Pecci_Nio“Questa è una storia italiana”, direbbe il cronista televisivo annunciando una notizia sulle storture alle quali siamo abituati nel nostro Paese. La storia italiana di cui qui ci vogliamo occupare, del tutto anomala se confrontata a ciò che accade fuori dai confini nazionali, riguarda la crisi insensata che si sta consumando in alcuni luoghi-simbolo dell’arte contemporanea in Italia: il Museo Pecci di Prato (figg. 1 e 5), il Macro (figg. 2 e 4) e il MAXXI di Roma (fig. 3).


Di quale crisi si tratta? Partiamo da una premessa: appena 4 anni fa Macro e MAXXI hanno aperto i battenti con l’aspirazione ad essere centri di profilo e richiamo internazionale per le arti contemporanee e divenire luoghi di crescita culturale nella capitale.

Grandi progetti architettonici realizzati da acclamate archistar (Odile Decq e Zaha Hadid) hanno dotato Roma, e l’Italia, di contenitori museali con grandi potenzialità che, nel corso dei loro primi anni di attività, hanno prodotto una serie di mostre e iniziative di varia importanza, che non vogliamo analizzare o giudicare nel merito in questo articolo.

Macro(1)Spostiamoci a Prato, dove nel 2007 il concorso internazionale per l’ampliamento del celebre Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci - il primo in Toscana, costruito alla metà degli anni ’80 - è stato vinto da uno studio olandese con il progetto di Maurice Nio, che ha avuto a disposizione un budget di 9 milioni di euro (5 messi dalla Regione Toscana e 4 dal Comune di Prato). I lavori dovevano concludersi questo autunno ma sono ancora indietro, seppur ripartiti dopo un lungo stop.

Il prossimo 2 dicembre scadrà il Bando Internazionale (scaricabile dal sito: www.centropecci.it) per dotare il Museo di un nuovo direttore. Contestualmente giunge la notizia che al Pecci, con argomentazioni artificiose, come la scarsa vendita di biglietti, la direzione dimissionaria vorrebbe ridurre anticipatamente il personale che vi lavora con competenza da anni per far “crescere – si legge in un documento - dentro la multifunzionalità del museo di professionalità complesse delle quali oggi il museo è sprovvisto”. Sulla questione degli esuberi sono intervenuti i sindacati a tutela degli attuali dipendenti, vincitori in più di un caso di concorsi pubblici banditi dal Comune di Prato oltre 25 anni fa. La prospettiva di risparmiare sulle competenze professionali interne coinvolgendo cooperative esterne per gli stessi servizi dovrebbe essere scongiurata: non è pensabile, infatti, che l’importantissima Biblioteca del centro possa essere gestita da lavoratori precari e ricattabili.

maxxi_rome_zhNei mesi passati i tre musei in questione (ma mettiamoci anche il caso del MART, con l’anomala mostra dedicata ad Antonello da Messina da poco inaugurata), sono stati, e sono ancora, sulla ribalta dei media per turbolenze amministrative, per cambi di guardia non sempre trasparenti a direzioni e presidenze, per l’alternanza fisiologica negli uffici delle amministrazioni pubbliche e degli assessorati, per un ambigua tentazione di spoiling system, per le polemiche sugli stipendi, per i tagli della spending review ai finanziamenti, per i buchi di bilancio, per le accuse reciproche di inefficienze degli uffici, per chiusure ingiustificate di biblioteche, per ritardi nella realizzazione di lavori, per esposizioni criticate ed esposizioni rimandate sine die, eccetera eccetera.

Esiste un comun denominatore a tutto questo? Di quale crisi si tratta, andando al nocciolo della questione? Pur essendo ciascuno dei casi menzionati diversi per contesto, programmazione, giurisdizione e corpo amministrativo, queste realtà museali dovrebbero far parte di un sistema armonico nazionale di realtà culturali che guardano, purtroppo non come dovrebbero, alle arti della contemporaneità in Italia e alle sue interconnessioni con il resto del mondo.
macro-museo-romaIstituzioni governate ai vertici da figure che spesso ignorano, o sono in ritardo, riguardo alla consapevolezza del significativo ruolo che esse dovrebbero svolgere per il futuro, riguardo alla fondamentale documentazione e allo studio delle pratiche artistiche del recente passato e all’analisi di quelle del presente. Per quanto esista un’Associazione nazionale (AMACI), che raccorda le istituzioni museali dell’arte contemporanea, e le attive associazioni degli Amici dei musei fano la loro parte, si ha l’impressione che ogni istituzione vada per la sua strada, brancolando in una incerta programmazione di corto respiro, vittima di venti politici e turbolenze amministrative che ben poco hanno a che fare con il vero cuore della loro missione, che dovrebbe essere mossa dalla consapevolezza che si deve favorire la competenza e la conoscenza aperta e interrelata delle forme della creatività contemporanea, che essa deve essere necessariamente di vocazione internazionale e articolata secondo la complessità del mondo di oggi.

PecciColumnNelle stanze delle Presidenze e dei Cda di questi musei, o negli uffici dei sindaci e degli assessorati, invece, l’idea dominante è quella di far quadrare i conti, trasformare i musei in location per eventi, aumentare lo “sbigliettamento” per le mostre - come si trattasse di cinema o teatri – organizzando esposizioni anche stravaganti o totalmente inutili per la crescita delle conoscenze; con l’idea di mettere a profitto le strutture con improbabili iniziative aliene dalla vocazione a cui tali musei dovrebbero essere preposti, carenti di una visione culturale di ampio respiro.
Viene da pensare che la ragione ultima della “crisi” non sia tanto la mancanza dei fondi, ma un’idea errata della cultura che invoca profitto, sottostà alla quadratura dei bilanci, guarda ai rating aziendali e non al lungo respiro delle conoscenze di una comunità nazionale aperta al mondo. Il problema delle tante “storie italiane” è principalmente un fatto di chiusura mentale, votata al mito di un aziendalismo applicato alla cultura, che non può funzionare per il semplice fatto che gli archivi, le biblioteche, le conferenze, la didattica museale, le mostre, devono fornire strumenti di analisi ai cittadini di tutte le età e non produrre reddito per la sopravvivenza di Fondazioni pubbliche, semi pubbliche o private, i cui Presidenti aspirano a stipendi di molte decine di migliaia di euro l’anno.
Non bastano i proclami che affermano di “non tagliare i fondi alla cultura” o “riaffermare la cultura come strumento di crescita e di inclusione sociale”.
L’architettura d’avanguardia dei musei italiani d’arte contemporanea, degli inizi del secolo XXI, si sta trasformando in uno strumento di potere per la fallimentare propaganda aziendalista di coloro che invocano la “ripresa”, ma in realtà si ispirano ai vecchi metodi dell’esercizio del potere e della gestione degli appalti, ovvero sono espressione di una miope retroguardia politico-culturale.
T. Cas., 17/11/2013