C’era una volta una tradizione pittorica che era stata strepitosa nel corso del Trecento, che diventava attardata ma ricca di presenze di alto rango nel Quattrocento, declinante con un paio di eccellenze nel Cinquecento e decisamente marginale, con un’unica eccezione e senza più specifici caratteri di scuola, nel Seicento. Sintetizzando brutalmente potrebbe così riassumersi il racconto della pittura senese come un tempo risultava dalla vulgata storico-artistica.
Naturalmente le cose oggi stanno in modo ben diverso: il XV secolo in terra di Siena negli ultimi cinquant’anni è stato doviziosamente indagato e recuperato appieno alla tavola alta della pittura italiana del rinascimento (nonostante arcaismi, raffinatezze cortesi e umbratilità varie, o forse proprio grazie ad essi); anche il Cinquecento, sulle tracce di Beccafumi e in subordine del Sodoma, ha ottenuto per tempo il suo riscatto storiografico; e da ultimo lo stesso Seicento ha beneficiato, sebbene sin qui in modo abbastanza collaterale, degli studi capillari e delle innumerevoli occasioni espositive che negli ultimi decenni hanno investito il secolo del “barocco”.
Restavano, però, ancora molto esigui e poco aggiornati gli approfondimenti monografici dedicati alle pur numerose personalità artistiche di alto livello attive in quell’ampio segmento temporale, e restavano decisamente in ombra il tessuto complessivo e i caratteri distintivi di quella produzione pittorica, che viene ora attentamente illuminata dal lavoro monumentale di Marco Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, Nuova Immagine Editrice (pp. 1248, con 566 tav. a colori fuori testo), che abbiamo già presentato in un precedente articolo su News-Art.
Incontriamo ora l’autore, che ci illustra la genesi, le caratteristiche, gli obbiettivi critici e le novità della sua fatica.
D. Vorrei cominciare chiedendoti com'è nato il progetto di imbarcarti in un’impresa di così ampio raggio, letteralmente enciclopedica, che oltretutto ti ha imposto di considerare in profondità un materiale in gran parte trascurato dagli studi, quando non semisconosciuto o ignoto del tutto.
R.
Mi sono trovato, come Ercole, di fronte a un bivio: dovevo scegliere se progettare un'opera completamente nuova oppure realizzare un'impresa che rappresentasse il compimento dei miei studi trentennali sul Seicento senese. Alla fine ho deciso di intraprendere questa seconda strada, e ho voluto realizzare un repertorio, con l'ambizione, però, di fare qualcosa di un po' diverso dai normali repertori, che tendenzialmente presentano indicazioni e apparati molto generali e a volte minimi, e dai quali sono spesso escluse anche informazioni essenziali come le misure e le provenienze delle opere trattate; tantomeno essi includono, in genere, eventuali disegni preparatori o le incisioni derivate dalle opere stesse, tutti elementi che invece ho contemplato all’interno del mio lavoro.
Ho iniziato dunque a preparare questo volume sulla base degli studi da me compiuti e del materiale raccolto in precedenza. Quella senese, evidentemente, è una scuola che non annovera tantissime personalità spiccate e, quindi, la mia impresa tutto sommato si presentava possibile. Strada facendo, però, quello che sospettavo, e cioè che l’importanza di questa scuola fosse ben maggiore di quanto comunemente stimato, si è venuto confermando in misura perfino superiore alle mie aspettative, incrementandosi al contempo anche i nomi degli artisti senesi attivi e documentati nel XVII secolo: il mio lavoro, infine, è giunto così a comprendere 57 personalità, ma ne ho già individuate altre che sembravano pittori senza opere ma dei quali ora abbiamo recuperato anche alcuni esiti pittorici. Si tratta dunque per me di una sorta di
work in progress, i cui frutti sono ancora in divenire.
Devo dire che per mia natura sono attratto dalle cose anacronistiche, e nell’era dell’informatica condurre un’impresa del genere sul formato cartaceo è stata senz’altro un’impresa completamente
démodé, per non dire una follia. Però, mentre il computer ha una natura eterea e immateriale, il libro ha una sua presenza fisica, una sua “pesantezza”, che rappresentano in fondo una certezza: quella certezza che oggi sembra venir meno in tutte le cose.
E’ chiaro che il mio lavoro si prefigge essenzialmente di costituire un repertorio di consultazione al quale attingere per ricavare rapidamente tutte le informazioni disponibili sui pittori e sulle opere senesi del XVII secolo attraverso i vari indici alfabetici e cronologici di cui è dotato, che dovrebbero garantire la massima facilità di utilizzo. Oltre a quelli canonici (autori, opere, luoghi), ho provveduto a realizzare anche un indice dettagliato dei soggetti, che credo di particolare utilità.
