di Maria Cristina Bibbi
La mostra Georges de La Tour. L’Europa della luce a Palazzo Reale di Milano dal 7 Febbraio al 7 Giugno 2020 presenta al pubblico uno degli interpreti francesi di spicco della pittura del Seicento.Come il suo “collega” Gerrit Van Honthorst caravaggista di Utrecht, soprannominato Gherardo delle Notti, de La Tour è conosciuto ed apprezzato per i suggestivi effetti luministici delle sue scene a lume di candela.La mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, è a cura di Francesca Cappelletti.
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Le scene notturne sono realizzate con colori quasi monocromi, immerse in immense penombre e i soggetti assorti, silenziosi e commoventi, in esse inseriti, sono illuminati da una debole e flebile candela.
Il principio dei giochi di luce rappresenta infatti il tratto distintivo del pittore francese, la cui ricerca è stata sempre messa a confronto con l’arte dell’irrequieto Caravaggio, in particolare per l’affine uso del chiaroscuro e per il senso drammatico e teatrale della composizione. Per questo motivo è considerato uno dei più originali prosecutori della scuola caravaggesca. Con l’ombroso artista condivide anche la predilizione per soggetti realistici umili e corpi imperfetti. Questi ultimi ci svelano un’esistenza senza filtri attraverso volti segnati dalla povertà e dall’inesorabile trascorrere del tempo.
Rispetto a Caravaggio, de La Tour interpreta però la parte “serena e trasparente” delle tenebre, come affermò lo scrittore Andrè Malraux.
Ciò che colpisce è l’umanizzazione delle figure religiose. Angeli ripresi dal popolo, santi senza aureola né attributi iconografici, predilizione per soggetti presi dalla strada come i mendicanti.
Non vi sono ritratti né di clerici, nobili o di borghesi: un altro mistero che avvolge l’opera dell’artista lorenese.

Il tratto di sorprendente e raffinata eleganza del pittore francese è in grado di esprimere tutta l’umanità e sobrietà nei dettagli dei vestiti, nelle espressioni del volto e negli oggetti e si manifesta nell’estrema sottigliezza dei giochi di mani e di sguardi astuti come quelle dell’Indovino della Fortuna (1630) e del Baro con l’asso di quadri (1635-38 c.ca), avvolti da un’atmosfera di ombre profonde e luci rivelatrici, che modellano le forme semplificate. I personaggi di quest’ultimo quadro sono affini per psicologia tematica ai Bari del Merisi. Noi ci chiediamo quale ruolo stia giocando ognuno di essi nella partita a carte con il destino. Quella di de La Tour è una mano invisibile, che cura il dettaglio ed è abile nel tessere una ragnatela stregante di sussulti e di segreti. Si percepisce infatti dallo sguardo ambiguo dei giocatori, che nessuno di loro è del tutto onesto, ma solo uno nasconde in modo evidente per l’osservatore due carte dietro la schiena.
I quadri autografi di piccolo e medio formato, intimi, privi di sfondo paesaggistico e prevalentemente notturni rappresentano metaforicamente un cammino, un viaggio interiore verso l’ignoto. Un percorso che viene ricostruito con la leggerezza di una brezza e al tempo stesso infinita cura. Le scene, essenziali e scarne, invitano noi osservatori a prendere in mano le nostre vite, al di là di ciò che si è fatto, per realizzare ciò che ancora si desidera. Ogni quadro prende forma attraverso una girandola caleidoscopica di sentimenti ed immagini sfuggenti e viene attraversato da situazioni, stati d’animo, intuizioni diverse, che colgono di sorpresa. Tutto appare in un gesto unico, che lega chi agisce a chi guarda in un comune respiro.
In questo viaggio nei meandri della mente umana, in questa immersione nell’interiorità dei personaggi, nei loro tormenti, nelle loro visioni e nelle loro storie, fluttuanti in una dimensione onirica e surreale, non c’è realtà, non c’è verità, se non quella mutevole e soggettiva dell’inconscio, del sogno, dove il confronto tra i personaggi si consuma lentamente come la cera di una candela.

Malumori e odi sotterranei si palesano parzialmente sotto gli occhi dell’osservatore, che è messo in contatto con i più profondi ed essenziali concetti
zen, vocati all’inefferabilità dello spirito. Sotto quelle vallate di gelo si snodano respiri e promesse sommerse. I destini imprevisti ci interrogano e ci affascinano nello stesso tempo. Possiamo dare libero sfogo alla nostra immaginazione, ossia “flashare” come diremmo oggi.
La mano del pittore entra in modo delicato e profondo nei comportamenti spesso contrastanti dell’essere umano, mentre i quadri scorrono attraverso un montaggio di scene, che potremmo definire degli
short spot.
