Novembre 1936: il mistero
di un dono

la singolare storia del Ritratto del Barone Aloisi
di Walter Richard Sickert

 di Mario URSINO

Nel novembre del 1936, il Ministro dell’Educazione Nazionale, il conte De Vecchi, comunica al Direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di aver accettato la donazione di un dipinto di Sickert, noto artista inglese contemporaneo e Presidente della “Royal Society of British Artists”; il Ministro precisa inoltre che il Ritratto sarebbe stato consegnato “direttamente dal Ministero degli Affari Esteri” al Museo.1

Decisamente sorpreso per questa inconsueta prassi, il Direttore della Galleria, Roberto Papini (1883-1957), si mostrò piuttosto contrariato della acquisizione, tanto che in una nota inviata al Ministero, nel tentativo di respingere il dono, definì l'opera “una pittura meno che mediocre con accenti caricaturali. Il suo valore non è maggiore di quello di un bozzetto arbitrariamente ingrandito. L’esposizione di tale opera nella Galleria non gioverebbe certo né alla fama del pittore donatore né a quella dell’arte inglese contemporanea2.
Tuttavia il Ministro ribadì l’ordine, invitando il Direttore ad esporre il dipinto3; Papini prontamente  obbedì4, dette al quadro il numero di inventario e ne siglò il valore in lire cinquecento 5: egli dovette comprendere, infatti, che vi erano ragioni politiche e simboliche per accettare questa donazione, ma risulta altrettanto chiaro dalle sue parole che non conosceva abbastanza (o non comprendeva) la pittura di Walter Richard Sickert, considerato in Inghilterra, negli anni Trenta, il maggior artista vivente. Del resto l’insolito donativo aveva già suscitato, nel luglio del 1936, l’interesse della stampa (sia italiana che inglese) che, nel darne notizia, aveva pubblicato la lettera di ringraziamento inviata all’artista dall’allora ambasciatore italiano a Londra, Dino Grandi (1895-1988), anche a nome del Ministro dell’Educazione Nazionale. La notizia si concludeva con la dichiarazione di Sickert che confermava “di avere dipinto il quadro raffigurante il barone Aloisi con la ferma intenzione di offrirlo a una galleria italiana”6. E sempre nel luglio del 1936 il Ritratto risultava esposto per la prima volta in una importante galleria londinese7 in una mostra di opere recenti di Sickert, di cui si occupò anche la stampa italiana8. Contemporaneamente Sickert partecipava alla XX Biennale di Venezia con due dipinti 9.

Dunque Sickert non era proprio ignoto al pubblico italiano, tenuto conto anche del fatto che egli aveva soggiornato a più riprese, nel primo decennio del secolo, a Venezia, realizzandovi numerosi dipinti e vedute (scorci) della città lagunare, e avendo partecipato a ben sette Biennali.
Ma perché Sickert fece dono allo Stato Italiano del Ritratto del Barone Aloisi? Perché non lo regalò allo stesso effigiato, che in quel momento era all’apice della notorietà internazionale, essendo stato uno dei maggiori diplomatici italiani che a Ginevra, presso la Società delle Nazioni, aveva cercato fino all’ultimo di risolvere pacificamente la controversia italo-etiopica?
Inoltre, il barone Aloisi conosceva il pittore Sickert, essendo egli stesso un intenditore d’arte ? Infatti aveva pubblicato un volume sull’arte giapponese, Ars Nipponica, mentre era ambasciatore d’Italia a Tokyo nel 1928.
E perché fu Dino Grandi da Londra ad essere il tramite del singolare donativo allo Stato Italiano?

Sono tutte domande, queste, alle quali ancora oggi è difficile rispondere, tanto che persino gli studiosi inglesi, esperti dell’arte di Sickert, non hanno saputo dare una spiegazione nell’importante retrospettiva dell’artista tenutasi a Londra alla “Royal Academy of Arts” nel 1992; nella scheda dedicata al Ritratto si legge: “Sickert’s motives for painting this portrait of Aloisi are unrecorded, and there are no accounts of his views on international politics.”10  (Nel 2000, mentre studiavo questo ritratto, mi misi in contatto con il nipote, l’allora ambasciatore italiano al Cairo, Francesco Aloisi De Larderel, per sapere se suo nonno avesse mai incontrato Sickert; ma gli stessi famigliari non avevano alcuna documentazione al riguardo).
Resta comunque il fatto che si tratta di un gesto di grande amicizia di un artista inglese per l’Italia e un omaggio rivolto ad un pubblico personaggio politico che si adoperava vigorosamente nel consesso internazionale per il mantenimento della pace in Europa e nel mondo.

