di
Laura GIGLIOTTI
Quando si ha la fortuna d’incontrare l’artista
Guido Strazza non si può parlare solo d’arte. Non ci si può chiudere entro gli steccati della critica di fronte a un personaggio che ha partecipato alla temperie futurista, che è stato cittadino del mondo, che ha avuto contatti con grandi pittori e grandi mecenati.
Toscano per caso, nasce nel ’22 ai piedi dell’
Amiata da padre lombardo e madre sarda, giovanissimo mostra interesse per il disegno e la pittura e conosce
Filippo Tommaso Marinetti. L’incontro chiave che segna la sua vita artistica. Lo andava a trovare in
piazza Adriana in una casa strapiena di libri e riviste. Da lui sa di
Prampolini, Boccioni, Balla, Russolo, dell’arte ma anche della poesia e della musica futurista. Dai lui ha la prima idea del segno come traccia di velocità e di tensione. “Un segno che non serve per contornare una cosa, ma che in sé è energia”. Marinetti lo invita a partecipare alle
mostre di Aeropittura a
Palazzo Braschi e alla
Biennale di Venezia. Nel frattempo studia da ingegnere a
San Pietro in Vincoli e appena laureato viene assunto alla Sogene, dividendo il suo tempo fra pittura e lavoro. Un compromesso di breve durata perché contro il parere della famiglia abbandona la professione e nel ‘48 parte. Non va a Parigi in cerca della fama, ma con una nave da carico norvegese s’imbarca per il Perù. Incaricato di fare delle rilevazioni topografiche percorre per sei mesi l’interno del paese a cavallo, da solo. Tornato a Lima incontra architetti,

scultori, pittori e riesce a dedicarsi all’arte, ad esporre in gallerie e musei. Alla
Biennale di San Paolo del ’53 vede le opere dei
Futuristi di cui aveva sentito parlare e di
Picasso, Mondrian. E proprio nello stesso anno a
Rio de Janeiro incide le sue prime lastre.
Dopo sei anni di Sud America, dove tutto assume dimensioni enormi, nel ’54 torna in Italia. Dapprima è a Venezia dove entra in contatto con gli artisti che fanno capo alla
Galleria del Cavallino di
Carlo Cardazzo, Santomaso, il giovane
Tancredi, Vedova di cui
Strazza ricorda la grande disponibilità.
Tra i suoi estimatori ci sono
Giuseppe Marchiori, Umbro Apollonio e
Peggy Guggenheim che acquista i primi quadri. Da Venezia a Milano dove grazie a
Cardazzo riesce ad avere in subaffitto lo studio di
Capogrossi. E qui espone alla
Galleria del Naviglio, mentre
Fontana lo aiuta procurandogli lavori come arredatore e disegnatore di stoffe. Anni importanti, di piena formazione, quelli a cavallo del Sessanta, comincia a esporre in grandi mostre all’estero, a New York, a Colonia, è invitato alla
Quadriennale di Roma. Nel ’60 un viaggio in Olanda (il paese di
Ille con cui si sposa nel ’62 a Milano), i cui paesaggi immortala in una serie d’incisioni di grande intensità formale. Infine nel ‘64 il trasferimento a Roma, la città che non ha mai lasciato.


Lo studio attuale è in un vecchio monastero accanto alla
chiesetta di Santa Maria in Cappella, dei
Doria Pamphili, in
Trastevere dove ha sempre lavorato. E qui come un “
operaio in rapporto col pensiero e le cose” è presente ogni giorno. Un’attività creativa non disgiunta da quella didattica. E’ chiamato da
Enrico Crispolti a insegnare nella
Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte, ma soprattutto si ricorda la sua presenza alla
Calcografia Nazionale dal ‘64 al ‘67 quando
Maurizio Calvesi apre i laboratori dell’Istituto agli artisti. Sono anni di soddisfazioni. Poi con
Carlo Bertelli, “
uno straordinario compagno di strada”, è di nuovo alla
Calcografia dove non istituisce un corso d’incisione ma dirige un gruppo di ricerca sul “farsi del segno”, mettendo insieme incisori provetti e principianti a confronto con le incisioni e le lastre dei maestri conservate in Calcografia. E nasce il libro “
Il gesto e il segno” edito da
Scheiviller. Quindi insegna all
’Accademia de L’Aquila, diventa
direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma e s’inventa una specie di
Erasmus, con scambio di studenti e insegnanti con Spagna, Francia e Belgio.
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La figura slanciata, i capelli folti e bianchi, lo sguardo ironico ma sorridente, il passo sicuro
Guido Strazza, novantaquattro anni compiuti, partecipa con signorile discrezione e pudore alla festa che la
Galleria Nazionale d’Arte Moderna gli ha preparato. La mostra antologica curata da
Giuseppe Appella intitolata
“Ricercare” (una modalità di operare che gli è connaturale), ripercorre la sua vita, senza alcun legame con movimenti e scuole, e mezzo secolo di storia dell’arte italiana. Un riconoscimento doveroso al suo impegno creativo, il coronamento di un’attività che soprattutto dell’incisione non ha eguali in Italia. Un artista che ha avuto prestigiosi riconoscimenti, la presidenza dell
’Accademia di San Luca, il
premio Feltrinelli dei
Lincei, sale personali alla
Biennale di Venezia, opere presenti in musei e gallerie, dai
Vaticani agli
Uffizi.
La rassegna, in programma fino al 26 marzo, presenta in un percorso ordinato cronologicamente
170 opere circa, fra dipinti (56), disegni (42)

