de luca(1)Risale a poche settimane fa una notizia che ha messo in apprensione l’opinione pubblica e, in una certa misura, anche il mondo degli amanti delle belle arti, cioè che l’Unione Europea stia per bandire dalle vernici e dai barattoli di colore utilizzati anche dagli artisti di oggi, il Giallo-Cadmio, colore assolutamente prorompente in certi capolavori della pittura contemporanea, come nei celeberrimi Fiori in un vaso blu, di van Gogh o nell’Urlo di Munch, in quanto metallo velenoso e fortemente inquinante.
A dire il vero non sarebbe il primo caso; di colori che nel corso del tempo sono scomparsi dalle tavolozze dei pittori ce ne sono stati parecchi, ad esempio quelli a base di arsenico o a base di piombo, giudicati pericolosi per la loro tossicità, ma anche quelli non più utilizzabili per esaurimento delle materie prime o delle cave, basti pensare a certe terre di Siena o alle lacche.
Ci si è chiesti spesso di fronte a tali evenienze come devono comportarsi i restauratori quando, ad esempio, siano chiamati ad intervenire sulle defaillances di un dipinto se i colori da reintegrare, non siano più accessibili, come nei casi che abbiamo citato, dovendoli quindi sostituire con pigmenti realizzati dall’industria.
Si potrà avere un risultato quanto più vicino all’originale sostituendo i colori ‘moderni’ a quelli di una volta? E non si rischiano pericolosi fraintendimenti in questi casi? Sarà sempre possibile distinguere l’intervento del restauratore rispetto a quello originale del maestro?
Daphne De Luca, restauratrice e docente presso la Scuola di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Urbino Carlo BO, ha affrontato molti di tali quesiti inerenti la sua professione, nel volume I manufatti dipinti su supporto tessile. Vademecum per allievi restauratori edito dalla Casa editrice Il Prato, la cui seconda edizione è stata presentata pochi giorni fa alla XXII edizione del Salone del Restauro di Ferrara.
Il primo compito del restauratore consiste nel “saper riconoscere l’opera d’arte”; questo raccomandava ai suoi allievi Cesare Brandi, il grande studioso che nel lontano 1939 fondò a Roma l’Istituto Centrale del Restauro. Ne deriva che il comportamento di un restauratore di fronte ad un manufatto è conseguenza di quel tale “riconoscimento” dipendente dalla sua valenza storica e dalle sue caratteristiche estetiche; in assenza di ciò l’intervento sarà esclusivamente di ripristino funzionale.de luca2(1)
Dunque, il restauratore assume in sé un doppio ruolo, perchè solo individuando il valore –storico estetico- di un oggetto può arrivare a fornire un’adeguata prestazione professionale. Ne deriva l’importanza fondamentale che assume, insieme all’esperienza, lo studio approfondito della disciplina in cui s’intende operare.  
Del tutto consapevole di ciò si mostra Daphne De Luca, nella sua pubblicazione. La studiosa,infatti, peraltro formatasi proprio nel prestigioso Istituto romano creato da Brandi (che, va sottolineato, insieme con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, costituisce a questo riguardo un’eccellenza italiana universalmente riconosciuta) ha saputo espletare l’attività professionale sempre in linea con un preciso intento didattico, volto alla educazione e alla formazione degli appassionati della disciplina, come molto chiaramente appare in questo Vademecum.  
La pubblicazione – che si avvale della Presentazione di Laura Baratin e della Prefazione scritta da Gianluigi Colalucci, decano del settore, autore del restauro degli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina- in effetti è di grande rilievo e certamente si rivelerà di notevole interesse non solo per gli addetti ai lavori, cioè docenti, operatori professionali e allievi interessati all’affascinante quanto delicata disciplina, ma anche per tutti coloro che amano la pittura e vogliono scoprirne i segreti più profondi, relativi ai materiali impiegati, ai supporti, alle tecniche utilizzate; insomma tutto quanto compone un’opera d’arte frutto dell’immaginazione creativa dell’artista.