Chi era Walter Richard Sickert

La formazione artistica di Walter Richard Sickert (1860-1942) avviene a Londra frequentando la Slade School e lo studio di James Abbot McNeill Whistler (1834-1903); successivamente, nel 1883, si recò a Parigi con   due  lettere di   presentazione del suo maestro, una per Degas e un’altra per Manet. L’artista ebbe così diretta conoscenza della pittura impressionista e ne fu grandemente influenzato, soprattutto da Degas con il quale stabilì un duraturo rapporto di amicizia. In questo modo la Francia diventa fondamentale per la sua ricerca, allontanandolo dall’estetica conservatrice britannica e quindi dallo stesso Whistler.
Non per questo, però, Sickert può essere definito impressionista o post-impressionista, poiché egli elabora un linguaggio tanto personale quanto originale per la moderna e realista scuola inglese. La lezione di Parigi, infatti, tendeva alla realizzazione del bello e della luminosità, alla gradevolezza della percezione ottica, mentre Sickert fa uso della frammentazione del colore per registrare brani di esistenza drammatici e narrativi; dipinge con tocchi corrosi inusuali squarci di interni (spesso teatrali: egli è stato anche attore ed ha avuto continue frequentazioni con l’ambiente di teatro)11, angoli di città, figure e nudi colti nel loro intimo abbandono. Una pittura, dunque, densa di un naturalissimo substrato letterario affine alle tematiche degli intellettuali del celebre Gruppo di Bloomsbury, tanto che Virginia Woolf così ebbe a scrivere di lui nel 1934: “Sickert è un grande biografo. Quando ha di fronte un uomo o una donna vede su quei volti le impronte della loro intera esistenza.”12 Un modo perciò di osservare la realtà certamente in controtendenza rispetto alla piacevolezza della pittura post-impressionisrta (Bonnard, Vuillard), dalla quale pure aveva attinto l’originale tecnica espressiva. Ed è questa connotazione esistenziale della sua arte che lo pone alle origini (si veda il suo Modern Realism in Painting, 1892) della scuola inglese novecentesca che si esprimerà nelle opere di Frank Auerbach, Lucien Freud, Francis Bacon, e persino in taluni ritratti di Graham Sutherland, tutti autori oggi molto noti, anche più del loro originario maestro.

In Italia, purtroppo, ancora oggi Walter Richard Sickert è quasi uno sconosciuto, anche nello stretto ambito specialistico. Pochissima la critica italiana che si è occupata di lui: Roberto Tassi (1965), Francesco Arcangeli (1967), Bruno Toscano (1976), Claudio Zambianchi (1986). La grande retrospettiva dell’artista del 1992 a Londra, ebbe in Italia appena due-tre articoli di stampa. Eppure Sickert non sarebbe dovuto essere completamente sconosciuto, perché, anche se in anni lontani, alcune sue opere vennero esposte in importanti manifestazioni italiane: dalle numerose Biennali Veneziane alla mostra Esposizione d’Arte contemporanea inglese tenutasi a Roma nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1945, a cura del British Council di Londra.13
Del suo rapporto con l’Italia, si è già accennato: egli fu una prima volta a Venezia nel 1895 (v. St. Mark’s Venice, Interior of St. Mark’s, Façade of St. Mark’s, Venice Church) e successivamente nel 1901 (v. Bridge of Sighs, The Horses of St. Mark’s), e ancora nel 1903-6, con la serie dei numerosi interni con figure, volti, prostitute derelitte, che restituisce pittoricamente in tutta la loro abrasa opacità esistenziale.
Questi temi Sickert li svolge nel corso di tutta la sua attività artistica, nella ridente cittadina francese Dieppe sulla Manica, dove amava passare le vacanze, e a Londra negli ambienti di Camden Town e Fitzroy Street, aggregando molti giovani artisti per dar vita ad un attivo Gruppo Londinese sin dal 1913.
 
