di
Mario URSINO
Paul Gauguin (1848-1903) arriva ad Arles nell’ottobre del 1888 per essere ospitato nella casa che
Vincent Van Gogh (1853-1890) aveva preso in affitto un mese prima dai signori
Ginoux, i proprietari del
Café de la Gare, luogo di ritrovo di amici ed artisti (v. di
Gauguin Café de la nuit, 1888, Mosca,
Museo P?skin, e di
Van Gogh,
Le Café de nuit, 1888, New Haven,
Yale University Art Gallery), citato diverse volte da
Van Gogh nelle lettere al fratello
Theo1:
“
Nel mio quadro Caffè di notte ho cercato di esprimere l’idea che il Caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventare pazzi, commettere crimini” (534) – egli scrive nel settembre del 1888; parole drammaticamente profetiche per l’imminente destino al quale andava incontro.
Van Gogh teneva molto a condividere la vita e il lavoro ad Arles con
Gauguin, che aveva conosciuto a Parigi qualche anno prima
2 e del quale seguiva con interesse le teorie sul disegno e sul colore (il “sintetismo”). Nello stesso tempo, però, meditava sulla pittura di
Delacroix e di
Monticelli, che proprio la luce mediterranea di Arles gli evocava. Ma il soggiorno di
Gauguin ad Arles durerà solo un paio di mesi, durante il quale il loro lavoro in comune si rivelerà pieno di difficoltà, come ammetterà lo stesso
Van Gogh, riferendosi soprattutto alle loro differenze di carattere:
“
Ma queste difficoltà sono soprattutto in noi. Insomma credo che partirà decisamente – scriveva a
Theo il 23 dicembre 1888
– oppure resterà definitivamente” (565).
Van Gogh si illudeva di poter salvare il loro rapporto; invece
Gauguin nello stesso mese scriveva al giovane amico pittore
Emile Bernard (1868-1941):
“
Io e Vincent in generale andiamo poco d’accordo, soprattutto in pittura. Lui ammira Daumier, Daubigny, e il grande Russeau, tutte persone che non posso vedere. Al contrario detesta Raffaello, Ingres, Degas, tutte persone che io ammiro. E per stare tranquillo gli dico: «Brigadiere, avete ragione!»”3.
Motivazioni diverse, dunque, nelle loro parole; lo scontro non era soltanto di carattere, ma anche di differenti opinioni sul dibattito nel superamento dell’impressionismo.
Gauguin, del resto, aveva una forte e superiore personalità, con la quale si era imposto a
Pont-Aven dal 1886, nell’ambito del gruppo dei pittori che da Parigi si erano spostati in Bretagna
4. E
Van Gogh, pur riconoscendogli tale superiorità, non riusciva a frenare i suoi impeti in discussioni che diventavano sempre più violente, tanto da indurre
Gauguin (ovviamente spaventato) ad andare via da Arles repentinamente la vigilia del Natale del 1888.
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L’episodio è noto.
John Rewald, nel suo importante studio su
Il Post-Impressionismo, ci informa (sulla base di memorie di
Gauguin) che l’origine della rottura tra i due artisti avvenne proprio nel
Caffè di M.me Ginoux (
L’Arlesiana), una sera che
Van Gogh, ubriaco, lanciò contro l’amico un bicchiere pieno d’assenzio;
Gauguin schivò il colpo, ed ebbe la fermezza di ricondurre
Van Gogh a casa. La mattina dopo, al risveglio, chiese scusa a
Gauguin che lo perdonò, ma questi lo avvertì che se la scena si fosse ripetuta, avrebbe perso il controllo anche lui: “
non potrei essere padrone di me e strangolarvi”
5, come ha scritto nelle sue memorie,
Avant et Après.
Gauguin decise quindi, momentaneamente, di rimandare la partenza, cosa che fece sperare a
Van Gogh di non rimanere solo. Ma non poteva durare.
