image001(4)


Uno degli aspetti più dibattuti nell’applicazione “pratica” del diritto dei beni culturali è quello afferente l’esatta delimitazione dei poteri di controllo/ispezione della P.A. nel settore del commercio dei libri antichi. Diversi sono infatti gli interrogativi connessi a tale problematica.


Fra i più importanti: fino a che punto la Soprintendenza può “spingersi” nel controllo delle transazioni operate dai mercanti di libri antichi? Può la Soprintendenza accedere a dati sensibili, quali i nominativi di coloro i quali partecipano (come alienanti o acquirenti) ad aste di libri antichi? Quali sono gli obblighi di comunicazione in capo agli operatori del settore in merito alle operazioni commerciali realizzate?
Per rispondere in maniera compiuta ed operativa a tali quesiti è necessario premettere brevissimi cenni sull’art. 63 CBCP (d. lgv. 42/04), norma soventemente richiamata dalla P.A. quale fonte del potere di ispezione/accesso ai dati trattati dagli esercenti il commercio di libri antichi (quali, come detto, i nominativi dei propri clienti).
Ed invero, ai sensi dell’art. 63 CBCP (che riproduce sostanzialmente il testo del previgente art. 62 d.lgv. 490/99), l’esercente il commercio di cose antiche o usate è tenuto a trasmettere all’Autorità di Pubblica Sicurezza la dichiarazione preventiva di esercizio di detto commercio.
Sarà cura dell’Autorità di P.S. inoltrare successivamente il predetto documento al Soprintendente ed alla Regione. Pertanto, a differenza del regime introdotto dal d. lgv. 490/99, l’attuale disciplina non prevede più che l’onere di trasmissione della “dichiarazione preventiva” alla Soprintendenza ed alla Regione sia a carico del privato.

Nella sostanza, del tutto immutato - rispetto alla  previgente normativa - è invece rimasto, da un lato, l’obbligo – in capo al privato esercente il commercio di cose antiche o usate – di annotare giornalmente nel Registro di P.S. le operazioni eseguite, “descrivendo le caratteristiche delle cose medesime” (si badi, la norma in commento parla solo della descrizione delle cose e non anche dei nominativi delle persone da cui si è ricevuta la res); dall’altro, il potere – in capo al Soprintendente – di verificare l’adempimento del predetto obbligo di annotazione.
Sul punto, è inoltre bene chiarire due aspetti.
1) Tale potere di “ispezione”, riconosciuto dalla Legge anche ai funzionari regionali nei casi e nelle forme previste dall’art. 5 CBCP (commi II, III, IV), deve comunque essere esercitato secondo la procedura di cui alla parte finale dell’art. 63, III comma, CBCP.
Pertanto, in sede di controllo circa il corretto adempimento del predetto obbligo di annotazione, la P.A. è tenuta a notificare all’interessato ed all’Autorità di P.S. il verbale dell’ispezione. In assenza di tale adempimento (notifica del verbale di ispezione), l’atto della P.A. dovrà quindi ritenersi compiuto in maniera difforme alla procedura prevista dal citato dettato normativo.
2) Tale ispezione da parte della Soprintendenza può avere ad oggetto il solo controllo del corretto adempimento dell’obbligo di cui al II comma dell’art. 63, ovvero delle annotazioni inerenti l’oggetto commerciato e le sue caratteristiche.
Per l’effetto, stando all’interpretazione strettamente letterale della normativa in esame, parrebbe che oggetto del controllo non possano essere anche i nominativi dei clienti dei librai.