D. Raccontaci la genesi e la struttura dei tre volumi.
R. Il mio lavoro ha avuto una genesi lunghissima, nel corso della quale la sua mole è cresciuta sensibilmente: si era partiti per realizzare due volumi di circa 800 pagine complessive e siamo giunti alla fine con tre volumi di 1600 pagine, perché in corso d’opera sono venute fuori tante altre opere e molti materiali che era necessario considerare. Nel terzo volume ho dovuto aggiungere un’appendice, e ora già prevedo di scriverne un’ulteriore, che contempli i nuovi dipinti dei pittori trattati nel repertorio che sono già emersi in questo breve lasso di tempo.
Devo dire che questi volumi, a conferma di un vuoto che essi sono andati a colmare, sono stati accolti con grande favore non solo in Italia ma anche all'estero; e che essi stanno già producendo qualche effetto interessante, tant’è che l’anno prossimo a New Haven, presso la Yale University, è stata messa in cantiere una mostra dedicata a Francesco Vanni.
D. In Italia non si sta progettando niente di simile, magari una mostra complessiva sul Seicento senese tanto per fare l’esempio più banale, che tra l’altro, dopo le tue fatiche, riuscirebbe ora tanto più attrezzata sotto il profilo storico-artistico?
R. Il problema è che l’unica sede possibile per una mostra del genere sarebbe evidentemente Siena, che però attraversa un periodo di gravissima crisi per le note difficoltà del Monte dei Paschi: quindi direi che un simile progetto per ora si deve considerare congelato in attesa di tempi migliori.
D. Il tuo lavoro permette di avere ora sotto mano tante piccole monografie, ognuna arricchita dal catalogo completo delle opere degli artisti trattati. Tra questi ovviamente tutti i protagonisti delle scena artistica senese, da Francesco Vanni a Ventura Salimbeni, da Astolfo Petrazzi e Francesco Rustici, da Raffaello Vanni a Rutilio Manetti, da Niccolò Tornioli a Bernardino Mei: tutti, con l’eccezione di Manetti, ancora sprovvisti di esaurienti contributi monografici.
R. Sui pittori del Seicento senese esistevano sin qui studi monografici dedicati solo a Manetti (il libro di Cesare Brandi del 1931 e la mostra monografica senese del 1978, a cura di Alessandro Bagnoli), Sebastiano Folli, sul quale negli anni ’50 uscì un piccolo lavoro, e infine Alessandro Casolani, cui fu dedicata una mostra di dimensioni molto contenute a Casale d’Elsa nel 2002. Aggiungiamo le mostre senesi L'arte a Siena sotto i Medici 1555-1609 del 1980, e quella dedicata a Bernardino Mei e la pittura barocca a Siena nel 1987, e all’incirca abbiamo elencato tutto.
D. Con tutto il rispetto per un egregio pittore come Casolani, si può ben dire che nessuno dei principali pittori senesi vantasse un’accettabile situazione bibliografica (compreso Manetti, in fondo): il che appare decisamente sorprendente, in un’epoca che rivolge fin troppo generosamente le sue attenzioni ad artisti anche minimi, in modo particolare proprio in riferimento al Seicento.
R. In effetti si tratta di una situazione anomala, che per me, però, ha rappresentato una grande opportunità, permettendomi di compiere degli studi quasi pionieristici in particolare nel campo del disegno, che, con l’eccezione di Vanni e Salimbeni ai quali era stata dedicata una mostra a cura di Peter Riedl nel 1976, era totalmente inesplorato.
D. Al di là dell’intento di produrre un repertorio esaustivo su questa importante stagione dell’arte senese, hai tenuto presente qualche ulteriore obiettivo critico nella realizzazione del tuo lavoro?
R. L’idea trainante è stata quella di dare carattere sistematico e complessivo ai tanti materiali dispersi in una pletora di periodici, cataloghi di mostre, libri e fonti, e di recuperare nel modo più capillare tutto gli elementi che sin qui non erano ancora stati adeguatamente vagliati. Occorre ricordare che la più importante raccolta del Seicento di vite di artisti, quella del Baldinucci, non aveva potuto contemplare i senesi perché lo scrittore attese invano le notizie da Raffaello Vanni, che non gliele fece avere mai; ciò che evidentemente ha inciso in modo nefasto sulla fortuna critica di questi artisti, che sono completamente caduti nell’oblio. La loro riscoperta si deve al lavoro sistematico compiuto nell’Ottocento da Ettore Romagnoli, che ha setacciato tutte le fonti e tutti gli archivi, recuperando un’infinità di notizie di prima mano che in questa circostanza ho attentamente riconsiderato e dove necessario corretto.
