“Abbiamo coinvolto le università oltre che l’Accademia di San Luca - ci spiega la Prosperi Valenti Rodinò - e la grande presenza di pubblico, oltre che riempirci di soddisfazione, ci fa riflettere sull’importanza di questi eventi e su come si potrebbe intervenire per qualificare al meglio il nostro grande patrimonio artistico”.
D. Certo, è stato determinante anche il livello altamente qualitativo degli intervenuti e le novità che sono emerse.
R. Abbiamo voluto presentare Maratti come una sorta di manager: egli è stato in effetti un grande comunicatore, si potrebbe quasi dire che studiasse a tavolino la strategia per diffondere nel modo più efficace la propria immagine, ad esempio accaparrandosi tutti i migliori incisori italiani e francesi attivi in quegli anni, per poter trasmettere ovunque possibile le sue composizioni attraverso le stampe di traduzione.
Fu anche fortunato in un certo senso, favorito dalla scomparsa, in quel torno di anni, dei due leader assoluti in campo artistico attivi a Roma, Pietro da Cortona e Bernini.
D. Quanto deve Maratti al suo maestro Andrea Sacchi?
R. Certo da principio i due sono abbastanza vicini, in special modo nei disegni. Come ha spiegato bene Anna Sutherland Harris nella sua relazione, i disegni del Sacchi maturo rivestono un’importanza particolare, e certamente quello è un punto di partenza essenziale per inquadrare Maratti. Devo confessare, peraltro, che un cambiamento di attribuzione di un disegno proposto dalla Sutherland da Sacchi a Maratti giovane mi ha lasciato un po' interdetta. In ogni caso meno evidente è il collegamento tra i due nel campo più proprio della pittura, eccetto ovviamente la pala di Nocera Umbra dove Maratti è assolutamente sacchiano. Ma questo si capisce facilmente: era giovane, veniva da Camerano, cioè dalla provincia anconetana, aveva appena assimilato quel linguaggio e non poteva che riproporlo.
D. E il rapporto di Maratti con i suoi competitori del tempo? In vari interventi si è parlato parecchio dell’influenza di Gaulli, ad esempio.
R. In effetti è emerso bene dal convegno che, sebbene Gaulli fosse probabilmente superiore sotto il puro profilo della qualità pittorica, comunque Maratti lo ha surclassato sotto il profilo della carriera. Lo stesso vale per Giacinto Brandi che era molto in auge allora, forse perfino più ricco di lui e capace di accaparrarsi numerose prestigiose commissioni; eppure Maratti anche qui ha avuto il sopravvento.
Quali sono le ragioni di tanto successo? Maratti aveva dalla sua le istituzioni, era legato all’Accademia, e questa in estrema sintesi lo rese vincente. Sapeva proporsi molto meglio degli altri e capì che occorreva collegarsi strettamente agli intellettuali: il suo principale interlocutore e referente fu infatti Bellori, emblema dell’intellettuale seicentesco.
D. Sul confronto con Gaulli ha insistito molto Anna lo Bianco nel suo intervento, ed anche sul rilievo che ebbe per Maratti la scultura del tempo.
R. E’ così. Maratti certamente ha guardato con attenzione la produzione di Gaulli; del resto egli sapeva bene dov’era e cos’era la qualità, sapeva riconoscerla, ed è vero che Gaulli come pittore esibiva una fattura più sciolta. Maratti era un tipo di artista più meditativo, capace di una maggiore riflessività. Ciò vale anche per la scultura del tempo, che egli studiò sicuramente: le sculture, del resto, riscuotevano, per così dire, l’approvazione di Bellori.
D. Il ruolo di Bellori per la ascesa di Maratti fu dunque determinante.
R. Assolutamente! Bellori è stato di una faziosità pazzesca. Pensiamo solo a cosa diceva di Velasquez, quasi nemmeno lo cita; lo chiamava “quel pittore di ritratti…,” e solo tra le righe nomina Rubens o Van Dyck. Oggi diremmo che Bellori - personaggio scontroso, completamente immerso nel suo ruolo di intellettuale - fu una sorta di ‘radical chic’. Del resto basta guardare il contesto: la Spagna, che dominava in Italia, era l’immagine del potere reazionario, della conservazione; invece la Francia trasmetteva un’immagine diversa, oggi diremmo più progressista; questo forse può spiegare il perché di certi giudizi.