“
Dal giorno dell’incidente – ha scritto
Rewald –
Vincent era diventato sempre più irrequieto; il suo umore passava da un’eccessiva ruvidezza ad un mutismo assoluto. Di notte si alzava e si recava nella camera di Gauguin per assicurarsi che l’amico fosse nel suo letto […]. Il giorno della vigilia di Natale […] Gauguin uscì da casa dopo pranzo e andò a fare una passeggiata […] quando sentì dietro di sé un rumore familiare di passi rapidi. Si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere Vincent che si lanciava su di lui brandendo un rasoio. Gauguin lo fulminò con lo sguardo; Vincent si fermò e, a capo chino, rientrò in casa”
6.
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Subito dopo
Van Gogh, in preda al delirio, si recise l’orecchio sinistro.
Gauguin passò la notte fuori, e la mattina dopo trovò la polizia a casa di
Van Gogh; si accertò che l’amico fosse vivo e lasciò detto che sarebbe tornato a Parigi.
L’abbandono (necessario) da parte di
Gauguin era dunque più che giustificato, dato che temeva per la sua incolumità, ma significò anche, a nostro avviso, l’inizio della fine di
Van Gogh che non resse alla solitudine
7 e al fallimento del suo progetto di fare di Arles un centro di artisti (diretto da
Gauguin)
8 per il rinnovamento dell’arte e per garantirsi un futuro migliore; un progetto coltivato a lungo ad Arles con grande passione, come si deduce dalle sue parole, scritte al fratello
Theo nel settembre del 1888:
“
Qui acclusa una notevolissima lettera di Gauguin che ti pregherei di conservare come una cosa di particolare importanza. Alludo alla descrizione di se stesso che mi tocca profondamente. Essa mi è arrivata insieme ad una lettera di Bernard che Gauguin avrà probabilmente letto e che forse approva, nella quale Bernard ripete ancora una volta che desidera venire qui e mi propone il nome di Laval, Moret […]. Non chiederei di meglio, ma trattandosi di vita in comune di diversi pittori, io dichiaro che prima di tutto ci vorrebbe un abate per mettere dell’ordine e che naturalmente questo dovrebbe essere Gauguin […]. Se riguadagnerò i soldi già spesi e che tu da anni mi stai prestando, allora ingrandiremo tutto e cercheremo di fondare uno studio di pittori di rinascenza e non di decadenza” (544).
Questo era il sogno di
Van Gogh, che si infranse quella mattina della vigilia di Natale del 1888, inducendolo poi ad un consapevole suicidio meno di due anni dopo ad Auvers, preconizzato nell’ultima lettera inviata a
Gauguin:
“
Caro maestro (mai aveva usato questa parola) - ricorda Gauguin
- dopo avervi conosciuto e avervi fatto soffrire, è meglio morire con la mente lucida che in uno stato degradante”9.
* * *
Del breve sodalizio
Van Gogh-Gauguin ad Arles (ottobre-dicembre 1888), restano tuttavia notevoli e alte testimonianze nei lavori che i due pittori produssero talvolta quasi in simbiosi tematiche, come nei citati
Café de nuit, nei due ritratti, simili e speculari, che entrambi fecero di
M.me Roulin, la moglie del postino
J. Roulin (l’amico che assistette
Van Gogh durante la degenza all’ospedale di Arles), nei dipinti della passeggiata
Viale degli Alyscamps e del
Giardino di Arles con figure di donne, di cui una è certamente da identificare con
M.me Ginoux, la protagonista della serie dei ritratti de
L’Arlesiana.
Acquistato nel 1962 sul mercato internazionale per le collezioni della
Galleria Nazionale d’Arte Moderna10, il dipinto potrebbe essere considerato come il primo
11 dei quattro (se ne ipotizza un quinto perduto) esemplari eseguiti da
Van Gogh nel gennaio-febbraio 1890
12, mentre si trovava nella casa di cura del convento agostiniano di
Saint Paul de Mausole, nei pressi di Saint-Remy (Provenza) a seguito dei drammatici fatti di Arles avvenuti tra il 23 e il 24 dicembre 1888. Nel tempo trascorso a Saint-Remy, l’artista alternò intenso e consapevole lavoro a frequenti crisi nervose (forse epilettiche)
13 di cui non ricordava più nulla. A Saint-Remy, però, i modelli erano scarsi e il suo isolamento quasi totale, eppure riuscì a creare numerosi e grandi capolavori, in paesaggi di insuperata forza (v. ad es.
