Giovanni Cardone Dicembre 2022
Fino al 10 Aprile 2023 si potrà ammirare a Palazzo Mazzetti di Asti la mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque a cura di Tiziano Panconi,  con il contributo concesso dalla Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della cultura, è realizzata dalla Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Asti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, in collaborazione con Arthemisia, con il patrocinio della Provincia di Asti e vede come sponsor il Gruppo Cassa di Risparmio di Asti. La Belle Époque, i salotti, le nobildonne e la moda: è il travolgente mondo di Giovanni Boldini, genio della pittura che più di ogni altro ha saputo restituire le atmosfere rarefatte di un’epoca straordinaria. Letteratura e moda, musica e lusso, arte e bistrot si confondono nel ritmo sensuale del can can e producono una straordinaria rinascita sociale e civile. In esposizione Ottanta opere di Giovanni Boldini tra cui signora bionda in abito da sera (1889 ca.), La signora in rosa (1916), Busto di giovane sdraiata (1912 ca.) e La camicetta di voile (1906 ca.) - sono protagoniste di una narrazione cronologica e tematica al tempo stesso. L’esposizione presenta una ricca selezione di opere che esprime al meglio la maniera di Boldini, il suo saper esaltare con unicità la bellezza femminile e svelare l’anima più intima e misteriosa dei nobili protagonisti dell’epoca. Una mostra che pone l’accento sulla capacità dell’artista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima. Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità. Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo stato d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra, quando la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello successivo. Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e il suo stile, a un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste manifestate dagli alti ceti sociali. Come afferma Maurizio Rasero Sindaco di Asti : “Con la mostra “Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque”, Asti ospita una straordinaria esposizione di respiro internazionale capace di raccontare l’arte di un artista che ha saputo esprimere la bellezza della sua epoca, riproducendo l’ambiente sociale in cui è vissuto e ha lavorato, e celebrando l’eleganza dell’élite. Attraverso una notevole selezione di dipinti si può ripercorrere la vicenda artistica del ferrarese Boldini e di altri celebri pittori italiani affermatisi a Parigi, città divenuta un grande laboratorio letterario e artistico. Questa importante mostra rappresenta un’ulteriore proposta di valore per la città, un’occasione straordinaria per gli Astigiani e un altro elemento di richiamo per i turisti, sviluppando la vocazione di Asti verso la cultura e l’attrattività del suo territorio. La realizzazione di questo evento testimonia l’intenzione della nostra città di proseguire l’impegno degli ultimi anni, nella convinzione che la cultura rappresenta il motore principale della crescita sociale, civile ed economica della comunità”. 
In una mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Giovanni Boldini apro il mio saggio dicendo : La fine dell'Ottocento sembra essere un periodo di grande prosperità e generale soddisfazione, come ricorda la stessa definizione di “Belle époche”. In realtà, vuoto e senso di ambiguità pervadono gli anni di transizione dalla vecchia borghesia ottocentesca all'affermazione, sulla scena politica e sociale, delle masse popolari. Quest'epoca si caratterizza per una crisi di valori che coinvolge tutti gli ambiti del sapere: dalle scienze esatte a quelle umane, dall'arte alla filosofia, emergono nuove teorie che superano la visione ingenua dello scientismo positivista. Viene criticata la nozione dogmatica di scienza, propria appunto del positivismo, posta al centro del dibattito scientifico; la definizione del concetto di materia viene messa in discussione, diventando meno assoluta, meno dogmatica e meno statica. Edmund Husserl, nella seconda fase del suo pensiero, parla di una crisi d'identità delle scienze, che non riguarda le scienze in quanto tali, i loro fondamenti epistemologici e le scoperte scientifiche, ma il significato che esse hanno per l'esistenza umana: è una crisi di valori etici e morali, una crisi di senso, il sapere non porta più alcuna ispirazione etica . La cultura europea, all'inizio del Novecento, è