D. Avendo ripercorso per intero questo grande patrimonio di opere, in buona parte sommerso, a consuntivo emergono secondo te nella pittura senese del Seicento tratti che permettono di parlarne come di una “scuola”?
R. Secondo me, si. Innanzitutto essa presenta delle caratteristiche di eleganza e di liricità che in qualche misura, in modo quasi ancestrale, si legano alla grande cultura figurativa senese; inoltre la pittura senese del Seicento effettivamente si situa in modo peculiare fra la scuola fiorentina e quella romana. Più vicina geograficamente a Firenze, essa presenta però una maggiore affinità con la tradizione romana, sebbene ripensata in modo originale, trovandosi l’influsso importante del Barocci, ma anche filoni specifici come quelli rappresentati dagli allievi di Manetti o di Raffaello Vanni, due maestri che hanno prodotto effettivamente una scuola, che per di più non è rimasta chiusa in se stessa (come per esempio, quella fiorentina, per quanto mirabile) ma si è mantenuta aperta ai più vari influssi e tendenze.
D. A valle del tuo lavoro ti sembra che, per così dire, le graduatorie consolidate del Seicento senese restino appropriate o c’è qualcosa da rivedere in questo senso?
R. Confermo senz’altro il quadro di riferimento, semmai rilevando l’emersione di alcune nuove personalità che, senza poter essere collocate a fianco dei maggiori, presentano un profilo artistico abbastanza spiccato: un nome per tutti è quello di Annibale Tegliacci, del quale s’era persa ogni traccia ma che si impone ora come un pittore di un certo talento.
D. Quali sono a tuo viso gli artisti che necessitano ancora di un’ulteriore messa a fuoco monografica, magari in riferimento ad aspetti specifici della loro produzione?
R. Indubbiamente Bernardino Mei, soprattutto per quel che concerne gli anni romani sui quali ancora sappiamo molto poco, sebbene alcuni recentissimi contributi di Simona Sperindei abbiano cominciato a fare luce anche su questo segmento importante della sua carriera, in cui il pittore ha lavorato quasi esclusivamente per i Chigi. Proprio la perdita delle grandi tele da lui eseguite per il palazzo di famiglia ai Santi Apostoli certamente ha molto contribuito al suo relativo oblio, a dispetto dell’altissima qualità della sua pittura.
D. Dicci, infine, qualcosa riguardo agli inediti più stimolanti fra i moltissimi che hai pubblicato nei tuoi volumi.
R. Un aspetto particolarmente interessante che è venuto a galla con particolare chiarezza nel mio lavoro è costituito dal rapporto fra artisti e intellettuali, da cui deriva l’universo affascinante delle allegorie pittoriche. Dopo il mio libro è uscito un repertorio a cura di Annalisa Pezzo sulle
Conclusiones delle tesi di laurea, dove figurano molte antiporte eseguite da artisti di cui mi occupo nel mio libro: antiporte che legano il mondo della mitologia, dell’araldica e dell’allegoria in intrecci davvero stupefacenti.
Proprio Bernardino Mei è stato il principe dell’interpretazione pittorica dell’allegoria nel Seicento. Di lui erano ben note alcune incisioni di carattere allegorico che però, estrapolate e letteralmente strappate dal contesto della loro destinazione funzionale di manifesti di laurea, riuscivano di pressochè impossibile decifrazione. Ora si sono ricongiunte le immagini ai loro significati, e, novità molto ghiotta, è stato possibile recuperare molti disegni preparatori per queste incisioni e in alcuni casi perfino i modelli in chiaroscuro. A livello di dipinti una percentuale eccezionalmente cospicua (direi all’incirca il 70%) delle opere che presento nel mio repertorio è inedita, anche per quanto riguarda gli artisti di primissimo piano.
In conclusione, vorrei aggiungere che grazie alla pazienza e alla disponibilità dell’editore ho potuto seguire questo libro passo dopo passo, lavorando ad ogni fase della sua produzione pagina per pagina e decidendo assieme all’editore formato, struttura, grafica e riproduzioni. Un’esperienza totalizzante davvero rara in questi tempi in cui anche l’editoria si preoccupa essenzialmente di risparmiare e di fare in fretta.
Luca Bortolotti