Se in fondo non si parlasse dell'ennesimo cervello in fuga, la nomina di Andrea Lissoni alla Tate dovrebbe certamente essere considerata una buona notizia. Lissoni è senz'altro un curatore con una preparazione solida sia dal punto di vista organizzativo (la recente attività all'Hangar Bicocca basterebbe a dimostrarlo), sia da quello storico-artistico, con alle spalle un Dottorato internazionale in studi audiovisivi conseguito all'Università di Udine. Per questo penso che davvero un'istituzione seria e multiforme con la Tate Modern abbia fatto la scelta giusta nel nominarlo Film and International Art Curator.
Per ora Andrea Lissoni ci ha tenuto ad affermare che non lascerà l'Hangar Bicocca, ma è naturale pensare che l'incarico londinese prima o poi finirà per assorbirlo completamente. Che la fuga dall'Italia potesse essere la logica conseguenza del suo percorso di studio/lavoro era, forse, scritto: per chi si occupa del territorio incerto tra arte e cinema, di quel luogo instabile dove la grande distribuzione non si avventura e in cui il sistema del mercato dell'arte si muove con difficoltà, da noi non ci sono, in effetti, grandi margini di manovra.
Credo che solo la sua tenacia e le sue doti umane gli abbiano permesso sin qui di lavorare in Italia, appoggiandosi a strutture che hanno dimostrato lungimiranza, ma che certamente hanno possibilità e ambizioni molto più limitate della Tate Modern con cui inizierà a lavorare nella prossima primavera.
In bocca al lupo, quindi, ad Andrea, nella speranza che questa incessante migrazione faccia riflettere anche la politica italiana intorno alla necessità di investire sulla ricerca, sui musei e sulle istituzioni culturali (che non sono solo degli edifici) così come accade negli altri Paesi, almeno in tutti quelli che credono che il progresso (anche) economico passi attraverso innovazione e stimoli culturali, attenzione ai processi sociali e cura nel valorizzare le singole competenze.
Roberto Pinto, 19/12/2013