quindi pervasa da un profondo senso di crisi, in cui cadono tutte le certezze circa la possibilità di cogliere la realtà attraverso una conoscenza piena e immediata dei suoi molteplici aspetti. Lo sviluppo industriale, legato al progresso tecnologico e alle invenzioni delle macchine, già dalla fine del Settecento comporta un cambiamento radicale del modo di vivere, che tuttavia si traduce in un senso di alienazione e distacco dell'uomo dalla propria natura. Il tema dell'alienazione, già al centro del pensiero di Marx, esprime bene l'unità culturale e spirituale dell'Ottocento, caratterizzata da una tendenza rivoluzionaria di fondo. Come ricorda De Micheli, non bisogna mai dimenticare lo spirito rivoluzionario che pervade tutto l'Ottocento, perché la frattura che avviene nell'arte con le avanguardie artistiche europee non si spiega solo sul piano estetico, facendo riferimento semplicemente ai mutamenti del gusto, ma va invece analizzata prendendo in considerazione le ragioni storiche che hanno portato verso la crisi dell'unità di fondo della cultura borghese. Secondo De Micheli essa non è altro che la vocazione rivoluzionaria della borghesia intellettuale, fondata sugli ideali di libertà, uguaglianza e progresso, che viene messa in crisi dalle forze reazionarie. Il rapporto tra arte e società, arte e politica rimane sempre alla base delle nuove poetiche; attraverso l'arte si possono cogliere aspetti e sfumature della realtà che le sole conoscenze intellettuali e razionali non riuscirebbero a mettere in luce. Il periodo che va dalla fine del XX secolo alla prima guerra mondiale è caratterizzato da una rapida evoluzione del sistema industriale. Il rilancio della produzione, favorito anche da una politica di protezionismo doganale e da una progressiva indipendenza tra Stato ed economia finanziaria, fu reso possibile dalla trasformazione radicale del modello economico, che vedeva sempre più pressante l'esigenza di allargamento dei mercati. In questi anni avvengono le grandi rivoluzioni epistemologiche della contemporaneità quali la relatività, la psicanalisi, la teoria dell'atomo. Tra i tratti distintivi del pensiero filosofico dell'epoca vi furono il vitalismo, inteso come attenzione ai valori istintivi, lo spiritualismo, contrapposizione di una dimensione mentale a una materiale e accentuazione del ruolo della coscienza nella percezione del mondo esterno, e il relativismo, in cui si afferma il carattere prospettico della nostra esperienza del mondo. Le ricerche delle avanguardie storiche rappresentarono l'espressione del clima politico, culturale e sociale del tempo. La nascita delle avanguardie scaturì dalla crisi che investì tutti i valori della società civile europea agli inizi del XXI secolo: fu la sensibilità degli artisti a permettere di percepire i primi crolli nelle certezze che per anni avevano rappresentato dei capisaldi nella vita dei singoli individui. Ora grazie all'arte questa stessa crisi si trasforma in una ribellione, in un rifiuto sempre più fermo di ogni tradizione culturale antichi dogmi e antiche credenze vengono posti in discussione. Tutto il secolo fu caratterizzato da una continua sperimentazione artistica movimenti e stili si succedettero nel tempo con differenti modalità e forme espressive, rimanendo però accomunati da una forte volontà di rottura con il passato, sorta di fil rouge per l'evoluzione culturale dell'epoca. Nel Novecento l'arte scompone, decostruisce, altera la realtà, ricercandone allo stesso tempo una raffigurazione fedele, che rappresenti la premessa per quella che dovrebbe essere l'azione politica. I prodotti culturali devono essere interpretati: nelle opere ottocentesche è ancora presente un soggetto riconoscibile, le forme sono armoniose, i soggetti gradevoli alla vista. Nel corso del Novecento invece le regole del gusto e i canoni estetici convenzionali mutano radicalmente, i linguaggi delle opere si fanno sconcertanti. Guerre, rivoluzioni, scoperte scientifiche e tecnologiche divennero fattori in grado di sovvertire tradizioni che a lungo avevano provveduto a fornire un'identità stabile all'umanità. I vari cambiamenti si rifletterono nell'arte, nell'ambito della quale iniziò l'esplorazione della realtà attraverso la dissoluzione della figura, la creazione di forme e segni che non avevano più alcun rapporto con il mondo che le circondava. L'arte divenne un fenomeno di massa iniziò a essere considerata come