 

Ritrattistica illustre

Particolare significato ha poi, ai fini della nostra indagine sul Ritratto del Barone Aloisi, un gruppo di dipinti raffiguranti personaggi celebri della società inglese negli Anni Trenta.
Anche precedentemente Sickert aveva praticato il ritratto, dapprima sul modello di Whistler e di Degas, per amici e collezionisti, in formato consueto e senza attribuire loro particolare significato; viceversa, verso la metà degli anni Trenta ebbe un’importante commissione dal facoltoso Sir James Dunn (1875-1956), Presidente della Algoma Steel Corporation, intenditore di arte e collezionista, che gli chiese un serie di ritratti (tre per se stesso) dei personaggi più in vista di quel tempo, ma effigiati in scala monumentale, o come dicono gli inglesi, life-size portrait, come nel caso del Lord Beaverbrook, 1934-35, cm 176,2 x 107,2, un magnate dell’editoria britannica e proprietario del “Daily Express”, o del Viscount Castlerosse, 1935, cm 202 x 70,2, noto editorialista della stampa inglese tra le due guerre e ancora quello di H.M. King Edward VIII, cm 183,5 x 92,5, tratto da un’istantanea mentre il sovrano si reca ad una cerimonia nella divisa di Capo delle Guardie del Galles.14

Le figure, strette solitamente in un alto spazio verticale, sono quasi sempre riprese dal basso per esaltarne l’effetto monumentale che Sickert componeva senza bisogno del soggetto in posa, poiché lavorava da una foto della persona prescelta.
L’uso della fotografia era da tempo una pratica molto diffusa tra gli artisti (come già in Degas e Manet), ma il maestro inglese, per i ritratti in questione, fa cadere la sua scelta prevalentemente su immagini notissime (ready-made) tratte dalla stampa popolare (un grande anticipo su ciò che in maniera diversa farà Warhol dalla metà degli anni Sessanta agli Ottanta), ingrandendoli però col sistema classico della “quadrellatura”, così come gli artisti del Rinascimento facevano dal disegno.
L’assumere quindi il modello da una foto, da un disegno o da una stampa era anche un modo di reagire all’impressionismo e al naturalismo; del resto anche Manet aveva dipinto Le déjeuner sur l’herbe da una stampa cinquecentesca.15
E così l’artista realizza il Ritratto del Barone Aloisi, 1936, cm 202 x 75, con questa singolare tecnica, anche se quest’ultima opera non rientrava nella commissione di Sir James Dunn.
Sickert trasse l’immagine del diplomatico da una foto giornalistica (non sappiamo se inglese o italiana), ma proporrei qui, tra le diverse foto dell’ambasciatore Aloisi trovate sul famoso periodico “L’Illustrazione Italiana”, quella pubblicata il 25 agosto del 1935, mentre il barone saluta il Ministro degli esteri inglese, Anthony Eden (1897-1977), al termine delle trattative fallite sulla crisi italo-etiopica. Sickert dovette comprendere l’amarezza del diplomatico italiano, molto stimato dagli inglesi, che nulla poté contro la ferma decisione del governo fascista di risolvere la questione con l’intervento armato in Abissinia.
Nel dipinto il barone Aloisi giganteggia con tutta la sua persona (life-size) sullo sfondo di Venezia (la città amata da Sickert); si tratta forse del ponte di Rialto appena intravisto con barche e gondole, ripreso da un precedente disegno dell’artista e trasferito sulla tela col sistema della “quadrellatura”, di cui il pittore lascia intravedere originalmente in diversi punti il tracciato.
E di questa singolare galleria di ritratti di celebri inglesi degli anni Trenta, fa perciò stranamente eccezione il dipinto raffigurante il Barone Aloisi, evidentemente ritenuto un importante testimone di una pagina cruciale della politica internazionale tra le due guerre.
 

Chi era il Barone Aloisi

 L’ambasciatore Pompeo Aloisi (Roma 1875-1949) è stato uno dei principali protagonisti della politica estera italiana tra il 1932 e il 193616, in questi anni esercitò la funzione di Capo di gabinetto, dopo che il Ministro degli Esteri Dino Grandi lasciò la carica per la nomina di ambasciatore a Londra. Il dicastero fu assunto direttamente da Mussolini, ma di fatto lo esercitavano l’Aloisi e il Sottosegretario agli Esteri on. Fulvio Suvich (1887-1980). Il barone Aloisi fu nello stesso periodo Capo della Delegazione alla Conferenza per la riduzione degli armamenti (1932-34) e primo delegato alle assemblee della Società delle Nazioni (1932).