Ci troviamo di fronte ad uno “sciamano della visione”, nonché ad un’artista del movimento e della luce, che nelle sue opere trascende magistralmente i limiti geografici e temporali. La fisicità impalpabile dei corpi in movimento traduce le emozioni in una forma plastica e squisitamente rarefatta. La rappresentazione simbolica rifugge la narrazione e si misura con l’impalpabile. Con una partitura ondeggiante di corpi nello spazio e l’incanto di una precisa coreografia, è come sporgersi da un davanzale di una finestra, affacciandosi su di un mondo, che fisico non è. Ci troviamo sulla soglia tra l’aldiqua e l’aldilà, come accade anche quando osserviamo un quadro di Goya o Boklin e ne rimaniamo rapiti.
Per la teatralità e drammaticità delle scene raffigurate da de La Tour, lo scrittore, nonché poeta e drammaturgo Victor Hugo direbbe: “questo è il paese del vero, ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”.La mostra rapppresenta quindi un’occasione per un’osservazione inedita e irripetibile, attraverso cui viene delineato un autoritratto in frammenti di un artista unico, che con il suo sguardo sul mondo e la sua capacità di creare immagini generatrici di emozioni conduce al cuore degli esseri umani.
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In un momento in cui siamo ormai “puzzlelizzati” dalla frenetica quotidianeità, dalla materialità delle cose, dall’urgenza della vita, dalla solitudine e dalla ricerca di un senso, le luci di de La Tour si ricompongono e si contrappongono con ironia e nostalgia a quello che siamo diventati. Si susseguono con i colori e le ombre, si rincorrono, si accendono e si spegnono come in un
jeux de prestige. Si scaldano o si raffreddano, a seconda che venga inserita o meno qualche venatura di
noir.
Ed ecco allora che l’opera si tinge di un tocco misterioso e ipnotico, illuminata con grazia e poesia da una candela raffinata, a volte oscurata da una mano o da un braccio (la Maddalena Penitente, il Sogno di San Giuseppe, Educazione di una Vergine, 1640), ma pur sempre allungata (Maddalena Penitente allo Specchio, 1639-1643), in cui il tratto dell’autore è subito riconoscibile in perfetto equilibrio tra plausibile e imprevedibile.
Talvolta le ombre appaiono sottomesse o sottomettenti, altre volte sono dei varchi fugaci, delle vie di fuga da qualcosa che ci sfugge, seppellito dal “caos” quotidiano. Non solo: le raffigurazioni rappresentate sembrano richiamare le atmosfere sospese e inquietanti dei dipinti del pittore statunitense Hopper, in cui il tempo è in
stand by.
La nostra vita parte da uno
start, per poi passo dopo passo procedere ed evolvere. Questo ci porta avanti: dapprima possiamo farlo con calma e poi sempre più con fretta, “contestualizzati” volenti o nolenti nel mondo, che ci circonda. Camminare è vita, perché noi siamo nati per questo. Ci sono persone, che pur scegliendo sentieri apparentemente difficili, abbracciano il loro destino, vivendo incredibilmente con semplicità il quotidiano. Basta ascoltare una sola voce, quella che abbiamo dentro, che non è mai stanca di darci saggi consigli. Del resto si sa, nel silenzio i pensieri dell’anima parlano. Quest’ultimi hanno tante facce, quanti sono gli stati d’animo, in cui capita di trovarsi. Per questo la mostra permetterà di far intraprendete un viaggio dentro se stessi, attraverso le proprie emozioni e sentimenti, percorrendo il cammino dentro quel labirinto, che è la propria interiorità.
La cornice è il limite del quadro, in un certo senso lo isola dal mondo esterno, ma così come lo chiude, al contempo lo anticipa e lo apre come se fosse l’ingresso fisico, a ciò che viene espresso poi dall’immagine.
Il riverbero e il calore generato dalle luci sembrano sfiorare i volti di noi osservatori. Basta sapersi calare in questa atmosfera silente e qualcosa di sicuro si avvertirà. Farà crescere in chi guarda la voglia di seguire i chiaro-scuri che traspaiono, abbandonando così lo spazio sicuro della quotidianità.
Perché non tornare ad usare le candele? Come dichiarato in un’intervista dal critico d’arte Sgarbi, sarebbe anche un modo etico e sostenibile ad impatto ambientale zero.
Il lavoro di de La Tour venne riportato alla luce solo grazie allo storico dell’arte tedesco Hermann Voss.
A causa infatti delle guerre, che colpirono la terra nativa del pittore lorenese e la scarsità di scritti e di tele andate perse con gli incendi o attribuite ad altri artisti, il lavoro conosciuto dell’artista tra il 1915 e il 1922 era limitato soltanto a tre dipinti.
Oggi una quarantina di questi quadri sono considerate opere di questo artista “illuminato” del Seicento e nessuna, come ci tiene a ricordare lo storico dell’arte Roberto Longhi, è conservata ahimè in Italia.
Info
Maria Cristina Bibbi
Georges de La Tour. L’Europa della luce.
Palazzo Reale, Milano
Dal 7 Febbraio al 7 Giugno 2020
Ufficio stampa Lucia Crespi
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