un valore prezioso da tutelare, si aprirono musei e raccolte, le opere uscirono dalle collezioni private e dalle chiese, per essere mostrate a un pubblico sempre più ricettivo, coinvolto e interessato. Giovanni Boldini  è stato uno dei principali pittori italiani di fine Ottocento, tra i più vicini a l’impressionismo tra coloro che operarono in Italia. Boldini era noto per la sua vivace vita mondana, che trovò il suo apice a Parigi: le sue frequentazioni borghesi gli garantirono grande fama come talentuoso ritrattista di personalità culturali e soprattutto di figure femminili, che riportava sulla tela con eleganza, dinamismo e caratterizzazione psicologica, rifuggendo quindi dalla ritrattistica più classica. Conosciamo diversi aneddoti legati alla sua vita grazie alla moglie Emilia Cadorna, una giornalista che il pittore sposò ormai ottantenne, e che nello stesso anno della sua morte pubblicò un libro biografico su di lui. Egli era ottavo di tredici fratelli, Giovanni Boldini ed ebbe un’educazione molto cattolica in quanto la madre, Benvenuta Caleffi, era piuttosto devota. Il padre Antonio, invece, era un pittore. Ancora prima di imparare a leggere e scrivere ed iniziare a frequentare le scuole elementari, Boldini dimostrò un talento naturale per il disegno. Abbandonò presto gli studi dimostrandosi piuttosto insofferente alle regole scolastiche e ai metodi didattici, e il padre, intuendo le capacità del figlio, gli insegnò direttamente le tecniche basilari della pittura. Il padre era un pittore purista che possedeva ottime basi tecniche imparate durante gli anni trascorsi all’Accademia di San Luca a Roma e attraverso lo studio dei maestri del Quattrocento, diventando comunque un nome ben conosciuto a Ferrara. Giovanni Boldini, intanto, a soli quattordici anni dipinse un Autoritratto che dimostrava non solo quanto il giovane pittore avesse ben assimilato le tecniche pittoriche di base, ma soprattutto la capacità di padroneggiarle con disinvoltura. Poco dopo, divenne allievo di Girolamo Domenichini e Giovanni Pagliarini. La sua adolescenza fu piuttosto fortunata, in quanto venne esonerato dal servizio militare che era appena stato istituito a seguito della nascita del regno d’Italia, e inoltre ottenne un’eredità cospicua da parte di uno zio. Con questa somma, Boldini decise di lasciare Ferrara, poiché aveva notato come tra gli artisti locali vi fosse una certa tendenza ad accontentarsi di eguagliare quanto già proposto da altri artisti ed era molto arduo poter percorrere vie inedite. Scelse dunque di trasferirsi a Firenze.Una volta giunto nel capoluogo toscano, Boldini si iscrisse all’Accademia delle belle arti, dove trovò come insegnanti Stefano Ussi ed Enrico Pollastrini. Tuttavia, come già accaduto durante le scuole elementari, ben presto Boldini risultò insofferente ai metodi dell’Accademia e si ritirò, preferendo piuttosto buttarsi a capofitto nel vivace ambiente che gravitava intorno al Caffè Michielangiolo. Qui, infatti, si ritrovavano numerosi artisti e patrioti per discutere, spesso animatamente, di questioni artistiche e politiche. Tra questi, vi erano i “Macchiaioli”, un gruppo di artisti anch’essi in aperta opposizione alla rigidità dell’Accademia. Il gruppo di artisti venne così chiamato per l’utilizzo di larghe pennellate di colori puri, con le quali dipingevano paesaggi che riproducessero il più possibile la reale percezione visiva dell’occhio umano. Boldini, una volta entrato in contatto con i Macchiaioli, tra cui Giovanni FattoriTelemaco Signorini e Silvestro Lega, si interessò alle nuove tecniche da loro esplorate, tuttavia a differenza loro preferì concentrarsi sulla ritrattistica, un genere che gli era da sempre congeniale. Iniziò così a produrre ritratti di numerosi amici e colleghi pittori, creandosi una fitta rete di contatti che lo aiutò molto nella sua attività. Infatti, presto entrò in contatto con numerose personalità aristocratiche che gravitavano a Firenze, in particolar modo nobili stranieri, che oltre a commissionargli diverse opere ben retribuite gli aprivano le porte delle loro collezioni private. La frequentazione più importante fu certamente quella con la famiglia Falconer, nobili inglesi che vivevano in una villa nei pressi di Pistoia. Boldini divenne l’amante di Isabella Falconer, che proprio in virtù di questa frequentazione gli commissionò numerosi lavori, e parallelamente coltivò una stretta amicizia con il