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, incisioni (31) e sculture (3), che scandiscono la vicenda creativa di
Strazza, dal 1942 al 2016. In mostra da segnalare in particolare la serie di incisioni a tema realizzate con tutte le tecniche fra cui spiccano
“Orizzonti olandesi” (1960-1974) e i “
Segni di Roma” ( “Colonne”, “Segni e trame”, “Cosmate”). “
Quando lavoravo sul segno mi sono reso conto che i segni dei sampietrini, delle colonne, i segni di Roma sono una miniera senza fine. Sono tornato nelle basiliche romaniche. Quei pavimenti incredibili non hanno solo la bellezza della loro coloritura, della loro geometria, ma sono delle combinazioni in infiniti modi di un elemento primo. Questa ricchezza così contraddittoria è come la parola rivolta a Dio, una preghiera”, ebbe a dire.
Giunto a Roma dunque sembra
“voler continuare il sogno di Piranesi – dice
Appella –
accampa il suo lavoro non per animare le rovine ma per estrarre i segni incancellabili, nonostante tutto, di quella Roma antica e moderna con la quale continua a fare i conti anche la nuova Europa”.


Dalle matite su carta “
Il decollo”,
“Combattimento”,
“Volo notturno” del ’42 che rivelano la sua passione per il volo (prese il brevetto da pilota a 19 anni), così vicine alla poetica futuriste, alla imponente tempera su tela del ’92 “
Grande aura”, a certe tempere e collage degli ultimi anni, sempre c’è l’artista alla ricerca di nuove frontiere da esplorare, come la luce e il colore. “
Una ricerca non solipsistica sebbene solitaria, nutrita assai più di sentimenti e di meditazione che non di fatti che da sempre ha conferito alla sua pittura un’impronta evocativa, intensamente lirica, marcatamente antinarrativa”, scrive
Lorenza Trucchi (coetanea e amica del Maestro) nel bel catalogo che accoglie fra gli altri i testi di
Antonio Pinelli e
Tullio Gregory.
A proposito di
Strazza è lecito parlare di bellezza come “santità”, così la definisce l’artista nel suo personale
“Dizionario. Lessico del pittore – Pensieri minimi”. Bellezza che è prima di tutto “
grazia, presenza infinita dal tocco quasi inafferrabile, riconoscibile appena”. A ricordarlo è
Cristiana Collu che come direttrice della
Galleria Nazionale ha avuto la ventura d’incontrarlo. In quell’occasione le ha detto semplicemente che avrebbe donato un cospicuo numero di opere alla
Galleria, senza porre alcuna condizione. Un atto di liberalità puro e disinteressato. “
Non un fondo di studio, ma quadri selezionati da lui personalmente, le sue opere migliori che ci consentono di rileggere il suo cammino dall’avventura del Futurismo alla realtà di oggi”, precisa
Appella.
Una liberalità che si è già manifestata con il dono del suo atelier calcografico completo di torchio al Museo Internazionale della Grafica (MIG) in Lucania e col lascito di 1350 lastre alla
Calcografia Nazionale che pubblicherà il catalogo delle sue incisioni.
di
Laura GIGLIOTTI
Galleria Nazionale d’aArte Moderna e Contemporanea, Viale delle Belle Arti, 131 Roma. Orario: dal martedì alla domenica ore 8.30 – 19.30, fino al 26 marzo 2017. Informazioni: tel. 06-32298221 e www.lagallerianazionale.com