All’epoca vantava già una brillante carriera come ufficiale di Marina, passato poi per concorso in diplomazia, essendosi distinto coraggiosamente durante la prima guerra mondiale per aver sventato un grave progetto della marina austro-ungarica in Italia per l’affondamento della corazzata “Leonardo da Vinci” e di altre unità della nostra flotta; la brillante operazione venne denominata “Colpo di Zurigo”, dalla sede da dove fu sottratta l’intera documentazione sulla rete spionistica in Italia. La sua carriera è così proseguita con altri elevati incarichi a Parigi, Copenhagen, URSS, Romania, Albania, Tokyo, Turchia.
Fautore del “Patto a Quattro”, il trattato firmato a Roma il 15 luglio 1933 tra Francia, Inghilterra, Germania e Italia per il mantenimento dell’equilibrio europeo, l’Aloisi fu altresì protagonista indiscusso alla Conferenza di Stresa nel 1935; egli perseguiva una politica estera ancora fedele alla diplomazia italiana di solida tradizione liberale filo anglo-francese, battendosi strenuamente affinché il governo mussoliniano non risolvesse il conflitto italo-etiopico con l’intervento armato e contro il parere di Inghilterra e Francia, le due grandi potenze che avevano favorito il nostro Risorgimento e la nascita dello Stato Italiano, e che costituivano l’ago della bilancia della democrazia in Europa contro l’ascesa fortemente in atto del nazismo in Germania.

Pur condividendo l’Aloisi con il Governo fascista la necessità dell’espansione pacifica italiana in Africa Orientale (si vedano al riguardo i suoi diari dal 1932 al 1936), il barone non riuscì a far accettare a Mussolini il suo punto di vista (condiviso anche da Suvich) consistente nel comprendere le ragioni della politica estera britannica (e di tutti i componenti della Lega delle Nazioni), per impedire la guerra contro un paese membro di quell’istituzione. Pertanto le trattative diplomatiche fallirono (e il saluto amaro e cordiale tra il barone Aloisi e Anthony Eden, ministro  degli Esteri inglese, è abbastanza eloquente dalla foto che ho più sopra citato, apparsa su “L’Illustrazione Italiana” del 25 agosto 1935, e che probabilmente colpì il pittore inglese Sickert tanto da indurlo ad effigiare il diplomatico italiano); così Mussolini uscì momentaneamente vittorioso dalla campagna africana, ma fu l’inizio della rovina della politica estera italiana contrassegnata dalla nomina del genero Galeazzo Ciano a Ministro degli Esteri nel giugno del 1936 e dalla conclusione dell’incarico di Capo di Gabinetto di Aloisi.18

Questo, in breve, è il profilo sommario della principale attività diplomatica del barone Pompeo Aloisi, svolta in anni di grande attività dal ’32 al ’36, quando ancora sarebbe stato possibile inibire e sventare il rovinoso avvicinamento dell’Italia alla Germania di Hitler. Ricorderà in proposito Fulvio Suvich mentre in tarda età scriveva le sue Memorie: “una cosa è un pazzo isolato, e una cosa è un pazzo che è riuscito a dividere l’Europa in due campi. E quando ho lasciato il Ministero degli Esteri non eravamo ancora a questa prospettiva.”19 E l’Europa non sarebbe stata forse divisa se Mussolini avesse dato ascolto al barone Aloisi, che in una delle ultime allarmate comunicazioni al Duce nel settembre del 1935 per impedire l’imminente invasione dell’Etiopia, ancora scriveva: “…consiglia di non prestarsi al giuoco, opponendo calma ad insidia”. 20
E la monumentale silhouette che Sickert ha voluto delineare nel suo ritratto pare proprio che rispecchi questo tratto fondamentale della personalità dell’illustre diplomatico che appare consapevole, anche per l’incedere incerto, del triste ed ineluttabile destino cui il nostro paese andava incontro.