marito. Questi lo volle con sé in un viaggio a Parigi nel 1867 per visitare l’Esposizione Universale, dove Boldini rimase colpito dalle opere di Edgar Degas. Il viaggio a Parigi instillò una nuova urgenza in Boldini: infatti, nonostante considerasse Firenze l’apice della cultura artistica, andando all’estero si rese conto che vi erano altre culture da esplorare, e l’Italia iniziò ad andargli sempre più stretta. Allora, iniziò a viaggiare instancabilmente per l’Europa, dapprima in Francia con Isabella Falconer e poi in seguito in Inghilterra, dopo aver accettato l’invito del nobile Cornwallis-West. Grazie alla sua protezione, Boldini entrò nelle frequentazioni della nobiltà inglese e anche qui venne molto richiesto per le sue abilità di ritrattista.Tuttavia, dopo poco tempo Boldini iniziò a preferire Parigi a Londra. La Francia, in quel periodo, si trovava agli albori della Terza Repubblica e Parigi in particolare assumeva i contorni di una città moderna, dinamica e ricca di spunti, tra caffè letterari, musei, circoli. Così, Boldini vi si trasferì definitivamente nel 1871. Da amante della vita mondana, Boldini volle stabilirsi nel quartiere di Montmartre ed iniziò a frequentare il Café de la Nouvelle Athènes, che si trovava proprio di fronte alla sua dimora. Qui erano soliti riunirsi gli artisti che poco dopo avrebbero dato vita al movimento impressionista. Frequentando il Café, Boldini incontrò e fece amicizia con Degas, colui che lo aveva colpito all’Esposizione Universale. In questo stesso periodo, tra il 1871 e il 1878, Boldini entrò nella cerchia del mercante d’arte Adolphe Goupil, che aveva riunito sotto la sua protezione diversi artisti innovativi tra i quali Giuseppe Palizzi e Giuseppe De Nittis. Grazie a questa collaborazione, Boldini non solo ottenne una certa stabilità economica, ma venne accolto nelle più importanti esposizioni e divenne l’artista di punta dei salotti parigini. Boldini, nonostante il forte legame con la capitale francese, non smise mai di viaggiare. Si recò nel 1876 nei Paesi Bassi, dove entrò in contatto con la pittura di Frans Hals, nel 1889 viaggiò in Spagna e in Egitto insieme all’amico Degas e infine nel 1897 espose alcune opere a New York. Con l’arrivo del XX secolo, Boldini tornò spesso in Italia per partecipare diverse volte alla Biennale di Venezia e ricevere l’onorificenza di grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Morì a Parigi l’11 gennaio del 1931, e le sue spoglie si trovano, dietro sua esplicita richiesta, nel cimitero monumentale della Certosa di Ferrara. Formatosi tramite lo studio delle opere risalenti al Quattrocento che il padre gli presentava a lezione, Giovanni Boldini sviluppò ulteriormente la sua arte grazie al contatto con i Macchiaioli, senza tuttavia aderire in pieno al loro gruppo. Rispetto a quelli dei macchiaioli, infatti, i dipinti di Boldini virano verso soluzioni di linee e colori molto più ardite e dinamiche. Inoltre, Boldini preferiva nettamente i ritratti ai dipinti di paesaggio. Si veda come riferimento il Ritratto di Giuseppe Abbati (1865), pittore che Boldini frequentava a Firenze. Egli non viene ritratto in una posa canonica, piuttosto Boldini dà l’idea di aver catturato il momento in cui l’amico è passato a trovarlo nel suo studio mentre si trovava nei paraggi, a passeggio con il suo cane (anch’esso nel dipinto). Anche lo spazio intorno ad Abbati risulta dinamico, addirittura è possibile notare come alcuni dipinti appesi al muro sul lato destro risultino sfocati. La tendenza di Boldini a preferire la ritrattistica fu inoltre alla base del suo distacco dagli Impressionisti, che frequentava a Parigi. Certamente alcuni influssi di Edgar Degas e dei compagni sembrano effettivamente aver toccato in qualche modo l’immaginario del pittore, che in questo periodo dipinge non solo ritratti ma anche scene di genere, si vedano ad esempio Le chiacchiere del 1873, oppure Lo strillone parigino (il giornalaio) del 1878. Singolari sono inoltre alcuni dipinti che si riferiscono al periodo in cui Boldini lavorava presso Goupil: il mercante d’arte chiedeva, infatti, ai suoi artisti di accontentare il gusto dei clienti, che amavano circondarsi di opere che riecheggiassero la pittura francese del Settecento. Le opere di questo periodo denotano dei cambiamenti di stile nella produzione di Boldini, soprattutto nella tavolozza di colori che si fa più chiara ed eterea. Ne è esempio Dame del