Caravaggio e i pittori del Nord

 
È visitabile fino al 18 settembre Caravaggio and the Painters of the North, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. La mostra non ricalca il collaudato e verrebbe da dire spesso ripetitivo – e però sempre vincente a livello commerciale – format che prevede quadri di Caravaggio e caravaggeschi, ma ha il merito appunto di spostare l’attenzione dal maestro ai suoi seguaci e ammiratori nell’Europa del Nord, soprattutto olandesi, fiamminghi e francesi (e non da tutti considerati caravaggeschi in senso stretto); artisti che, in parte, prima di conoscere più direttamente in Italia la pittura tutta nuova del milanese vennero raggiunti dalla sua fama, presto propagata in quella parte del Vecchio Continente grazie al vivido profilo biografico tracciato da Karel van Mander nel suo Schilder-Boeck del 1604 (“c’è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose”, ne è l‘appassionante incipit). Tali artisti, sempre attenti alle novità, furono letteralmente scossi da quella caravaggesca, che apprezzavano per la tecnica di esecuzione dal vero e per l’anticlassicismo, tutti valori ai quali, per tradizione, si sentivano vicini.
La curatela della mostra è di Gert Jan van der Sman, che si presenta direttamente ai più alti livelli negli studi caravaggeschi con grande professionalità e rigore filologico, oltre che dando un bell’esempio di umiltà e operosità: è raro che un curatore firmi come in questo caso gran parte delle pagine del catalogo, tra saggi d’apertura e introduttivi alle singole sezioni, e quasi la metà delle schede.
53 i pezzi esposti, tutti pitture eccetto un sarcofago romano (la cui presenza inconsueta trova una giustificazione, a mio avviso non pienamente convincente, per la provenienza già dalla collezione Giustiniani e ora madrilena), tralasciando un bronzetto di Duquesnoy in realtà fuori catalogo. L’esposizione è scandita da sei sezioni, con la prima, Caravaggio a Roma, che sostanzialmente isola la produzione strettamente merisiana (o a lui attribuita): dieci capolavori che includono i Musici del Metropolitan, scelto come logo della manifestazione, la ‘residente’ e inamovibile Santa Caterina [fig. 1], il cui prestito ancorché previsto non fu poi concesso né alla mostra del Quarto Centenario alle Scuderie del Quirinale né alla successiva presso Sant’Ivo alla Sapienza, il San Francesco di Cremona, ora molto più leggibile grazie al fresco e felice restauro di Mariarita Signorini che ne ha restituito particolari quasi dimenticati (nodo del saio, chiodi del Crocifisso, foglie e tronco dell’albero, meglio riconoscibile come ulivo). Assente giustificata la concittadina Salomè, anch’essa appena restaurata, nella concomitante Da Caravaggio a Bernini presso Palacio Real (un’occasione in più per fare un salto a Madrid), mentre può far discutere l’inclusione nel corpus caravaggesco del Ragazzo che monda un frutto (recentemente identificato come limoncello), noto in molte versioni di cui qui si propone quella delle collezioni reali inglesi e che comunque è anche quella con più interessanti pentimenti. Il prestito più eccezionale, non fosse altro per la maggiore distanza della trasferta, deve forse considerarsi il San Giovanni Battista di Kansas City [fig. 2], qui ancora inevitabilmente collegato alla ricevuta di pagamento Costa del 1602, documento che però già in un articolo (link: https://news-art.it/news/caravaggio-quando-dipinse-la-giuditta-e-oloforne-.htm) apparso su questa rivista alla vigilia dell’inaugurazione della mostra, ponevo in relazione alla Giuditta e Oloferne (si veda pure cosa a tal proposito ha scritto ora Gianni Papi).