                                                                                                                      
 * Il dipinto risulta inventariato con il n. 3464 nelle collezioni del museo, dove rimase esposto presumibilmente dal marzo 1937 al 21 giugno 1938, allorquando l’opera fu consegnata a Venezia nella Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Ca’ Pesaro), insieme ad altre 268 opere, tutte di artisti stranieri, “a titolo di deposito indeterminato”, per uno scambio di opere di 178 artisti italiani, non veneti, presenti a Venezia in base ad una convenzione (26.4.1938) tra il direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roberto Papini e il vice Podestà di Venezia, Alessandro Brass. Il ritorno a Roma di quel gruppo di opere di artisti stranieri avverrà dieci anni dopo la fine della guerra nel 1955; erano opere particolarmente significative, già presenti nell’importante Esposizione Internazionale a Roma del 1911, che  furono poi quasi tutte acquistate per la Galleria Nazionale.
Ma il Ritratto del Barone Aloisi rimase a Venezia solo dal 1938 al 1943 perché l’allora Ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai (1895-1959) ordinò il deposito temporaneo del dipinto a Roma (cfr. Archivio GNAM, fasc. 2 B 3), in casa del Barone Aloisi, nominato Senatore del Regno, dopo il suo lungo servizio quale diplomatico e Capo del Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri Italiano fino al 1936,  lo stesso anno in cui il pittore inglese Walter Richard Sickert dipinse il suo ritratto e lo donò allo Stato Italiano. Una coincidenza, dunque, significativa e simbolica della stima e l’apprezzamento della politica internazionale per la pace dell’Aloisi.
Successivamente, dopo la scomparsa dell’illustre personaggio, nel 1949, il dipinto ritornerà di nuovo nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, essendo un’opera di proprietà dello Stato. Da quell’anno l’opera giace dimenticata e ignorata da tutti i direttori del museo, mai esposto né studiato, se si esclude la breve esposizione per una settimana dall’ 8 ottobre del 2000, a cura di chi scrive, per l’attività didattica della serie “Il tema della domenica”.
L’importante dipinto, particolarmente interessante anche per la sua storia che ho voluto raccontare, è stato talmente dimenticato che lo si cercherebbe invano nei tre cataloghi redatti per elencare le prestigiose collezioni del museo: da quello della Bucarelli nel 1973, ai più recenti del 2005 della Pinto  e quello in due volumi, MAXXI – GNAM, del 2009, (soprintendente Marini Clarelli). Una dimenticanza voluta, una distrazione? Non sappiamo, anche perché non è l’unico caso (ma questa, come comunemente si dice, è un’altra storia).
 
di Mario URSINO                              Roma, 5 novembre 2016                                                                                        
  
Note:
 
  1. cfr. atti del 30 novembre 1936, 17dicembre 1936, 2 febbraio 1937, 12 febbraio 1937, 18 febbraio 1937  in Archivio GNAM
  1. Il “Barone Aloisi” di Sickert alla Galleria d’Arte di Roma, “La Stampa” 4 luglio 1936; Aloisi’s Portrait for Italy, Mr, Sickert’s gift, “Daily Telegraph” 4 luglio 1936
  2. Leicester Galleries, April: Recent Paintings by Richard Sickert, Londra 1936, n. 41
  3. “Alla mostra della Reale Accademia di Londra, chiusasi in questi giorni, figurava fra le opere migliori un ritratto del barone Aloisi eseguito da Walter Sickert…”                                            in Belle Arti,  “L’Illustrazione Italiana” 12 luglio 1936, p. 77.
  4. XX Biennale di Venezia, 1 giugno–30 settembre 1936; Sickert era presente nel Padiglione degli Artisti Stranieri con due opere: n.12 Dieppe e n.13 Il Vecchio teatro di Varietà a Bedford; precedentemente aveva partecipato alle Biennali del 1914, 1922, 1926, 1928, 1930 (con una sala individuale), 1932.
  5. Il Barone Aloisi, in cat. Sickert’s paintings, edited by Wendy Baron and Richard Shone, Royal Academy of Art, London 20 November 1992 – 14 February 1993, n.127, p.336
  6. Ibid., pp. 25-32
  7. Virginia Woolf, Walter Sickert. A Conversation, London 1934 (trad. ital. in “L’Approdo Letterario”, XI, n.30, aprile-giugno 1965, p.41
  8. cfr. cat. Esposizione d’Arte Contemporanea Inglese, organizzata dal British Council di Londra sotto l’alto patronato di S.M. il Re d’Inghilterra, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 1945; tre i dipinti di Sickert: n.68 Nudo allo Specchio, n.69 Bottega d’Antiquario, n.70 Testa di Veneziana, p. 18.
  9. cfr. cat. Sickert, cit., nn. 119; 120; 125; 126.
  10. cfr. R.H. Wilenski, Sickert’s Art, London 1943, p.32
  11. cfr. Chi è? Dizionario degli Italiani d’oggi, III, Roma 1936; e Mario Toscano, Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960,  pp.518-520
  12. P. Aloisi, Journal, 25 Juillet 1932 -14 Juin 1936, Paris 1957
  13. cfr. Nel mondo diplomatico, in “L’Illustrazione Italiana”, 28 giugno 1936, p. 1162.
  14. in G. Bruno Guerri, Un tranquillo nemico di Hitler, “Il Giornale”, 5 agosto 1984; cfr. anche F.  Suvich, Memorie 1932-1936, Milano 1984,pp.275-292.
  15. P. Aloisi, La mia attività al servizio della pace, Roma 1946, p. 19