primo impero (1875). Ma non appena finì la collaborazione con Goupil, Boldini esplorò tinte più scure, virate sui toni del rosso, del marrone, del nero. Importantissime in questa esplorazione furono i colori per l’appunto molto intensi e scuri delle opere di Frans Hals e Diego Velázquez. Boldini eseguì il ritratto di molte personalità importanti dell’epoca, tra cui lo scrittore Robert de Montesquiou (1897), la duchessa Consuelo Vanderbilt (1906) ma soprattutto Giuseppe Verdi (1886). Il ritratto del celebre compositore non fu di semplice realizzazione, infatti quella che conosciamo è la seconda versione dell’opera. La prima versione non convinse né Boldini né Verdi, per diversi motivi tra i quali la difficoltà di Boldini nel ritrarre un Verdi irrequieto che si intratteneva di continuo in conversazione con il suo assistente, così il pittore davanti alla situazione chiese a Verdi di concedergli una seconda possibilità. Ne venne fuori la versione che è passata alla storia e che è diventata di fatto l’immagine ufficiale di Verdi, il quale ne rimase molto impressionato. La potenza del ritratto di Verdi è data sicuramente dall’espressività del viso e dalla scelta oculata dei dettagli, dal cilindro che rappresenta lo status economico di alto livello del compositore alla sciarpa che ne simboleggia invece l’estro artistico. Nonostante il soggetto sia ripreso a mezzo busto ed incasellato in uno sfondo piatto, di colore grigio e senza alcun elemento, la raffigurazione non è per nulla statica ma. come nella tradizione dei ritratti di Boldini, vi è un certo dinamismo. Lo troviamo sia nella posizione in cui è ritratto Verdi, leggermente di lato, oppure nel tratto a pastello, che Boldini utilizza sapientemente in modo da sfumare alcuni dettagli e dare risalto ad altri, ma è evidente in particolar modo nel volto del protagonista. Colto in una particolarissima espressione come se stesse per parlare, gli occhi di Verdi risultano vivissimi e catturano lo sguardo di chi osserva il dipinto. Tornando alla produzione artistica di Boldini, è evidente come le protagoniste assolute dei suoi ritratti fossero le donne borghesi, rappresentate al massimo della loro femminilità e piene di personalità. Pennellate lunghe, verticali o sinuose delineano figure decisamente eteree, che indossano vestiti che sembrano muoversi e volteggiare leggeri nello spazio. L’ambientazione di questi ritratti è quasi sempre la stessa, ovvero una stanza al chiuso con un divano o un letto sui quali le protagoniste sono sedute o si appoggiano. I volti, a cui è affidato il centro focale della tela, vengono valorizzati da tratti decisi e ben delineati, e rivelano una vasta gamma di emozioni, dalla fragilità alla maliziosità, dalla risolutezza all’arguzia, conferendo quindi alla donna un ruolo “parlante”, con una voce unica ed autonoma. Boldini, nella rappresentazione femminile, si sofferma su alcuni dettagli ricorrenti, come il collo, la schiena, il profilo elegante, le spalle scoperte e scollature ardite, oppure sull’eleganza dell’abito quando è chiuso al collo o completato da un vistoso cappello. Tra i più raffinati ritratti femminili di Boldini ricordiamo Ritratto della principessa Marthe-Lucile Bibesco (1911), Marchesa Luisa Casati con piume di pavone (1913) e La donna in rosa (1916). Morì a Parigi 1931.  La mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque pone l’accento sulla capacità dell’artista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima. Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità. Dopo giorni di pose immobili, conversando e confessandosi, durante i quali il “fauno” poteva anche permettersi il lusso di perdere intenzionalmente tempo tracciando svogliatamente qualche segno sulle pagine di un taccuino per osservarle e comprenderle o abbozzare uno studio su una tavoletta, quando la confidenza era divenuta tale da addolcire gli sguardi e talvolta esplodere perfino nel pianto liberatorio e più spesso in atteggiamenti nevrotici o eccitati fino alla follia, ecco che solo allora scattava la scintilla predatoria dell’artista. Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo stato d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra, quando la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello successivo. Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e il suo stile, a un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste manifestate dagli alti ceti.