La seconda sezione, Primi ammiratori a Roma: Adam Elsheimer e Peter Paul Rubens, è, anche per dimensioni delle pitture, la più piccola tanto da essere logisticamente come di passaggio, tutta contenuta in una parete divisoria. Come comunque dichiarato fra le righe in catalogo, il legame con Merisi è da considerarsi qui più labile che altrove, sebbene sia stato spesso invocato da più parti e appurato che i due artisti furono appunto i primi grandi nordici a entrare in diretto contatto nell’Urbe con la pittura del milanese; ma al di là di tutto, e in particolare del disegno di Rubens realizzato di ritorno ad Anversa che prova ancora una volta quanto questi avesse intimamente recepito l’iconografia caravaggesca della Deposizione Vittrice, la sezione-parentesi rifulge per due preziosi oli su rame di Elsheimer, la Giuditta e Oloferne e Le tre Marie al Sepolcro.
Si passa alla successiva Artisti e amanti dell’arte:  quadri da stanza e quadri d’altare , introdotta dal telone di San Giovanni Battista di Régnier, da cui si evince che il franco-fiammingo dovette aver visto l’omonimo soggetto merisiano appartenuto a Ottavio Costa, incontrato nelle sale precedenti e qui ripreso per molti versi; il recente riconoscimento di una Giuditta e Oloferne di Vermiglio assai simile a quella di Palazzo Barberini, del resto, conferma come la collezione del banchiere genovese, per quanto assai geloso proprio dei quadri di Caravaggio di cui comunque circolano tuttora diverse copie coeve, non fosse poi inaccessibile ai pittori del tempo. A ogni modo la sezione – tenuta assieme anche dal fil rouge del ruolo giocato nell’ambiente artistico romano del tempo dai Giustiniani, che molto si interessarono ai pittori oltramontani – prosegue rivolgendo subito l’attenzione su Gherardo delle Notti, ben rappresentato da dipinti eccezionali come il Cristo nel Getsemani dall’Ermitage [fig. 3] e il Concerto degli Uffizi. Si segnala altresì la concessione di pala d’altare (di Dirck van Baburen) e di una lunetta (di David de Haen) dalla cappella Cussida di San Pietro in Montorio. E proprio qui e in questa sala, con accanto ai precedenti un Giusto Fiammingo, comincia a percepirsi qualche dejà-vu rispetto a grandi mostre del passato, in particolare da ultimo a Roma al tempo di Caravaggio che si tenne a Palazzo Venezia.
A tale considerazione, per quanto accessoria e comunque bilanciata dalla presenza di dipinti tra i meno itineranti o relativamente ‘nuovi’, contribuiranno alcuni prestiti degli ambienti successivi. Quello immediatamente seguente è dedicato a Hendrick ter Brugghen e la scuola di Utrecht, dove il citato autore la fa appunto da padrone – meritatamente, se può considerarsi primo ‘esportatore’ del caravaggismo nella sua terra natale, oltre che per la raffinatezza di alcune delle opere selezionate [fig. 4]. Ma poi torneranno i vari Baburen e Honthorst; difatti i temi scelti a guidare il percorso di visita risultano in parte permeabili l’un l’altro tant’è che, per quanto poi non nuoccia particolarmente, si nota pure qualche posizionamento fuori posto tra catalogo e allestimento: è il caso ad esempio del San Sebastiano del Thyssen, la cui paternità, per lo più divisa, anche storicamente, tra Rombouts, Baburen e de Haen, resta ancora una questione aperta.
L’unica sezione associata puntualmente a una nazionalità, per quanto tale definizione talvolta non sia poi così netta o agevolmente applicabile (specie tra francesi e fiamminghi: emblematico il caso di Régnier, che ritroviamo anche qui), è quella successiva dedicata ai Pittori francesi a Roma, attivi in città dal 1610 al 1630: naturalmente Valentin, cui sarà dedicata prossimamente una grande monografica tra Metropolitan e Louvre, Vouet, dove al di là di tutto risaltano le diverse rese pittoriche delle sue due opere presenti (la Madonna con il Bambino di Rotterdam non a caso attribuita in passato ad altro autore, e il Davide e Golia di Genova), Tournier, Vignon e il cosiddetto Pensionante del Saraceni, anch’esso presente con un paio di dipinti tenuti separati, nell’allestimento su cui forse, anche per quanto prima accennato, si sarebbe potuto ragionare di più (talvolta non se ne coglie troppo il senso: forse logistico-funzionale?).
In chiusura, L’ultimo Caravaggio e i suoi seguaci a Napoli e nel Meridione focalizza soprattutto su Finson e Stomer, ma vi è posto anche per un De Somer (un’Adorazione dei pastori che è un’altra delle tele di recente identificazione a beneficio del visitatore): tutti autori oggetto negli ultimi tempi di interessanti scoperte documentarie. Il rapporto del nativo di Bruges con il milanese, cui gli studi si stanno sempre più interessando, è ben esemplificato dalla copia marsigliese della Maddalena penitente – il cui prototipo (quale che sia, ora che è stata resa nota la versione promossa dalla Gregori), dovrà pur considerarsi realizzato nell’estremo periodo napoletano, piuttosto che nei feudi laziali dei Colonna; è comunque degna di nota, per genialità