Bosco di olivi,
Cipressi,
I mietitori) e ritratti (v.
Il Giardiniere,
Il ritratto di Trabuc, i suoi
Autoritratti) di notevole felicità espressiva. Tra questi
L’Arlesiana. Di
Marie Julien Ginoux (1848-1911), moglie di
Joseph-Michel Ginoux (1836-1902), i proprietari, come si è detto, del
Café de nuit, Van Gogh aveva già dipinto due splendidi ritratti nel novembre del 1888 ad Arles:
L’Arlesiana con guanti e ombrello, Parigi,
Museo d’Orsay, e
L’Arlesiana con libri, New York,
Metropolitan Museum of Art.
In questi due ritratti
M.me Ginoux non guarda verso l’osservatore (come nel nostro dipinto), ma è raffigurata in scorcio, di tre quarti, con lo sguardo assorto e appoggiata sul tavolo verde. Il ritratto fu abbozzato velocemente da
Van Gogh, come si legge nella sua lettera a
Theo: “
Inoltre ho finalmente
una arlesiana, una figura (tela da trenta) buttata giù in un’ora, fondo limone pallido, viso grigio, il vestito nero, nero, blu di Prussia puro. Si appoggia ad un tavolo verde ed è seduta in una poltrona di legno color arancione” (559).
Contemporaneamente anche
Gauguin, da angolazione opposta, con molta probabilità, ritraeva
M.me Ginoux14 in un disegno a carboncino,
L’Arlesiana, 1888, San Francisco,
The Fine Art Museum, quale studio per inserire la figura della donna nel più vasto dipinto, già sopra citato, il
Café de la nuit, 1888, Mosca,
Museo P?skin. Il disegno
Van Gogh lo tenne per sé, e a Saint-Remy lo userà come modello per le sue quattro versioni de
L’Arlesiana, 1890, di cui si è detto. Per questi dipinti
Van Gogh lavora “a memoria” e per “astrazione” secondo la teoria gaugueniana, il ”sintetismo”, (ovvero, il
cloisonnisme, la marcata linea di contorno delle figure, i fondi di colore piatti, la riduzione prospettica), ma certo costituiscono anche (forse?) un disperato tentativo di recuperare l’amico perduto, frequentemente nominato nel fitto carteggio col fratello
Theo, tra il 1889 e il ’90. Di questa perdita, infatti, il dipinto
L’Arlesiana contiene, a nostro avviso, elementi costitutivi e simbolici: i due libri sul tavolo, che fanno pensare all’abbandono, e la posa della donna in un vago atteggiamento di malinconia; sebbene la critica
15 riferisca tale posa principalmente all’altro splendido dipinto
Ritratto del Dr. Gachet, 1890, Parigi,
Museo d’Orsay, il medico, estimatore della pittura moderna, che tenne in cura
Van Gogh ad Auvers nei suoi ultimi mesi di vita.
Quei due libri poggiati sul tavolo, rispettivamente
Uncle Tom’s Cabin di
Harriet Beecher-Stowe e
Christmas Tales di
Charles Dickens, si riferiscono
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sì a temi autobiografici
16 di
Van Gogh, (sue letture giovanili riprese ad Arles e a Saint-Remy), ma si potrebbe ipotizzare verosimilmente che il testo di
Dickens costituisca anche un richiamo ai tragici fatti della vigilia del Natale 1888. D’altronde, due libri (senza titolo) figurano pure nel dipinto
La sedia di Gauguin, 1888, Amsterdam
Rijksmuseum, di cui egli parla nella lettera a
Theo nel dicembre di quell’anno:
“
Nel frattempo ti posso dire che gli ultimi due studi sono abbastanza strani. Tele da trenta, una sedia in legno e paglia completamente gialla su dei mattoni rossi appoggiati al muro (di giorno). Poi la poltrona di Gauguin rossa e verde, sul sedile due romanzi e una candela” (563).