Il Percorso della mostra è suddiviso in sei sezioni : 
Prima sezione - Il viaggio da Ferrara a Firenze, verso Parigi
Nel 1863 ottenne 29.260 lire quale parte dell’eredità lasciata anni prima dal prozio paterno, somma che nel volgere di qualche mese (1864), gli consentì di lasciare per sempre Ferrara e raggiungere il principale centro culturale e artistico dell’epoca, Firenze, entrando in stretto contatto con i Macchiaioli e stringendo amicizie fondamentali come quella con Telemaco Signorini. Nell’indagare con attenzione le fasi iniziali dell’attività artistica del precocissimo Giovanni Boldini, ossia il periodo ferrarese compreso tra il 1857 e il 1864, si evidenzia anzitutto il controverso quanto pregnante rapporto che egli ebbe con il padre pittore Antonio. Il ventenne pittore ha modo di apprezzare il mutato clima politico e sociale, iniziato con l’annessione di Ferrara al nuovo stato sabaudo grazie ai risultati del Plebiscito del 1860. Gli esiti positivi si avvertono subito, grazie al nuovo fervore culturale e ad un rinnovato edonismo, nato in contrapposizione al mesto e stagnante clima penitenziale della dominazione papalina. Giovanni assorbe come una spugna tutto ciò, anche se questa aria di fermento lo investe soprattutto nel versante ludico e amoroso, vista la giovane età. Egli intreccia relazioni con alcune ragazze ferraresi, che talora ritrae (come nel romantico “La pensée”), frequenta feste e ritrovi, veste gli abiti del sarto Delfino Santi, il più ricercato della città, e si stacca sempre più dall’influsso del padre. Nel 1866 Boldini partecipò alla sua prima mostra collettiva, organizzata dalla “Società di incoraggiamento in Firenze”, con due quadri. Scrisse allora acutamente Telemaco Signorini che aveva evitato la convenzione di far risaltare su un fondo uniforme il volto dell’effigiato (come faceva a Ferrara Giovanni Pagliarini, il miglior ritrattista locale).
Seconda sezione - La Maison Goupil
Nell’ottobre del 1871, quando risiedeva a Firenze e terminati i viaggi che si alternarono fra Ferrara, la Francia e l’Inghilterra, Boldini si trasferì definitivamente a Parigi, abitando inizialmente nell’Avenue Frochot e poi a Place Pigalle con la modella e compagna Berthe e iniziando una stretta collaborazione con il potente mercante Goupil, conclusasi nel 1878. Subì il fascino abbagliante di Marià Fortuny i Marsal - prima di lui capofila dei pittori della Maison Goupil - e dei suoi orditi grafici traboccanti di luccichii. Vi vedeva definitivamente imboccata la strada di quel progresso tanto atteso e la provvidenziale opposizione al concetto di separazione fra l’opera e l’autore, chiamato dal verismo di Capuana a scomparire ed eclissarsi nel testo, tacendo le sue opinioni, affinché gli eventi si producessero in perfetta autonomia, trascritti quale fedele specchio moralistico della realtà. Il folklorismo spagnoleggiante di Fortuny aveva del resto influenzato anche quella stagione della pittura del Mezzogiorno d’Italia e così Michetti, nel Corpus Domini, spiegava senza incertezze le sue eloquenti iperboli cromatiche, traslate, anche nei timbri retorici, nel successivo gergo dannunziano. Boldini, dal canto suo, aveva invece in parte disattivato il prototipo fortunyano, mutuandone le accezioni peculiari, specialmente quelle ornative, trascrivendole però in un contesto lessicologico estremamente complesso e vario. Se ne svincolò più facilmente nei ritratti e questo fu possibile soprattutto grazie alla sua strabiliante padronanza tecnica, capace di ridurre nell’ombra perfino il geniale caposcuola catalano, con il quale, nei primissimi anni Settanta, si avvicendò quale pittore capofila della Maison Goupil. Gli echi del fortunysmo non risuonarono tuttavia a lungo nel modellato dell’artista e sullo scorcio degli anni Settanta quegli schemi descrittivi, fin lì di grande successo, furono completamente scompaginati dal definitivo crescendo della sua sensibilità dinamica. I luccicanti saloni dei fastosi palazzi patrizi entro i quali avevano conversato deliziosamente damine e marchesini svanirono per sempre dall’immaginario pittorico boldiniano, e con essi il gusto Impero e le certezze sociali nelle quali si era riconosciuta fino ad allora l’alta borghesia francese.
