle scene di vita dell’immediato periodo postbellico con il “cinema della realtà”. Nonostante la sua formazione neorealista, il suo modo di fare cinema segna il cambiamento, la svolta nel mondo cinematografico. Lui passa dal neorealismo all’antirealismo. Lo sviluppo della sua carriera, gli ha permesso di ricevere diverse influenze dalla cultura popolare italiana e dal cinema, cambierà il corso della storia cinematografica italiana . Ed è proprio con La dolce vita che inaugura una nuova era. Un’opera considerata ponte perché chiude una fase del cinema italiano e ne apre un’altra percorrendo tensioni e spinte del cinema internazionale . Infatti, fino all’uscita de La dolce vita il neorealismo aveva avuto il merito di mettere grandi masse di pubblico in contatto con le miserie materiali di un’Italia appena uscita dalla guerra, ma non era mai successo che queste fossero l’oggetto di un film, mostrando sensazioni che non soddisfano e lasciano intatta l’impressione di inutilità e di vuoto . Nei suoi migliori film degli anni Cinquanta una delle tematiche dominanti è quel bisogno di una possibilità di redenzione in un mondo di decadenza. Fellini ha attraversato la storia del cinema con tratti di magistrale leggerezza; grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell’immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia essere condizionati da questa. Venne premiato con cinque premi Oscar: nel 1957 per La strada, nel 1958 per Le notti di Cabiria, nel 1964 per 8 1/2, nel 1976 per Amarcord e nel 1993 con un Oscar alla carriera dalle mani di Sophia Loren. Parlare di Fellini ci restituisce la memoria di un'Italia piena di ambizioni e aspirazioni che oggi sembra essersi persa. Ma è anche parlare di un certo senso della vita, un senso che questo grande artista aveva intuito, convincendosi che l'unico vero realista è il visionario. C’è una scena del film Il tassinaro, di un grande amico di Fellini, Alberto Sordi, in cui il protagonista, colto dall’euforia di ospitare sul suo 'Zara 87' il celebre regista, spiega bene la visione popolare di chi ha amato le pellicole del genio riminese: “ Er vecchio che se perde nella nebbia. Che poi sarebbero tutti i suoi sogni..." Il catalogo –Edito da Dario Cimorelli Editore, presenta saggi di Gianfranco Angelucci (sceneggiatore del film Intervista), Mauro Carrera, Eugenia Paulicelli, Stefano Roffi, oltre alla riproduzione a colori delle opere esposte.
Fondazione Magnani – Rocca
Villa di Mamiano di Traversetolo Parma
Fellini. Cinema è sogno
dal 18 Marzo 2023 al 2 Luglio 2023
dal Martedì al Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 18.00 
 
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
 
Lunedì Chiuso