Fin troppo evidente dalle sue parole l’enfatizzazione del “rosso e del verde” delle “terribili passioni umane”. Ritorna su quest’argomento il 17 gennaio del 1889, scrivendo: “
Vorrei proprio che De Haan vedesse un mio studio di una candela illuminata e due romanzi (uno giallo e l’altro rosa) appoggiati su una poltrona vuota (proprio la poltrona di Gauguin) tela da trenta, in rosso e verde. Anche oggi ho lavorato a un suo gemello, la mia sedia vuota, una sedia in legno chiaro con una pipa e una borsa di tabacco” (571). Si tratta di
La sedia di Van Gogh, 1888-89, Londra,
National Gallery17. Ancora in una lettera al critico
Aurier, al quale destinò uno dei quattro ritratti de
L’Arlesiana, sottolinea il “vuoto” lasciato da
Gauguin: “
È uno studio della sua sedia, che è di un rosso bruno scuro, con un sedile impagliato verdastro, e al posto dell’assente un candeliere con una candela accesa e dei romanzi moderni” (626 a).
Siamo quindi concordi con la studiosa inglese
Rosemary Treble (di parere diverso
E. van Uitert, 1990, pp. 184-185) quando afferma:
“
It is clear that Vincent felt that Gauguin’s departure – which he knew had to be soon in order to restore both of them to peace of mind – also implied a sort of departure of himself, Vincent’s chair, as well as Gauguin’s, is empty: the connotations of departure and death are intended for both”
18.
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La
Treble, inoltre, ci ricorda che la rappresentazione dell’antico rito con la sedia vuota e la fiamma al posto del defunto risale all’arte romana per commemorare gli imperatori morti; rito invalso nell’età moderna in Inghilterra per i personaggi celebri scomparsi, come avvenne anche per Dickens
19, l’autore tanto amato da
Van Gogh.
Questi simbolismi, dunque, sono la prova della consapevolezza dell’abbandono, un dolore da cui
Van Gogh fu segnato diverse volte durante la sua breve esistenza
20; tuttavia egli, fino all’ultimo, continua a cercare Gauguin, come si evince dal fitto epistolario con il fratello
Theo tra il 1889 e il ’90. E se pure ebbe soddisfazione quando
Gauguin si fece vivo con una lettera nel giugno del 1889 in cui gli scriveva:
“
Ho visto il vostro quadro di M.me Ginoux molto bello e molto strano. Mi piace più del mio disegno…”, ma ciò che aggiunse dopo dovette ferire
Van Gogh profondamente:
“
Vi ricordate delle nostre conversazioni di un tempo ad Arles, in cui si poneva il problema di fondare un atelier dei Tropici? […] Allora andrò nel Madagascar”
21.
Il 30 giugno 1890,
Van Gogh scrive a
Theo: “
Ho ricevuto una lettera di Gauguin piena di malinconia: parla vagamente d’essere fermamente deciso ad andarsene nel Madagascar…”(646).
Un mese dopo
Van Gogh si toglie la vita a soli trentasette anni. A distanza di sei mesi anche il fratello
Theo morirà.