Terza sezione - La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i cafè chantant
Sulla rive droite della Senna, nella zona tra la collina di Montmartre e Place Pigalle – dove il peintre italien visse, al numero 11, fino al 1886 – si trovavano vere e proprie “case d’artista”. Sullo stile di vita bohémien e sul clima decadente delle piccole strade che correvano sconnesse fra gli slarghi e le vigne della vecchia provincia agricola, la sera si apriva lo scandaloso sipario del demi-monde, inondato dall’alcol e gremito di prostitute i cui clienti abituali erano gli stessi mariti ed “irreprensibili” capifamiglia della borghesi francese, che le disprezzavano di giorno. Gli ultimi ritratti di Berthe risalgono al 1878-80, anche se l’unione della modella con Boldini dovette durare, come testimoniano gli appunti di viaggio di Signorini, almeno fino al luglio 1881: «...alla locanda per aspettare Tivoli ed andare in campagna da Boldini. Arrivo a Chatou presso Bougival, visto Boldini e Berta...». Più o meno in questo periodo, evidentemente ma misteriosamente, si chiuse uno dei capitoli più felici della vita dell’artista. Così quella incantevole figura di ragazza, seducente e naturalmente aristocratica, la sua prima vera divina, dopo un intero decennio lasciava definitivamente il posto a Gabrielle, la sua rivale in amore, che già dal 1875 si incontrava in segreto con il celebre artista in una garconiere presa in affitto in rue Demours. Durante gli incontri segreti con la nobildonna, moglie del conte Costantin de Rasty, il pittore la ritrasse rappresentando una bellezza sensuale e misteriosa nella quale prevalgono l’ebbrezza della passionalità e una costante tensione psicologica, vissuta fra consapevolezza del pericolo e sopraffazione dei sensi: “È bella, è bruna, e ardente. Altolocata e ammogliata anche. Un’amica ricevuta nei migliori salotti, che sapeva tutto di tutti, adorabile pettegola, divertentemente sagace, di fronte alla quale la femminile esperienza e la sottile astuzia della povera Berthe erano divenute puerili attitudini quanto mai sprovvedute”. Trasportato dalle vertigini della passione, l’artista si era trovato quasi occasionalmente a spingere con foga, per la prima volta senza censure, su un pedale narrativo sfrenato, a lui sconosciuto, mediato soltanto dall’eleganza del filtro stilistico, quasi come se i propositi creativi e culturali posti in opera a termine degli appuntamenti clandestini potessero riscattare o restituire dignità a quella relazione fosca, fondata sul tradimento della compagna e del marito. Nella cosmopolita Ville Lumière dei café-chantant e degli Impressionisti fiorirono le aspirazioni di un’intera generazione di donne che incarnavano lo spirito stesso della modernità. Artiste, come le pittrici Berthe Morisot e Mary Cassatt o la scultrice Camille Claudel, ma anche scrittrici, attrici e cantanti o più semplicemente eccentriche protagoniste del loro tempo, vivevano con rinnovato senso d’indipendenza la propria condizione femminile.
Quarta sezione - Il “soffio vitale” nel ritratto ambientato
 L’inedito riversarsi a Parigi di centinaia di pittori, ognuno tormentato dalla permanente ossessiva necessità di individuare scorci, figure e soggetti originali, dette luogo a una sorta di “studio di massa” senza precedenti – al limite della psicoanalisi – dei luoghi, degli ambienti e delle attitudini di quell’umanità così eterogenea. Da esperto casanova, Boldini intratteneva in studio le sue modelle tentando di rompere l’etichetta attraverso pungenti boutades, apparentemente fuori luogo e, contando sull’effetto sorpresa, orchestrava conversazioni inaspettatamente confidenziali e provocatorie, sostanziate in frizzanti scambi di battute. Con estrema sfacciataggine, sollecitava facili risate, allentando così i freni inibitori e vincendo l’imbarazzo delle sue muse ispiratrici, psicologicamente turbate e obbligate a rispondergli a tono. In un susseguirsi di parafrasi e giochi di parole, confessava la sua ammirazione per loro. Se da un lato le attaccava dubitandone sfacciatamente l’integrità morale, proferendo domande e velate proposte normalmente irricevibili da una gran dama di nobili costumi, dall’altro, altrettanto maliziosamente, invocava la loro compassione lamentando la poca considerazione che avevano dell’artista e soprattutto dell’uomo. Di domanda in risposta le anime più fragili vacillavano, fornendo talvolta torrenziali confessioni sul loro stato di donne e mogli incomprese e insoddisfatte. Così “l’amico sensibile”, l’amateur di lungo corso, il grand maître peintre, lo stregone custode degli arcani segreti della bellezza e dello charme femminili, sussurrava loro qualche utile suggerimento per riaccendere il fuoco della perduta passione.