dell’invenzione, la rappresentazione de I quattro elementi. Come su nel caso di Vouet, per Stom non sono stati selezionati tutti e soli quadri immediatamente riconoscibili per stile come propri dell’autore – è il caso di un Davide e Golia di collezione privata –, quasi a invitare il generico visitatore a porsi criticamente davanti agli stessi e fare della rassegna un’occasione di personale crescita culturale. Finalmente poi qualcuno, il curatore, manifesta più apertamente talune riserve sull’autografia del Cavadenti di Palazzo Pitti, rompendo la consuetudine di lasciar compilare le schede delle attribuzioni più problematiche ai principali promotori delle stesse. In un ambiente a parte, il cerchio si chiude tornando a Caravaggio, di cui si ammira in solitaria il tragico Martirio di sant’Orsola.
Così termina l’esposizione, che non ha la pretesa di rappresentare tutta la pittura del Nord influenzata in qualche modo da Merisi (assenti scientemente Rombouts, Seghers, Bigot), ma ne offre un buon e nutrito campionario; peraltro, lo ribadiamo, l’appuntamento madrileno già nel titolo evita il riferimento diretto al caravaggismo, termine definito “potenzialmente ingannevole” (I pittori che oggi consideriamo caravaggisti non ambivano a imitare Caravaggio in tutto e per tutto scrive van der Sman, restio a ricorrere agli “ismi”). Vanno altresì riconosciti gli sforzi degli organizzatori nell’aver riunito una decina di tele del maestro (dodici, in ottica espansionistica). Inoltre grazie a questo evento nuove voci e riflessioni si aggiungono al dibattito critico su temi e opere, di cui poter tener conto negli studi futuri.
Per tornare e concludere sull’allestimento, ma questa vuol essere tutt’altro che una critica, la (mancata) occasione di esporre uno accanto all’altro la Santa Caterina e il Battista di Kansas City avrebbe potuto farne risaltare agli occhi del visitatore le molteplici analogie – principalmente dimensionali (le misure sono sorprendentemente identiche) e iconografico-compositive (in entrambi i casi un santo isolato a figura intera, sbilanciato su un lato, con un ruolo importante rivestito dai panneggi e gli attributi della spada, della palma e della croce a misurare la profondità dello spazio) – tanto da far quasi sospettare che, sia pur a distanza di tempo, l’uno sia stato ideato a partire dall’altro (su desiderio del committente?). Lungi tuttavia dal pensare a due ideali pendant, nonostante le illuminazioni speculari come a provenire da una stessa fonte di luce situata nel mezzo (e l’illuminazione da destra, della Santa Caterina che però cronologicamente viene prima, è comunque una rarità in Caravaggio). Chiaramente è una semplice suggestione, ma che sarebbe stato stimolante ricreare in concreto; in ogni caso qualcosa di simile avviene in mostra con le vicine collocazioni del Battista e del San Francesco (il cui scarto dimensionale, peraltro, è invece qui sensibile).
Il catalogo, ben curato nella veste editoriale e disponibile sia in spagnolo che in inglese, contiene saggi di Francesca Cappelletti, Giovanna Capitelli, Annick Lemoine e Marije Osnabrugge oltre che di van der Sman, che bene inquadrano il contesto storico-artistico, e la biografia di Dolores Delgado (che della mostra è curatore tecnico), (già) passibile di qualche lieve revisione e aggiornamento, cosa che del resto sembra spesso non potersi evitare quando si legge di Caravaggio.
Varie iniziative arricchiscono l’offerta culturale legata all’evento espositivo, nell’impeccabile organizzazione generale che è anche uno dei punti di forza dell’istituzione museale ospitante. Il 30 giugno si è svolta una riuscitissima giornata di studi, tanto da registrare il tutto esaurito nonostante l’ingresso a pagamento (lo si evidenzia per chi ricorda, per fare un parallelo caravaggesco, la giornata sul Sant’Agostino a Roma nel 2011, che non ebbe lo stesso seguito nonostante l’ingresso libero). Senza portare in anteprima grandi novità personali davanti a un pubblico più generalista che di addetti al settore, relatori come Maria Cristina Terzaghi, Antonio Ernesto Denunzio e Tania de Nile hanno illustrato, in forma divulgativa ma particolareggiata e facendo tesoro delle più recenti acquisizioni, temi quali i periodi romano e napoletani di Caravaggio, o la comicità e la provocazione nelle “pitture ridicole” del Seicento romano.
 
7 / 8 / 2016                     Michele Cuppone
 
Didascalie:
Fig. 1 Caravaggio, Santa Caterina d’Alessandria, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, 1598-1599 circa.
Fig. 2 Caravaggio, San Giovanni Battista, Kansas City, The Nelson-Atkins Museum, 1604 circa.
Fig. 3 Gerrit van Honthorst, Cristo nel Getsemani, San Pietroburgo, The State Hermitage Museum, 1615-1616.
Fig. 4 Hendrick ter Bruggen, Flautista, Kassel, Gëmaldegalerie Alte Meister, 1621.
 
 
 
Caravaggio and the Painters of the North
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
Dal 21 giugno al 18 settembre 2016
Maggiori informazioni: www.museothyssen.org