***
Il dipinto
L’Arlesiana, quindi, assume molteplici significati: in esso convergono elementi psicologici, intellettuali e affettivi di varia natura
22, come abbiamo visto; ma soprattutto costituisce il segno dell’amicizia e della discordia con
Gauguin, dell’amicizia e della gratitudine verso M.me Ginoux, che fu insieme ai
Roulin tra le poche persone che assistettero
Van Gogh nell’ospedale di Arles. L’opera, inoltre, è la testimonianza della comune ricerca pittorica tra i due artisti, e dell’interesse di Van Gogh per gli antichi costumi delle “arlesiane” nella luce di Arles, che a lui faceva venire in mente la pittura di Velàzquez, allorquando scrive a Theo del ristorante dove prende i pasti: “
In cucina una vecchia e una servotta bassa pure in grigio, nero e bianco […] è certo però che qui ha visto del vero Velàzquez” (521). E la figura del
L’Arlesiana dimostra in maniera significativa questo legame con la tradizione antica e il proprio tempo, espresso concettualmente dall’artista abbinando il costume delle donne di Arles ai “romanzi moderni”, e stabilendo un accostamento iconografico tra il ritratto di
M.me Ginoux e alcune celebri incisioni tedesche del
Rinascimento (a mio avviso anche quella di
Peter de Jode, 1570-1634) e la più nota incisione del
Dürer, Melancholia I, 1514, il maestro tedesco studiato da
Van Gogh negli anni giovanili ad Amsterdam nel 1878; un interesse, questo, comunicato esplicitamente al fratello
Theo: “
Alla tua prossima visita qui, vorrei andare a vedere con te le acqueforti di Dürer al museo, come facemmo l’ultima volta con quelle di Rembrandt” (118); e quanto quella famosa incisione del maestro tedesco gli si fosse impressa nella mente lo testimoniano le sue emozioni e riflessioni di fronte a certi disegni di architettura gotica di
Victor Hugo visti a Cuesmes (Belgio) nel 1880: “
Qual è questo sentimento? Esso ha delle affinità con quello che Albrecht Dürer espresse nella sua Melancholia…”
23 affermava
Van Gogh in una lettera a
Theo (136).
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di
Mario URSINO
Roma, 23 dicembre 2016
Nota in margine:
I due dipinti di
Van Gogh,
L’Arlesiana, 1890 e
Il Giardiniere, 1889 sono attualmente esposti nella
Galleria Nazionale (v. foto n.12 di
Sdrja Mirkovic) in una sala insieme ad altre quattro opere: un pastello di
Degas, Dopo il bagno, 1886c., un olio di
Courbet,
Bracconieri nella neve, 1867, il grande trittico del nostro
De Nittis,
Le corse al Bois de Boulogne, 1881 (anch’esso un pastello), e infine la scultura neoclassica di
Cesare Benaglia, Marte, 1845c. (che faceva parte del gruppo delle dodici sculture rappresentanti le divinità dell’Olimpo, nella grande sala con
Ercole e Lica del
Canova, nell’allestimento
Pinto del 2006, ricostruito allora in maniera spettacolare secondo l’originaria collocazione nel demolito
Palazzo Torlonia ai primi del Novecento a
Piazza Venezia); oggi, nell’attuale allestimento, la grande scultura
Ercole e Lica si specchia nel
Mare di
Pascali.
La scultura del
Marte, come si vede nella foto, è collocata nello scorcio angolare della sala sopra descritta, in prossimità dei due dipinti di
Van Gogh. Come leggere questo singolare accostamento all’interno di un allestimento tutto sommato coerentemente tematico e cronologico (post-impressionista)? Perché questa ludica dissonanza? Ebbene, come ho già scritto nel mese di ottobre su questo magazine,
Cristiana Collu ha giocato
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con sincronie tematiche, concettuali e formali nella sua idea di “stratificazione” temporale, ma non diacronica delle collezioni della
Galleria Nazionale. E allora, a mio avviso, la scultura del dio della guerra e della lotta può ben riferirsi (concettualmente) alla lotta con la pittura del grande
Van Gogh, che uscì sconfitto in vita, ma che resta immortale nell’arte. Se poi vogliamo vedere altre analogie nel tratteggio impressionista nel pastello di
Degas con quello nei due ritratti di
Van Gogh, o nella lotta dei
Bracconieri nella neve, di
Courbet, per la caccia, o nella gara in
Le corse al Bois di Boulogne di
De Nittis, ci può apparire più chiaro l’intento (a mio avviso riuscito) nell’eterodosso criterio espositivo di
Cristiana Collu.
Note:
Il numero accanto ai brani citati si riferiscono alle lettere di Van Gogh al fratello Theo in
The Complete Letters of Vincent Van Gogh, Thames & Hudson, London 1999 (trad. it, Milano 1959); la numerazione progressiva delle lettere è quella seguita sia dall’edizione inglese che da quella italiana; cfr. anche la più recente edizione delle
Lettere a Theo di Van Gogh, ed. Guanda 2013