Quinta sezione - Il gusto fin de siècle
Possedeva un’allure particolare, avvolta da un’aura di mistero, e le sue reparties alimentavano il mito della donna irraggiungibile, caratterizzato dall’esprit des Guermantes. Le sue plateali sfuriate costituivano un monito di alterigia per il prossimo, la stessa che vive negli occhi e attraverso le posture perfettamente equilibrate e gli abiti di alta moda delle femmes divines di Boldini. La contessa Greffulhe, figlia di Joseph de Riquet de Caraman, principe di Chimay, e moglie del visconte Henry Greffulhe, erede di un impero finanziario e immobiliare, pianificava le proprie apparizioni con oculatezza, presentandosi in pubblico con elegantissimi e talvolta eccentrici abiti di tulle, garza, mussola e piume o con originalissimi kimono, con soprabiti di velluto a motivi orientaleggianti, firmati da Worth, Fortuny, Lanvin e Babani. Manifestazioni di estremizzato egocentrismo come quelle della contessa Greffulhe, pur fra molte critiche, godevano, tuttavia, di un plauso diffuso e costituivano la prolessi dell’emancipazione femminile in progressivo e incalzante divenire. Nel 1901 Boldini dipinse uno dei ritratti più iconici della sua carriera di artista, quello di Cléo de Mérode, la ballerina dell’Opéra di Parigi, famosa per la sua bellezza eterea. Figlia della baronessa Vincentia de Mérode e di un gentiluomo austriaco dell’alta società che non la riconobbe, Cléo era timida e introversa, estremamente differente dalla maggior parte delle sue compagne di fila, per natura della loro stessa professione, chiassose ed eccentriche. Era composta ed elegantissima, vestita negli abiti di Jacques Doucet. A volte, nei momenti di pausa dal ballo, se ne stava da sola a leggere un libro. Non amava il demi-monde, sebbene la sua popolarità infastidisse alcune grandi cortigiane come Liane de Pougy che, nel 1904, in un roman à clef intitolato Les Sensations de Mlle de La Bringue la ritrasse quale “Méo de la Clef: ... Cette demoiselle de La Clef personnifiait l’amour sans le faire...”. L’eccezionale fotogenia della piccola Cléo e le sue forme sensuali ma al contempo aggraziate fecero di lei un modello di bellezza estremamente emancipato, dal quale rimasero affascinati artisti del calibro di Gustav Klimt, Henri de Touloue-Lautrec, Edgar Degas e, naturalmente, Boldini, che ne restituì un’immagine di universale modernità ed eleganza.
Sesta sezione - Le nouveau siècle
L'artista ritraeva le sue donne un attimo prima che, sopraggiungendo l'autunno della vita, la loro bellezza appassisse per sempre, che le loro foglie di rose profumate cominciassero a cadere. A volte, come uno stregone, raccoglieva i fragili petali e con un gesto d'amore ricomponeva quei fiori appassiti restituendogli un attimo di eterna primavera. Ritraendo le sue donne, Boldini rappresentava un'epoca, la bella epoca, prima quella della sua giovinezza, quando Parigi felice e opulenta viveva l'ebbrezza del benessere economico e del progresso sociale e, poi, quella della senilità e della decadenza, quando il primo conflitto mondiale inibì la pubblicazione delle riviste di moda e il maestro si scoprì inesorabilmente vecchio. “…Milli subì il fascino misterioso di quel piccolo uomo dallo sguardo ipnotico che tante cose aveva da raccontare, di quell’anziano signore dai finissimi capelli biondi, dalla bocca fresca e dai grandi, vivaci occhi azzurri, lo ascoltava parlare per ore seduta sulle bergères sulle quali avevano posato, prima di lei, le divine muse del diabolico ritrattista, ora con la vista compromessa, riparato alla luce tiepida di quelle pareti, dalle quali come fantasmi, come stelle di un firmamento tramontato per sempre, spuntavano i volti traslucidi delle sue femmine e guardandoli si udivano le «...voci, voci di donne morte od invecchiate, voci di ammiratrici, di amiche, di amanti... Vous rappelez-vous, Boldini? Grida dal quadro da cui protende il busto opulento la bella madame J. de C. che sentimmo vecchia ripetere con desolata monotonia la domanda angosciosa che fa pensare al grido dei dannati ricordanti la vita... Vous rappelez-vous, Boldini?»”. Con avidità mefistofelica Boldini, per oltre sessant’anni, aveva fatto sfilare sulle sue sedute Impero le donne più avvenenti dell’alta società francese, immobili e intimidite sotto lo sguardo rapace e diretto del genio che – parafrasando artisticamente i loro dialoghi, riferendo di loro ciò che esse volevano più di ogni altra cosa tacere – le adulava e le invitava a esprimersi senza indecisioni, perché a un artista, come a un medico, si doveva confidare proprio tutto. Si inebriava con la fragranza del loro profumo ogni volta diverso e metabolizzava l’essenza delle loro personalità controverse per poi sferrare impietosamente il suo fendente con il pennello, riducendo a niente quel presupposto perbenismo che avevano voluto manifestare entrando per la prima volta nel suo studio.
Palazzo Mazzetti di Asti
Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque
dal 26 Novembre 2022 al 10 Aprile 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Lunedì Chiuso