D. L’intervento di Silvia Ginsburg è stato molto penetrante, sollevando il problema sull’enigma, che ancora permane, in relazione al lungo apprendistato presso la bottega di Andrea Sacchi, che in effetti, non è l’unico punto ancora da chiarire.
R. E’ esatto. Quando ho contattato Silvia Ginzburg per affidarle questo tema mi era parsa un po’ incerta, invece ha svolto una relazione affascinante. Quanto ai casi sollevati, tutti aspettiamo da tanto tempo che Stella Rudolph finalmente porti a compimento il lavoro complessivo sulla vita e le opere di Carlo Maratti, e credo che il brillante esito di questo convegno possa darle un impulso in questo senso. Tra l’altro c’è il rischio che venga scavalcata, com’è accaduto a Schleier per Lanfranco. Basta pensare alla mostra ancora in corso ad Osimo, per la quale non è stata contattata, a dimostrazione che poi le iniziative vanno avanti e le cose si muovono.
D. E’ stato difficile organizzare il convegno, mettere insieme tanti studiosi italiani e stranieri così prestigiosi?
R. No, al contrario: abbiamo avuto una lunga lista di studiosi interessati ad intervenire. Per questioni di budget abbiamo cercato di ridurre al minimo indispensabile l’apporto degli stranieri: mi sono impegnata personalmente per ottenere sostegni economici e garantire l’ospitalità. Poi ci siamo messe a tavolino, Liliana Borroero ed io, ed abbiamo cercato di organizzare al meglio le partecipazioni; avendo a disposizione la splendida ‘Sala della Clemenza’ di Palazzo Altieri abbiamo concentrato lì il tema ‘Maratti e l’Europa’ , mentre alla Accademia di san Luca si è svolto il tema di Maratti come espressione dell’Accademia , dell’Arcadia etc.
Devo dire che nella giornata ‘europea’ è mancata la presenza della Mena Marques del Prado (poi efficacemente sostituita), ma soprattutto è venuto meno il contributo di Wolfgang Prohaska, purtroppo malato, che avrebbe approfondito il rapporto di Maratti con gli Asburgo, i quali, come è noto, furono suoi committenti. Tuttavia la giornata è stata arricchita dal contributo di Ursula Fischer Pace, che ha dato un taglio molto intelligente al suo intervento. Per l’altro aspetto, quello trattato negli interventi all’Accademia di san Luca, sono emersi efficacemente i riferimenti culturali e ideali di Carlo Maratti, quanto l’artista fosse colto, collegato a Bellori, e promotore di grandi iniziative: aveva capito che non doveva rimanere legato al “semplice” ruolo di artista (al quale Gaulli è sempre rimasto saldamente ancorato) ed è stato efficacissimo nell’opera di autopromozione.
D. Eppure, ciò nonostante, dalla fine del ‘700 è scattata per Carlo Maratti una specie di damnatio memoriae, come alcuni interventi non hanno mancato di rilevare.
R. E’ esatto. E tuttavia la sua opera, la sua vicenda di artista, è stata così determinante, e così grande il suo rilievo internazionale, che questa ‘dannazione’ non poteva durare. Speriamo che questo convegno, e anche - auguriamoci - la pubblicazione della Rudolph, ne rafforzino ulteriormente la considerazione e l’apprezzamento odierni.
Pietro Di Loreto, 15/11/2013
Simonetta Prosperi Valenti Rodinò è Professore Ordinario di Storia dell'Arte Moderna presso l'Università di Roma Tor Vergata. E' studiosa di livello internazionale del disegno italiano dei secoli XVI e XVII, soprattutto della scuola fiorentina e romana, nonché di storia del collezionismo. Ha curato numerosi cataloghi di esposizioni di disegni dell'
Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e del
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, tra i quali
Pietro da Cortona e il disegno (Roma 1997).