Ciò premesso, occorre adesso dare risposta ad altri due quesiti, strettamente collegati a quanto sinora dedotto in merito alla normativa di cui all’art. 63 CBCP:
    1) esiste - ai sensi dell’art. 63 CBCP - un obbligo in capo al libraio o al direttore di una casa d’aste di comunicare alla Soprintendenza il nominativo del soggetto da cui si è acquistato un testo o per conto del quale si sta trattando la vendita di un testo?
    2) quali sono - anche ai sensi della normativa di pubblica sicurezza - i poteri della Soprintendenza in merito all’accesso ai nominativi dei clienti dei librai e delle case d’asta?
Ed invero, al primo quesito - pur in assenza di giurisprudenza sul punto - è ragionevole osservare che l’art. 63 CBCP, al IV comma, imponga ai soggetti esercenti il commercio l’obbligo di comunicazione del SOLO elenco delle opere poste in vendita, escludendo quindi implicitamente che detta comunicazione debba avere ad oggetto anche il nominativo del proprietario dell’opera.
In tal senso depone il dato testuale dell’art. 63, che – come detto – contempla, in capo a “coloro che esercitano il commercio di documenti ed ai titolari delle case di vendita”, esclusivamente l’ “obbligo di comunicare al soprintendente l’elenco dei documenti di interesse storico” (nessun riferimento è fatto dalla norma ai nominativi dei proprietari dei beni).

Ne deriva che, in osservanza del brocardo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, è quindi da escludere che siffatto obbligo di comunicazione ricomprenda anche i nominativi dei proprietari dei beni.
Diversamente, infatti, la legge avrebbe ricompreso in siffatto obbligo di comunicazione - oltre all’ “elenco dei documenti di interesse storico” - anche i nominativi dei proprietari degli stessi.
Pertanto, sulla base dell’interpretazione letterale dell’art. 63, al primo dei due quesiti sopra indicati, è ragionevole rispondere nel senso che – in capo agli esercenti il commercio di libri antichi - non vi sarebbe alcun obbligo imposto dall’art. 63 CBCP di comunicare i nominativi dei soggetti da cui si è compravenduto il testo o per conto del quale è stato ricevuto mandato a vendere.

Più complessa è invece la questione sottesa al secondo quesito (“quali sono – ai sensi della normativa di pubblica sicurezza - i poteri della Soprintendenza in merito all’accesso ai nominativi dei clienti dei librai e delle case d’asta?”)
Se, infatti, è vero – come sopra detto – che l’art. 63 CBCP:
   - per un verso, impone il rispetto (da parte della P.A.) di talune forme, quale la “notifica del verbale di ispezione” (art. 63 III comma);
   - per altro verso, non contempla un obbligo di comunicazione in capo al privato di altri dati se non quelli afferenti “l’elenco dei documenti di interesse storico posti in vendita” (art. 63, IV comma);
è altrettanto vero che precisi obblighi di legge gravano sui commercianti ai sensi del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (in breve, T.U.L.P.S., R.d. 773/31) e del relativo regolamento di attuazione (R.d. 635/40).
In particolare, per quanto d’interesse in questa sede, giova distinguere l’ipotesi del “commercio in proprio” (ovvero, quello posto in essere dai librai che vendono merce della quale sono titolari) da quella del “commercio per conto terzi” (ovvero, quello effettuato dalle case d’asta su mandato e per conto di terzi proprietari della merce).   

Ed invero, con riferimento al caso dei soggetti che operano il “commercio in proprio”, è da ritenere che gli stessi siano sottoposti all’obbligo di tenuta del Registro delle Operazioni Giornaliere (art. 128 T.U.L.P.S. ed art. 247 Reg. att. T.U.L.P.S.).
All’interno di tale Registro, è necessario – fra le altre cose - indicare: (i) l’indicazione cronologica delle operazioni; (ii) i dati identificativi dei venditori e dei compratori; (iii) il genere delle merce; (iv) l’indicazione del prezzo.
Tale Registro (contenente anche i dati identificativi dei venditori/compratori), ai sensi del III comma dell’art. 128 T.U.L.P.S., “dev’essere esibito agli Ufficiali ed agli Agenti di pubblica sicurezza, ad ogni loro richiesta”.
Sul punto, appare però utile ricordare come tale controllo (ovvero, quello operato sui Registri di P.S. ai sensi dell’art. 128 T.U.L.P.S.) – sulla base dello stesso T.U.L.P.S. - non spetti alla Soprintendenza ma all’Autorità di P.S.
Pertanto, concludendo sul punto, la Soprintendenza (o i funzionari regionali delegati) potrebbero accedere ai dati identificativi contenuti nel Registro ex art. 128 T.U.L.P.S. solo ove si ritenesse che gli stessi operino come Autorità di Pubblica sicurezza, essendo riservato – come detto - il controllo di cui all’art. 128 T.U.L.P.S. solo a tale Autorità.
A parere dello scrivente, è però da escludere che i funzionari della Soprintendenza (o i funzionari regionali delegati) possano essere equiparati all’Autorità di Pubblica Sicurezza.
A favore di tale conclusione depongono sia l’art. 1 del T.U.L.P.S. (ove si afferma che “L'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà”, ovvero “materie” e “finalità” differenti rispetto a quelle connesse alla tutela dei beni culturali) sia la legge n. 121/1981 (rubricata “nuovo ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza”), da cui si desume come i compiti demandati all’Autorità di Pubblica Sicurezza siano radicalmente diversi da quelli demandati alla Soprintendenza (o, a fortiori, ai funzionari regionali), sia l’art. 63/III d.lgv. 42/04, nella parte in cui prevede la notifica del verbale di ispezione da parte della Soprintendenza all’Autorità di Pubblica Sicurezza, presupponendo – quindi - che si tratti di due soggetti differenti.

Quanto, invece, alla disciplina applicabile all’ipotesi del “commercio per conto terzi” (ovvero, quella posta in essere dalle case d’asta o dei librai che vendono su mandato e per conto di terzi), giova osservare quanto segue.
Come indicato anche dall’Ag. delle Entrate, tali soggetti sono commercianti che vendono su mandato e, quindi, sono sottoposti alla disciplina di cui agli artt. 115 e ss. T.U.L.P.S. .
Gli stessi, pertanto, in quanto soggetti equiparabili alle agenzie di affari, sono obbligati alla tenuta del Registro di P.S. di cui all’art. 120 T.U.L.P.S. (ovvero, il Registro giornale degli affari) in luogo di quello di cui all’art. 128 T.U.L.P.S.
Per l’effetto, non essendo gli esercenti il “commercio per conto terzi” obbligati (diversamente dai commercianti per contro proprio) alla tenuta del Registro ex art. 128 (o Registro delle operazioni giornaliere), appare non condivisibile l’opinione secondo la quale, anche con riferimento alle case d’asta, debba ritenersi che la disciplina di cui all’art. 128 T.U.L.P.S. costituisca la “fonte” del potere di “accesso” ai nominativi dei clienti per conto dei quali le case d’asta trattano la vendita di determinati beni.
Come detto, difatti, le case d’asta (nonchè gli esercenti il “commercio per conto terzi”) NON hanno alcun obbligo di tenuta del Registro delle operazioni giornaliere di cui all’art. 128 T.U.L.P.S., essendo obbligati alla tenuta del diverso registro di cui all’art. 120 T.U.L.P.S.
Per cui basare qualsivoglia obbligo (nella specie, la comunicazione di dati sensibili) a carico dei “commercianti per conto terzi” su una norma, quale l’art. 128 T.U.L.P.S., avente ad oggetto obblighi in parte qua a loro non riferibili, appare non condivisibile.

Peraltro, concludendo sul punto, anche ove - per mera ipotesi - si volesse ritenere applicabile alle case d’aste l’obbligo di tenuta del registro ex art. 128 T.U.L.P.S., rimarrebbe comunque valido l’argomento supra affrontato secondo il quale tale controllo potrebbe essere disposto solo dall’Autorità di Pubblica Sicurezza (e non alla Soprintendenza).
15/11/2013
Avv. Prof. Francesco Emanuele Salamone
Professore a c. di Diritto Penale dei Beni Culturali
Università della Tuscia di Viterbo
 
Lemme Avvocati associati
C.so di Francia 197 00191 Roma
tel +39 06.36307775 f. +39 06.36303010
www.studiolemme.it